Ho scoperto da poco che il simpatico Todd Phillips, il regista di The Hangover e di Due Date, prima di diventare il campioncino della bromance in fiction, ha fatto un paio di documentari. Il primo è del 1994, si intitola Hated ed è dedicato a quel suggettone di G.G. Allin, cantante/performer e icona di un certo approccio punk. Il secondo, che è quello che a noi qui interessa, è del 1998 e si intitola Frat House. L’ho anche intravisto perché un mio amico ce l’ha in un floppy disk che ha comprato a una svendita di supporti di memorizzazione battuti dal tempo a un mercatino dell’usato a Bagnara Calabra. Solo che si vedeva talmente male che a un certo punto abbiamo smesso di vederlo e siamo andati al bar. Peccato perché Frat House sembra essere molto interessante: è un documentario che parla del lato oscuro delle confraternite. Io quando ho letto “il lato oscuro della confraternite” ci sono rimasto male. Ma quel lato oscuro? Da come ce le hanno presentate in anni e anni di film, le confraternite sono un po’ un covo di simpaticoni, no? Ogni tanto qualche screzio coi nerd, ma in conclusione bravi ragazzi a cui piace fare le feste. La mia confraternita di celluloide preferita di sempre è quella di Old School (guarda caso proprio di Todd Phillips), ma è perché ho un debole per Frank the Tank.
httpv://www.youtube.com/watch?v=hiPb50D9G1w
E invece, a quanto pare nella vera verità, le confraternite sono un covo di orribili personaggi. Frat House presenta una serie di ragazzi di rara cattiveria ed egoismo, tutti in odore di alcolismo, che obbligano le matricole a dei riti di iniziazione particolarmente umilianti. E non parliamo di scherzoni tipo ti metto la marmellata nelle scarpe nottetempo così poi tu ti metti le scarpe e, ahahahahah, ci trovi la marmellata. Parliamo di riti che mettono a repentaglio la vita di giovincelli in età di crescita. Zero rispetto per gli altri, soprattutto per le ragazze, un rapporto con il sesso e un concetto di onore totalmente deviati. Insomma, una roba brutta. Il film di Phillips è stato al centro di alcune polemiche visto che a quanto pare molte delle sequenze sono state organizzate, messe in scena (cosa che in un documentario non è consigliabile fare), ma a quanto pare – al di là del fatto che quelle scene siano vere o meno – si tratta di cose reali, che esistono. Passano gli anni, passano i governi, Todd Phillips diventa un regista dichiaratamente di fiction e arriviamo ad oggi con un piccolo film americano dal titolo Brotherhood. Che speriamo sia tutto finto.
Brotherhood è l’esordio sulla lunga distanza di tale Will Canon che firma anche la sceneggiatura insieme all’amico Doug Simon. In questo momento il loro film sta girando tutti i festival del mondo e si sta comportando piuttosto bene, portando a casa un bel gruzzoletto di premi. Cosa che ci fa decisamente piacere. Brotherhood ha moltissimi pregi e pochi difetti. Pregio n°1: la durata. 81 minuti sono decisamente pochi, ma sono esattamente quelli che servono per un film del genere. Non uno di più, non uno di meno. Pregio n°2: Brotherhood è un film che dopo 4 secondi ti ha preso. L’incipit in media res è fulminante e, grazie a due accorgimenti di regia semplici semplici, si avverte immediatamente una forte scarica di adrenalina. Pregio n°3: gli attori. Il branco di giovani messi in scena da Will Canon sono perfetti. Sono belli, cattivi, stupidi e ignoranti. Visto che per tutti gli 81 minuti di film non si mettono a fare la maglia, ma minacciano, umiliano, picchiano, rapiscono, sparano e mentono, sono perfetti. Intravedere un lato oscuro in uno che ricorda Ashton Kutcher è più incisivo che constatare che uno con l’aspetto di Andrei “The Pitbull” Arlovski è un brutto ceffo.
Passiamo ai difetti. E direi che me ne viene in mente soltanto uno. Un po’ come in Cella 211, non si può fare a meno di notare come l’accumulo di sfighe incredibile che si susseguono una via l’altra, ogni tanto rischi di diventare un po’ eccessivo. Brotherhood racconta una sola notte in cui però succedono talmente tante cose che si potrebbe tranquillamente riempire una stagione di Steven Seagal: Lawman. Quando già le cose stanno andando male, quando già si è convinti di aver toccato il fondo, le cose inesorabilmente peggiorano. Il rischio è quello della risata involontaria. Ma questo è il rischio quando si decide di rispettare l’unità di tempo in film del genere. Comunque, fatelo vostro!
DVD-quote suggerita:
“Molta meno figa che in Sororoty Row. Ma molta più tensione!”
Casanova Wong Kar Wai, i400calci.com
L’ho visto un mesetto fa e ho pensato più o meno le stesse cose. Anche se togliendo i “fuck” dai dialoghi riesci a trascrivere tutta la sceneggiatura su un tovagliolino del McDonald’s.
Certo per essere arrivato a fare Sturdy’n’Uccio, deve aver sofferto molto da piccolo, marmellata e rodeos compresi.
il tag di pitbull è sbagliato
Me lo sentivo nel sottopalla che questo meritava :)
e il sottopalla difficilmente sbaglia.
Dal titolo pensavo che si trattasse del film danese coi due neonazisti gay……
pensavo fosse la recensione di “The Skulls”…
No, Jean, qui muore della gente che non è negra.
come dice Jane Plissken, la prossima volta la recensione la rileggo tutta e meglio, non voglio incappare in una nuova nazigayromance. :S