“Una settimana” è piuttosto generoso, considerato che nei giorni scorsi ero in ferie e in un paio di pomeriggi e un paio di serate ho giocato e finito Until Dawn dye volte. Ma d’altra parte quel film con Jim Carrey mica si chiamava “Un paio di pomeriggi e un paio di serate da Dio”.
Comunque, sono stato Hayden Panettiere. Sono anche stato psicanalizzato da Peter Stormare, ho camminato nei boschi alla luce della luna, esplorato delle miniere pazze e fatto festa in una capanna nei boschi che tanto capanna non è, ma serve per dare un’idea di che cosa sia Until Dawn. Ne parlano come una specie di Cabin in the Woods dei videogiochi per il suo gusto di fare horror parlando di horror, ma dove il film di Goddard portava avanti quei discorsi su due piani paralleli (l’orrore cinematografico effettivo e la costruzione a tavolino dello stesso), ed era quindi a modo suo un prodotto filosofico, Until Dawn è piuttosto un’opera compilativa, che sta agli horror delle capanne nei boschi come Scream stava agli horror adolescenziali; la parte meta- sta da un’altra parte, ma ci arriviamo. Se ci fermiamo alla narrazione, a tratti sembra di stare in uno spin-off della saga di Craven e Williamson, solo senza comicità “da fuori”, senza il beverlyhillsismo e con una concentrazione assoluta sulla costruzione della tensione, dell’orrore, dei jump scare e dei personaggi.
Until Dawn è un videogioco che in quanto videogioco non fa nulla di eccezionale, uno di quei giochi che vanno tanto di moda ultimamente – mi permetto una piccola divagazione. Le avventure interattive, la narrazione videoludica, insomma quello di cui vedete scritto su Repubblica.it nell’articolo “The Walking Dead – Il videogioco che piace anche agli amanti delle serie tv“, sono una roba vecchia come il mezzo stesso, vedasi Zork, e che già grazie a (gasp!) George Lucas conobbe un apice difficilmente eguagliabile. Le avventure grafiche di LucasArts, però, erano già scritte, e le scelte di dialogo puramente cosmetiche (e spesso create apposta a uso LOL); è merito, o colpa, dei vari Mass Effect e Dragon Age e The Witcher e tanta altra roba più moderna e multimilionaria che l’espressione “scelte etiche/morali” è diventata una sorta di buzzword per convincere chi se ne fotte dei videogiochi ad almeno provare a mettere mano a un, appunto, videogioco.
Per anni questa parola d’ordine è stata applicata ai prodotti più improbabili, e ridotta a una serie di scelte binarie e didascaliche tipo “C’è un gattino tenerino, cosa fai? a) lo ammazzo perché sono CATTIVO, b) lo salvo perché sono BUONO”. Ultimamente qualcuno, nominalmente i ragazzi di Telltale ma anche quello sciroccato di David Cage, hanno provato a fare qualcosa di diverso in questo senso, prendendo una storia, trasformandola in videogioco, spogliandola di gran parte degli aspetti prettamente ludici (“di gameplay” se preferite) e inserendo un’enorme quantità di dialoghi a risposta multipla le cui conseguenze si fanno sentire anche a distanza di ore e aiutano a plasmare la storia, così da dare al giocatore quantomeno l’illusione di libertà, di star scrivendo una narrativa invece che semplicemente rigiocarla come l’avevano pensata gli sviluppatori.
The Walking Dead, Game of Thrones, The Wolf Among Us: la furbata di Telltale è stata quella di accattarsi franchise famosi e per loro stessa natura portati a esplorare le zone grigie della moralità. David Cage, invece, l’autore di Indigo Prophecy e Heavy Rain e Beyond: Two Souls, ha preferito puntare su storie originali, e anche grazie all’arruolamento di volti noti del cinema (Ellen Page su tutti) si è ritagliato il suo spazio. Chi odia questi prodotti (di solito i videogiocatori) li derubrica a “librigame con la grafica fica”, ed effettivamente giocandoli la sensazione di stare in realtà guardando un film animato nel quale ogni tanto bisogna scegliere A o B è forte. Ed è molto efficace: la prima stagione di The Walking Dead, per esempio, ha un finale già scritto dalla prima puntata e impossibile da cambiare, ma grazie a una scrittura pazzesca, personaggi ottimamente caratterizzati e una gran dose di furbizia con dialoghi e interazioni tra personaggi restituisce una sensazione di libertà, di narrazione collaborativa tra creatore e giocatore, che la rende un capolavoro nonostante tutto.
Tutto il pippone mi serve, oltre che per farvi capire che Until Dawn ha sulla carta molto poco di originale, anche per introdurre un altro concetto: li chiamano “film interattivi” ma i prodotti Telltale, assoluti dominatori del genere, e tutti i loro imitatori sono in realtà fortemente dipendenti dalla struttura tipica della serie televisiva, che si prende il tempo per puntate-filler, per puntate dedicate interamente alla costruzione dei rapporti tra personaggi, per cliffhanger e cambi bruschi d’ambientazione. Niente di strano, visto che è ispirato a una serie tv e prima ancora un fumetto.
Until Dawn, al contrario, è un film interattivo. Senza se, senza ma, senza contestazione: si gioca poco, si fa roba semplice, e per la maggior parte del tempo ci si gode quello che è di fatto un ultra-horror, una raccolta di trope tipici di qualsiasi film che comprenda “luogo isolato”, “killer”, “adolescenti”, tenuti insieme da una trama un po’ sciocca (come quella di molti horror) ma assolutamente coerente, e che usa anche un paio di trucchetti furbi per giustificare le deviazioni narrative più assurde.
Sto parlando di un gioco in cui si interpreta un gruppo di otto ragazzi chiusi per un weekend in uno ski lodge in montagna, tra neve, luna e teleferiche rotte, a un anno di distanza dal grande festone nel quale trovarono la morte per bullismo le due padrone di casa. È il fratello, unico rimasto del lato giovane della famiglia, a invitare gli amici per un weekend catartico, fatto di divertimento e riflessione, di ricordi e pompini, di assoluzione e dissoluzione.
Sto parlando di un gioco dove i ragazzi giocano con una tavola oujia “perché è divertente”.
Sto parlando di un gioco che se fosse un film sarebbe da vedere in gruppo davanti alla tv con i popcorn e una lavagnetta dove segnarsi le scommesse su chi morirà per primo – solo, questa volta la scelta se far morire o salvare ciascuno dei personaggi sta al giocatore e non al regista. È un party game tipo Mario Party incrociato con un librogame incrociato con un film animato, con il grande pregio di non farti mai pesare il fatto di essere scritto apposta per una serata di birre e popcorn.
Until Dawn è scritto da Graham Reznick, un onesto regista di seconda unità (ha lavorato in The Innkeepers, per esempio) con una grande passione per i videogiochi, e Larry Fessenden, nome decisamente più noto, regista e attore che più indie non si può e che si è trovato per le mani una bella patata bollente. L’idea brillante dietro il gioco, infatti, è l’originalissimo effetto farfalla, per una volta usato in modo interessante: ogni singola scelta del giocatore, da quelle decisive ai fini della trama a quelle più banali tipo “spaventare uno scoiattolino tenerino o stare in silenzio e guardarlo essere tenerino”, ha un qualche effetto grande o piccolo sull’intero arco narrativo, il che significa che più che un albero di possibili scelte e relativi finali Until Dawn è una tabella Excel gigante che contiene centinaia di piccole variabili che, combinate tra loro, possono trasformare il finale del non-film da “muoiono tutti” a “si salvano tutti” e tutto quel che ci sta di mezzo. Fessenden e Reznick sfruttano efficacemente questa idea e si permettono anche un paio di colpi furbetti per aggiustare l’equilibrio (ve li direi ma SPOILER quindi nel caso chiedete), e l’effetto sull’utilizzatore finale è, per la prima volta in modo così chiaro e limpido, quello di stare compartecipando alla scrittura di una storia, non di stare andando a caccia dei posti dove cliccare per far succedere le cose che gli autori hanno voluto che succedessero.
Non sono sicuro di essermi spiegato con l’ultima frase.
Tutto questo è incorniciato da un contesto horror classico talmente fedele all’aggettivo “classico” da sforare nell’enciclopedico – quando il gruppo di otto persone è composto da
• la coppia che non vede l’ora di scopare
• la coppia con lei stronza e lui tonno
• il nerd che ama la nerd ma non glielo sa dire
• la nerd che ama il nerd ma non glielo sa dire
• il padrone di casa un po’ matto
• l’unico personaggio non sessualmente disponibile che dunque ha scritto in fronte FINAL GIRL grosso così (è la Hayden per la cronaca)
è chiaro che non siamo di fronte a una sceneggiatura scritta per stravolgere, parodiare o riflettere sui canoni dell’horror, ma piuttosto a una storia che li abbraccia acriticamente e li tratta con il rispetto e l’amore che si meritano.
Semmai tutte le meta-riflessioni sono lasciate in mano al giocatore, che volendo può cabin-in-the-woods-are i personaggi e, per esempio, ammazzare la final girl senza pietà, o trasformare il nerd in un macho, o la stronza in un’eroina dal cuore d’oro. È il primo horror con adolescenti nel quale nessuno si potrà lamentare gridando contro la tv «PERCHÉ VI STATE DIVIDENDO? PERCHÉ ANDATE SUBITO A SCOPARE? PERCHÉ STATE SCENDENDO NELLA CANTINA BUIA?!», a meno di non optare studiatamente per l’aderenza ai canoni. Credo sia un modo per far sentire scemo il giocatore che segue il copione, non scritto ma ben presente nella testa di chiunque abbia visto tre film horror in vita sua, o quantomeno per fargli rivalutare decenni di adolescenti idioti che fanno scelte altrettanto idiote.
Il fatto che le sequenze, per mancanza di definizione migliore, “con il mostro” siano quelle più coinvolgenti dal punto di vista del gameplay – il che significa essere bravi a pigiare il tasto che compare sullo schermo per far compiere al personaggio un’azione contestuale e far proseguire la trama, non aspettatevi nulla di più coinvolgente – ha un effetto sottile ma potenzialmente devastante: anche quando si sta controllando, che ne so, Emily, il personaggio più odioso della storia dei personaggi odiosi degli horror, una che dopo tre dialoghi mi ha fatto pensare «minchia non vedo l’ora di poterla far morire», l’istinto di sopravvivenza del videogiocatore scatta automaticamente e si fa comunque di tutto per far andare le cose nel verso giusto. Questo perché, videogiocatori d’abitudine o meno, perdere è una merda, e piuttosto che regalare una soddisfazione a un ammasso di pixel ci si sbatte controvoglia. Non è facile costringere qualcuno a empatizzare con un pezzo di merda, e buttarla sul piano della sfida personale è una soluzione subdola ed elegante. E che consente altri giochini molto meta-: nel mio secondo playthrough, per esempio, ho fatto di tutto per far morire i buoni e tenere in vita le stronze e gli idioti, roba che se avessi visto un film che mi tirava questo scherzetto mi sarei probabilmente infuriato a morte.
Noterete che non sto entrando nel dettaglio dell’orrore, un po’ perché probabilmente vi aspettate già molto se non tutto, un po’ perché in realtà non vi aspettate un cazzo, visto che quando Fessenden e Reznick decidono di lasciarsi andare e sbavare un po’ rispetto alla perfetta ortografia horror del primo atto è il momento in cui calano i loro shyamalassi, un paio di twist relativamente imprevedibili che non vale la pena svelare qui. Vi basti sapere che c’è una soddisfacente e piuttosto grafica quantità di violenza, con un paio di morti in particolare che sono eccezionalmente creative. In senso più ampio, il punto del mio discorso è che se Until Dawn fosse un film horror e avesse un solo finale (il primo che ho ottenuto io, che era perfetto, e grazie tante, lo so, sono bravo) sarebbe molto divertente, molto ben scritto, molto ben ritmato ma già visto più e più volte – persino nella filmografia stessa del Fessenden regista, e non dico altro.
Il punto è che Until Dawn non è un film e il genio vero sta nel suo non esserlo, nel dare in mano al giocatore tutti gli strumenti necessari per costruire un film e l’assoluta libertà di viverlo come preferisce. Cos’ha di diverso da Heavy Rain, chiederete voi che conoscete i vostri videogiochi. Il ritmo, innanzitutto, miracolosamente sempre a mille nonostante la natura stessa del sistema consenta di fare cose tipo “devo andare nell’altra stanza a salvare l’amica Giancarla ma passo mezz’ora a girare sul posto perché posso e vaffanculo”. La varietà di soluzioni, che certo in controluce si riduce a poco più che un’infinità di script più o meno diversi tra loro e incastrati in modo da essere sempre e comunque coerenti (è un puzzle per uno scrittore, e per questo i due vanno apprezzati), ma che ha un impatto generale molto superiore alla somma delle sue parti; voglio dire che quando si può discutere con un amico per confrontare le versioni, e a metà discorso uno dei due esclama «ma abbiamo giocato allo stesso gioco?», significa che il gioco di specchi ha funzionato e per romperli bisogna mettercisi d’impegno, decidere attivamente di smontare il meccanismo. E a quel punto Star Wars diventa una merda perché è un fantasy con le astronavi e nello spazio i suoni non si sentono mica.
E poi lo star power, che può sembrare un finto pregio visto che parliamo di versioni digitalizzate di attori famosi, ma voglio dire
, una volta che si accetta la necessaria stilizzazione e si strizzano gli occhi per mettere lievemente fuori fuoco l’immagine, non so come dirlo, quella è Hayden Panettiere, oh. Io sono stato Hayden Panettiere, porca troia. E non vi rovino neanche Peter Stormare se non per dirvi che le sequenze che lo vedono coinvolto mettono in gioco una serie di discorsi psicologici piuttosto interessanti (ancora una volta: se ne parla nei commenti), e che comunque:
Il punto è che Until Dawn non è né un prodotto originale, né perfetto, né forse pienamente rivoluzionario. E il fatto che sia stato abbastanza ammazzato dalla non-promozione (o promozione molto mirata come dimostra il Frightfest, ma potrei raccontarvi altre storie che), e che abbia incontrato una certa resistenza presso i cosiddetti “gamer” per via di una componente ludica piuttosto carente* significa che più che un instant classic finirà probabilmente relegato nella categoria degli instant cult. Siamo però in un periodo, piuttosto lungo visto che di fatto è cominciato con Scream, in cui si riflette sempre di più sul genere e sui suoi meccanismi, su cosa funziona in un horror e perché, e se Cabin in the Woods ci prendeva per mano e ci portava a fare un giro nella stanza dei bottoni, Until Dawn ci permette di giocarci, con quei bottoni.
Mi piace pensare che sia un punto di partenza più che d’arrivo. E che magari lo stesso approccio possa allargarsi anche ad altri generi**.
Ah giusto, fa paura? Boh, probabilmente no, non se siete clienti abituali almeno.
*al che mi chiedo come la gente pensa che un esperimento del genere possa funzionare se intorno ci si costruisce un, che ne so, Resident Evil. Ve lo dico io: non può, accettate che oggi i videogiochi sono anche questo e se non vi interessano tornate pure a farvi le seghe sul remake di Final Fantasy VII.
**a tal proposito, preso benissimo dalla mia esperienza con Until Dawn, ho attaccato Life is Strange, che è la roba meno calcista che possiate immaginare: per farla breve, ragazzina diciottenne in un college dell’Oregon a studiare fotografia e scattare Polaroid che scopre di avere il potere di riavvolgere il tempo e lo usa per risolvere piccoli/grandi drammi da diciottenni, con colonna sonora tra Mogwai e Alt-J e FEELS come se piovesse. Se non vi fa paura l’idea di giocare a Twin Peaks via Gregg Araki fateci un pensierino. E poi la protagonista, la mia nuova cybercotta, ha gusti cinematografici incredibili:
Ah vabbè ma allora ditelo se iniziate a parlare di VG.
Until dawn l’ho iniziato ma poi ha dovuto cedere il passo a sua maestà kojima senza contare che nel frattempo è arrivato anche Max El Loco.
Quindi per ora evito post e commenti x non beccarci spoiler.
@stanlio
Fatti girare dal Nanni la rece di the order 1886 che gli ho mandato qualche mese fa e che sicuramente avrà conservato (bello questo sarcasmotero ma ho il terrore che consumi troppo)
Il bello di avere un blog è che posso scrivere di quello che voglio, finché c’è del calcismo!
Le avventure grafiche non le snobbo a priori, ma questo Until Dawn non mi dice proprio nulla… infatti anch’io mi sono buttato su MGS V (giocone). E comunque la prima “stagione” di TWD by Telltale è una dello storie di zombie più belle che ho visto (e io amo gli zombie).
PS
Il remake di Final Fantasy VII è una stronzata (contagiosa per altro, visto che hanno pure annunciato il remake di RE 2…), non bastavano i remasted del cavolo, si è passati direttamente al stadio successivo del morbo… bah finirà come coi film di oggi: remake a nastro senza senso e via, tanto i soldi li fanno lo stesso.
Pezzo bellissimo lo recupererò sicuramente usato una volta finito mgsV e tra un raid e l’altro del re dei corrotti,sono sicuro potrà tenermi compagnia dopotutto i tre di David cage li ho amati anche se beyond visti i presupposti narrativi mi aveva un po deluso.
Ciao Stanlio, ottimo articolo!
Riprendendo l’ultimo lavoro di Cage: la prima volta che ho finito Beyond ero esaltato al pensiero di quanti bivi narrativi avevo incontrato e di quante diverse varianti della storia avrei potuto ancora esplorare con una nuova partita.
Quando poi ho iniziato da capo, l’illusione si è gravemente infranta, dopo aver capito che una diversa scelta ti portava comunque, nel giro di un paio di minuti al massimo, alla medesima scena successiva.
Ti volevo chiedere: a parte il bilancio finale di morti/vivi, in questo titolo la storia cambia in modo significativo a seconda delle tue azioni, o la successione degli eventi principali è sempre quella? È importante per il fattore rigiocabilità… mi scoccia starmi a sentire gli stessi dialoghi per la terza volta in attesa di rispondere “no” dove alla prima volta avevo ovviamente scelto “ok scopiamo”.
PS: Non sono sfavorevole ai remake. Sono d’accordo che i remastered sono un’occasione per avere il massimo guadagno col minimo sforzo (ma d’altra parte, perchè negare ad un boxaro appena passato alla Ps4 il dovere di giocare a TLOU?). Però i remake, invece, presuppongono investimenti molto più ingenti ed affrontano la coraggiosa sfida di non tradire lo spirito originale pur volendo piacere alle nuove generazioni.
Aaaaallora, la successione degli eventi è grosso modo sempre la stessa, proprio come nelle robe di Cage e nei giochi Telltale. O almeno, io non sono riuscito a trovare, diciamo così, strade alternative. Il fatto però che i morti si accumulino (per la maggior parte) nel corso di tutto il playthrough invece che in fondo significa che molte situazioni le puoi rigiocare trovandoti sempre con personaggi diversi coinvolti, quindi cambiano i dialoghi, cambiano le interazioni e (immagino, non lo so) può anche cambiare l’azione.
In questo senso Life is Strange che citavo a fine pezzo fa le cose molto assai per bene: ci sono eventi grossi (ma MOLTO grossi) che possono andare in tanti modi diversi, e a seconda di come vanno la storia cambia considerevolmente – sto parlando di roba tipo “c’è un personaggio che può morire oppure no nel secondo episodio”, il che significa che a seconda di come fai finire quella storyline, negli episodi successivi potresti trovarti in situazioni completamente diverse, con personaggi che fanno cose completamente diverse a seconda del grado di decomposizione o meno del suddetto personaggio.
Tra parentesi neanch’io sono sfavorevole ai remake in linea di principio, e in realtà neanche alle remastered, tipo che ho già i soldi da parte per la Uncharted Collection anche se ovviamente li ho già giocati tutti fino alla morte. Sì, è una furbata per accattarsi soldi, ma anche per farmi rigiocare a un gioco tanto amato in una veste ancora migliore.
L’ho buttata lì con FF solo perché sono stronzo e perché comunque vedere la follia collettiva quando hanno annunciato il remake mi ha fatto presagire un futuro di gente impazzita dalla rabbia perché gli hanno cambiato il sistema di combattimento o robe così.
Cioè in realtà penso che l’idea del remake vero e proprio, con meccaniche nuove o risistemate, gameplay riadattato al fatto che siamo nel 2015 e robe così, possa essere una bomba. Finché non square-enixano duro e si mantengono concentrati sull’obiettivo può uscirne qualcosa di buono, un vecchio classico trasformato in un nuovo classico che sia anche, non so come dirlo, divertente da giocare.
Grazie della delucidazione! Avevo scaricato la demo di Life is Strange, ma mi sono tipo addormentato durante il minuto 2 alla lezione di fotografia (c’è da dire che era l’una di notte).
Mi approprio del termine square-enixare, lo adopererò ogni qual volta mi riferisco a vecchi amici compagni di mille avventure, che ora si trovano castrati e bacchettati da mogli appioppate da un matrimonio sbagliato.
Comunque rimango fiducioso nel remake di FFVII. Se non altro perchè confido nell’istinto di sopravvivenza dei vertici Square (io sono uno di quelli che avevano comprato Kingdom Hearts anche solo per mazzare Sephiroth “con la graficona”).
Quoto tutto anche se la corsa al remastered a me ha davvero stufato (insomma a breve PAC Man remastered).
Il problema di Beyond era la storia circolare per cui una delle variabili più radicali(la morte di un PG)viene eliminata dall’equazione facendo crollare il divertimento.
Proverò a breve life i strange
Ho molto apprezzato la costante serie di coppini dietro la nuca data ai “Gamer”.
Ogni volta che leggo persone che scrivono “Questo non è un Videogioco” (“V” rigorosamente maiuscola) mi viene da dirgli: “Regazzino, io ho iniziato a giocare su ‘Tank’ in bianco e nero in un bar della Riviera. Te cosa ne vuoi sapere!”
Diverte o non diverte. Il resto sono seghe pixellate.
EH! Grazie caro. Io solitamente rispondo “io ho iniziato a giocare disegnandomi a mano le mappe di Zork perché era SOLO TESTO, stacce”.
Il c.d. “gamer” che ragiona in questo modo è una categoria tremenda che ho sempre cercato di ignorare giocando solo a giochi single player, passando così tanto tempo con il multiplayer dei vari Souls però sono stato costretto ad averci a che fare e… e… brrr.
Espanderei il “diverte o non diverte” al più ampio “emoziona o non emoziona”. Ho amato giochi non propriamente divertenti che però ti sanno prendere più di ogni altro medium
@oliver
ti correggo: gli hardcore gamerz scrivono proprio videoGIOCO
Omikron di Cage con colonna sonora e cameo di David Bowie qualcuno l’ha provato?e l’assurdo Deadly Premonition? in realtà in Bioshock un discorso meta videoludico del cattivo ti diceva che lui ti ordinava e tu obbedivi stesso cosa in Mass Effect 3 con il controllo mentale sul protagonista.
Me lo ricordavo come Nomad Soul ma sì, mi ricordo Omikron! Molto poco però. Deadly Premonition invece giocato due volte, versione originale su 360 e successivamente la director’s cut su PS3. Capolavoro e pure molto calcistico, a modo suo.
Si hai ragione ho letto sulla copertina della mia versione Dreamcast c’è scritto Nomad Soul,cosa cambia nella versione ps3 di Deadly Premonition?
Un titolo calcistico sono i due Shenmue,ho il primo sempre su Dreamcast e il secondo la versione Xbox,Indigo Prophegy sarebbe Faranheit?
Se vi interessa vi racconto una cosa incredibile in cui i collezionisti vorrebbero la mia morte
No la director’s cut di DP era uscita anche per 360 mi pare, è in sostanza un remaster con le texture lievemente migliorate e qualche bilanciamento di gameplay, oltre a una (inutile se non dannosa) cornice narrativa per contestualizzare meglio gli eventi che secondo me toglie un po’ d’impatto a tutto il mistero. A posteriori non so se ne sia valsa la pena ma vabbe’, è comunque Deadly Premonition.
E sì Indigo Prophecy è Fahrenheit. E a questo punto raccontaci l’aneddoto però!
In pratica in nota catena di elettrodomestici c’erano i giochi della Wii in offerta a 15 euro,ho trovato La Metroid Trilogy e Xenoblade Chronicles (non erano tra quelli in offerta) e quindi provo a portarli in cassa e chiedere se me li passanno a 15£ ma la commessa non riesce a farli passare con il computer a tale cifra(ovvio) sparisce per 10 minuti a chiedere al capo,infine ritorna e me li passa a un’euro l’uno!!!
Invece in ‘altro negozio avevo portato dei giochi presi dai cestoni a 0,50£ e 1 euro solo Super Mario U l’avevo pagato 4,90£ piu uno Ntsc(americano) .insomma in totale per quei giochi avevo speso 7,50£ me li stravaluta 30£ e prendo Pikmin2 per Wii(introvabile a poco anche in Uk).
Life is strange è il gioco più hipster a oggi, ma superato questo è un gioco bellissimo
E’ una recensione bellissima, grazie.
Mi ha convinto definitivamente a comprarmelo appena lo becco su Steam.
Non so come dirtelo ma per il momento è un’esclusiva PS4 :-(
sono tristerrimo
Pure io. E già che ci sono aggiungo l’avvertimento ai calcisti di star lontani dai giochi indie horror su Steam che sono tutti poverate.
Un giochino calcista simpatico ed economico uscito da poco lì e che vi gira anche su uno zx spectrum invece è Party Hard, dove sei un assassino psicopatico a una festa che deve uccidere tutti senza farsi beccare dalla pula. Consiglio.
Ora mi devi spoilerare il tag ‘ho fallito la scena di sesso’ :D
Eh porca puttana siccome non sono stato abbastanza caryno con la bionda scema, una volta arrivati nella nostra baita del sessone lei ha cominciato “fa freddo”, “ho paura”, “ho mal di testa”, “non me la sento”… pensavo fosse scriptato e invece scopro che se fai il bravo alla fine lei QUANTOMENO si spoglia.
Sono pessimo.
fortunato nel gioco, sfortunato in amore…
IO L’HO SBLOCCATA. Ho lasciato seccare un sacco di gente, ma almeno sono riuscita a quasi trombare, grazie tante.
Sbloccata quanto? Io sono riuscito a toglierle solo la giacchetta e le scarpe…