Cerchiamo di vedere la situazione da una prospettiva diversa: non chiediamoci che cosa ha fatto Steven Soderbergh per I 400 Calci, chiediamoci che cosa hanno fatto I 400 Calci per Steven Soderbergh. Perché vedete, ultimamente lo Steve appare abbastanza spesso da queste parti; ne è passato, di tempo, da quando il sempre ottimo Casanova per primo spezzò una lancia nei suoi confronti e lo invitò al campetto – da allora lo Steven ci ha preso gusto perché ha capito, alla buon’ora, che con noi si diverte e coi suoi amici fighetti no. E allora via con Knockout!, Logan Lucky!, e adesso pure questo Unsane che si avvicina pericolosamente alla mia idea di “filmone”.
Ma prima, sigla!
https://www.youtube.com/watch?v=8PvkeuA9TZc
“Filmone”, dicevo. Perché Steven, fin dai tempi di Bubble, divide la sua filmografia in filmoni a budget medio/alto e filmini a budget risicatissimo, ma sono proprio questi filmini, in realtà, ad essere filmoni in senso qualitativo. Dentro Unsane ci sono La Conversazione, Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo, The Shining, e in generale è un film tesissimo, asciutto, un distillato del meglio degli anni ’70 senza i vestiti di merda e la misoginia. Quindi senza gli anni ’70, diciamo. Ma con un casino di telefonini in più! Qual è il modo più coerente per girare una storia di stalking, di violazione fisica e psicologica, se non quello di usare l’aggeggio più pervasivo della modernità, il simbolo della condivisione virale del privato? Per inciso, Soderbergh è proprio convinto che l’iPhone sia il futuro del cinema, ma questo è il film perfetto per dimostrarne la versatilità – come diceva il buon McLuhan buonanima, il medium è il messaggio.
Il regista ha cura di filmare le battaglie della sua protagonista Sawyer (Claire Foy di The Crown, che qui abbandona corona e scettro per farsi malmenare, legare, torturare e darle di santa ragione in cambio a tutti) appoggiando il telefonino su sedie, tavoli, privilegiando Dutch angles e permettendo all’obiettivo di avvicinarsi ai personaggi in modo sgradevole, soffocante, malato – non perché voglia fare del neo-neorealismo, ma perché questo è lo stalking. Il rapporto fra stalker e vittima non è sottilmente eccitante, il voyeurismo non è mai erotico (o forse, nell’era dei social media semplicemente non lo è più), la macchina non si muove sinuosa e sensuale per l’appartamento di Sawyer; nel 2018 finalmente un film si può permettere di fare davvero piazza pulita dei luoghi comuni sulle donne che sotto sotto apprezzano le attenzioni degli psicopatici, e di dire chiaramente che uno stalker non è un corteggiatore insistente ma intrigante, bensì un pezzo di merda (la cui ossessione non è nemmeno necessariamente sessuale, si veda la sequenza nel bosco) che ti rovina l’intera vita. Ti costringe a cambiare serrature, abitudini, amicizie, rapporti con la famiglia, lavoro, città, a volte invano come in questo caso.
Ma questo è solo il primo strato di tortura che il regista infligge a Sawyer, il pretesto per parlare di un altro, più sinistro, pericoloso e complice: l’internamento senza consenso di pazienti ignari da parte di vari istituti psichiatrici americani (storia vera), che di fatto imprigionano la gente con una scusa finché la loro assicurazione non finisce i soldi. Sawyer, logorata dall’esperienza di stalking subita un paio di anni prima, ammette candidamente di fronte a una terapeuta di avere vaghi pensieri di suicidio: et voila, non può lasciare la clinica in quanto è stata definita “un pericolo per sé e per gli altri”; viene fisicamente umiliata da un’infermiera da incubo (Polly McKie, spaventosa), presa ovviamente per pazza dallo staff ospedaliero, sfottuta dagli altri pazienti/prigionieri, costretta ad ingoiare misteriose pillole a ripetizione; e ritrova il suo stalker (Joshua Leonard, una delle vittime della Blair Witch! Ci credo che è venuto su male, povero!). O sono allucinazioni? Sawyer è sana, è pazza o lo sta diventando a furia di restare in clinica?
Soderbergh non lascia respiro alla sua protagonista, stritolata da un doppio ingranaggio; l’unico modo per sopravvivere, per Sawyer, è aggredire. Coraggiosamente, gli sceneggiatori Jonathan Bernstein e James Greer hanno scritto un personaggio la cui salvezza dipende dalla sua negatività. Perché Sawyer (voglio vedere come faranno i doppiatori italiani a pronunciare questo nome assurdo senza farlo sembrare “soya”; anzi no) è manipolatrice, irascibile, violenta, una spregevole stronza; non solo volta le carte in tavola con chi la vuole vittima, ma anche abbandona una paziente ad un destino orribile, si vendica sadicamente di una collega di lavoro meschina, usa la propria intelligenza come una clava per sopravvivere; è la figlia bastarda di Ayn Rand e Richard Spencer (quello che si è preso un pugno, dai, avete capito). E, colpo di genio, è interpretata da un’attrice minuta, fisicamente indifesa ma estremamente incazzata. Lezione per la vita: mai sottovalutare le piccolette.
DVD quote:
“Doppio incubo per una donnina incazzatina” (Cicciolina Wertmüllerina, i400calci.com)
Questo con i cinema days alle porte mi sembra ottimo!
i riferimenti a forman e kubrick mi sembrano decisamente lusinghieri. l’ho trovato tutto sommato piatto, favorito dalla bravura (oltre le aspettative) di CF.
in un mondo parallelo sarebbe un ottimo inizio di un esordiente portato a un film festival
Fantastico, un film dove le dimensioni del Blu-ray sono maggiori del footage girato.
“è la figlia bastarda di Ayn Rand e Richard Spencer”… Qundi spara cazzate da mitomane adolescente, piagne come pija una sberla e muore povera a carico dei servizi sociali?
A cicciolí ma che cazzo de metafore da nazista vai usando?
Uso metafore da nazista perché Sawyer Valentini È una nazista. Ha sicuramente votato Trump, diventa vittima di un sistema perverso, assaggia l’ingiustizia sulla propria pelle ma non impara nessuna lezione morale: rimane una stronza turbocapitalista con cui, finito il casino, non si può empatizzare. E questo secondo me è un grande pregio del film, che evita situazioni moralmente manichee.
o iea! me lo vedo!
non sottovalutate le piccolette <3
Qualcuno mi spiega perché Unsane sarebbe horror?
Bel film.
A cui probabilmente non avrei dato gran peso senza questa recensione.
Poteva essere “Il corridoio della paura” di Soderbergh, ma finisce per essere “solo” un ottimo thriller, con qualche convenzione di troppo quando c’e’ da tirare i fili della storia.
I film in cui un personaggio viene imprigionato e vessato sono sempre a rischio ricatto emotivo tirato troppo per le lunghe, ma qui come ben spiegato nella recensione e’ azzeccato il personaggio della protagonista.
Unico appunto: non “si vendica sadicamente di una collega di lavoro meschina”, sta solo scherzando.
Bel film, angosciante il giusto.
Forse si poteva fare incazzare un po’ di più lo spettatore giocando meglio la carta del “è lui o non è lui”
Ah, comunque la Foy in questo film assomiglia agghiacciantemente a Giorgia Meloni, la cosa turba non poco.
Sì ok va bene tutto, però il personaggio dello stalker da metà film in poi si rivela essere scritto come una macchietta totale, tra il ridicolo e il demenziale, che fa scadere il tutto da filmone in potenza a filmetto d’impotenza.
Peccato.
s.