In occasione del suo 40esimo anniversario, vi abbiamo raccontato del seminale Superman di Richard Donner e dei suoi tre sequel, incluso lo spin-off Supergirl. Ma com’è proseguito il rapporto tra il cinema e i fumetti dopo quel rivoluzionario successo? Scopritelo con la nostra rubrica #EroiDiCarta.
È il 2017, l’estrema destra americana ha preso il controllo del Congresso, la società statunitense è piagata da un profondo conflitto civile, la brutalità della polizia è sistematica, la diffusione delle armi da fuoco è alle stelle, la società pare sull’orlo del collasso e in molti sognano di emigrare verso il democratico e accogliente Canada. No, non abbiamo improvvisamente deciso di dedicarci a documentari sulla stretta attualità, anzi: questa è la premessa di un film inequivocabilmente calciabile (nella doppia accezione, almeno secondo alcuni, di “film da 400 calci” e di “film da prendere a calci”). Una distopia action, con chiare derivazioni da Mad Max, tratta da un fumetto, con sparatorie, inseguimenti, esplosioni e un sacco di memorabili one liner. Questa è la premessa di Barb Wire.
Sono sincera: fino a oggi, Barb Wire era un film di cui avevo sentito parlare, ma che non avevo mai visto. Ne avevo sentito vagamente parlare negli anni 90, quando uscì, come del tremendo tentativo di lanciare Pamela Anderson su grande schermo, risultato in un terribile super scult deriso dai critici e pressoché ignorato dal pubblico. E poi ne ho sentito parlare, di nuovo, nel 2017, appunto, quando, alla vigilia dell’insediamento di Trump, un sacco di gente simpa col mio stesso discutibile senso dell’umorismo si era affrettata a tracciare parallelismi tra questo film e la contemporaneità. Purtroppo, nessuno me l’aveva mai riassunto con la definizione corretta: un remake gender swap cyberpunk di Casablanca, con Pamela Anderson nel ruolo di Rick/Humphrey Bogart e Temuera Morrison in quello di Ilsa/Ingrid Bergman.
Sono io a essere sfigata, eh, perché a scorrere ora le recensioni americane dell’epoca vedo che se n’erano ovviamente accorti tutti, a partire da sua autorità Roger Ebert. Il quale fu tra i più benevoli nei confronti di Barb Wire (con benevolo intendo che disse «è brutto, ma almeno non è noioso»), e suppongo gli sia successa la stessa cosa che è capitata a me: nel momento in cui si è accorto quanto questo film era sfacciatamente una copia carbone di Casablanca non ha potuto fare a meno di divertirsi un mondo, nonostante tutto. Sigla!
facile dire baywatch, ma vip ve lo ricordavate?
Barb Wire, a dire il vero, mi ha conquistata già con la prima sequenza: cinque minuti di Pamela Anderson seminuda, inguainata nel primo di plurimi aderenti completi in pelle nera, impegnata a ballare una lunga lapdance sul sottile confine del softporn, mentre qualcuno, dal fuoricampo, la inonda d’acqua (o di champagne, non mi è chiaro), e un pubblico adorante di sudaticci e infoiati maschi di mezza età la scruta con lussuria. Uno di loro è particolarmente molesto e rumoroso nel chiederle di spogliarsi definitivamente: la nostra eponima eroina si sfila allora, con estrema sensualità, uno degli zatteroni con tacco a spillo che indossa e lo lancia verso il chiassoso porco, centrandolo e infilzandolo esattamente in mezzo agli occhi. «Don’t call me babe» chiosa, con l’equivalente, scopriremo, del «nessuno può chiamarmi fifone» di Ritorno al futuro. Sipario. Applausi. Via al film.
Scopriamo che Barb Wire, al secolo Barbara Kopetski, non è una spogliarellista, né una prostituta (anche se più tardi fingerà di esserlo per portare a termine una missione), bensì la proprietaria del più frequentato locale di Steel Harbour, l’ultima città libera rimasta negli Usa, crocevia di disperati e malfattori, tutti in cerca di un passaggio per l’agognato Canada. Il locale, l’Hammerhead, è gestito per qualche ragione da un tenerissimo Udo Kier e, nonostante sia frequentato dall’intera popolazione del luogo, evidentemente ha i conti sempre in rosso: Barb deve raggranellare due spicci in più con il suo secondo lavoro part time, quello di cacciatrice di taglie. Tosta, statuaria, pettoruta, cinica e irraggiungibile, apparentemente invulnerabile, brava a sparare come a menare come a guidare, il tutto in tacchi a spillo e asfissianti corsetti atti a tenerle le tette appena sotto la gola, Barb Wire esiste contemporaneamente come sogno erotico maschile (mi permetto: adolescenziale) e come fantasia femminista da girl power (siamo, ancora una volta, nei colorati e ottimisti anni 90): non abbiatemene, ma la amo. Anche se Pamelona non saprebbe recitare neppure per salvarsi la vita, sfoggia lo stesso truccatissimo broncio dall’inizio alla fine, lunghe ciglia finte, smokey eyes e rossetto scuro, e porge le sue battute da ultimate badass con l’intensità di uno sgabello, la amo. E la stimo per aver fatto da sé gran parte degli stunt: come Ginger Rogers faceva lo stesso di Fred Astair, solo all’indietro e sui tacchi alti, Pamela Anderson fa molto più di Temuera Morrison, in più su scarpe a stiletto vertiginose e schiacciata dentro corsetti da tortura.
Comunque. Dopo un trascinatissimo primo atto, volto a stabilire e reiterare quanto sia tosta Barb, ecco che finalmente il film diventa Casablanca a livelli che non ci si crede. Barb/Rick in passato ha combattuto per la resistenza/contro i fascisti in Spagna, ma ora, col cuore infranto e l’animo disilluso, non vuole pensare ad altri che a se stessa (e al fratello Charlie, e un po’ a Udo Kier). Of all the gin joints in all the towns in all the world, proprio all’Hammerhead/Café Americain arrivano sia il colonnello dell’esercito Usa/dei nazisti, sia l’ex grande amore di Barb/Rick, Axel/Ilsa, che ora è sposato con un’importantissima figura della resistenza, Cora D/Victor Lazlo. Barb lo tratta malissimo, poi si ubriaca e ha un flashback dell’inizio della guerra (purtroppo nessuno suona As Time Goes By).
Uno dei contatti di Barb, Smitz/Ugarte, è in possesso di preziosissime lenti a contatto/lettere di transito che permetterebbero a chi le possedesse di lasciare Steel Harbour/Casablanca e mettersi in salvo in Canada/Portogallo. Barb sembra voler tradire Axel e Cora per denaro, e a un certo punto pare mettersi tutto male con l’arrivo dei nazisti, ma il capo della polizia locale Alexander Willis/Louis Renault, che fino a quel momento si è comportato da untuoso collaborazionista, tradisce inaspettatamente i nazi e aiuta i nostri eroi a scappare fino all’aeroporto, dove, nella notte, Barb dirà addio per sempre all’amato Axel lasciandolo partire con la moglie, e deciderà di andarsene anche lei all’estero per combattere dalla parte giusta e porre fine alla guerra e all’ingiustizia, insieme a Willis: è l’inizio di una bella amicizia, ci scommetto.
La lavorazione di Barb Wire, tratto appunto da un omonimo fumetto di cui però, a quanto leggo, conserva solo il nome della protagonista e la sua catchphrase (don’t call me babe, appunto), è stata come al solito travagliata, con un regista (Adam Rifkin) licenziato a metà per essere sostituito dall’autore di videoclip David Hogan, le cui uniche esperienze col cinema resteranno questa e la direzione della seconda unità di Batman Forever. Alla sceneggiatura c’era una totale esordiente, Ilene Chaiken (che oggi è un’apprezzata autrice e produttrice tv: ha scritto The L Word e prodotto The Handmaid’s Tale, raffinando evidentemente con gli anni la sua idea di femminismo).
Il punto è che, d’accordo, Casablanca è un capolavoro della storia del cinema (nonché uno dei film preferiti dalla sottoscritta), e Barb Wire è un goffo tentativo patinato e ridicolo di capitalizzare sulle tette di Pamelona Anderson (in quel periodo all’apice della fama grazie a Baywatch), su un generico (ma ancora una volta male interpretato dall’industria) interesse del grande pubblico per i fumetti, sul gusto del periodo per la fantascienza cyberpunk. Ha dialoghi risibili e una recitazione cartoonesca imbarazzante, un budget neanche lontanamente vicino a quello necessario a realizzare bene un film di fantascienza e una azzardata quantità di illogicità narrative. Adotta scelte d’inquadratura bizzarre (generalmente dal soffitto, per meglio inquadrare le tette di Pamela Anderson) e un montaggio confuso. Okay. Tutto vero.
Ma Barb Wire ha anche cose che Casablanca non ha. Una moto che spara razzi, per esempio. Cose che esplodono con leggiadra facilità. Una scena in cui i nazi spaccano al ralenti le bottiglie e i bicchieri del bar di Barb, mentre Udo Kier si porta lentamente le mani al volto, con gli occhi inondati di tristezza (suppongo per l’alcol versato). L’immortale battuta «ti strapperò il cuore dal culo e te lo infilerò nella gola» (e l’altrettanto immortale risposta «beh, non è molto igienico»). Nazisti che precipitano lentamente, da piattaforme molto elevate, ripresi da diverse angolazioni. E, soprattutto, una lotta a calci e pugni tra l’eroina e il villain che si svolge su un’auto sollevata da un muletto agganciato a una gru che fa oscillare il tutto sull’oceano. Batti questa, se ci riesci, Casablanca!
Insomma, per dirla con Umberto Eco: «Quando tutti gli archetipi irrompono senza decenza, si raggiungono profondità omeriche. Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono». E mille cliché re-interpretati sfacciatamente a caso con badilate di pessimo gusto e adagiati sulle immense tette di Pamela Anderson… non so esattamente cosa fanno, di sicuro non un buon film, magari un film non-noioso come sosteneva Roger Ebert (anche se la noia, come categoria critica, è maledettamente soggettiva), forse… un buon brutto film? In ogni caso, qualcosa che non si dimentica facilmente, ecco.
Dvd quote: «Avremo sempre Steel Harbour», Xena Rowlands, i400calci.com
Dvd quote alternativa: «Boobs: The Movie», uno dei produttori del film
eh…ricordo che al tempo erano altri i film della anderson che andavano per la maggiore…capisci a me…
comunque donna bellissima, selvaggia e sensuale come poche, sopratutto prima delle tette regolabili, il biondo platinato e costumino rosso che la fecero diventare il prima bambola gonfiabile in carne e ossa…
Off topic: a proposito di Temuera Morrison, suggerisco un “ripasso obbligatorio” di “Once Were Warriors”, e magari anche del dimenticabile seguito “What Becomes of the Broken Hearted?”.
Once were warriors TOP MOVIE.
Da vedere, bellissimo, crudo e disperato.
Casablanca con la Anderson? Me l’hai quasi reso interessante.
Questa fantastica rubrica coprirà anche The Mask? Pleeeeease.
@Xena: recensione meravigliosa e, lo confesso, mi hai fatto venire voglia di vedere per la prima volta un film ce ho sempre snobbato… intendo Casablanca…
Visto una volta in un passaggio su tipo LA7, a tarda notte, distrattamente.
Peccato per me, perché il parallelo con Casablanca è una figata e non lo avevo notato.
Faccio un giochetto facile/facile e stupido/stupido.
Prendiamo questo film, proprio questo così com’è e sostituiamo nella nostra mente Pamela “Gommone” Anderson con un’attrice.
Non una “grande” attrice. Una che conosce il mestiere. Ma sì, dai, sbilanciamoci: diciamo Milla, che bionda sta comunque bene.
Il film che stiamo rivedendo in testa è:
– uguale
– più divertente
– CAZZO! CAPOLAVORO!!
Giusto per capire se merita spenderci tempo
Dopo Atomica Bionda e Fury Road direi anche la Charlize (così si risparmia anche sulla tintura bionda)
Beh, Charlize l’ha fatta una roba simile, l’orripilante Aeon Flux…
Io di questo film non cambierei nulla e soprattutto non cambierei Pamela Anderson…
Brutto ma non noioso calza perfettamente alla mia esperienza di visione.
C’e’ Pamela al top del suo splendore.
Non occorre altro.
Ch’am ëscusa, ma… “scarpe a stiletto”? Non c’è bisogno di anglicismi: scarpe coi tacchi a spillo.
Oh mamma, visto ieri sera. Allucinante. Ci crede tantissimo, come il miglior trash destinato a diventare culto. Ma si vede, quando si sporge per sparare o tira oggetti con le mani, la faccina un po’ spaesata di un’attrice pesantemente fuori luogo in un ruolo che non è il suo. Ma su tutto il resto, un mix geniale di truezza e costante MACCOSA.
Effettivamente, ha un difetto, è leggermente dispersivo, lo segui ma anche no, come un “Fuga da…- inserire città a caso” a cui manchi una coerenza narrativa. Ma tolto quello, capolavorone. Grazie di avermelo fatto scoprire, lo avevo mancato. Piaciuto tantissimo anche alla fidanzatina (che rideva di continuo perché in effetti ha un carattere molto simile a Barb, ed essendo la più giovane è un po’ la mascotte del set di cui facciamo parte). Piacevolissima serata. Troppo grazie.
Mi hai fatto venire in mente un’ intervista di kate Beckinsale che prima di girare il primo Underworld, gli fecero fare un bel po’ di pratica al poligono con delle vere armi da fuoco, come del resto in tutte le produzioni importanti, basta vedere la preparazioni di Keanu Reeves per i vari John Wick; in ogni caso la Beckinsale diceva che lo facevano cosi poi quando sul set sparavano con le armi da scena, prima di tutto erano più credibili perché sapevano almeno come tenere in mano un arma e secondo quando sparavano non chiudevano gli occhi, per una sorta di paura verso lo sparo e il rumore.
Invece qui si vede come Pamela Anderson ad ogni sparo chiude gli occhi, probabilmente non ha mai preso in mano una pistola prima di fare quel film e la differenza con le attrici che invece si sono addestrate all’uso dell’armi o per lo meno al rumore si vede.
http://www.i400calci.com/2020/01/suonale-ancora-barb-la-recensione-di-barb-wire/
Cioè questo è il video dove la Anderson sbatte gli occhi ad ogni sparo.
https://www.youtube.com/watch?v=VVp0l2Vas2I