Oz Perkins è un tipo un po’ sfuggente. Non si sa molto di lui, non concede molte interviste, la sua pagina Wiki contiene giusto l’essenziale. E dire che quest’essenziale è goloso abbastanza da far intuire che i pezzi mancanti sono anche più interessanti: figlio di Anthony Perkins, nipote di Marisa Berenson, celebrità sparse in tutta la famiglia; esordisce come attore a 12 anni in Psycho 2, recita in un po’ di filmetti indie; poi arriva l’11 settembre 2001, e su uno degli aerei che si schiantano contro le torri gemelle c’è sua madre. Blackout fino al 2015 quando Oz esordisce dirigendo The Blackcoat’s Daughter, poi I Am The Pretty Thing That Lives In The House, (non ho visto nessuno dei due) e ora questo Gretel & Hansel. Insomma, non pare strano che Oz abbia scelto l’horror; né che abbia dei gusti davvero insoliti e interessanti. Ve lo dico subito: a me Gretel & Hansel è piaciuto un casino. E’ lento, è strambo, è pieno di sintetizzatori lugubri e deep bass beats technoidi di Robin Coudert, quindi non è per tutti; ma se avete voglia di un Ari Aster che se la tira di meno, dategli un’occhiata.
Perché il nome di Gretel viene prima? E’ una rilettura femminista della fiaba? Sì e no, più che altro Perkins introduce uno squilibrio fra i due fratelli che nella fiaba originale non c’è. Gretel (Sophia Lillis) è un’adolescente con gli occhi aperti che ha fretta di crescere e di conoscere il mondo cattivo, Hansel (Samuel Leakey) è il fratellino ingenuo che lei si deve portare dietro ovunque come una zavorra rompicazzo; Gretel è ossessionata dalla leggenda di una bimba malvagia che recava il morbo della morte con lo sguardo e con la quale sente di avere una certa affinità, Hansel ha solo voglia di rimpinzarsi (e non ha tutti i torti, puvràz; nei boschi il meglio che gli capita a tiro sono i fughetti della felicità). Gretel trova nella strega cattiva una figura a metà fra madre, maestra, concorrente, assassina; Hansel, reso bello cicciotto a furia di ciambelle stregate, è la vittima designata.
I ragazzi stanno fuggendo da una madre psicopatica (Fiona O’Shaughnessy, quella che se la tirava a mille in Nina Forever) e si avventurano in un mondo minaccioso che contiene mostri, streghe, triangoli e commistione etnica; nessuno di questi elementi richiede spiegazioni. In realtà questo è il tipo di film che non dà molte spiegazioni in generale: certi snodi della trama, certe sequenze paiono messe lì più per il loro potere suggestivo che per il loro valore logico e narrativo – e va bene così, per quanto mi riguarda.
E la strega? Alice Krige (che più invecchia e più migliora) è spaventosa, animalesca, elegante e terrificante. Appare lei, e tutto ha senso. Il suo personaggio ha un’origine complessa e sofferta; non è un caso che le piacciano i marmocchi in salmì, ci sono ragioni precise e traumatiche su cui il film si sofferma creando un’inaspettata empatia – merito anche di una performance sottile, fatta di sussurri vellutati e sguardi d’acciaio. La strega domina la natura e i suoi “materiali”, trasforma tavolate di viscere putrescenti in arrosti fumanti, ha un’invidiabile collezione di seghe da boscaiolo, conosce i segreti delle erbe e non digerisce bene le treccine bionde coi nastrini rosa. Soprattutto, la strega vede in Gretel un’allieva e un’erede – ma non si aspetta che questa allieva superi la maestra; ed è un peccato! Sarebbe stato bello seguire il progresso di Gretel sotto le grinfie educative della strega, ma ahimé, c’è una storia da portare avanti e da non storpiare eccessivamente.
Benché Perkins e lo sceneggiatore Rob Hayes pongano l’accento della storia del film praticamente solo sul rapporto fra le due donne, sulla crescita, sulla scoperta del Potere e dei vari modi in cui utilizzarlo, ciò che rimane più impresso è lo straordinario lavoro collettivo di production design: la forma ricorrente del triangolo, i costumi modernissimi e senza tempo, la fotografia (di Galo Olivares) al lume di candela, i giochi di luce fra l’interno della casa e i boschi, il sole pallido che filtra fra i rami, la candida fornace sotterranea adibita alla cottura dei pargoli e alla trasformazione dei cadaveri in leccornie da gourmand sono tutti elementi che donano a Gretel & Hansel un fascino sospeso e inquietante; anche se la trama è conosciuta, anche se il ritmo complessivo del film è lento, la regia è chiaramente decisa a spremere ogni singola immagine per renderla indimenticabile. Non tutti i conti narrativi tornano, forse (caso più unico che raro) c’è stato qualche taglio di troppo, certi simbolismi avrebbero meritato più spazio; ma Gretel & Hansel rimane una delle cose migliori che ho visto quest’anno. Bravo Oz!
DVD quote:
«Per una volta, “visionario” va bene»
Cicciolina Wertmüller, i400bambiniarrosto.com
Visto e mi è piaciuto
Anche io mi sono chiesto il perché del nome Gretel prima di Hansel : avete spiegato tutto voi benissimo.
Il film è bello inquietante come deve essere questa storia.Abbastanza minimalista ma non diventa mai noioso e cattura sempre l’attenzione dello spettatore.
La strega è strepitosa e il “macello” al piano di sotto fa sufficientemente ribrezzo senza essere eccessivamente gore.
Ah i triangoli e le dita nere…
Venduto su “un Ari Aster che se la tira di meno”.
Bentornat*.
Visto (sotto lockdown). Anche per me e’ un piccolo gioiello. Anzi, a pensarci, neanche tanto piccolo. Praticamente e’ “The VVitch” con LSD.
Di Perkins mi erano piaciuti anche i due film precedenti, forse piu’ “paurosi” in senso stretto, eppure, pur alzando la posta, le ambizioni e moltiplicando i simboli, questo G&H mi e’ sembrato paradossalmente piu’ concreto e alla fine anche il piu’ “calciabile”, laddove “The Blackcoat’s Daughter” finiva con un shyamalan twist al limite della trollatona e “Sono la bella creatura che vive in questa casa” tentava la ti-west-ata senza la capacita’ (o la voglia) di Ti West di “sexizzare” tempi morti e scene-con-gnocca-che-fa-cose.
rientro a bomba! mi ero appena rivisto midsommar ed ero in scimmia in effetti…
>> come cazzo si fa a chiamare un figlio “osgood”
beh, dai, pensa che al fratello è toccato “whosbad”…
(no, ok, è “Elvis”… a sto punto preferisco Osgood”…)
puoi sempre dire quando ti viene chiesto: “no guardi, no lo conosgood”
Bentornati!!! Vi adoro da tempo anche se è il mio primo commento.
Totalmente d’accordo con la recensione ne approfitto per dire che Fiona O’..è la protagonista della magnifica serie tv Utopia..chi può la guardi (prima del remake americano) e chi Può un giorno bellissimo la recensisca qui…
Vero è Jessica Hyde
Nessuno che citi “February”. Io invece l’ho visto e Oz mi alletta e respinge al contempo, capace com’è di rovinare buona parte dell’eccellente lavoro svolto con improvvisi (e improvvidi) scivoloni nel più becero luogo comune. Di film lenti ne ho piene le “tasche”, di supponenza registica anche, però…se se la tira meno di quel cazzone di Aster…
Citato nella rece e anche da me: Febraury = The Blackcoat’s Daughter ;)
(Io non me lo ricordo neanche cosi’ lento, almeno nell’ambito dei thriller che puntano piu’ sull’atmosfera che non sull’azione. Il finale mi ha lasciato perplesso nella sua dichiarata “disonestà”, pero’ qualche sano brivido me l’ha regalato prima di arrivare a quello.)
Comunque si’, per quanto questo Gretel & Hansel sia un horror super-arty e stilosissimo davvero Perkins “se la tira meno” e stavolta riesce a raccontare una storia compiuta.
A me era piaciuto abbastanza anche I Am The Pretty Thing That Lives In The House. Questo pure è un bell’horror con una metafora di fondo attualissima. Io poi che nella vita sono esattamente una Gretel, devo dire che sono rimasta ulteriormente coinvolta.
ben tornati.
si, concordo visivamente è un capolavoro, narrativamente cosi cosi anche perchè la fiaba resta quella e più di tanto non ci si può sbizzarrire.