Quando uno come David Cronenberg decide di chiudere un cerchio della sua impareggiabile carriera riprendendo spunti e titolo da un suo cortometraggio degli inizi, è il segnale per far partire la retrospettiva. E noi, puntualissimi, rispondiamo. Seguiteci nella seconda parte del nostro imprescindibile speciale: Le basi – David Cronenberg.
Due premesse prima della promessa. La prima premessa nasce dal presupposto (pr) che se uno degli aspetti più affascinanti nel cinema di Cronenberg è una continua riflessione sulla creazione, dunque anche sulla trasformazione e sulla metamorfosi, era solo questione di tempo prima che il regista canadese scoprisse la corrispondenza d’amorosi sensi con Steven Knight, con cui condivide anche la caratteristica di avere una fazza che non la dice giusta. Steven Knight è quel tizio che si è inventato Chi vuol essere milionario?, poi è passato agli ordini del dottor cinematografo per il quale ha scritto – fra gli altri – Piccoli affari sporchi, il biopic evangelico Amazing Grace, La promessa dell’assassino, il film di scacchi La grande partita, il film di cuochi Il sapore del successo, il film tutto al telefono in macchina Locke (che ha anche diretto al grido di “Tom Hardy capo degli ultras”), il film di Lasse Hallström Amore, cucina e curry su cui stenderei un velo pietoso di C-4 modellato per non lasciare integro nemmeno un centimetro di pellicola, il Millennium sbagliato (non quello diretto da Fincher) e Lady D va a corte travestita da Kristen Stewart. Nel frattempo si è anche concesso un’altra parentesi in televisione, creando due serie clamorose e piene di brillantina e olio di macassar: Peaky Blinders e Taboo. Se voi riuscite a trovare un senso alla (o meglio: un filo rosso nella) carriera di Steven Knight, fatemi un fischio che vi ascolto volentieri davanti a un secchio di genepì. Uno sceneggiatore (un creatore) così mutaforma e così in grado di adattarsi e trasformarsi a seconda delle necessità sembra quasi essere stato partorito in laboratorio scaturendo dal cervello dello stesso Cronenberg.

Ricostruzione plastica di quanto è punk il cervello di Cronenberg
La seconda cosa da dire è che La promessa dell’assassino è precisamente il film di Cronenberg che dovete consigliare agli amici come entry level se si stanno avventurando per la prima volta nel dungeon di uno dei registi più respingenti, cerebrali e sadici nei confronti dei sensi dello spettatore che ci siano mai stati in circolazione. La promessa dell’assassino è un thriller di mafiosi russi, alle prese con faccende da mafiosi russi, che è dritto come un filo a piombo. Un film che rinuncia consapevolmente a sovrastrutture e ad arzigogoli, a doppie e triple interpretazioni, a complessi rimandi psicanalitici; ma compensa – si fa per dire, dai cazo – con secchiate di stile, con attenzione maniacale per i dettagli e con una messa in scena (forse per la prima volta in Cronenberg) pensata per magnificare l’interpretazione dell’attore, più che per inglobarla (insieme all’esperienza dello spettatore) nella sua spirale di deformazione e mutazione. La promessa dell’assassino è il primo Cronenberg a essersi incistato nel mio cervello. Ci sono molto affezionato, dunque continuiamo a trattarlo come si deve. Sigla! Che io avrei preferito in questa versione califfa caricata sul canale YouTube del Partito Democratico (maccosa?), in cui I tre tenori cantano chiaramente leggendo per la prima volta nella loro vita un testo in russo ad alta voce e infatti ognuno dice una roba diversa. Che meraviglia. Però i nostri spacciatori russi hanno trovato qualcosa di ancora più ignorante. Dunque, sigla!
Un breve ripasso della faccenda. Naomi Watts è una londinese di origine russa e Jerzy Skolimowski è quel suo zio omofobo, razzista e con delle basette che vorrei avere anch’io la faccia tosta e l’alcolismo diurno per potermi permettere. Che non sono le informazioni principali, effettivamente, ma le basette di Skolimowski meritano davvero. Naomi Watts è un’ostetrica che aiuta a far nascere la figlia di una 14enne ucraina vittima prima della tratta delle bianche e poi di stupro, la quale non sopravvive al parto. Viggo Mortensen tutto correttamente pittato come Nicolai Lilin comanda – l’ispirazione principale per i tatuaggi da vory v zakone, oltre che dalle ricerche arriva dal clamoroso documentario The Mark of Cain che vi appoggio qui – è l’autista di Vincent Cassel con le meches, problematico e instabile figlio di uno dei boss della criminalità russa londinese, il sultanesco finto ristoratore Armin Mueller-Stahl. La creatura portata al mondo da Naomi Watts si collega all’organizzazione del babushkasantissima Armin Mueller-Stahl tramite il diario della ragazzina deceduta e ciò non va bene. Nel frattempo, però, Vincent Cassel ha anche fatto slamare un suo fratello vory v zakone perché quest’ultimo andava in giro a dire che egli è tutto matto e pure un po’ busone, pur non essendo francese poiché sta interpretando un russo ma comunque, a quanto pare, questi russi preferiscono fare le guerre piuttosto che essere considerati busoni. Contenti loro. Ne consegue che i soci ceceni dello slamato vorrebbero tanto fare brutto a Vincent Cassel. Tutti questi bandoli si arrotolano in una delle matasse più memorabili del cinema dei primi anni 2000 – per quanto mi riguarda, ci mancherebbe, ma se avete voglia di dirmi il contrario vi aspetto ai bagni pubblici. Mi riconoscete, sono quello con la margheritina infilata nel meato –, ovvero la iconica se solo si potesse ancora utilizzare l’aggettivo iconico senza essere svergognati scena in cui Viggo Mortensen e il suo bigolo combattono due vs. due contro una coppia di ceceni cafoni armati di coltelli da linoleum.
Seguitemi nel confermare a YouTube che possedete la maggiore età. Le sentite che belle la musichine di Howard Shore prima dell’inizio delle pacche? Sono solo una delle molte cose preferisco di questo film qui. Che, a pensarci bene, fa per la mafia russa e in scala ridotta (altri bei films come Little Odessa e Brother invece sono più tangenti e meno di genere) quello che Il padrino fece a suo tempo per Cosa nostra. Ambienta una storia filologicamente corretta (qui specialmente per quanto riguarda le simbologie e i rapporti di forza) all’interno di un’organizzazione criminale che si è creata una propria cultura e delle proprie regole estranee a quelle della società; e lo fa riuscendo a cavalcare lo spigoloso margine che separa la stilizzazione dalla spettacolarizzazione. Una volta finito di vedere La promessa dell’assassino non viene voglia di farsi arrestare in Siberia per poter iniziare una fighissima vita da vory v zakone, per dire. Anzi. L’unico mafioso che se ne esce con l’onore intatto è quello finto. Mentre l’unico per cui è possibile provare una forma di compassione è quello la cui psiche e identità sono state rovinate dalla perentoria, dogmatica e superstiziosa omofobia inscritta nelle regole della cultura mafiosa russa. Omofobia che, peraltro, Cronenberg secondo me dissacra sotterraneamente tutte le volte che posa sul corpo di Viggo Mortensen una macchina da presa languida e desiderosa; anche un po’ turgida, volendo, specialmente nella scena in cui vengono gli applicati i tatuaggi. Vi lascio con un’altra delle cose che preferisco di questo film qui, le labbra del Raoul Casadei moscovita. Очи чёрные a tutti.
Fan club dei bigoli con le sarde quote
«Venite per il pisello di Aragorn, restate per del gran cinema»
(Toshiro Gifuni, i400calci.com)
Un film clamoroso con attori in stato di grazia.
Forse per mio gusto gli preferisco “A history of violence”, ma sono dettagli, Cronenberg ha fatto una doppietta memorabile.
Aggiungo che, per quanto mi riguarda, in una doppietta cosi’ testosteronica ci sono due delle presenze femminili piu’ sexose di sempre. Per altro messe in scena in maniera opposta: di la’ Maria Bello protagonista di due sequenze mega-hot, di qua un’angelica Naomi Watts, che non mostra e non fa assolutamente nulla, ma anche solo per come la fasciano quei jeans… babba bia.
che film ragazzi
Film meraviglioso sotto ogni punto di vista.
Ricordo che quando lo vidi pensai che l’unica cosa che stonava era l’impressione che dava che il governo russo cercasse veramente di combattere la mafia del proprio paese.
Chissà se verrà mai realizzato, prima o poi, il sequel annunciato. Le speranze si assottigliano, ma ci spero sempre.
Fra oligarchi (istituzionalizzati e non) le lotte sono decisamente piú violente. Non che qui in Italia si faccia tanto di meglio, ma nemmeno in Germania o negli Stati Uniti.
Mai ben digerito la svolta spoiler
spy
Filmone, anche se non ai livelli di AHOV. Bene Toshiro che ci parli di bigoli, ma dimentichi il fatto che l’ organizzazione criminale si chiama “Voria il zacone” , provenienza zona Concamarise russofila, dove i giacconi servono.
Ora sono costretto a fondare una band ska jazz reggae disco e farmi crescere le basette
Un film clamoroso, con il plus della indimenticabile scena del bagno turco. Il film di Cronenberg che preferisco insieme a AHOV.
Curioso.
La scena col batacchio di Viggo sbattuto in faccia agli spettatori mi e’ rimasta impressa.
Come dicevo, ormai non e’ piu’ il mio Cronenberg.
Ma va bene cosi’.
Film davvero notevole, e coraggioso nell’andare controcorrente la’ dove, nella maggior parte dei casi, tra fiction e film hanno finito per spettacolarizzare la vita del criminale organizzato.
Una scelta che ho sempre trovato fuori luogo, in quel suo volerla quasi rendere desiderabile all’uomo comune.
Qui la mafia e’ un luogo sommerso, una terra di mezzo (visto che c’e’ Sua Maesta’ Aragon in persona. Scelta casuale? Non credo. Anche se ormai Viggo per David e’ una garanzia) che scorre in parallelo al mondo civile.
Popolata da gente sporca dentro, nell’animo. Nonostante i soldi, il lusso e lo sfarzo che ostenta.
Gente brutta che fa cose bruttissime.
Un mondo difficile e quasi impossibile da comprendere fino in fondo, per chi non ne fa parte.
Chi sta fuori non puo’ entrare, chi sta dentro non puo’ uscire. E la soluzione spesso e’ la morte, in entrambi i casi.
Come una malattia, per restare in tema cronenberghiano.
Un morbo che ti entra sottopelle, e che ti costringe a mutare.
Altra scena memorabile e’ quella dove il vecchio minaccia Viggo dicendogli che quasi rimpiange il vecchio regime, paragonandoli ad avvoltoi che si sono contesi e hanno spolpato quanto rimaneva della carcassa del grande paese sovietico.
Allora, invece, potevano solo nascondersi sottoterra come i vermi che erano. E che sono.
E Viggo, per tutta risposta, gli fa un gesto che molto probabilmente se sei russo eri gia’ pronto a squagliarti dal terrore.
Credo che gli altri abbiano già espresso quello che volevo esprimere sul film, quindi stringendo: bello quasi quanto AHOV ma preferisco quest’ultimo seppur di poco.
Solo concedetemi un semi-OT: parlando di criminalità organizzata sto giocando a Yakuza 0 che non solo è un videogioco decisamente calciabile ma è anche Fazze: il videogame ufficiale.
Gran giochi, gli Yakuza in generale.
Vuoi per i numerosi rimandi agli anime, ma pur essendo decisamente limitato nella struttura rispetto ai GTA ha personaggi molto piu’ fighi.
Provato anche Judgment, per caso? Te lo consiglio.
Grazie per il consiglio. Tieni conto che questo è il primo Yakuza che gioco.
Mi ha sempre stupito come, anche in tempi non sospetti, se ad Hollywood serve un francese chiamano Jean Reno e se serve un giapponese arriva Ken Watanabe, ma se serve un russo chiamano un tedesco. Cioè, non c’è un solo attore russo in questo film con i russi. E non solo qui. Mai. In nessun film con i russi. O sono tutti spaventosamente cani o c’era un filo di discriminazione ben prima del 2022.