Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Di solito a Hollywood la gente ha paura. Ha paura di spendere milioni in una campagna di marketing per un film che poi non andrà neanche in pari con gli incassi, di ingaggiare un attore per poi scoprire a metà riprese che finirà in galera per molestie sessuali, ha paura di non beccare il target o di beccare un target troppo specifico, ha paura delle idee nuove perché è meglio riciclare qualcosa che sai già che piacerà ma ha anche paura che pure la saga più multimilionaria della storia dei botteghini possa un giorno inciampare nel suo primo fallimento e stroncare per sempre la gallina dalle uova d’oro.
La gente a Hollywood ha paura pure dei test screening: fai vedere il film, magari incompleto, a un pubblico accuratamente (o apparentemente) non selezionato e capisci se vale la pena investire quello che manca per completare il prodotto, o in alternativa se ci sono trucchetti fiscali per soffocare silenziosamente nel sonno questo progetto e non fargli mai vedere la luce del sole.

E se non vedi mai la luce del sole poi diventi Matteo Pessina del Monza.
È per tutti questi motivi che vi ho didascalicamente elencato fin qui che Supernova è, a modo suo, un film incredibile. Un film che fece schifo a tutti fin dall’inizio: Walter Hill, per esempio, odiava i costumi e girò quindi quasi tutte le scene con primi o primissimi piani. Walter Hill odiava anche la sceneggiatura, in realtà, e odiava che gli avessero dimezzato il budget a metà riprese. Il primo direttore della fotografia, Geoffrey Wright, odiava la produzione: aveva tutta una sua idea su come girare un film a gravità zero, che MGM gli bocciò dicendogli “nel nostro film la gente cammina sul pavimento”; lui mollò la baracca e al suo posto Hill chiamò il fedelissimo Lloyd Ahern II. Poi mollò la baracca a sua volta, non prima di aver scoperto la fonte di odio più grande e più grave, almeno dal punto di vista di coloro che lui già odiava cioè i produttori: non parlo dell’odio reciproco tra i personaggi del film, il cast meno empatico della storia della fantascienza, ma dell’odio della gente.
Hill montò la sua versione di Supernova, ancora priva di effetti speciali. MGM la fece vedere a un pubblico di test, che ovviamente la odiò. Hill non si presentò neanche alla proiezione, conscio di quella che sarebbe stata la reazione del pubblico (se volete ne parla qua, dove trovate una ricca collezione di interviste sulla sua carriera). La reazione del pubblico fu esattamente quella prevista, ma a Walter Hill non fregava già più nulla: sulla locandina del film noterete il nome “Thomas Lee”, scelto al posto di “Alan Smithee” perché quest’ultimo era ormai facilmente sgamabile in quanto segno di “la persona che ha fatto questo film non vuole averci niente a che fare”.
È a questo punto, di solito, che la maggior parte dei progetti vengono portati discretamente in un vicolo sul retro di Hollywood, il loro volto pietosamente avvolto in un cuscino avvolto a sua volta in un sacco di plastica ben stretto intorno al collo. Per qualche misterioso motivo, invece, è a questo punto che la storia di Supernova continua, trasformando il primo film di fantascienza del Walter Hill regista in un morto vivente, resuscitato in particolare dalla figura di un uomo di nome Jack Sholder, del quale parleremo dopo la SIGLA!
Jack Sholder è un mestierante e uno che ha capito come godersi la vita: non fa un film dal 2002, ne ha appena sette in curriculum tra cui roba tipo il sequel di Wishmaster, e in questo memorabile intervento racconta in breve quello che successe a Supernova dopo l’addio di Walter Hill. La versione di Sholder è questa, ve la metto sotto forma di elenco puntato perché è uno straordinario esempio di come il mondo corporate sia bravo a complicarsi la vita per tenere il punto:
- Walter Hill finisce il film e lo monta. Mancano gli effetti speciali, ma soprattutto secondo lui ci sono delle scene da rifare e altre da girare da zero
- la produzione dice “OK, vediamo cosa ne dice intanto il pubblico e poi vediamo se fare i reshoot”
- Walter Hill dice “no, se glielo facciamo vedere senza i reshoot è un altro film e non sappiamo se gli piacerà davvero quello che voglio fare io”
- la produzione dice “no”
- Walter Hill dice “vabbe’ vaffanculo io non mi presento sul set”
- la produzione dice “sei licenziato”
- Walter Hill dice “OK”
- la produzione telefona a Jack Sholder e gli chiede se abbia voglia di provare a salvare un film dal disastro

La U.S.S. Disastro, la nave salvata in qualche modo da Jack Sholder.
“Era orribile. Era veramente brutto”
Arriviamo a parlare del film, ora che abbiamo chiarito che Supernova è un pasticcio produttivo di quelli che non possono che finire in una dichiarazione come quella di Jack Sholder. Il quale racconta di aver fatto parecchi aggiustamenti, non solo in termini di montaggio ma anche per esempio di caratterizzazione dei personaggi:
Di fatto, nel film odiavi chiunque. Non c’era traccia di humor
C’era questo computer voluto da Walter, questa voce che annunciava tutto come se fossimo all’aereoporto, e ogni volta che succedeva qualcosa saltava fuori questa voce che diceva tipo ‘apertura porte’, ‘seduto’, ‘in piedi’, parlava talmente tanto che a un certo punto arrivavi a ignorarlo
La colonna sonora… le parti lente suonavano come la musica che ti mettono all’ospedale quando stai per entrare a fare un’operazione così ti rilassi e ti addormenti, e le parti action erano i Chemical Brothers
Odiavi tutti, non capivi, era impossibile capire cosa stesse davvero succedendo
Wow, no?

Ma come fai a odiare Robin Tunney?
Supernova è Punto di non ritorno se non fosse un bel film. È una puntata horror di Star Trek, ma senza i personaggi. È un’idea bellissima, sviluppata in maniera scema e anche poco fantascientifica. Un film di gente antipatica, dove la Nostromo si chiama Nightingale 229 e, pur essendo una sorta di nave-ambulanza, ti fa venir voglia di vederla saltare in aria non solo per goderti l’esplosione (e scoprire se fa rumore nello spazio) (lo fa), ma anche per non dover passare più tempo con il suo insopportabile equipaggio. Cioè: tutte le cose che dice Sholder si riscontrano ancora nella sua versione, per cui non oso immaginare come fosse quella pensata da Hill.
Ovviamente c’è sempre la possibilità che il secondo dei tre registi passati sul set di Supernova esageri, o ricordi male, o che comunque la sua versione sia in qualche modo incompleta o inesatta. Ma le sue osservazioni sono poche e molto puntuali, e Hill per nulla interessato a difendere questo suo lavoro, il che mi fa pendere verso la fiducia in un uomo che riassume tutta l’esperienza così:
Stavo lavorando a un altro film quando scoprii che Supernova era passato a Francis Ford Coppola. […] Non ho mai visto la versione finale, ma da quanto mi dicono ha migliorato il film. Io sono stato pagato un sacco di soldi. Mi sono divertito molto. Ecco tutto.

Nelle intenzioni di Hill questo doveva essere un vero robot, controllato da remoto. In realtà è un tizio, si chiama Eddy Rice Jr.
Per cui: c’è una nave ambulanza che riceve un segnale di pericolo da una base mineraria sulla luna Titan 37, che è abbastanza vicina da essere a portata di 5G ma non abbastanza da essere raggiunta senza attivare il pericolosissimo salto dimensionale engage!, una tecnica che in certe particolari condizioni può portare la persona trasportata a fondersi al vetro della capsula protettiva nella quale stava. Capita ahinoi al capitano Robert Forster, che si trova dunque costretto a passare il comando a James Spader nei panni dell’ex tossicodipendente in rehab. Come questa cosa si concili con il suo nuovo ruolo di autorità è solo uno dei tanti misteri di Supernova, che a tratti sembra voler mimare davvero Star Trek senza un minimo di comprensione del motivo per cui Star Trek funzionava; è peraltro particolare bizzarro vedere Walter Hill così poco a suo agio in quella che di fatto è una struttura militare o quantomeno gerarchica.
Ho detto che sembra una puntata della nota serie creata da Gene Roddenberry che sto continuando a citare, ma sarebbe meglio dire che ne sembra due, tre, cinque. Supernova è un film sulla legge di Murphy: ogni scusa è buona per spaccare qualcosa e mettere il nostro equipaggio in una situazione perigliosa. Spesso gli incidenti si sovrappongono pure, con effetto quasi comico (non so se è questo che intendesse Sholder dicendo che ha aggiunto dello humor). È tutto così caricaturale, e ripreso e fotografato con tale gravità (e blu: Supernova è indiscutibilmente uno dei film più blu della storia del film blu) da risultare grottesco, anche perché come detto non abbiamo elementi per provare empatia per questi personaggi che sembrano esistere solo in funzione del loro trauma.

Il trauma di Angela Bassett è tale che cancella anche il blu.
Ovviamente l’incidente più periglioso è la scelta di portare a bordo Peter Facinelli, ed è qui che Supernova inizia veramente a deragliare. Non per colpa sua, poveraccio, anzi lui e James Spader sono forse gli unici a crederci davvero e a tirare fuori una prestazione interessante e non una semplice lettura di un copione. No, per colpa del coso viola non… nov… ennadimensionale, a nove dimensioni insomma, la quota “fantascienza che diventa soprannaturale” del film, una roba che io vorrei anche provare a spiegarvela ma guardate, io proprio, boh, non saprei. So dirvi che ha il potere di rendere invulnerabile Peter Facinelli che si trasforma quindi nello Xenomorfo del film, e comincia ad ammazzare la gente finché la gente rimasta non ammazza lui. Niente di memorabile, e come slasher funziona malissimo perché concentra la maggior parte delle morti in due/tre scene consecutive e lascia tutto il resto del tempo all’atmosfera, che però si traduce in tanti primissimi piani blu e, ogni tanto, un po’ di spazio.
Sarebbe bello poi discutere del finale, se non fosse che ne hanno girati quattro diversi, e non per forza quello che ci è arrivato è quello migliore, o peggiore, o che ha più o meno senso. Quindi in realtà non sarebbe bello. Meglio parlare delle poche cose che si salvano di questo disastro: una su tutte, se vi piace lo spazio, se vi piace l’orrore e se pensate che dopo Alien questo sottogenere abbia prodotto troppa poca roba, be’, Supernova è un modo per riempire questo vuoto. Una roba come un’altra, ma almeno su un’astronave che naviga nello spazio e rischia di cadere in un buco nero mentre porta con sé un materiale potentissimo che potrebbe annichilire la Terra e bla bla bla; ogni tanto c’è gente che muore male. Non è un bel film. L’ho comunque rivisto con relativo piacere.
Walter Hill, invece, credo che non l’abbia mai rivisto, e forse neanche visto.

Lo sguardo di chi invece l’ha visto.
Quote
“Nello spazio è difficile centrare il cestone perché manca la gravità e poi chissà se i Blu-ray si conservano nel vuoto cosmico”
(Stanlio Kubrick, www.i400calci.com)
Fatemi solo spendere le ultime due parole per Wilson Cruz, che grazie a questo ruolo ha ottenuto, con soli 17 anni di ritardo, un ruolo da protagonista in Star Trek: Discovery. Complimenti per la pazienza, Wil!
Tè va’, un altro pacco firmato Hill :)
Si scherza eh, adoro Le basi
¯\_(ツ)_/¯
“Ma come fai a odiare Robin Tunney?”
Basta aver guardato anche solo una puntata di The Mentalist. Insopportabile lei, il personaggio che fa, la serie tutta.
Bel pezzo. A volte la storia dietro a un film è più interessante del film stesso.
Wilson Cruz come Guy Fleegman (Sam Rockwell) di Galaxy Quest
Ho controllato la filmografia di Jack Sholder. Ehi, é il regista de L’alieno! Un film decisamente imperfetto ma che per qualche misteriosa ragione ricordo con affetto!
(Ha diretto anche il secondo Nightmare, che confesso essere l’unico della serie che non ho visto)
“L’alieno” e’ un capolavoro, altro che misteriose ragioni.
Tra l’altro stra-imitato in tutte le salse.
Di Sholder mi ricordo carino anche “Faccia di rame”, buon buddy cop afflitto da un finale un po’ moscio.
Ah si certo! Il MAGNETICO Robin Tunney
Comunque Nick Vanzant (il nome del personaggio di James Spader) è ufficialmente in lizza come nome più ridicolmente scalciaculi della vita.
Ma solo dopo al ragazzo filippino del Clicca&Vai di Esselunga che sulla targhetta del nome c’aveva scritto “Breck Tyler”.
Ricordo di aver caricato la spesa e aver pensato “MINCHIA”.
Mi complimento con Stanlio per essersi cimentato in un pezzo che era chiaramente roba per Nanni ed esserne uscito più che a testa alta, e sopratutto linkando due siti di quelli che ti fanno dire: varda là che figata, guata là che bella figata che potrebbe essere internet. Props.
Un’osservazione forse stronza: il “coso viola non… nov… ennadimensionale, a nove dimensioni insomma” che è una battuta fichissima, il genere di trovate per cui sono un fan di questo sito, me lo sono goduto meno del dovuto perché l’ho trovato poco stanliokubrickiano; ma quel che non so capire è se mi sia sembrato tale rispetto a quello che è effettivamente lo stile di Stanlio, o rispetto alla sua faccia e alla sua voce, che ormai che lo conosco, via Twitch, non posso che evocare quando lo leggo. Oramai che non siete più i vostri avatar, ma dei cristiani in voce e ceffa, un po’ di magia si è persa.
Zero hating, eh, solo un brontolio nostalgico da buon boomer che ha il vostro stesso identico aspetto…
Leggo di “Coyote vs Acme” chiuso nelle segrete e reso inaccessibile a chiunque e penso (anche se non è calciabile) che non c’è giustizia a questo mondo: se un film completo e ben fatto, a detta dei pochi che l’hanno visto, deve essere terminato, mentre guazzabugli fatti con gli scarti e nati male dal giorno 1 (o anche 0) come questo Supernova riescono non solo ad approdare nelle sale ma anche a essere venduti regolarmente, mi chiedo che senso abbia tutto ciò.
Due possibili risposte:
1- i cavilli legati alle tasse 25 anni fa erano diversi;
2- non c’è nemmeno la conferma che quello che sta facendo la Warner oggi sia davvero la mossa più furba, si sono messi in una situazione in cui loro probabilmente ci risparmiano due spicci ma la gente ha un po’ meno voglia di lavorare con loro se aumenta il rischio di lavorare a qualcosa che poi viene segato all’ultimo per questioni di tasse. Una volta il film lo si buttava fuori senza pubblicizzarlo e i risparmi erano tutti al lato marketing, ma almeno i filmmakers avevano qualcosa da mostrare in giro se proprio ci tenevano.