Nella mia vita di film di merda ne ho visti tanti. Ce ne sono alcuni però che hanno un posto speciale nel mio cuore. Li metto sullo stesso piano dei più belli. Sono film talmente perfetti nel loro disastro totale che ne ho comunque un bel ricordo. Spesso me li compro pure in dvd. Poi non li vedo mai, però ce li ho lì che mi guardano dalla mia libreria. Una volta ho letto un albo di Dylan Dog dove c’era un dottore ex fumatore che, anche se ormai aveva smesso da tempo di fumare, teneva sempre un pacchetto di sigarette in casa. Spiegava che era un metodo per mettersi alla prova, per temprare il proprio animo. La tentazione era lì presente, tangibile, a un solo passo. Ma lui aveva trovato la forza di non cadere più in quel tranello. Lo stesso vale per noi spettatori matti. Quei film non devono scomparire del tutto. Sarebbe ingiusto nei loro e nei nostri confronti. Giusto per fare qualche nome: La Terza Madre, Immagini, Ovunque sei, Ti va di Ballare?, Possession io ce li ho lì. Non penso che li scarterò mai dal loro cellophanino, non li riguarderò mai, ma li custodisco gelosamente. C’è un altro film della stramerda a cui voglio un bene dell’anima. Si tratta di quel capolavoro assoluto della merda che è Parole d’Amore di Scott McGehee e David Siegel.
Brevemente: Parole d’Amore racconta tante bellissime cose che vi vorrei raccontare al bar davanti a una birra media chiara, ma sento che potrei scrivere un post più lungo di quello di Legendary, per cui taglio la testa al toro, vi linko la mia vecchia recensione, e vi dico che Parole d’Amore racconta di Richard Gere che ha una figlia genio che partecipa a delle gare di spelling. Essendo la figlia un genio, ha delle specie di visioni: quando deve fare lo spelling della parole, cade in una sorta di trance comincia a vedere una fenice infuocata fatta di carta che le indica le lettere giuste. Una roba bellissima. Mi ricordo ancora l’incredibile stupore nel vedere una cosa così incredibilmente brutta su un grande schermo. Una fenice infuocata fatta di carta che indica, a una bambina genio, le lettere che compongono le parole. Maccosa. Allo stesso tempo, mentre nel mio cervello dei piccoli Koko Be Ware infuocati e fatti di pongo mi indicavano le lettere che compongono la parola Maccosa, mi ricordo anche di aver capito di essere stato messo di fronte a qualcosa di grande, di unico.
Bisognerebbe fare una legge che vieti a dei registi incapaci di realizzare quelle sequenze in cui il protagonista entra in una dimensione preclusa a noi comuni mortali nella quale si manifesta visivamente il suo dono. Per dire: vi ricordate il povero Basquiat che, tutto ubriaco d’arte, guarda il cielo e lui, ma solo lui, lo vede come una grande onda solcata da un surfista bravissimo? Avete visto quella noia sinistra di Nowhere Boy, il film sull’inutilissima adolescenza di John lennon? Ecco, lì per far capire che John quando entra in contatto con la musica si trasforma e diventa il Gionlenno che tutti conoscisamo, si è utilizzato questo bel trucchetto: la prima volta che John suona un banjo, tutti si muovono al quadruplo della velocità normale. Che bei momenti di Cinema. Ah, m’è venuta in mente anche la sequenza parodia di questa cazzata: quella di The Hangover in cui Zack Galifanakis vince tutto il vincibile al tavolo del Blackjack
httpv://www.youtube.com/watch?v=l2qZY5WFOYg
Ecco, fatta anche questa direi che è proprio giunto il momento di dire NUNCA MAS a cose del genere, non trovate? Eppure ieri ho visto un film che mi ha fatto in parte ricredere. Il film in questione, che è quello di cui vi vorrei parlare se solo non perdessi tempo in continuazione, si intitola 5150, Rue des Ormes o, per il circuito internazione, 5150 Elm’s Way. Trattasi di un piccolo film canadese, per la precisione del Québéc che sospettavo essere una megamerda e che invece s’è rivelato essere una bella sorpresa. Cominciamo col dire che parlano in francese, per cui è interessante notare come questo dato innalzi immediatamente il gradimento da parte di quel pubblico che, a differenza nostra, ama i film dove c’è della gente che ha i lavandini pieni di piatti da lavare. Ma è una finta! Perché è vero che qui si parla la lingua dei film con la pipa in radica, ma comunque vengono dal Canada, per cui non sono così pallosi. 5150, Rue des Ormes è tratto da un libro di Patrick Senécal, conosciuto anche come lo Stephen King del Québéc. Che è una definzione che a me fa riderissimo. Vabbè, io lo conoscevo già, non solo perché colleziono Stephen King dalle parti più esotiche del pianeta (lo Stephen King bresciano, lo Stephen King di Maui, ecc…), ma perché di recente abbiamo avuto il piacere di visionare Les 7 Jours du Tallion, crudissimo e serioso torture tratto da un altro suo romanzo. Tra l’altro, adesso che ci penso, si doveva fare anche uno speciale Les 7 Jours du Tallion Vs. The Tortured (Spoiler: vince il primo) ma poi non abbiamo mai trovato il tempo (lo desiderate? Richiedetelo nei commenti!).
La storia di 5150, Rue des Ormes è questa: un giovinastro aspirante regista si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per questo viene sequestrato e tenuto in ostaggio da una simpatica famiglia disfunzionale: il padre è un tassista col pallino degli scacchi. Pazzo furioso, è convinto di far parte di un fantomatico esercito dei giusti. La sua chiamata alle armi lui la vive così: quando vede un “cattivo”, lo rapisce e lo porta a casa per ucciderlo. La madre tutto sa e soffre in silenzio. La figlia coetanea del protagonista tutto sa e si capisce che lei della legge morale del padre ce ne sbatte sega, e ucciderebbe un po’ a vanvera della gente. La sorellina piccola muta e problematica tutto sa e che cova odia per il padre. Il nostro protagonista, l’aspirante regista, non è un “cattivo”, non ha fatto nulla per finire nel mirino del tassista vendicatore. Semplicemente – ancora – era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per cui ce lo si tiene lì in soffitta nell’attesa di capire cosa fare e si decide un po’ cosa fare.
Vi devo dire la verità: il film non parte benissimo e c’ha tutti i suoi difetti. Date un’occhiata al trailer.
httpv://www.youtube.com/watch?v=jXQjBl-15G4
Ora, va bene tutto, ma come si decide di inserire in un film che vuole essere serissimo una roba come quella che si vede al secondo 20? Io mi metto nei vostri panni. Magari uno viene qui per trovare qualche bel filmettino con cui passare le felici vacanze natalize, legge che di questo se ne parla bene, guarda il trailer carico di fiducia, vede quella roba lì e ci sfancula alla grande. E avrebbe anche ragione! Io un film con una cosa del genere non lo guarderei mai. L’ho visto solo perché il film che mi aveva proposto Nanni era una roba bruttissima con Big Show e delle suore simpatiche che facevano le puzzette e non me la sono sentita, allora ho ripegato su questo con pochissime speranze e invece poi è andata bene. Per cui, fidatevi: ci sono delle cose tanto brute, però vale la pena di vedere tutti i 110 minuti di questo simpatico prodottino del Québéc. Vale la pena perché ha una svolta del tutto inaspettata che prevede anche uno sfoggio di sequenza “entro nel mio mondo magico di cui solo io comprendo le mie regole”. Non posso spoilerare, ma il tutto ha a che fare con il dannato giuoco degli scacchi. Da che mondo e mondo il giuoco degli scacchi si presta a metaforoni, azzardati significati nascosti e cose tanto brutte. Dentro agli scacchi – tu, ma proprio tu, mi insegni – si cela l’eterna battaglia tra il Bene e il Male. La scacchiera è un campo di battaglia metaforico dove i contendenti possono mostrare il loro vero valore, soprattutto se questa possibilità gli è negata nel mondo reale. E capite anche voi che la cazzata è dietro l’angolo. Invece qui le cose prendono il verso giusto. Certo, quando il protagonista chiude i suoi occhioni e compare il mondo della magia, si ha la netta sensazione che tutto finirà in vacca, ma alla fine si esce vittoriosi.
5150, Rue des Ormes è un buon thriller horror che, pur soffrendo ogni tanto nella trasposizione su grande schermo di alcuni elementi che evidentemente funzionano di più sulla carta, riesce a creare un’insostenibile sensazione di ansia, claustrofobia e panico. Parte del merito è sicuramente del ritratto che si fa della famiglia disfunzionale: il classico esempio di famiglia per benino dietro la quale si cela l’orrore e la pazzia, cresce sempre di più, staccandosi dal trito e ritrito luogo comune, ma diventando veramente disturbante e d’impatto. Altro pregio è la gestione dei tempi: dopo un po’, a raccontare la storia di uno chiusa in una cameretta ci si rompe i coglioni, mentre qui si è bravi a sterzare, concentrasi su altro, andare in direzioni impreviste. La soluzione finale, anche se fa parte degli elementi che forse rendevano di più sulla carta, non è per niente male. Bravo il regista Éric Tessier, bravo lo sceneggiatore Patrick Senécal, bravo Normand D’Amour e bravissima quella stronza di Mylène St-Sauveu. Un bel film.
DVD-quote suggerita:
“Nonostante il gatto nero, una bombetta!”
Casanova Wong Kar Wai, i400calci.com
Venduto, appena torno a casa dal fottuto lavoro melo procuro! Ah, desidererei pure lo specialino Les 7 Jours du Tallion Vs. The Tortured che in periodo natalizio di sangue, budella e torture non se ne ha mai abbastanza!
…sì però quanti refusi…
scritto piuttosto di fretta.
maledette dita tozze.
Allo stesso tempo, mentre nel mio cervello dei piccoli Koko Be Ware infuocati e fatti di pongo mi indicavano le lettere che compongono la parola Maccosa
mi inchino di fronte a cotanta meraviglia. Koko Be Ware, madonninacagnetta, che ricordi.
e io che credevo che il Québéc fosse un nome buffo inventato solo per farti sganasciare quando ci mettevi sopra i carrarmatini.
QUOTO
fino alla conquista del mondo (unico obiettivo plausibile)
@Robertz Vinx: chàpeau.
ho un momento di preveggenza: il film brutto con Big Show e le suore che fanno le puzzette se lo becca per caso Miike? ;-D
http://1.bp.blogspot.com/_KRuAIdTHUvg/TMiZeEFGu9I/AAAAAAAASD8/QtFVokCtqBk/s1600/28+knucklehead-movie-poster.jpg
Ma io spero sinceramente che anche Miike se lo risparmi. Solo La locandina mi fa digrignirrr frrt i dnntti
“da parte di quel pubblico che, a differenza nostra, ama i film dove c’è della gente che ha i lavandini pieni di piatti da lavare” = seria candidatura a Miglior Metafora del 2010