Il 12 novembre hanno consegnato a Jackie Chan un Oscar onorario alla miglior carriera di sempre.
Per celebrarlo, abbiamo deciso di dedicare questo mese ai suoi primi cinque film da regista, tra gag esilaranti, coreografie mozzafiato e storia del cinema.
È il 1983 e, forte del successo dei film che lo hanno visto sia davanti che dietro la macchina da presa, incoronato successore di Bruce Lee per acclamazione popolare e, soprattutto, ancora vivo per miracolo, a giudicare dal livello di pericolosità degli stunt che sono ormai diventati il suo marchio di fabbrica, Jackie Chan è una macchina perfettamente oliata che sferra calci e incassa soldi.
Un acrobata dalla capacità sovrumane che non ha paura di niente eccetto forse l’insuccesso, un artista (marziale e non) molto più colto e molto più scaltro di quanto il suo alter ego cinematografico lasci pensare.
Il mio aneddoto preferito su Project A, quello con cui impezzo gli sconosciuti alle feste e faccio colpo sulle tipe, è che Jackie diede al suo quarto film da regista un titolo così vago e anonimo perché a quel punto della sua carriera la sua preoccupazione più grande era di essere copiato: se si fosse sparsa la voce che Jackie Chan stava facendo un film sui pirati, ora della fine delle riprese sarebbero uscite sei o sette pellicole tutte con lo stesso tema.

Pirati, è solo grazie a Jackie Chan che siete ancora di moda
Ego di Jackie a parte, qualche motivo per stare sul chi vive in realtà c’è. Gli anni 80 si sono aperti con un paio di trasferte negli Stati Uniti che non sono andate proprio strabene e, anche se Jackie non lo vuole dare a vedere, la cosa un po’ gli brucia: l’esperienza disastrosa di Chi tocca il giallo muore, segnata da una totale incompatibilità col regista Robert Clouse (quello di I 3 dell’operazione Drago) e, in generale, col modo di fare cinema action all’americana, più il cameo umiliante in La corsa più pazza d’America (che non gli impedirà di tornare due anni dopo a farsi umiliare anche nel sequel) hanno dimostrato che l’occidente non è ancora pronto a farsi conquistare da Jackie Chan. Tornato a Hong Kong, il successo (meritatissimo) di Dragon Lord è a suo modo rinfrancante, ma Jackie ora sa che per diventare una star a livello mondiale è necessario alzare ulteriormente la posta.
Chiama quindi i rinforzi, o meglio rimette insieme la vecchia banda: Sammo Hung e Yuen Biao, gli amici di una vita, compagni di allenamento fin dall’infanzia presso Tana delle Tigri la Peking Opera School di Hong Kong. Non è solo una questione affettiva o di opportunità, la chimica che c’è fra i tre è qualcosa che non ha eguali nel cinema d’azione (ne ha invece a pacchi, e non è un caso, nella commedia). Tre artisti marziali al picco della propria forma fisica che formano, neanche a farlo apposta (o forse sì?), il trittico perfetto eroe-smilzo-grosso: Project A è l’inizio di un sodalizio che durerà anni e che farà la fortuna di tutti e tre — e che inizio!

Beastie Boys di menare
Il desiderio di segretezza attorno al soggetto è solo uno dei tanti segnali che Project A è un film molto più ambizioso del solito. Un altro è rappresentato dalla ricerca, inusuale per l’epoca (e decisamente inusuale per le produzioni che hanno visto finora protagonista Jackie Chan), in fatto di scenografie e costumi, che, al netto di qualche anacronismo a fini narrativi, collocano saldamente la vicenda a cavallo tra la fine dell’800 e inizio 900, in una Hong Kong ancora pesantemente sotto il giogo coloniale britannico, in contrapposizione con lo standard del genere gongfupian da sempre ambientato in una generica (e bucolica) “Cina del passato”.
Altra roba, che a sentirla oggi fa quasi ridere, Project A è il primo film di o con Jackie Chan in cui la colonna sonora sia stata composta appositamente invece che, uh, rubata da altri film.

“Ma siamo avantissimo, zi’!”
Ora, riguardo la trama, vista la faccenda del progetto superblindato, qualcuno che non ha visto il film potrebbe essere tentato di pensare che Jackie Chan si sia messo a fare Strindberg. Non è Strindberg. E anzi si tratta, com’era prevedibile, di puro canovaccio al servizio di gag demenziali e scene d’azione, ma è una sceneggiatura che colpisce per originalità, articolatezza e varietà delle situazioni e dei personaggi messi in campo.
A ben vedere, la storia è divisa piuttosto nettamente in tre blocchi, quasi tre mediometraggi che messi uno in fila all’altro fanno un film di un’ora e 45, ognuno con una sua unità narrativa, ognuno che culmina con una scena madre caratterizzata da coreografie mozzafiato e stunt fuori di testa.
La prima parte, che potremmo chiamare “Jackie contro Yuen”, si concentra, appunto, sulla rivalità tra i personaggi di Jackie Chan e Yuen Biao, due giovani teste calde appartenenti rispettivamente alla guardia costiera e alla polizia di HK; quando però la guardia costiera viene sciolta per insufficienza di navi (giuro), Jackie si ritrova arruolato suo malgrado in polizia e proprio Yuen, inizialmente un damerino raccomandato e un po’ prepotente, è il suo sergente istruttore.
Una gag alla volta, Jackie si diploma alla scuola di polizia mentre le divergenze tra lui e Yuen si appianano e si trasformano in rispetto reciproco, giusto in tempo per un mega combattimento con un gruppo di brutti ceffi in un club di Hong Kong.

Fuck da police
La seconda parte, che potremmo chiamare “Jackie e Sammo contro i gangster”, vede Jackie, che ha lasciato la polizia perché disgustato dalla corruzione nelle alte sfere, riallacciare i rapporti col vecchio amico Sammo Hung, che fa di mestiere il contrabbandiere e lo coinvolge in un colpo ai danni dell’esercito inglese. Dopo una serie di equivoci, tradimenti, doppi e tripli giochi, i due si ritrovano a scappare da un gruppo di gangster in quello che è uno degli inseguimenti più esilaranti della Storia del cinema, che parte a piedi, prosegue in bicicletta e termina con Jackie Chan che rimane appeso alle lancette di un orologio citando platealmente Preferisco l’ascensore! di Harold Lloyd — ma con un twist finale: a un certo punto molla la presa e si fa un tuffo di una 15ina di metri, atterrando al suolo di testa. Più volte.

morire per il cinema
La terza e ultima parte, che chiameremo “Jackie, Sammo e Yuen contro i pirati”, vede, dopo un’ora di film, entrare finalmente in scena i pirati (è esilarante se si pensa che questo era l’elemento della trama che Jackie Chan voleva tenere nascosto per paura di plagi!), perfetto McGuffin che fornisce ai tre eroi la scusa per unire le forze e menare fortissimo tutto quello che si muove.
Il blocco è diviso a sua volta in due sezioni, una tutta di gag super sceme (alcune delle quali, a sorpresa, sono puramente verbali e mettono in luce l’abilità di tutti e tre gli attori anche in situazioni che non coinvolgano la loro fisicità) e un’altra di combattimento puro. Già parlando di Dragon Lord si era tracciato un parallelo, a 30 anni di distanza, con The Raid di Gareth Evans alla luce di uno spettacolare combattimento finale 2 contro 1, beh, vi ricordate quando dicevo che tutto Project A è all’insegna dell’alzare la posta? Ecco, qui il climax lo abbiamo in uno scontro 4 contro 1, dove Jackie, Sammo e Yuen, con l’occasionale supporto di Mars (vero nome Cheung Wing Fat, che era stato il secondo di Jackie proprio in Dragon Lord), affrontano il tatuatissimo capo dei pirati interpretato da Dick Wei.

Dick Wei, antenato di Mad Dog
Non riesco neanche a immaginare che razza di casino possa essere stato coreografare una sequenza in cui tra le tre e le cinque persone sono in scena e fanno cose violentissime o pericolosissime, ma ormai è chiaro che Jackie ha un controllo di quello che succede all’interno dell’inquadratura che, almeno per quanto riguarda i combattimenti, non ha rivali, e in questo film lo dimostra a più riprese.
Il kung fu non è più quello puro dei primi film, si sporca, coerentemente con la trama e la natura dei personaggi, con tecniche di combattimento da strada e numeri da circo più pazzi che mai, ma è sempre, sempre declinato secondo le linee della commedia (a proposito, lo volete vedere un filmato bellissimo che spiega perché i combattimenti di Jackie Chan fanno ridere?). Project A è pieno di scene che lasciano a bocca aperta, che sei costretto a riguardare tre volte per essere sicuro siano successe veramente, ma il tratto che davvero definisce il film non è tanto la capacità di generare stupore o fomento durante i momenti d’azione, quanto il fatto di essere, in ogni momento, genuinamente divertente. Abbiamo parlato di Charlie Chaplin e di Buster Keaton per descrivere l’umorismo quasi da mimo di Jackie Chan, ma rivedendo Project A, e non me lo aspettavo proprio, ci ho ritrovato anche i migliori Bud Spencer e Terence Hill.

Trinità e Bambino a fisici invertiti
Non credo di poter insistere abbastanza su quanto questo film sia una tappa fondamentale non solo per la carriera di Jackie Chan, di Sammo Hung (peraltro co-regista non creditato) e di Yuen Biao, ma per il cinema di arti marziali, per il cinema in generale. Una pellicola non certo priva di limiti e difetti qua e là, ma che rappresenta un punto di svolta per il genere e un anello di congiunzione, un crocevia dove tutto s’incontra: l’approccio di Hong Kong e quello hollywoodiano, la maniera degli studios storici (Shaw Brothers, Golden Harvest) e quella rivoluzionaria di Jackie Chan, la commedia e l’azione, il muto e il sonoro e, non ultimo, il Jackie Chan attore/artista marziale/clown e il Jackie Chan imprenditore di se stesso.
Cosa si può volere di più, un seguito?
Beh, Jackie non ci credeva molto, ma alla fine si è convinto a farlo, storia vera, su pressioni dell’Imperatore del Giappone.
DVD-quote:
“I tre dell’operazione A”
Quantum Tarantino, i400Calci.com
Le più belle botte del cinema
Speciale Jackie Chan: Project A – Operazione pirati (1893)
Era così avanti che faceva ‘sti film ancora prima che inventassero il cinematografo.
Se non sbaglio è qui la scena in cui Jackie ed un altro, forse Biao, si spaccano una sedia in testa e fingono di non sentire nulla, poi si nascondono dietro una colonna (noi li vediamo entrambi) e mostrano tutto il dolore subìto. Sta tutto lì il cinema di Jackie, ed è anche una delle mie scene preferite in assoluto.
Ricordo che c’era in effetti della trama, forse troppa, ma soprattutto c’era quello stunt clamoroso dalla torre dell’orologio.
Bòn, approfitto degli sconti sul famoso sito di e-commerce per comprarlo, che mi è venuta una voglia che levati.
E sul link dei ruoli archetipici nei cartoni di robot mi è scoppiata la testa. Grande Quantum, grandi loro.
Applausi a 6 mani. Applausi totali. Avverto solo che della splendida musichetta iniziale esistono due versioni a seconda delle edizioni: una più veloce (quella giusta) e una rallentata e deturpata da effetti audio over in accompagnamento ai titoli (quella sbagliata). E allora, vai ! Cantiamola tutti insieme: https://www.youtube.com/watch?v=hpjfhabVlJc
Grandissima rece, vedrò di coprire pure questo buco
grazie, bella rece. questo proprio non lo conoscevo, da rimediare!
Hirohito era un calcista super fan di Project A, grazie a lui Jackie tirò fuori Project A 2. Ricordo che durante la prima visione di PA2 non facevo in tempo a staccare le mani dalla testa che subito le riattaccavo accompagnandole con una espressione di stupore misto a paura e incredulità. Quel film è la cosa più vicina ad una serie di “tentati suicidi” (per far divertire il pubblico) che io abbia mai visto (consigliatissimo).
La “cina del passato” nei film d’arti marziali tradizionali mi ha sempre un po’ confuso, l’epoca d’ambientazione potrebbe essere di fine 19° secolo, ma anche se fosse del 200 d.C. sarebbe uguale, a parte i cavalli, non si nota praticamente nessuna differenza, penso che spostare l’azione dai villaggi alle città sia stata una roba davvero innovativa.
Innovativa come piazzare nella prima parte, una lotta che potrebbe essere tranquillamente il combattimento finale di una qualsiasi altra pellicola di arti marziali, mentre gli stunt iniziano ad essere importanti quanto il menare. Fra i miei preferiti quelli fantastici con le bici soprattutto l’ultimo SPOILER
quello con Sammo che lo afferra per la bici impedendogli di cadere di sotto, mi sono spaventato, è una scena costruita perfettamente anche se non sarà impressionante come quella della torre, ma è una delle mie preferite.
don’t try this at home!!!
ma la roba della torre è vera? cioè..completamente senza alcun trucco o stratagemma di sicurezza? (che so..un tappetone morbido nascosto da un filo di terra.. una cordina di sicurezza…un manichino… è una roba suicida!)
nonostante sia una appassionato di vecchi kung-fu movie questo è tra quelli che ricordo meno e non capisco perchè. lo rivedrò.
Lo stunt è vero ed è stato anche fra i più pericolosi. La lista degli infortuni di quest’uomo è veramente impressionante. Non ricordo dove ma lessi tempo fa di come ha fatto ad eseguirlo. Si è appeso alla lancetta ed ha aspettato che le mani cedessero. Cioè non ha preso il coraggio a due mani e deciso di farlo. Si è costretto a cedere. Psicologicamente è un po’ come tentare di suicidarsi senza volersi suicidare. Siamo nel territorio in cui follia e coraggio non sono più distinguibili. Solo in questo film si è: rotto il naso, un dito, perso un dente, ferito alla schiena e seriamente al collo. Dedizione assoluta e oscar strameritato.
Tra l’altro la fa due volte la caduta, nel film: la prima atterra di collo, la seconda atterra un pelo meglio ma sempre da ospedale a vita. Nel film mostrano le due cadute una dietro l’altra e ti accorgi che non è la stessa ripetuta due volte solo per la parte del corpo che per prima impatta al suolo. Vedendo la prima pensavo si fosse rotto l’osso del collo, poi ho visto la seconda e ho capito che era ancora vivo. Non contenti ne fanno rivedere una anche durante i titoli di coda. Che mito. Pirati dei caraibi puppate.
La prima che si vede, quella di collo, l’ha fatta Mars. Molti dei suoi numeri a volte venivano provati dai suoi stunt più fedeli e poi riproposti da lui, sia x questioni di “sicurezza” e altre volte per avere più inquadrature.
gesù ma c’è un fondo di verità nell’esplosione al min 1:30 del trailer? se si, altro che la gag della torre dell’orologio…
Consiglio di recuperare anche Dragon Forever (titolo inedito da noi) la summa di tutto il cinema del trio insieme alla loro massima intesa sullo schermo.
No dai quella dell’orologio è impossibile…
raga, dico solo una cosa: 14 commenti (15 col mio)
questo per dire quanto gliene frega al mondo di jackie chan e dei suoi filmetti di merda
suggerisco di abortire questo specialone e passare a qualcosa di meno rottura di cabbasisi
bacio le mani
È il capolavoro che rilanciava Jackie dopo il relativo successo al box office del deboluccio Dragon lord alias Young master in love (tit di lavorazione). Peccato che qui sia uscito solo in vhs e tv. D’altra parte dopo i flop in sala di Chi tocca il giallo muore, j Chan la mano che uccide alias fearless hyena è the protector, i distributori italiani grossi nn si fidavano più. Project è un kolossal. Indimenticabile. Per buttarsi da quella torre Jackie ebbe bisogno di incitazione da.parte di samo. Nn riuscì a farlo finché il big Brother in persona nn si mise a strillare.