Ricordo ancora come fosse ieri quando il lockdown arrivò a Valverde.
“Uno pterodattilo di ritorno da Codogno ha tossito mentre atterrava e ora ha il suo addestratore ha la febbre a 39” dicevano le prime notizie battute dall’ANSIA, la nostra agenzia di comunicazione nazionale. “Se avete avuto contatti con qualcuna delle entità coinvolte siete pregati di consegnare la vostra anima al demonio e chiudervi in casa fino a nuovo ordine” recitavano le direttive di Nanni Cobretti e del nostro Ministro della Salute dottor Moreau. “Ove possibile, create una bolla”. Questa roba della bolla in particolare ci ha perseguitato per mesi, e non solo a Valverde.
Con il senno di poi è facile individuare una serie di fasi anche nell’apparentemente omogeneo periodo ormai passato alla storia come “il lockdown”. The Harbinger, 2022 (da non confondersi con The Harbinger, 2022) è un film sulla primissima fase, che è anche stata la più spaventosa fondamentalmente perché non sapevamo un cazzo. Da voi in Italia è durata circa da inizio marzo all’estate successiva, quando furono sollevate le prime restrizioni e, sempre con estrema attenzione, si cominciò a ritornare a una parvenza di sembianza di approssimazione di una normalità ancora lontana. Come stavate durante quel periodo?
Io di merda, e ne subisco le conseguenze ancora oggi. Il fatto che fossimo chiusi in casa senza alcuna prospettiva di uscirne in tempi storici era tutto sommato il minore dei problemi, anzi all’inizio io (e immagino una fetta non insignificante di mondo) la vedevo quasi come un’opportunità per staccare dalla vita pubblica e rinchiudersi in goblin mode tra coperte, tisane, film e videogiochi. “Dovrò stare qualche mese senza vedere gente se non al computer: sai che problema!” mi dicevo con eccessiva sicumera i primi giorni di chiusa, e lo dicevo ad alta voce alla persona con cui convivo così da ricordarmi inconsciamente di essere comunque più fortunato di tutta quella gente costretta a passare questo periodo di sospensione della realtà in completa solitudine.
È venuto fuori poi con il tempo che la mia sicumera era malriposta, e che non importa quanto ami casa tua, quando si trasforma nel tuo unico orizzonte comincia a rimpicciolirsi sempre di più, e persino andare a fare la spesa bardato come un inuit sembra un’avventura indimenticabile, roba da vecchio mondo. Che dormire e non fare un cazzo è bello fino a quando non lo è più, e che quando l’unica tua preoccupazione è quella di non ammalarti e non mettere il naso fuori di casa anche la nanna diventa un problema, gli incubi, l’insonnia, ma anche i pisolini non richiesti a metà pomeriggio perché il tuo corpo è stanco di non essere più stanco…
E anche: l’incertezza sulla natura profonda della causa del tuo isolamento. Sì, è un virus, sì ti fa venire male ai polmoni, ma come si trasmette davvero? Vi ricordate le infografiche sui movimenti dell’aerosol dentro un supermercato affollato? È vero che i bambini non possono prendersela? Come devo comportarmi di fronte a una persona che non crede nelle mascherine? Magari l’hai incontrata in farmacia o dal panettiere, e allora puoi girare alla larga; ma se hai un negazionista come vicino di pianerottolo? Io per mesi non ho preso l’ascensore convinto che fosse un luogo di ritrovo per virus, batteri, funghi e muffe, e ancora oggi ci salgo solo se devo portare pacchi pesanti in salita – non prendo l’ascensore per scendere da febbraio 2020.
Paranoia? Esagerazioni? Precauzioni inutili? Erano all’ordine del giorno nella Fase 1, perché appunto non sapevamo un cazzo. Alcune robe ripensate oggi fanno sorridere, almeno finché non ti ricordi che al tempo ci credevi tantissimo al punto da modificare abitudini radicate da tutta la vita. La Fase 1 è stata quella più esplicitamente horror della pandemia, quella Alien dove la Fase 2 dei primi assembramenti con mascherina e del mito dell’immunità di gregge è stata Aliens. E The Harbinger, del quale Nanni vi aveva già detto qualcosa nel report del FrightFest 2022, è il suo profeta, per cui sì, ora dopo la SIGLA parliamo del film.
Scritto e diretto da Andy Mitton, delle cui precedenti opere avevamo parlato qua e qua, The Harbinger è, come scriveva Nanni, “uno di quei film che dimostrano che quando le cose si sono vissute veramente si raccontano molto meglio”. Immaginatevi Nightmare ma rinchiuso entro le quattro mura di un singolo appartamento, in un mondo di incomunicabilità, isolamento e bolle varie, e con un medico della peste nei sottilmente simbolici ma comunque efficacissimi panni del mostro. Immaginatevi un film alla fine del quale la parola “onirico” continuerà a ronzarvi in testa nonostante i vostri tentativi di resistenza al cliché. Immaginatevi che vi salga la paura di andare a letto e dormire. Punti bonus se il Lockdown Fase 1 l’avete passato in completa solitudine: The Harbinger è per voi ancora più di quanto sia per me.
Mavis vive a New York, in piena città; la sua famiglia sta a Seattle, poracci, per cui Mavis è una di quelle che sta passando il lockdown in solitaria. Monique, invece, ha abbandonato per tempo la città e sverna in campagna, in una bolla sanitaria accuratamente costruita che comprende anche suo padre e suo fratello (che dei due è quello responsabile e adulto). Le due hanno un legame che risale ad anni prima e che non viene mai davvero esplicitato – sappiamo solo che Mavis ha salvato Monique da un tentativo di suicidio, e da allora la seconda aspetta l’occasione di restituire il favore alla prima. La prima, per le circostanze esposte sopra, non sta benissimo.
Mavis chiede quindi disperatamente aiuto a Monique: “puoi venire a casa mia e aiutarmi a superare questo brutto periodo?”. Con un gesto che fa infuriare padre e fratello e che ci ricorda quella volta che siamo usciti dal comune di appartenenza per andare al negozio di acquari nel comune di fianco senza l’autodichiarazione, Monique acconsente. La scena dell’incontro tra le due è uno di quei momenti decisivi per tutto il film: se non vi scuote almeno un po’ avete un bidone dell’immondizia al posto del cuore, e probabilmente The Harbinger non riuscirà più a comprarvi. È un film che si regge su un trauma condiviso più o meno a livello mondiale, ma che legittimamente potrebbe aver colpito alcune persone meno di altre; è un horror sul lockdown, e saprete voi che effetto vi ha fatto il lockdown.
“Perché horror?” chiede Fabrizio. Grazie della domanda, ci stavo arrivando: Mavis sta male non solo per via della solitudine da lockdown, ma anche perché da qualche tempo è perseguitata da incubi di una natura molto particolare. Sono incubi dai quali Mavis non riesce a svegliarsi, né puntandosi mille sveglie né provando l’antico metodo del pizzicotto (che qui si trasforma nel moderno metodo dello scarnificarsi le braccia sanguinando sulla moquette); e in questi incubi compare regolarmente la figura del medico della peste che le spiega le regole del suo gioco. Il medico è un demone, che ti intrappola nei tuoi stessi brutti sogni e da lì non ti fa uscire finché non decide lui; e un giorno deciderà di non farti più uscire, e a quel punto non solo morirai, ma verrai dimenticata. Completamente, eh? Sparirai senza lasciare traccia e la gente che ti ha conosciuto all’improvviso si dimenticherà di te, spariranno tutte le tue fotografie, i tuoi dati anagrafici, i tuoi conti in banca, ogni traccia del tuo passaggio su questo pianeta. Una merda.
Il problema di questi incubi è che sono contagiosi: Monique si stabilisce a casa di Mavis, accettando la stranezza della situazione sulla base del fatto che le deve un favore, e comincia anche lei ad avere incubi, a fare fatica a svegliarsi e a vedere il mostro. E questo è quello che vi serve sapere su The Harbinger, che ci mette una ventina di minuti a spiegare le regole del gioco e passa il resto del tempo a scaraventare le nostre due protagoniste in un incubo dentro l’altro, un crescendo di terrori a matrioska che si fa sempre più intricato fino ad arrivare alla logica conclusione: non capire più cosa sia incubo e cosa realtà, cosa sia polenta e cosa taragna.
Il rischio più grosso che corre un film del genere è quello di scadere nella ripetitività, e non è che The Harbinger non ricicli un paio di soluzioni nel corso dei suoi neanche novanta minuti; è che quello che interessa a Andy Mitton è l’atmosfera, un misto di confusione e ansia che dovrebbe distrarci dalle considerazioni razionali e dalle analisi strutturali. Con solo un paio di set e un paio di attrici a disposizione (non è vero, c’è anche altra gente), Mitton gioca in continuazione con la nostra percezione degli spazi e della geografia, e trasforma un piccolo appartamento in un labirinto dove sì, abbondano anche i jump scare, ma usati con un criterio e un buon gusto sempre più rari nel genere.
Persino quello che potrebbe essere l’elemento più delicato in un film di incubi e case infestate come questo, cioè l’esperta di demonologia dottoressa Spiegoni che le due contattano tramite reddit, è gestito bene! Questo perché la dottoressa Spiegoni è in realtà una persona normale con una passione per le storie inspiegabili e il sacro terrore, una volta tanto, di essere di fronte non a una leggenda metropolitana da 4chan ma a the real deal. Durante la spiegonata, che avviene su Zoom, sono soprattutto le due protagoniste a fare la figura delle pazze, non doc Spiegoni, e questo dona ancora più credibilità al mostro – in particolare grazie al modo in cui è gestita tutta quella faccenda che THE HARBINGER non solo ti uccide ma ti fa dimenticare.
Mi piacerebbe sapere che effetto farà riguardare The Harbinger tra dieci, venti, trent’anni (questo nell’ottimistica ipotesi che da qui al 2052 non si verifichino altre pandemie che ci obblighino alla quarantena globale). Oggi la luce in fondo al tunnel è talmente vicina che un po’ di gente se l’è addirittura lasciata alle spalle, ma il ricordo dell’ultimo paio d’anni è ancora abbastanza fresco che è impossibile non legare l’effetto che vi farà The Harbinger al modo in cui avete vissuto il lockdown. Sarebbe bello poterlo guardare con serenità e distacco perché al netto della sua attualità è un horror a bassissimo budget e grandissimo impatto, che azzecca più di un momento di puro terrore pur essendo sostanzialmente statico. Per ora mi accontento di salutarlo come uno dei migliori del 2022.
Lockdown quote
«Mi ricordo di un ricordo, spero che non me lo scordo»
Ok, il film non m’interessa ma sono rimasto colpito da quanto male t’abbia preso il Lockdown, Stanlio (se non hai romanzato). Peraltro per curiosità ho fatto un controllo e ho visto che avevi recensito un altro film-della-pandemia come Host. Insomma, se avessi timbrato anche Songbird (che immagino ti sia stato risparmiato perché Lockdown + Alexandra Daddario Non Nuda era oggettivamente troppo) avrei pensato che era in corso una Curse of Stanlio in piega regola.
Un abbraccio in tuta azmat.
Mi hanno detto di abbracciare cinesi, poi di non abbracciare nessuno, di parlare a distanza, di parlare a distanza con la mascherina, all’ aperto però no, all’ aperto anche, andrà tutto bene, mmm forse no, gente che cantava sui balconi, io che mettevo lo stereo con Curami dei CCCP per fargli capire che non c’era un cazzo da cantare, l’ amuchina, l’ amuchina faidate, mia morosa che la scambia per il liquido per lavastoviglie faidate che faccio, lavastoviglie che si intasa, ore 22 coprifuoco, ore 22 e 15 passeggiata vestito da ninja perchè che figata il quartierino senza gente in giro, poi in realtà la gente l’ ho trovata e devo dire che erano nascosti molto bene, giri in bici in garage, si crea gruppo sportivo condominiale in garage con ciclisti, runner e i due fratelli pugili, autocertifica spostamento da A a B, poi da B ad A, autocertifica che non sei in tour con gli ABBA, vaccinati, no non vaccinarti, vaccinati moderatamente, ascolta i tg che ti dicono che gli ospedali sono pieni, ascolta complottisti che ti dicono che sono deserti e al triage c’è perfino un cammello, senti le ambulanze a sirene spiegate, impazzisci e senti le sirene che spiegano l’ ambulanza, ascolta Burioni, ascolta Crisanti, ascolta Zangrillo, fondili in un’ unica entità chiamata Boh, guarda film, guarda serie, riguardati Contagion, riguardati dal contagio. Impazzisci.
Un film così ci sta. Venduto.
Questo fine 2022 ci ha riservato un bel po’ di horrorini mica male.
È proprio vero che a star male si fa bene l’arte che fa stare male
Tumbs up per il sogno strutturato a matrioska di Elio, che portento di nottata che marito sodomito
Non che voglia raccontarvi troppo i fatti miei, ma vivendo a Roma il primo lockdown tutto sommato l’ho vissuto bene (al netto di aver perso il lavoro e di aver dilapidato i risparmi). La mia “fortuna” fu di aver appena cambiato casa, a fine Febbraio 2020, e quindi in quella nuova non avevo la cucina (che sarebbe arrivata solo a Giugno)
Quindi sia a pranzo che a cena, andavo a piedi a casa di un amico (lui non c’era), a prepararmi da mangiare e perdere un paio d’ore. Non so quante volte fui fermato dalla polizia, ed ogni volta dovevo spiegargli che non avevo manco il frigo, neanche il lavandino, quindi non avevo altre soluzioni
Rimarrà un ricordo indelebile il silenzio assoluto quando tornavo la sera, pur vivendo in una zona ad alta densità come il Pigneto. Sembrava un film sci-fi, zero macchine, zero persone, luci spente, mancava solo Will Smith col cane
Cioè, fammi capire, il primo lo hai vissuto abbastanza bene nonostante perdita di lavoro, povertà, manco l’ acqua in casa…Mi vien da pensare che gli altri li hai vissuti peggio, e quindi:
– amputazione di qualche arto
– crollo in testa della casa nuova
– “covid prostatico” come quello di Briatore, con probabile intubamento non dalla bocca ma dal retto
– rottura del lettore bluray
– cose che nessuno osa immaginare
Ti meriti un Caprotti che ti protegge da lassù col suo sguardo docile ma fiero.
Ma porca miseria, ho scaricato il film sbagliato