Clive Hockstatter non sta benissimo.
Dopo un lungo e proficuo servizio attivo nell’esercito statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale, culminato nell’arresto e tortura di un gran numero di spie naziste, il povero Clive si annoia, perché la guerra è finita (“E chi lo dice?”). Non ha niente da fare, ed è tutto solo a non farlo: poco dopo la fine del conflitto, la moglie Susan si è tolta la vita.
Neanche Susan stava benissimo: collega del marito durante la guerra, la fine delle ostilità l’aveva fatta precipitare in una paranoia profonda, manifestatasi infine nell’incrollabile convinzione che la sua vicina Hildegard, la biondissima figlia del fruttivendolo all’angolo di origini tedesche, fosse una spia nazista. Nessuno credeva a Susan, Clive per primo, e quindi lei ha deciso di levare il disturbo e dire addio a questo mondo ingrato e che non la ascoltava.
Clive sta male, quindi, e beve come una persona con problemi di alcolismo, e così i suoi ex colleghi e amici decidono di tentare la intervention. Solo che Clive ha altre idee, e forse una nazista nell’armadio. Siamo a Brooklyn nel 1945, e questa è la trama di Brooklyn 45. Sigla!
Ted Geoghegan (da qui in poi: “Ted”) è già passato da queste parti con il suo esordio sulla lunga distanza, We Are Still Here, che a Casanova piacque poco e a me di più. Ignorammo invece la sua seconda fatica, Mohawk, perché non piacque a nessuno. È bello vederlo ritornare ai fasti di un tempo! Brooklyn 45 è una produzione Shudder e quindi a) chissà quando e come la vedremo in Italia (io ho approfittato delle ferie e sono andato nella mia casa vacanze di Innsmouth per recuperarlo) e b) è un giochino a basso budget con location limitate e cast ristretto; ma possa una spia nazista torturarmi con il solletico sotto i piedi se Ted non cava galloni di sangue (metaforico e reale) da questa strizzatissima rapa tutta ambientata in una stanza.
Di base Brooklyn 45 sarebbe un film di fantasmi, sottocategoria film di sedute spiritiche. Perché l’ideona di Clive è proprio quella di tentare di contattare il mondo degli spiriti. Se esiste una vita dopo la morte, si dice il nostro amico interpretato da un Larry Fessenden spettacolare come suo solito ma completamente privo di barba, la mia Susan è ancora là che mi aspetta; se riesco a contattarla, spiega il nostro amico interpretato da Larry Fessenden ai suoi colleghi e sodali riunitisi a casa sua per convincerlo a smettere di bere, significa che ho ancora una speranza, perché quando toccherà a me morire potremo finalmente riunirci. Fate la seduta spiritica con me, amici, dice Clive, fatemi togliere questa soddisfazione. Mi serve solo una conferma.
È un bello spunto, no? Un film di sedute spiritiche privo di adolescenti attraenti e popolato invece da relitti di guerra, ciascuno con un passato che sta cercando di dimenticare, presumibilmente a colpi di sedute di altro tipo, psicofarmaci e una buona dose di autorepressione. I protagonisti di Brooklyn 45 sono persone tutte rotte. Abbiamo
- la ex capa del Reparto Tortura Nazisti, una donna crudelissima che, ci raccontano, “una volta ha piegato così tanto all’indietro il dito di una spia nazi che l’unghia si è piantata sul dorso della mano”. Marla è oggi sposata con il povero Bob, un ometto che lavora dietro una scrivania al Pentagono e che aborre la violenza e pure il parlare ad alta voce. Il povero Bob è ovviamente il pesce fuor d’acqua del film, e una delle frasi che sentirete pronunciare più spesso è “shut up, Bob”.
- il bello con i baffoni che vedete nella foto qui sopra. Il maggiore Archibald Stanton è in attesa di venire processato per crimini di guerra che scopriremo con gusto e orrore nel corso del film (oltre a scoprire se davvero li ha commessi o meno). È anche omosessuale, che nel 1945 non era una figata in assoluto, figuratevi per chi faceva il soldato di mestiere.
- il maggiore DiFranco, come Ani, il migliore amico di Clive e uno a cui la natura ha donato una clamorosa fazza da militare tutto d’un pezzo di quelli che sarebbero capaci di sterminare un allevamento di cuccioli di foca a mani nude “perché mi hanno ordinato di farlo”.
Se sto ciurlando così tanto nel manico arrivando addirittura a presentarvi i personaggi uno a uno è perché Brooklyn 45 è un film piccolissimo, e tre quarti delle cose belle che fa sono sorprese, svolte, twist inaspettati ma che con il senno di poi hanno perfettamente senso. Voglio dire che l’idea della seduta spiritica per evocare Susan – alla quale gli amici di Clive acconsentono solo dopo tante suppliche e un clamoroso monologo che dimostra come Larry Fessenden sia uno degli attori più sottovalutati e sottosfruttati al mondo – è solo lo spunto, non la spina dorsale del film.
Indiscutibilmente la seduta funziona, il Ted non ha alcuna intenzione di giocare con il forse sì/forse no e ce lo dimostra quasi subito approfittandone per illustrare anche la sua passione per gli effetti speciali old school e gustosamente pacchiani:
ma l’economia narrativa vorrebbe che questo fosse l’abbrivio di una bella storia di spiriti evocati e di gente chiusa in una stanza insieme a questi spiriti – la prima cosa che succede quando la seduta accelera è che il fantasma di Susan chiude per magia la porta di casa, ed eccovi apparecchiato il film monostanza, nel quale cinque persone devono sopravvivere agli ectoplasmici assalti dell’entità che li ha intrappolati. E invece no, perché (è l’ultima sorpresa che vi anticipo, ma d’altra parte vi basta guardare il cast per beccarla) dall’armadio di Clive esce proprio Hildegard, legata e imbavagliata! Il nostro eroe, che si è convinto che la moglie avesse ragione e la graziosa fruttivendola fosse in realtà una spia nazista, l’ha rapita e offerta in sacrificio ai suoi amici: ammazzatela, dice loro, e Susan potrà trovare pace – e voi potrete uscire da questo lussuoso salotto.
(“Perché non la ammazza direttamente lui?” zitto Fabrizio, ho detto che non vi rovino più nessuna sorpresa)
E quindi, anche abbastanza presto nel corso dei suoi novantadue adorabili minuti di durata, Brooklyn 45 si trasforma in un episodio di Ai confini della realtà virato Tarantino: il fulcro del film non è “come facciamo a uscire da questa stanza abitata tra l’altro dal fantasma della moglie suicida di uno di noi?” ma “Hildegard è davvero una spia nazista?”. E per deciderlo i nostri amici parlano, parlano, discutono, scavano nel reciproco passato, si confrontano con i proverbiali orrori della guerra e con il fatto che loro stessi hanno contribuito a generarne parecchi. Parlano di Hildegard e ragionano se sia o meno il caso di ammazzarla, e questo ovviamente dà la stura a una serie di discorsi sull’odio, sul pregiudizio, pure sull’integrazione e la paura del diverso, questa volta però applicati a una radiosa bionda dall’aria innocente ma macchiata da sospetti di nazismo: e se poi Susan avesse avuto davvero ragione?
All’atto pratico questo significa che Brooklyn 45 è un film tesissimo di gente che parla e occasionalmente si punta la pistola in fazza. Ted gestisce alla grande il limitato spazio a disposizione, che decora con centinaia di foto d’epoca che gli sono state gentilmente donate da parenti e amici durante le riprese; e gestisce alla grande anche le interazioni tra questi ex soldati, giocando in continuazione con la confusione tra quello che facevano prima e quello che si sono ridotti a fare adesso che non hanno più nazisti da catturare e quindi forse non hanno più neanche uno scopo nella vita. L’aneddoto qui è che si è fatto aiutare dal padre (morto poco dopo la fine della lavorazione, poveraccio), ex militare rimasto tetraplegico dopo la Seconda Guerra Mondiale e reinventatosi come insegnante di storia in un liceo: il genitore 1 ha funto da consulente per rendere credibili tutti i dialoghi e i riferimenti bellici. Purtroppo non ho più nonni che hanno fatto la guerra e non posso chiedere a loro se la roba sia riuscita o meno, ma ai miei occhi ignoranti sembra di sì: ho apprezzato in particolare la scelta di caricare tantissimo il passato da torturatrice di Marla per poi arrivare a metterlo in scena senza strafare e senza trasformarlo in una barzelletta, ma regalandoci tre/quattro minuti di pura, semplice e molto efficiente crudeltà.
Non che Brooklyn 45 sia sempre per forza un film sobrio, come dimostra la manina spettrale che ho messo lassù. Ma ha un notevole buon gusto nello scegliere quando trattenersi e puntare sul disagio psicologico, e quando invece pigiare sull’acceleratore e regalare un po’ di sana e croccante violenza che oscilla tra l’assurdo e lo splatter puro. E tutto questo senza che questa gente esca mai dalla stanza! Credo che il risultato più clamoroso ottenuto dal Ted sia quello di aver girato un film-bottiglia senza quasi mai rivolgersi alla scontata soluzione della claustrofobia e del senso di oppressione generato da un singolo set. Cioè Brooklyn 45 quando vuole riesce a essere arioso e a generare distanze incolmabili (fisiche ma anche ideologiche) tra i personaggi con il semplice uso della composizione dell’inquadratura e della profondità di campo.
Insomma è un pranzetto gustosissimo, un lauto pasto alimentato in egual misura da Grandi Temi e cervella spappolate. Una roba che parla tra le altre cose di nazismo, nella quale a turno tutti i personaggi fanno a gara per dimostrare di non essere (concettualmente, non politicamente) nazisti, di solito fallendo clamorosamente. Fa ridere ma fa anche pensare, ecco. E fa anche un po’ di paura, o quantomeno di tensione: è un film nel quale tutti i protagonisti sono in pericolo di vita dal minuto 1 e che, dopo un paio di sequenze di ambientamento, parte in una direzione tutta sua e tu che guardi non hai mai idea di come possa proseguire, figuriamoci come possa andare a finire. È una tragicommedia nera sovrannaturale minimalista ultraviolenta che ti porta a confrontarti con il nazi che è in te, o per lo meno con quello che è in loro. Bentornato Ted, che bella sorpresa.
Quote suggerita:
«Un film che stava solo eseguendo gli ordini ricevuti»
Stanlio Kubrick, i400calci.com
Messa così, pare il film più figo di sempre.
Meno male ke i nazisti zono tutti zkomparsi dopo fine di seconda kuerra mondiale, ja?
Pensa ke prutta kosa se fossero ancora kua.
Il film sembra veramente una gran figata e non vedo l’ora che in qualche modo arrivi in Italia, l’ottima recensione fa venire voglia di gustarselo, anche solo perchè mi sembra una bella variante sul tema “forse i buoni non sono cosi buoni”, perchè a livello di cultura popolare il ruolo degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale è uno dei pochi ancora inquadrato come quello di difensori del bene senza se e senza ma, contro i Nazisti che basta la parola e distinti dai Comunisti che non saranno Nazisti ma poco ci manca.
Però torno a dire quello che scrissi un pò di tempo fa, mi sembra riguardo la recensione di “Sisu l’immortale” (o era “Blood & Gold”. Sarebbe ora di una moratoria sull’uso dei Nazisti come cattivi al cinema, è una cosa di una pigrizia imbarazzante. Lo so che (giustamente) sono considerati cosi universalmente stronzi da mettere automaticamente al riparo da qualsivoglia polemica, però proprio per questo ormai,a quasi ottant’anni dalla fine della WW2, è una scelta che si può definire codarda.
Non potrei ezzere più d’akkordo…
Guarda da un lato sono d’accordissimo, dall’altro è anche vero che ormai “i nazisti” sono come “gli zombi” cioè hanno trasceso un po’ la loro natura per diventare generici archetipi del Male Assoluto, dal terzo lato c’è che Brooklyn 45 li usa in modo un po’ diverso dal solito – il film è soprattutto sui soldati americani, volendo si poteva ambientare post-qualsiasi altro conflitto nel quale sono stati coinvolti gli USA dal ’45 in avanti.
We che piacere rileggerti.
I nazisti, cinematograficamente parlando sono come gli alieni, va anche ricordato che il cinema ha regalato delle perle come Schindler’s List.
@Stanlio Kubrick: si, capisco ed in effetti dal tuo pezzo si capisce come questo film sia diverso dagli altri, però ho colto l’occasione per fare un discorso un pochino più generale. Nel quale ci sta quello che dici tu (nazisti come zombie o alieni) ma da una parte questo (secondo me) è un effetto della pigrizia di cui sopra più che una causa, dall’altra non giustifica alcune scelte secondo me sicuramente codarde (mi sembro Herzog a scrivere cosi).
Per esempio, appunto, il citato “Sisu – l’immortale” avrebbe avuto molto più senso anche storicamente se i nemici fossero stati i russi piuttosto che i tedeschi, no?
Io però come DVD-quote avrei messo: “Basta pregiudizi verso i biondi con gli occhi azzurri!”
Mo mo mo mo che bello, ero indeciso se vederlo ieri sera, ‘mo mi ci butto. Non so a Innsmouth, qua a Gormenghast c’è coi sottotitoli che va benissimo… chè magari doppiandolo in Italia lo rovinano. Ma chissene l’Italia
Grazie Stanlio, ha tutti i requisiti per essere uno dei miei film preferiti. Spero che questa tracotanza non sfoci in grottesco perché sono allergico ad ogni sfumatura dello stesso.
Ma bentornato Zí, faresti venire voglia di guardare un Zalone, quando sei cosí in cccanna.
Pare proprio una boNbetta, segno.
Ma porca puttana, ho appena letto l’intro alla recensione nel riquadro dell’indice.
E’ assolutamente GENIALE!!!
XD!