Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
“Molti diranno che questo film è una metafora sul Vietnam, dovremo ignorare la cosa e raccontare la storia meglio che possiamo”
Walter Hill alla troupe prima delle riprese
Nel 1981 Walter Hill è al culmine della sua serie filmica di titoli con le preposizioni articolate e, dopo L’eroe della strada, I guerrieri della notte, I cavalieri dalle lunghe ombre, gira uno dei suoi film più rappresentativi ma anche tra i suoi meno popolari: I guerrieri della palude silenziosa, titolo italiano che pialla con la diffusa titolazione castellariana il gioco di parole del titolo originale, Southern Comfort, dove si allude ironicamente al nome del tipico whiskey della Louisiana dove è appunto ambientato il film ma in luoghi tutt’altro che confortevoli.Sceglie una storia nuovamente di combattenti, di uomini imperfetti, di antieroi accerchiati e braccati, ben conscio delle problematiche che nel 1980 ancora ha l’eco del Vietnam (vi rimando al mio Le Basi su Rambo per leggerne di più qualora voleste) e che inevitabilmente sarebbero balenate utilizzando dei militari, benché riservisti, come protagonisti del film e pergiunta impantanati in paludi e fiumi ostili che ricordano molto la giungla vietnamita del Mekong.
“Cercavo solo una buona storia da raccontare e questa mi ha affascinato (…) è stata dura riuscirci, la Fox non voleva produrlo. Molti dei miei film hanno sulla locandina i loghi di grandi studios, ma sono solo film che arrivano lì dalla porta sul retro, roba da finanziamenti speciali e da negative pickups”
Walter Hill sulla produzione del film.
Il film infatti arriva da un accordo tra la Fox con lo stesso Hill e il suo collega David Giler, secondo il quale dovevano portare un tot annuo di “soggetti interessanti che fungessero da base per eventuali produzioni future”. Uno di questi era Southern Comfort, nato nel 1976 come un racconto di Hill intitolato La preda e dall’atmosfera del quale trarrà le basi anche per un altro soggetto da portare alla Fox qualche tempo dopo, forse ne avrete sentito parlare, tale Alien.
Diedero il soggetto originale di Southern Comfort a uno sceneggiatore, Michael Kane, per farne una bozza che però non convinse la Fox, la quale sulle prime lo rifiuterà così come tutti gli altri studios a cui la proposero. Per strano che possa sembrare, fu una conoscenza in comune proveniente dal giro del porno losangelino che convinse un pezzo grosso della Fox che quella bozza fosse promettente e grazie a questa intercessione inaspettata venne dato qualche anno dopo il via libera al film. Un backdoor movie, appunto.
“Una volta ho detto che tutti i miei film sono dei western… Dico spesso queste battute stupide, poi le riportano e sembra che io sia veramente serio nel dirle. C’è un po’ di verità, ma in fondo è come se dicessi che mi piacciono le storie bibliche o mitologiche, perché è quel genere di storie che racconta il western: roba da Vecchio Testamento”
Walter Hill sul Cinema a Fangoria nel 2013.
Ho sempre risposto con un “non proprio” a chi mi riportava quella sua famosa frase sul western, trovandola, come poi ho scoperto pensarla Hill stesso, parziale.
Hill non gira film su degli argomenti, è un Autore che ha scelto i film di genere, con molta consapevolezza, per raccontare in maniera estremamente stilizzata delle storie fuori dal tempo che, se non addirittura ambientate nel passato, sono comunque storie eterne. Come il western, sì, ma come anche la mitologia greca, la Bibbia, il Gilgamesh o Moby Dick. In questo lo trovo molto simile a John Carpenter, sia per l’asciuttezza della visione, l’economia delle immagini e dei mezzi, sia per la scelta del campo da gioco: il cinema di genere. Hill però asciuga la sua visione ancora di più, la porta a un tema soltanto praticamente: alle tipologie maschili, ai tipi di mascolinità e a come questi vivono e muoiono per i codici che scelgono o subiscono. Il mondo contemporaneo non interessa a Hill, è solo una cornice per declinare in eterno i suoi archetipi.
“Non mi piaceva andare in chiesa ma oggi penso che sia stato un bene andarci, perché anche allora capivo che le storie bibliche erano fantastiche, e la cosa dei western è che è come andare in giro nel Vecchio Testamento, sono storie che potrebbero essere comprensibili nel Vecchio Testamento. Probabilmente dimostra quello che Freud e i Gesuiti dicevano: datemi un bambino fino ai cinque anni e sarà mio per sempre”.
Walter Hill intervistato per Hollywood Reporter nel 2021.
Come John Milius anche Walter Hill cresce con buone letture e fumetti, in una grande città, andando in chiesa fino ai quindici anni e con poca esperienza diretta delle cose “virili” su cui si concentrerà . Una forte asma (come anche per Milius) lo tiene lontano dalla vita all’aria aperta, lasciandolo a sognare un mondo selvaggio e spietato nella sua cameretta fino all’università, diventando un cantore di un certo tipo di fatalismo, di eroismo, tragico e virile, ma con una grande differenza rispetto ad altri epici da cameretta come R. Howard, H. P. Lovecraft, E. Salgari o appunto J. Milius: sa di essere nel suo profondo solo un ragazzino asmatico che racconta un’epica bigger than life e non lascia la briglia mai fino in fondo, non diventa assolutorio con i suoi personaggi, non crede mai fino in fondo nello stereotipo machista che pure utilizza come maschera, lo ridicolizza a volte e ai suoi personaggi non regala mai niente.
C’è una sobrietà nell’epica di Hill che a volte lambisce la favola morale, come in Southern Comfort. Insomma: evita con grande classe e un introiettato timore religioso la deriva da incel pure se ante litteram.
In I guerrieri della palude silenziosa i protagonisti sono una divisione della Guardia Nazionale che nel 1973 si trova a fare una difficile esercitazione nelle paludi della Louisiana.
Per muoversi lungo il fiume più facilmente che guadando nel fango gelido decidono di rubare delle pagaie a degli autoctoni della palude, quella particolare enclave di origine franco-canadese del profondo sud frutto della deportazione degli acadiani in Lousiana nel settecento e che lì si è mischiata con altre culture ed etnie tra cui spagnoli, creoli e tedeschi, i cosiddetti cajun. Questo darà origine a una caccia all’uomo dei cajun verso i soldati riservisti, sperduti in un territorio ostile e sconosciuto, armati con munizioni a salve e non proprio i più svegli della loro cucciolata. Ovviamente non potete non aver pensato al bellissimo Un tranquillo weekend di paura di John Boorman in questa breve sinossi e avete fatto bene perché alcune caratteristiche convergono, ma dove trovano assolutamente un terreno comune nei luoghi, nella bravado idiota dei protagonisti e nella caccia all’uomo degli autoctoni verso questi, il film di Hill vira poi presto in una dimensione più vicina all‘horror che al thriller, avvicinandosi via via forse più a Non aprite quella porta che al film di Boorman.
Tutti i film succitati hanno in comune quella che io definisco da anni la Southsploitation e credo sia interessante una digressione sul tema giacché ne ho il pretesto. Per Southsploitation intendo l’utilizzo di una parte del genericissimo “Sud degli Stati Uniti”, come sfondo/incubatore di storie che raccontano in modo marcato, esagerato, una qualche stortura, tematica o paura ancestrale degli Stati Uniti. Quello che fa la exploitation di volta in volta con un tema/oggetto/luogo insomma, ma col Sud degli USA. Dove “il Sud” è una zona abbastanza generica, di solito selvaggia ma comunque fuori dalle grande città. La quasi totalità degli statunitensi che non vive nel sud o nel centro rurale non va mai, statisticamente, nella sua vita in questi luoghi se non per farci scalo verso altre città, ma se deve raccontare una storia in qualche modo estrema, esagerata, viscerale, ama farlo in quei luoghi, che sono quindi per l’uomo mediostatunitense allo stesso tempo l’incarnazione degli USA per antonomasia e il loro spauracchio. Sono familiari per cultura popolare ma ignoti nell’esperienza reale di quasi tutti gli statunitensi, insomma un luogo metafisico, dei sani valori e dell’ospitalità come degli indicibili orrori e delle vergogne.
Nel cinema è così dai tempi di The Birth of a Nation e lo è rimasto fino a oggi, fino a Wrong Turn o a Justified. Vuoi che sia La morte corre sul fiume o Breaking Bad, il Sud è lì come cassetta degli attrezzi per costruire l’inquietudine degli statunitensi. Il “Sud” fornisce il mito di un’estensione territoriale enorme, che dalle pianure del midwest agli Appalachi, fino al mare e ai deserti comprende ogni biosfera esistente, perlopiù selvaggia , dove lontano dalle autopercepitesi civili grandi città,vive un’umanità pittoresca, ospitale ma negletta, a volte selvaggia, a volte ottusa, all’occorrenza ferina e spesso animata da dinamiche arcaiche se non violente, con una criminalità diffusissima ma anche dei cuori d’oro o dei buoni selvaggi, un’umanità di servizio che funge da brodo per qualsiasi strumentalizzazione narrativa e per creare qualsiasi favola moderna ricorrendo a una geografia spesso di fantasia, quasi sempre a stereotipi culturali, inevitabilmente a semplificazioni da fumetto, usata come luogo dell’altro da sé e non fisicamente reale.
Il Sud in molta narrativa non è molto diverso come espediente dalle Indie orientali nella narrativa europea d’avventura di secoli fa o dei non-luoghi come il Kadath di Lovecraft. Spero un giorno di curare qui sopra una rassegna sul tema, perché lo trovo molto interessante. Ma torniamo al film.
Southern Comfort nella sua astrazione stilistica e narrativa sceglie il Sud ma lo sceglie realistico, con un certo rispetto, e sceglie di mostrare sì la natura inospitale delle paludi come quasi senziente e votata all’uccisione degli intrusi, ma prima di tutto ci fa percepire i protagonisti, i cittadini, come gli intrusi, come un corpo estraneo giustamente espulso, inviso. E con la natura intendo anche i cajun che con essa hanno un rapporto simbiotico e ne sono quasi i meri esecutori. Non sono dei cattivi bidimensionali, oltre a essere per gran parte dei veri cajun del luogo. Siamo nella Southsploitation ma c’è una forma di rispetto per il contesto, benché ostile e fatiscente, che per esempio trovo che a un certo punto si perda in Un tranquillo weekend di paura dove tutti e tutto sono infausti e corrotti, nel fisico e nell’animo, dai boscaioli disumani fino ai rappresentanti della legge e della società civile.
Abbiamo fatto delle audizioni, abbiamo ingaggiato dei cajun come consulenti tecnici permanenti, era il nostro lasciapassare per quei luoghi e quel mondo, ed erano veramente in gamba. Eravamo sempre preoccupati di rappresentarli ingiustamente, ma si rivelò una paura infondata. Dalla maggioranza dei cajun che ho conosciuto non ho avuto recriminazioni, anzi. Sono molto fieri della loro cultura e del loro modo di vivere, sono onorato di averli potuti frequentare”
Walter Hill sulla popolazione locale e gli stereotipi negativi.
Per crudo e inaccessibile che fosse il mondo dei cajun delle paludi quasi cinquant’anni fa, è comunque evidente l’approccio rispettoso di Hill alla cosa: dove strumentalizza alcuni personaggi locali per farne delle emanazioni mostruose e vendicative della paluda, un genius loci di sangue, dall’altra parte vuole riferire abbastanza onestamente (siamo pur sempre in un film e non in un documentario) il contesto in cui si svolge la vicenda. Hill vuole far vedere una comunità decisamente fuori dai nostri standard odierni e anche per gli standard urbani dell’epoca negli USA ma con una sua coerenza e dignità culturale, lasciando allo spettatore il compito di non scadere nella facile equazione sia di reputare la violenza di un film di fantasia come propria di quelle comunità reali e sia, nella dinamica della finzione filmica, di distinguere un “meccanismo di difesa” di una comunità pur molto respingente con la vita della comunità stessa. Sembra ammonirci Hill, sempre con il tono di favola morale di cui sopra dell’ inevitabile redde rationem: “Quanto si lavino, come preghino, come facciano festa e come mangino non deve riguardarci perché vivono così da secoli e non fanno male a nessuno, per diffidenti che siano ci ignoreranno se non gli daremo fastidio ma dobbiamo preoccuparci se andremo a rubargli in casa, li insulteremo o li aggrediremo per primi, perchè lì sì che diventerà qualcosa che ci riguarderà e non sarà nulla di buono”.
“Ripeto sempre: credi alla storia non a chi te la racconta. Quando pensi di aver colto il significato di qualcosa, allora è vero ciò che tu reputi sia vero.”
Walter Hill sul senso del film.
Non c’è da stupirsi che in molti, a partire da Roger Ebert, avverarono la predizione del regista sul fatto che si sarebbe detto che in fondo fosse una metafora del Vietnam: con i soldati pieni di arroganza che muoiono male, con armamenti inutili e comunque non sufficienti a sfuggire a un nemico che conosce il suo difficilissimo terreno come le sue tasche, col plotone che più insiste nel procedere nelle paludi e nell’avere la meglio e più peggiora la sua situazione era ovvio che praticamente tutti ci vedessero una satira horror del pantano bellico che ancora tormentava la nazione. Che Hill lo non lo volesse o che sibillinamente lo volesse far passare senza dichiararne mai l’intenzione, è a ciascuno spettatore stabilirlo; “La percezione dell’osservatore è valida quanto l’intenzione del creatore” dice infatti Hill in una lunga videointervista alla Gilda dei registi Australiana di quest’anno, quello che possiamo dare per certo è la caratterizzazione tipica del plotone dei film di guerra statunitensi, con i suoi tipi di maschera maschile e di come questa struttura sia poi demolita dagli eventi, ridicolizzata e stracciata per alcuni versi in un modo che riecheggerà in Predator qualche anno dopo. Senza comunque allentare la drammaticità del tono, perché se è chiaro l’intento satrico di alcune scelte è anche chiaro che qui non si ride mai.
Nel film, poi, i soldati non sono veri soldati: sono riservisti della Guardia Nazionale, una riserva militare che impiega le sue forze in casi di forza maggiore e in ambito federale.
Un dettaglio molto importante che sfugge oggi al pubblico è che andare nella Guardia Nazionale nel 1973, quindi a guerra del Vietnam ancora in corso, era un modo per non partire arruolato al fronte ma senza incorrere nella renintenza alla leva. Quelli che vediamo nel film quindi non sono dei maschioni Navy S.E.A.L.S. in un super-addestramento speciale, sono dei tizi formalmente arruolati ma che di fare la guerra non ne hanno voglia e forse neanche il fegato, certamente in extremis con dei guizzi eroici ma troppo vacui, spaventati ed erratici per non cacciarsi nei guai e comunque armati con armi a salve e che quando arriveranno a usarne di vere sapranno solo peggiorare le cose e fare la figura degli stronzi.
Trovo interessante come ai tempi la Guardia Nazionale appaia in due film vicinissimi cronologicamente come questo e Rambo e in ambedue ne esca come una organizzazione di inetti, a volte di frustrati esaltati, di imboscati arroganti, comunque di figure patetiche. Ho idea che oggi sarebbe trattata con un approccio patriottardo stucchevole, acritico, dove quello che qui è un gruppo di disperati che si caccia meschinamente nei guai diventerebbe un manipolo di eroi per caso, da celebrare con una solennità stucchevole. Qui invece i nostri protagonisti sono degli uomini imperfetti, che si autosabotano perlopiù e che tanto più confidano nel loro machismo tanto più causano la loro rovina. Quando per spaventare i cacciatori sparano a salve otterranno solo di farsi sparare realmente, quando non avranno il coraggio di ammettere che si sono persi si infileranno solo più nei guai e quando tenteranno atti di disperato eroismo troveranno solo una morte miserabile nel fango gelido della Louisiana. Molto più del danno che ricevono per vendetta dalla popolazione locale è quello che infliggono innanzitutto a loro stessi, cercando di aderire a un’idea di loro stessi probabilmente sbagliata.
Lo scopo di Hill era infatti una satira feroce della guerra in quanto intimamente tale, un B-Movie deliberato per mostrarne le miserie e gli orrori in piccolo, sotto forma di un ibrido tra bellico e survival horror, al netto della questione specifica del Vietnam. Una piccola storia di come un atto violento generi una catena di violenza dagli effetti devastanti, una storia eterna, da Vecchio Testamento.
Per girare il tutto si avvale della fotografia dello stesso professionista che gli aveva dato quella claustrofobia notturna in I guerrieri della notte, Andrew Laszlo, che qui avrà anche una sfumatura diversa nel rendere le atmosfere del film in quanto reduce della seconda guerra mondiale, un profugo ebreo scappato dall’orrore e dal fango dell’Ungheria occupata e dalla sua città, Pàpa, divenuta un ghetto per gli ebrei ungheresi, inclusa la sua famiglia.
Ho voluto Andy non solo come professionista ma anche come uomo. Ha vissuto tempi difficili, ha perso quasi tutta la sua famiglia, è venuto qui negli USA senza un centesimo, Era un gentiluomo e una persona molto forte allo stesso tempo.
Walter Hill nel 2012 ricordando Andrew Laszlo, scomparso nel 2011
Interessante e inevitabile è notare come Laszlo sarà anche il direttore della fotografia per Rambo, dando un punto di vista unico e consistente su alcuni aspetti della guerra, dalla meschinità al fango, alla paura e al senso di essere braccati. Ad aiutare il racconto per immagini intervenì anche una difficoltà logistica enorme, con la troupe ostaggio della palude davanti e dietro l’obiettivo, con pochissimi mezzi e ancora meno tempo per provare. Gli attori, tra i quali ritroviamo Carradine in doppietta dopo I cavalieri delle lunghe ombre, dovettero affrontare un set pericoloso e una logistica massacrante, praticamente senza prove e senza alcun addestramento specifico. Condizioni di lavoro e sicurezza oggi impensabili per un film degli studios, che però conferiscono un senso di reale fastidio e fatica alle immagini.
Southern Comfort potrebbe essere il film più impegnativo che ho fatto. Per sistemare la cinepresa nella palude costruimmo una piattaforma galleggiante molto instabile che ci dava quindici-venti minuti di tempo per girare, cercando di fare al massimo un paio di ciak alla volta. Fu veramente, veramente, dura. (…) Dovevamo guidare all’infinito per raggiungere il set e non riuscivi a credere che saresti riuscito ad andartene. Quando finiva la giornata pensavi: “Gesù, grazie a Dio sosopravvissuto”e tutti si fiondavano al bar. (…)Per tutte le ripese c’era qusta specie di euforia, probabilmente per farsi forza a vicenda, perché non potevamo credere a quanto fosse orribile la situazione.
Walter Hill a Fangoria nel 2013
Il film all’uscita qualitativamente premia la fatica profusa ma il botteghino non va bene. Non va malissimo ma non diventa un cult come I guerrieri della notte. Probabilmente i tempi ancora non del tutto maturi per del materiale che può ricordare il Vietnam, cosa che avverrà invece con Rambo, forse troppo audace nel suo mescolare i generi, forse troppo crudo in alcuni momenti, fatto sta che non spopolò. Leggendo i commenti dell’epoca emerge abbastanza chiaramente lo spiazzamento di critica e pubblico davanti al risultato: un film molto serio nelle sue tematiche veniva percepito come un semplice slasher, una copia di Un tranquillo weekend di paura oppure come una metafora sul Vietnam usata in maniera triviale per un horror da drive-in. Se guardate il trailer originale il film viene presentato cercando di giustificarne l’esistenza comparandolo ad altri film di maggiore successo: Un tranquillo weekend di paura, Fuga di mezzanotte e Apocalypse now, quest’ultimo come pietra tombale per il desiderio di Hill a non farlo intendere come un ammiccamento alla guerra del Vietnam. Apprezzamento unanime ricevettero però le musiche del grande Ry Cooder, con temi cajun e di swamp blues tradizionali o reintepretati magistralmente.
La Fox non sapeva che farci con il film, provarono anche a venderlo ammiccando a Un tranquillo weekend di paura, una cosa terribile. (…) comunque non fai un film del genere perché pensi che incasserà una fortuna, lo fai per altre ragioni. Ed è molto gratificante che trent’anni dopo la gente voglia ancora guardarlo e vederci cose!
Walter Hill sul destino del film
Non c’è comunque mai pentimento in Hill quando oggi ricorda Southern Comfort, ben conoscio della qualità del suo lavoro sa anche che è stato il canovaccio da cui ha sviluppato Alien e I guerrieri della notte, due capolavori, ma sa anche che come tanti oddball movie sbucherà periodicamente nel dibattito per dire la sua. Questo film problematico, dal successo contenuto a dispetto della sua qualità, sarà poi soltanto una breve parentesi di magra per Hill che dal film successivo, 48 ore, l’anno seguente tornerà al grande successo (quasi) inventando uno dei generi per i quali siamo qui a scrivervi: Il Buddy Cop Movie.
DVD-Quote suggerita:
“L’ultimo film di Hill con le preposizioni articolate è un underdog, sì, ma di razza”
Darth Von Trier, i400calci.com
Voto fortemente SÌ alla rassegna southern di Darth.
Voglio recuperarlo, l’ho sempre sentito citare in lungo e in largo, ma per una cazzata o per l’altra, ho sempre procrastinato. Urge un recupero!
Grande Darth, ci manchi tantissimo, torna! Questo film aveva bisogno di un pezzo del genere.
Non sono molto d’accordo sulla rappresentazione dei cajoun: è vero che sono delle vittime invase dagli yankee, e che fanno quello che è giusto, ma mi pare che il film li dipinga come degli psicopatici assassini dei boschi, come i cannibali di Bone Tomahawk, come dei Predator, dei mostri disumani.
Cmq è il mio preferito di HIll, ma forse perché adoro le atmosfere paludose del sud. Chi gioca a Hunt: Showdown mi può capire.
Magari a Hunt Showdown ti ho fatto il culo.
Naaaa…E’ più probabile il contrario.
XD!!
D’accordo sui bifolchi/mostri.
Solo Brion James mostra qualche segno d’umanità (il che la dice lunga).
Ciao, grazie dell’affetto.
Cercherò di essere più presente, di sicuro apparirò ancora in questa rassegna.
Riguardo ai cajun forse mi sono espresso male. Dico quello che dico riferendomi agli scorci di vita normale, alle persone non coinvolte nella caccia, agli ambienti, ai luoghi etc. che lo stesso Hill riporta (nella stessa intervista a Fangoria di cui cito altri passi) essere stati apprezzati in primis dalla comunità locale, che ha anche partecipato come attori e figuranti e ha apprezzato il risultato finale del film poi.
Chiaramente la compagine assetata di sangue del film funge da un flagello biblico, una forza della natura, un’incarnazione ferina della natura ostile del luogo che si vendica ed è in quello che c’è il lato più southsploitation.
Spero di aver chiarito meglio, forse farò una modifica con la citazione del passo di cui sopra.
Be’…Io sarò anche un “reazionario”, epiteto che viene ripetuto più volte nel corso del film, spesso all’indirizzo di Keith Carradine, ma anche quelli del villaggio sapevano di gente dimmerda, frutto di incesti millenari…
Il sospetto che fossero in combutta con la “compagine” è espresso a chiare lettere nell’immagine (che ho ancora sulla retina) del porco urlante sbudellato.
Se non ricordo male però (non lo vedo da almeno sette o otto anni) il finale si svolge in un villaggio in festa (mardi gras?) nel quale i superstiti non incontrano alcuna ostilità da parte degli abitanti e lo scontro prosegue solo con i folli psicopatici che li hanno inseguiti per tutta la palude. La situazione di festa -grottesca, rustica, vernacolare, godereccia: in una parola, autentica- è il ricordo privilegiato che ho dei cajun in questo film, ma devo ammettere però che avevo già una conoscenza di massima di quel popolo perché in passato un’amica me ne aveva fatto scoprire la musica e ne ero rimasto affascinato. Intendo dire che, forse, per gli americani (quanto meno ancora quelli degli anni ’80) i cajun vengono percepiti come quella roba lì mentre i “cattivi” sono più descritti come un’appendice della palude che si intreccia con un’appendice della gente cajun. Forse per questo i veri cajun non sono rimasti offesi dal film, perché si sono riconosciuti fra la gente in festa e non negli assassini psicopatici.
E comunque: https://youtu.be/pr_HcNzNBXg?si=2HcRbq1wr-wQlkan
Quando leggo le rece di Darth ho un pò paura. Perchè sono belle “in se”. Impari anche “cose” se non le sai già. Al di la del film recensito. A me le rece piacciono così ( beh, non SOLO così).
Ho paura perchè il film potrebbe essere peggiore della recensione stessa. Ma adesso lo devo vedere e farmi la mia opinione. :)
Grazie per la stima.
Prova a vederla così: un film al di là della sua riuscita come intrattenimento (oggettiva o per gusto personale che sia) può essere una bella esperienza per tutte le cose, i mondi, i ragionamenti, le storie dietro le quinte, a cui ti porta. Quello che cerco di fare nelle mie recensioni è cercare di raccontare più possibile questo aspetto dei film, anche se sono imperfetti, spesso a scapito della recensione in dettaglio della trama o delle prove attoriali, perché trovo sia il modo in cui anche i film che non ci piacciano come entertainment possano comunque piacerci come veicolo di altre cose.
Al di là della mia recensione, se un film ti fa venire una minima curiosità su un tema, sull’autore, corri a leggerne. Poi se il film non ti sarà piaciuto avrai scoperto probabilmente qualcosa che ti interesserà e magari ti poerterà a un altro film, totalmente diverso.
“Una conoscenza in comune proveniente dal giro del porno losangelino”.
Sonni Lanhdam?
Compare nel film, magari neanche accreditato, tra i bifolchi assetati di sangue.
In proposito al controverso finale, mi piacerebbe conoscere opinioni e interpretazioni di TUTTI, compreso Nanni.
Non credo: Landham aveva un passato nel porno ed era uno degli stuntman del film a cui fecero fare anche i Cajun, ma se avesse avuto quel tipo di influenza si sarebbe potuto ritagliare una parte più grossa.
“I guerrieri della palude silenziosa ” fa accapponare i capelli ( come diceva il comico). Ecco un titolo italiano di merda.
P.S. Mi sono ritagliato sto ruolo di “commentatore fantasma”. Oh, se giova al sito a me va bene :) non sono un presenzialista, checchè voi ne pensiate. :)
Ottimo articolo riguardante un altrettanto ottimo film, ammetto però che via via che leggevo mi aspettavo qualche riga su quel finale strepitoso tra psichedelia e disagio, come se Tobe Hooper fosse spuntato da dietro una pianta e di nascosto si fosse impossessato della cinepresa correndo nudo e urlante verso il villaggio e portandosi tutti dietro.
“per raccontare in maniera estremamente stilizzata delle storie fuori dal tempo che, se non addirittura ambientate nel passato, sono comunque storie eterne. Come il western, sì, ma come anche la mitologia greca, la Bibbia, il Gilgamesh o Moby Dick.”
… cough cough Cormac McCarthy…
ehi ma questo è un grandissimo film! mette una discreta ansietta in certi punti…
Questa rassegna su Hill, di cui non conoscevo granchè, mi sta piacendo un botto.
Grazie della rece, sto film sembra proprio una figata, a parte l’illeggibile titolo italiano.
Una proposta buttata là, tanto per ricordare come, in un certo cinema, ci sia anche l’influsso nostrano. Ma fare prima o poi una rassegna “Le Basi” dedicata a Sergio Leone?
C’è una concertazione di una dozzina di persone, quindi rispondo unicamente per me.
A mio avviso, come prima di Hill avrei fatto Don Siegel, prima di Leone farei altri autori italiani.
Sia per una questione di importanza cronologica sia perché di Leone c’è già molto ottimo materiale in italiano, cartaceo e sul web, da decenni.
Don Siegel, eh?
Hai il mio supporto.
(Ma quanto cazzo sei vecchio?)
su Don Siegel hai anche il mio voto.
Autori italiani tipo? Bava? Corbucci?
Bava sicuramente sarebbe nella mia lista.
Impossibile darti torto. O Darth torto.
(scusate non ho resistito)
Però magari una volta la lista pubblicala, a questo punto sono curiosissimo.
Se fate Siegel dovete fare per forza anche Peckinpah, anzi, sarebbe anche più facile dato che ha fatto molti meno film
Le basi su Sergio Leone le volevo proporre anche io!
Ecco, però devo dire di essere in disaccordo su una cosa: tanto ottimo materiale in italiano? Ma dove? Perché avevo idea che la situazione fosse l’opposto, su Leone
In attesa della rassegna vera e propria, una bella lista southsplotation a beneficio del pubblico?
No, perché non esistendo ancora fuori dalla mia testa questa categoria, sarebbero solo dei film accomunati da una vaga appartenenza geografica e non avrebbe senso mettermi a elaborare una lunghissima e faticosa cernita/lista senza contestualizzarla, di titolo in titolo, sul perché quel film avrebbe un posto in questa narrativa e come in caso lo avrebbe.
Darth, consideri “Lone Star” di Sayles un film Southsplotation?
Non lo rivedo da molti anni ma a memoria direi di no… È un drammatico/thriller normale, ambientato in un Texas plausibile dove vengono commessi crimini razziali ahimè plausibili.
Ci sarebbe il south ma manca la exploitation, insomma
Delitto in porta romana. Nebbia, giargiana ed è a sud di Milano.
Sarò tacciato di lesa maestà, ma a me queste basi piacciono cento volte più di quelle dedicate a Stallone, o alle tante incursioni di Schwarzenegger a queste latitudini. Ovvio che li adori come ogni bianco ariano eterosessuale cresciuto negli anni 80, però
1-per 3-4 titoli di livello, ci siamo dovuti sorbire tonnellate di merda. Perchè io a quei 2 ci voglio bene lo stesso, ma questo non cancella che i vari Cobra, Codice Magnum o Last Action Hero siano boni per l’ammazzatora
2-hanno contribuito ad insozzarci di una cultura “ammmerrigana” che 30 anni fa faceva figo, ora che ho i capelli bianchi capisco i danni che ha provocato
Hill, Mann, Carpenter (di cui mi aspetto le Basi entro un paio di mesi) hanno invece sfornato film di valore assoluto, anzi si può dire che per interi decenni non ne hanno sbagliato uno, senza cercare riempitivi. Storie di reietti, di eroi loro malgrado, di gente burbera o di poche parole, film pessimisti, non ci ho mai visto troppa critica sociale, nessuno di loro è Ken Loach, ma di certo non ti facevano sognare la way of life USA
Questa recensione è un tuffo al cuore, negli anni ’80 i film di Hill o Carpenter ti piacevano senza capire bene il perchè. Negli anni 90 magari ti concentravi sulla violenza o gli sbudellamenti. Ora capisci di aver visto qualcosa di artisticamente superbo, e quanto una buona fetta del cinema che oggi guardo sia debitore di certi autori
48 ore sarà il redde rationem, spero in un lavoro monumentale come questo
Le Basi di Carpenter le stiamo reclamando da anni, ma giustamente i regaz dei 400 centellinano :)))
Quanto hai ragione!
Me l’hai venduto già a metà recensione, ora devo trovarlo senza ricorrere al mulo o affini, idee?
Amazon!
Xhamster-> Mist bondage
Esce la settimana prossima in BR per la Quadrifoglio. Al momento in giro si trova solo un’edizione limitata che costa una fucilata – parlo per l’edizione italiana, ovviamente. Sennò ci sono quelle inglesi e americane che te le tirano dietro.
bello il concetto della southsploitation, davvero. È una tua particolare interpretazione della Hicksploitation? (an exploitation film subgenre based on stereotypes of the people and culture of the Southern United States). O parliamo della stessa cosa?
p.s. non sono un uomo di cultura, ho solo letto la pagina di wikipedia che hai linkato.
Ne è un ampliamento, diciamo, perché comprende non solo i redneck e gli hillbilly (o i cajun, in questo caso) ma tutta la grande generalizzazione geografica della “Nowhereland” dove è implicitamente “il sud” tutto: dagli Appalachi al Nuovo Messico, dall’Arizona al Kentucky etc. Diciamo che uso South in senso generale come exploitation dei luoghi fuori dalle grandi aree urbane, così come spesso nei film dalla Louisiana al South Carolina è narrativamente tutto “Swampland ” via via per 5-6 stati enormi.
Anche per tarare meglio questo concetto non vorrei buttarlo in una lista fine a sé stessa ma ragionarlo meglio e con una filmografia ponderata.
Mi sento di citare un titolo recentissimo: https://www.i400calci.com/2023/07/un-film-dai-titoli-color-fuxia-candy-land/ (e credo quasi tutta la filmografia del regista)
Chiarissimo.
Visto ieri sera, filmone allucinante e recensione spaziale. Non ho capito molto bene il finale
#SPOILER
il rallenty che senso ha? vorrebbe essere evocativo sticazzi appunto della guerra in vietnam? della guerra in generale? mi ha lasciato un po’ perplesso
Grazie Darth, bellissima recensione (e voto assolutamente SI alla rassegna Southsploitation)!
Aggiungo my 2 cents sulla questione della National Guard e della sua rappresentazione, che mi ha incuriosito molto: è vero, come dici tu, che veniva utilizzata come exit strategy per evitare la leva (e quindi la guerra in Vietnam), ma è anche vero che la NG fu mandata a sedare i riot nei ghetti neri da Watts in poi, diventando il simbolo della repressione contro i movimenti di protesta per tutti gli anni Sessanta e Settanta. Aggiungo poi che uno degli slogan del Black Power e della New Left era quello di “portare il Vietnam in casa”. Molti arruolati nella NG si trovarono così ad affrontare una situazione che mai si sarebbero immaginati, con intere città americane messe a ferro e fuoco e l’ordine di sparare a vista contro i manifestanti (non era certo il Vietnam, ma nemmeno il servizio civile nella parrocchia, ecco).
Per molto tempo i metodi della NG furono descritti come proto-fascisti dai militanti di sinistra (con una buona dose di ragione), e l’intero corpo fu assimilato a una milizia di suprematisti esaltati. Questo immaginario fece breccia anche nel discorso pubblico, e sappiamo che Hollywood in quel periodo assorbiva e rielaborava volentieri questo tipo di suggestioni. Il fatto che la NG venisse rappresentata in maniera così derisoria e grottesca imho è anche legato al ruolo estremamente negativo avuto nella repressione dei movimenti e delle minoranze, e al fatto che erano sì persone meno ‘abili’ nell’uso delle armi rispetto a un soldato, ma erano anche persone che avevano premuto il grilletto contro i propri concittadini. In un certo senso avevano “scelto” quel ruolo, una scelta che diventava quindi meno giustificabile di quella fatta da un soldato di leva costretto a partire per il Vietnam.
Tutto vero, infatti all’inizio del film Carradine e un altro soldato si vantano di aver sedato delle rivolte studentesche a suon di lacrimogeni.
Grazie per la stima e per l’ampliamento del ragionamento sulla NG.
Sono convinto che parte del biasimo presso l’opinione pubblica dipendesse anche da queste dinamiche che giustamente riporti che andava ad aggiungersi al più vecchio e generale biasimo per la natura in sé del corpo e dei suoi membri tipo. Non lo ho riportato per non allungare ulteriormente un pezzo già molto lungo, quindi grazie per aver aggiunto qui questa parte al discorso.
A presto!
quale sarebbe la deriva incel di Salgari, Howard, Lovecraft e Milius che invece Walter Hill elude ante litteram?
Credo che questi autori semplicemente credevano genuinamente negli eroi machi che avevano creato. La nozione di un “uomo superiore” contrapposto a tanti piagnoni è tipica dell’immaginario incel, se ho ben compreso il fenomeno
Walter Hill invece, se ho ben compreso l’artico di Darth Von Trier, agli eroi machi non crede, come Alan Moore e Garth Ennis
Anzi, al pari di Ennis, li prende e li mette in ridicolo