Stati Uniti, anni 30. Gli anni della Depressione.
Maggie, il marito Seven e la figlia Eve fanno parte del piccolo circo locale.
Il loro spettacolo mette al centro Eve, che canta con voce angelica (e al di là di quello praticamente non parla) ma non entusiasma esattamente il pubblico, maggiormente preso da freaks e atti più macabri.
A parte quello campano di espedienti, spesso conditi dagli schizzi di violenza di Maggie mentre Seven, medico gravemente traumatizzato da esperienze di guerra, non regge più la vista del sangue.
Questo finché Eve non scopre il satanico segreto dietro al successo della star del circo, Mr. Tibbs.
Where the Devil Roams può essere sintetizzato come l’unione fra temi classici di Guillermo Del Toro (il gusto del macabro in salsa vintage, i freaks, il circo) e Rob Zombie (la famiglia omicida, il rock’n’roll), ma sarebbe riduttivo vista la cura e la ricerca con cui diversi aspetti in scena vengono affrontati, e le diverse influenze fuori da quello. È un oggettino distintivo che mette dentro anche un suo particolare senso di romanticismo e di umorismo, dialoghi conditi di poesia, il bianco e nero che si alterna e si fonde con il colore in modo a volte quasi impercettibile, una colonna sonora garage rock anacronistica ma tonalmente perfetta, e una narrativa gestita con una certa qualità eterea.
È il classico film che, se ti lasci prendere, ti risucchia dentro al suo mondo, e in cui anche gli aspetti meno raffinati compongono comunque il puzzle di una poetica distintiva e di una delle voci più interessanti nell’horror di oggi.
È, ad oggi, il film più ambizioso ma anche il più consistente, riuscito e perfino esaltante nella filmografia della famiglia Adams, dopo le attenzioni ricevute da The Deeper You Dig e Hellbender (di cui vi abbiamo parlato).
Il fatto che girino tutto tra di loro, occupandosi letteralmente di tutto in quattro (John Adams, Toby Poser e le figlie Lulu e Zelda a seconda della disponibilità), con budget ridicolo, location e l’aiuto di parenti, amici e vicini, non è più un’intro che vi prepara alla visione ma un asterisco con nota a pié pagina che giustifica l’occasionale passaggio ingenuo/acerbo ma dà a tutto il sapore di semi-miracolo, considerando quanta gente con set-up largamente più professionale tiri regolarmente fuori roba con molta meno personalità e persino cognizione del mezzo.
Ma siamo qua perché ho avuto modo di parlarne direttamente con John, Toby e Lulu durante il Frightfest, per capire come diavolo (pun intended?) fanno.
A voi l’intervista:
Normalmente, quando mi raccontano che c’è una famiglia che gira horror casalinghi a budget amatoriale e pochissime persone ad aiutarli, mi immagino il tipo di film per cui serva andare al di là della superficie per cogliere il talento, o almeno una visione interessante, oltre una confezione grezza e approssimativa. Non è assolutamente il vostro caso. Non ho visto i vostri primi esperimenti ma, almeno da The Deeper You Dig in poi, è chiaro che curate molto anche l’aspetto tecnico, che sapete quello che state facendo e che vi viene molto meglio di tanta altra gente con mezzi ben superiori. Qual è il vostro background?
TOBY: Nel 2010 vivevamo in California, ci eravamo spostati da New York, la mia carriera di attrice era praticamente morta e stavo per compiere 40 anni. John è sempre stato un artista, e stava facendo questo rock’n’roll reality show in cui si divertiva molto a stare sul set. E così abbiamo deciso di fare un film. La nostra esperienza consisteva soltanto nell’essere stati su un set. Le bambine avevano 6 e 11 anni, ed erano interessate a recitare. E così abbiamo fatto il nostro primo film e abbiamo adorato l’esperienza. C’era qualcosa di bello nell’avere un po’ di ignoranza, perché non c’era niente e nessuno a bloccarci. E ora abbiamo fatto, credo, nove film. Tutto lì, questa è il nostro background.
Fantastico. È evidente comunque che non vi accontentate di puntare la cinepresa e via, come farebbero tanti esordienti con pochi mezzi, ma che prestate molta attenzione a fotografia, montaggio, ecc… Come organizzate le riprese? Quanto tempo vi concedete per ottenere il risultato che cercate?
JOHN: Siamo fortunati perché siamo solo in quattro, e quindi ci mettiamo tutto il tempo che vogliamo. Se non ci piace qualcosa lo rifacciamo, e lo rifacciamo ancora, e ancora, ecc… Possiamo perché siamo solo in quattro e non dobbiamo rendere conto a nessuno. E in più giriamo sempre dove abitiamo. Per cui possiamo girare una scena, e poi tornare a casa e guardarla velocemente, montarla e decidere, “questo suona male”, “qua abbiamo sbagliato”, “la luce non è un gran ché”… Quello che tutti i soldi del mondo non possono comprare è il fatto di avere il tempo di fare tutto esattamente come vuoi, invece che dover dire “buona la prima” indipendente da com’è venuta. Non abbiamo i soldi per fare dei piani, e ci sentiamo molto fortunati per questo.
Come progettate un film? Cercate di partire dai limiti di budget e location, o vi lasciate liberamente cogliere dall’ispirazione e poi cercate di adattarla ai vostri mezzi?
TOBY: Di solito ci facciamo venire diverse idee, e poi cerchiamo di capire quale ci emoziona di più ed è allo stesso tempo appropriata per dove siamo e quanti soldi abbiamo in tasca, e poi partiamo. Per Where the Devil Roams ad esempio Zelda ha avuto un incubo, ce l’ha raccontato, e ci ha intrigati parecchio. Sapevamo di avere un’auto del ’31 perché è del padre di John, e tutti gli edifici dove viviamo ora a nord di New York sono molto vecchi. Avevamo quello e ci siamo detti “ok, ce la possiamo fare”, e quindi abbiamo cominciato a raccogliere con calma abiti di seconda mano ai negozi di usato e così via.
Nei vostri film accreditate sempre tutta la famiglia per regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio, ecc… Come vi dividete i compiti?
JOHN: Abbiamo iniziato insieme: Lulu aveva 10 anni, Zelda 5, io, uhm… qualcosa, Toby qualcosa. Abbiamo tutti la stessa esperienza, la stessa conoscenza, e ad oggi anche lo stesso rispetto per le nostre reciproche opinioni riguardo a ciò che vogliamo. E alla fine non è questione di chi ha ragione, ma di cosa è giusto per il film, di cosa funziona. È diventato molto divertente lavorare insieme perché ognuno ha opinioni diverse: io di solito voglio più violenza, Toby vuole qualcosa di più ponderato, Lulu ha la sua opinione su come i personaggi dovrebbero parlare, ecc… Ed è meglio non litigare mentre giriamo. Abbiamo il vantaggio di fare tutto in digitale per cui puoi girare, e rigirare, e rigirare all’infinito. Non costa soldi, costa solo tempo. Poi guardiamo quello che abbiamo e scegliamo quello che funziona meglio.
TOBY: Usiamo quasi sempre luce naturale per cui siamo anche molto leggeri come attrezzature.
Il risultato è ottimo, si vede che prestate attenzione a tutto, anche alle luci.
JOHN: Amiamo l’arte del cinema. Non siamo andati a scuola di cinema, ma questo non significa ovviamente che non amiamo guardare film di altra gente e poi discuterne tra di noi. Guardiamo altri film e facciamo caso all’atmosfera, al modo di recitare, all’aspetto visivo e al suono.
TOBY: In ogni film abbiamo tentato di fare qualcosa di diverso. Ad esempio, Zelda era dell’idea che ci serviva più movimento, per cui abbiamo preso una Ronin e un drone, che aiutano molto. E poi abbiamo questa grande persona che ci aiuta, che chiamiamo il quinto membro della famiglia, che è Trey Lindsay che si occupa degli effetti speciali. Il suo contributo è notevole, e gli dobbiamo davvero molto.
JOHN: E anche lui sta crescendo molto come artista. Abbiamo già fatto tre film insieme. Ovviamente poi ci accorgiamo anche di quando sbagliamo qualcosa, e cerchiamo di aggiustarla nel film successivo. Trey legge tutte le recensioni, e a volte ci bastonano, per cui la volta dopo cerchiamo di fare meglio.
Nei tre film che ho visto finora ciò che viene fuori è che tutti quanti riguardano la famiglia. Tutti riguardano, mettiamola così, un amore poco convenzionale, o un modo poco convenzionale di dimostrare amore nella vostra famiglia. È intenzionale? Nel senso: viene fuori in modo naturale per via del modo in cui lavorate, o è proprio ogni volta il punto di partenza?
JOHN: È decisamente intenzionale perché facciamo film come una famiglia, e siamo una famiglia molto unita. E penso ci venga facile fare film su ciò che conosciamo. E sì, è anche ciò di cui vogliamo parlare. Il bello dell’horror è che è un genere che ti permette di parlare di cose vere e di cose dolorose, ma di ricoprirle di sangue e appunto di orrore, e ciò le rende più facili da affrontare. Per cui sì, ogni film è una specie di documentario su dove siamo in quel momento, come modo di vedere le cose. Quest’ultimo ad esempio parla di come i figli crescono e diventano individui con i loro propri talenti, e nel farlo ci lasciano indietro: noi invecchiamo, e adesso è il loro momento. Lulu è stata la prima a “dividere” la famiglia andando al college, ed è stato doloroso. Abbiamo dovuto affrontare questa situazione per cui eravamo abituati a essere in quattro e improvvisamente eravamo in tre: nel film c’è una scena metaforica al riguardo. E ora tocca a Zelda, che sta scoprendo il suo talento ed entrando nel proprio mondo: il film parla di questo.
Un’altra cosa che viene sempre fuori nei vostri film è la religione, sia quella cattolica che quella pagana. E si vede che avete fatto delle ricerche serie a riguardo. Mi chiedevo se sono state ricerche specifiche per il film o se è un po’ una delle vostre passioni?
TOBY: Beh, John si è specializzato in religioni comparate al college. Ha voluto mettere lui quella scena sugli gnostici nel film.
JOHN: È stata molto divertente da girare.
TOBY: Certe cose le ho imparate vivendo con lui. Ma tutti i nostri film hanno una loro mitologia. In quest’ultimo ci siamo divertiti a creare una storia sul diavolo e abbiamo preso ispirazione da diverse storie sugli angeli caduti, ma volevamo renderle nostre. Ci piace parlare di religione, ma di solito è questione di “come possiamo distorcerla e rigirarla in modo interessante?”. La religione è piena di belle storie. La Bibbia ha delle belle storie. In questo caso è stato divertente immaginare il diavolo come più, diciamo, “verosimile” di Dio. Gli anni della depressione erano un bel periodo per parlare di questa gente che era come ignorata, non vista da Dio: il diavolo ha più cose in comune con loro. Il motivo per cui abbiamo usato Abaddon nello specifico è perché abbiamo scoperto che in ebraico significa “l’abisso”, o “l’oscurità”, che ho trovato molto intrigante.
JOHN: Toby fa sempre parecchie ricerche per ognuno dei nostri film, spende un sacco di tempo fra miti sul diavolo e miti sulle streghe, miti cristiani o ebraici… Adora farlo.
LULU: E ha scritto lei il poema all’inizio del film.
È molto bello. Guardavo appunto il film e pensavo: sanno dirigere, sanno recitare, sanno scrivere, montare, fotografare, persino suonare… se sanno anche scrivere poemi è finita…
JOHN: Volevamo fare qualcosa tipo Frankenstein. Avevamo appena visto Frankenstein – diverse volte – e ci piaceva parecchio. Ma Frankenstein è una metafora sulla scienza, e questo non era un argomento che ci interessava particolarmente. Per cui abbiamo pensato: come possiamo fare Frankenstein senza la scienza? E l’unico modo con cui eravamo a nostro agio era farlo usando la magia nera. Per cui Toby ha iniziato a fare ricerche, a imparare come viene narrato l’atto di riportare la gente in vita nei vari miti della storia… È stato divertente guardarla.
TOBY: Hai presente quando si dice di imparare le regole così puoi romperle? Penso ci piaccia fare quello. Ci piace pensare a cosa viene fatto normalmente, tipo, “com’è quella storia nella Bibbia? E ora rompiamola”.
C’è chiaramente molta ricerca dettagliata anche sul paganesimo e sulla stregoneria.
JOHN: Ci scrivono vere streghe di continuo ed è fantastico. È un bel complimento, perché effettivamente ci teniamo. Ed è tutta roba molto interessante.
TOBY: In Hellbender in particolare è una questione di potere. Le streghe sono creature potenti. Sono nel corpo di donne, ma stanno parecchio sopra nella catena alimentare. Qualcuno ieri ci ha chiesto se Hellbender è folk horror, e sinceramente non ci avevo pensato. Ma mentre spiegava ragionavo sulle parole, “folk” significa “persone”, anche in tedesco, per cui mi verrebbe da dire che sì, è interessante in questo senso, perché è un film su un certo tipo di persone e ci sono solo persone, è qualcosa di molto modesto e umile.
Si può anche dire che le donne in particolare sono al centro dei vostri film.
JOHN: 100%. È per questo che loro fanno le assassine e io faccio quello che ha paura del sangue…
LULU: John di solito è quello che viene fregato…
JOHN: Tutti noi abbiamo visto donne essere sessualizzate e vittimizzate per almeno 60 anni di cinema, specie nell’horror. Sai com’è di solito: prendi una donna sexy, spogliala, ammazzala. Penso sia divertente mettere le donne in ruoli diversi. Ad esempio, all’inizio di Hellbender c’è un gruppo di donne che stanno impiccando un’altra donna. Non ci sono uomini in vista. Ed è importante perché è onesto.
C’è una cosa a cui hai accennato al Q&A dopo la proiezione del film, ovvero al fatto che ambientare il film nel passato ti permette di parlare del presente in modo più libero. Ci sono temi del presente che ti stanno particolarmente a cuore?
JOHN: Direi di sì. In questo momento l’America è un posto parecchio selvaggio. Assomiglia molto agli anni ’30 per quanto riguarda il classismo: ci sono quelli molto ricchi che vivono nella loro bolla lassù in alto, e più giù c’è un sacco di gente molto povera e arrabbiata. Ed è pericoloso. All’epoca c’era stata la Prima Guerra Mondiale, poi c’è stata una piccola pausa – il periodo della Depressione – e poi dritti nella Seconda Guerra Mondiale. Non ci sono guerre adesso in America, ma se vai a Portland, a San Francisco, a Los Angeles o a New York, è tutto pieno di accampamenti di senza tetto, proprio come negli anni ’30 della Depressione. E penso che questo sia qualcosa di cui vogliamo parlare. Ed è più facile farlo in bianco e nero e ambientarlo in un’altra epoca, così la gente può guardare col giusto distacco ed empatizzare. Se avessimo una famiglia moderna che va in giro ad ammazzare gente, non penso che la gente capirebbe. Si perderebbe un certo romanticismo. Direbbero “sono i cattivi”.
Questo è il vostro film più ambizioso, appunto per via dell’ambientazione nel passato e di un cast più largo. Qual è stata la sfida più grande?
LULU: Sinceramente l’abbiamo trovato complesso quanto gli altri. All’inizio eravamo un po’ spaventati all’idea di fare qualcosa che sembrasse vecchio e un po’ più artistico. Mi ha ricordato un po’ di quando ho visto The Artist, che era un film moderno ma in bianco e nero e mi ci era voluto un po’ per abituarmici. Questo ci spaventava un po’. Zelda spingeva addirittura per farlo tutto in bianco e nero, e aveva assolutamente ragione. Ma alla fine è stato molto divertente perché avevamo tutta questa gente ad aiutarci: amici, cugini, mamme e papà e bambini del vicinato o dalla scuola locale, anziani… E siamo riusciti a fare questo set sgangherato. Una volta passato il nervosismo al pensiero di doverlo fare bello perché doveva in realtà effettivamente sembrare raffazzonato ed economico, è andato tutto bene perché si adattava perfettamente al nostro budget, e anche all’estetica che avevamo in mente. Non l’avremmo mai potuto fare perfetto, non abbiamo licenza da falegnami o niente del genere. Per cui inchiodavamo cose insieme, e lasciavamo che durante la notte diventassero fangose e congelate. E abbiamo legato molto tra di noi. Sono stati giorni invernali molto freddi ed eravamo continuamente fuori a inchiodare assi, magari facendo a turni con i guanti perché qualcuno li aveva persi.
JOHN: Penso che un’altra cosa bella dell’essere una produzione minuscola e non avere una scaletta è che non dovevamo avere set giganteschi e complicati. Costruivamo letteralmente un piccolo pezzo, poi lo smontavamo e lo rimontavamo da un’altra parte, in modo diverso, e lo filmavamo di nuovo. Gli stessi pezzi di legno, ma sistemati in modo diverso. Avevamo tempo, e nessuno che ci correva dietro. Costruivamo nei campi dietro casa, e i vicini passavano e ci chiedevano “come possiamo aiutarvi?”, oppure “ma che state facendo? È terribile”. Noi eravamo conciati da senzatetto e dovevamo spiegare che era tutto voluto…
Una domanda sulla musica. Mi piace molto come l’avete usata in questo film, in modo anacronistico ma che rispecchia perfettamente il tono. Apprezzo sempre quando musica e cinema si fondono, per cui ho particolarmente amato anche il momento “videoclip”. Al Q&A avete citato i Pigs Pigs Pigs Pigs Pigs Pigs Pigs. A chi altri vi ispirate, musicalmente?
LULU: un misto di vecchio e nuovo, direi. Ci piace molto Courtney Barnett, e Billie Eilish per le vibrazioni creepy: entrambe per via del fatto che sono molto dirette e hanno un’attitudine rock, “non me ne frega un cazzo, questo è quello che ho da dire e puoi ascoltare o no”. E poi tutte le vecchie band con cui ci hanno cresciute.
JOHN: io vengo dal punk hardcore, tipo gli Exploited o i Black Flag. Le ragazze ascoltano spesso Courtney Barnett o Lana Del Rey, e tutte queste cantautrici, e io ho sempre voluto cercare di prendere la musica che amavo, quel tipo di punk, e aggiungere l’elemento pop etereo femminile. E penso che in questo film funzioni per davvero per la prima volta. È stato molto divertente creare questa colonna sonora.
Dopo The Deeper You Dig e Hellbender immagino ci sia più attenzione nei vostri confronti, e magari anche risorse sempre maggiori?
LULU: La gente si fida di noi. Penso che si stia formando una community fedele e piena d’affetto, interessata alle prossime cose che faremo. Spesso è sempre la stessa gente che gira i festival, e che cerca questo senso di community, ed è molto facile legare con loro perché non devi per forza assomigliarci. Non ti deve piacere, che ne so, lo stesso tipo di umorismo: l’horror è molto ampio. Ma devi essere strano. Non importa il tipo di stranezza: basta che sei strano, e puoi entrare. Dopo The Deeper You Dig abbiamo sentito parecchio affetto, abbiamo capito che c’era una grande community e questo ci ha incoraggiato ad andare avanti. E questa gente continua a tornare e a chiederci “qual è il vostro prossimo progetto?”, ed è bello sentire cosa vorrebbero vedere, o cosa pensano che a noi verrebbe bene.
Ricevete anche offerte per progetti più tradizionali? Tipo un budget per girare qualcosa in modo più classico?
JOHN: Shudder ci ha ingaggiati per fare un film. Lulu ha scritto la sceneggiatura, l’abbiamo diretto e interpretato e siamo andati a girarlo in Serbia. Per cui la risposta è sì. Mettiamola così: a noi piace stare insieme, per cui vorremo sempre continuare a fare i nostri piccoli film. Ma è molto bello quando qualcuno come Shudder arriva e ci chiede se vogliamo fare un film con loro. È stata una bella esperienza. Si chiamerà Hellhole, ed è un film di mostri.
TOBY: Più sci-fi rispetto a quello che facciamo di solito, direi. Qualcuno lo vedrà come un film di mostri, ma altri sicuramente lo vedranno come una storia sull’autonomia del corpo femminile, e sull’ambiente. E sulla scienza.
JOHN: È stato molto divertente girarlo in Serbia, abbiamo vissuto là per tre mesi. È buffo perché è qualcosa che da soli non potevamo fare. Ci hanno chiesto “C’è qualcosa in particolare che vi piacerebbe fare?” e noi “Certo, vogliamo fare un film di mostri”. E per loro era ok. E allora l’abbiamo scritto e l’abbiamo fatto.
TOBY: Ma abbiamo anche finito di girare un film a modo nostro per due settimane. Di nuovo nella zona in cui viviamo, nel nostro bosco, e un cast di 7/8 persone. Avevamo Lulu e Zelda per due settimane e ci siamo detti “giriamo un film”. Si chiama Fairy. E uscirà anche quello.
E ora la palla va, come al solito, a qualcuno che porti la loro roba in Italia…
(grazie mille a Madame Cobretti e a Cristina Resa per il sostegno)
Non sono riuscito a recuperare i loro film ma mi piace molto l’idea che si possa fare cinema anche in maniera lenta, sostenibile e, da quello che dice John, suppongo in linea con l’etica hardcore DIY. È impressionante quello che si può fare con un po’ di voglia e tanta pazienza, grazie mille Nanni per l’intervista.
Questo è un regalo enorme! Grazie, intervista bellissima, adoro questa famiglia
Ora so a chi chiedere di adottarmi.
La famiglia in cui vorrei essere stato allevato. Peccato che i loro film non si trovano in Italia