Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Ho visto per la prima volta Strade di fuoco in anni pazzeschi e spericolati in cui si poteva vedere un film in televisione. E non nel senso di “mi segno sul calendario che c’è un film che mi interessa su Italia 1 giovedì prossimo alle 20:30” (venti-e-trenta era l’orario stabilito dalla Convenzione di Ginevra a cui iniziava la prima serata; non ho mai capito cosa sia successo dopo ma mi piace far coincidere il declino della civiltà occidentale e i miei disturbi del sonno col momento in cui la prima serata è stata progressivamente portata alle 21:45), ma proprio che accendevi la tele e trovavi una cosa già iniziata e la guardavi lo stesso. Era così che ti facevi una cultura, imparavi a distinguere il bene dal male e scoprivi tesori inestimabili in cui oggi non ti potresti mai imbattere per caso. Poi ok, c’erano anche ottocentoquaranta interruzioni pubblicitarie, non esistevano la pausa, i sottotitoli o il tasto per tornare indietro di 15 secondi, e l’85% dei personaggi erano doppiati dalla stessa famiglia romana che da generazioni si accoppiava tra consenguinei per mantenere il potere — questo per dire: andiamoci piano prima di idealizzare il passato.
Comunque, Strade di fuoco. In un weekend, la mattina, probabilmente su La7. Che tempi! All’epoca non avevo la minima idea che fosse un film di Walter Hill, né di chi fosse Walter Hill – neanche in termini di “quello dei Guerrieri della notte”. Fu amore a prima vista. Non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo, non solo perché sembrava di essere atterrati sulla versione punk e demoniaca di American Graffiti, ma perché ogni volta che mi sembrava di aver capito a che genere appartenesse, Strade di fuoco si trasformava in qualcos’altro. Un film sulle bande di motociclisti, una retro-distopia in cui i criminali regnano su una metropoli senza legge, un fantasy urbano, una storia d’amore, una commedia action e addirittura un musical!
Non assomigliava a niente che avessi mai visto e contemporaneamente assomigliava a tutto. Anni dopo scoprirò che era esattamente questo l’intento di Walter Hill: schiaffare in un film tutte le cose fiche che gli piacevano da ragazzino. Una cosa così semplice a cui, per motivi imperscrutabili, nessun altro aveva ancora pensato.
La storia è nota. Nel 1983 Walter Hill sta godendo del suo momento di massima popolarità a Hollywood: 48 ore ha incassato 80 milioni di dollari, quasi quattro volte il suo budget, è il settimo film al box office del 1982, ha lanciato una star come Eddie Murphy e di lì a poco diventerà la blueprint di un intero genere. Gli studios sgomitano per lavorare con lui (tant’è che quando Paramount gli rimbalzerà il copione di Strade di fuoco, Universal glielo comprerà a tempo di record nel corso di un weekend) e i soliti Larry Gordon e Joel Silver sono lì per aiutarlo a realizzare qualsiasi visione decida di avere quella settimana. Hill è nella posizione di poter chiedere qualsiasi cosa e chiede – ce l’aveva in canna dai tempi dei Guerrieri della notte – di fare un fumetto.
Non nel senso di adattare un fumetto in particolare, del resto di quelli che uscivano all’epoca non gliene piaceva nessuno, ma di portare sullo schermo lo spirito di un fumetto. Una storia stilizzata e profondamente archetipica, che sfocia velocemente e impunemente nel fantastico, eccessiva e non vincolata a un genere in particolare. E un protagonista che è, tanto per cambiare, un duro d’altri tempi, un cowboy metropolitano, un eroe pulp di poche parole che ha sempre i nervi saldi e non sbaglia mai un colpo. Hill, Gordon e Silver richiamano Larry Gross, l’autore dell’ultima stesura di 48 ore, e insieme lui e Hill si mettono al lavoro sul personaggio di Tom Cody, inizialmente introdotto semplicemente come “Lo straniero”.
Al contrario di Tom Cody, Larry Gross è un gran chiacchierone e grazie ai suoi diari di produzione e alle sue numerose interviste sappiamo tantissimo sulla realizzazione tanto di 48 ore quanto di Strade di fuoco. Per esempio, Gross racconta come, nella mente di Hill, Cody sarebbe dovuto essere il protagonista di una serie di avventure standalone ambientate nello stesso mondo, con lui al centro e ogni volta situazioni, nemici e donne diverse. Vi ricorda qualcosa? A quanto pare, il motivo per cui Paramount non volle fare Strade di fuoco fu che lo trovava “concettualmente” troppo simile a Indiana Jones (provate a immaginare, ai giorni nostri, uno Studio che rifiuta un copione per questo motivo).
E definito Cody, Hill e Gross proseguono a espandere l’universo che lo circonda, con punti di riferimento non scontatissimi.
Il primo, il più lampante, è l’immaginario fiabesco: il sottotitolo del film stesso è “A Rock & Roll Fable” (andrebbe ora aperta una parentesi sulla differenza tra fable, fiaba, e fairy tale, favola, e sul perché la seconda è probabilmente più corretta della prima, ma sarà per un’altra volta), una dichiarazione d’intenti che non solo informa sulla natura musicale dell’opera, ma che, soprattutto, avverte lo spettatore che ciò che sta per vedere non avrà nulla a che fare col mondo reale. Strade di fuoco è la storia di una principessa che viene rapita da un orco (col senno di poi, da un goblin) e di un principe che la va a salvare – una roba apparentemente da bambini (Hill insisterà molto affinché la violenza sia ridotta al minimo, non si veda sangue e nessuno debba morire) rimasticata attraverso l’estetica rock-videoclippara della nascente MTV.
L’altro modello, e questa è veramente clamorosa, è John Hughes, il re delle commedie romantiche adolescenziali di quegli anni. D’altra parte, Hill voleva fare il film che avrebbe voluto vedere da adolescente, e quindi si impone di rivolgersi a quel pubblico e a nessun altro. A partire da un triangolo amoroso veramente poco plausibile su cui si poggia la storia, nel mondo di Strade di fuoco esistono solo ragazzi. Come nei Guerrieri della notte, è un liceo a cielo aperto popolato da bulli, pupe, jock e secchioni. Nessuno ha più di 30 anni, i vecchi non esistono e gli adulti assomigliano più che altro all’idea distorta che un ragazzino può avere degli adulti: duri tutto d’un pezzo come Tom Cody, senza un dubbio, una debolezza, invincibili e testosteronici, o grigi burocrati incravattati come quel damerino di Billy Fish, che pensano solo ai soldi e non si sanno divertire.
A ben guardare, i paralleli con I guerrieri della notte sono una marea e riguardano ogni aspetto, narrativo e formale, tanto che è pacifico considerare Strade di fuoco il suo seguito spirituale e — lo dico? lo sto dicendo! — il suo degno successore.
Si parte da Andrew Laszlo, direttore della fotografia di entrambi i film, che mette in pratica lo stesso repertorio di neon che squarciano il buio (ancora, tutti e due i film sono ambientati quasi esclusivamente di notte) e strade impregnate di pioggia per creare un’atmosfera incantata e sospesa nel tempo, in cui convivono elementi ed estetiche degli anni 80 e 50.
I Bombers, i motociclisti guidati da un satanico Willem “Raven” Dafoe, sono la versione fetish e un po’ più grandicella di una qualsiasi gang che infestava la New York dei Guerrieri; quanto ai buoni, va da sé che la traversata dei Guerrieri riecheggia nella rocambolesca fuga di Cody e soci a bordo di auto, pulmino e metropolitana nella seconda metà del film.
Il fatto stesso che Strade di fuoco sia un musical non fa che sviluppare e portare a compimento un’idea nata nei Guerrieri, che, come nota la mia collega Xena, altro non è che un West Side Story di menare a cui mancano praticamente solo le canzoni.
Anche per le coordinate spazio-temporali Hill ricicla un’idea avuta in precedenza: quel cartello a inizio film che recita “Another time, another place” – perfetta sintesi dell’impossibilità di capire dove e quando cazzo sia ambientato il film – era stato pensato per I guerrieri, ma Paramount l’aveva cassato perché ricordava troppo l’incipit di Star Wars (una citazione, conferma Gross, assolutamente voluta) (e comunque allora vedi che quella di Paramount era un’ossessione, erano terrorizzati dall’idea di copiare altre IP!).
Svolta epocale, rispetto non solo ai Guerrieri ma a tutta la filmografia di Hill fino a quel punto, è invece il trattamento riservato alle donne. Che Hill non presenti nei suoi film un ritratto esattamente interessante o sfaccettato dell’universo femminile è cosa nota e oggi viene generalmente liquidata con una scrollata di spalle e un “che vuoi farci, lui è fatto così”. Ma, incredibilmente, negli anni 80 questa cosa era al centro di un seppure timido dibattito e a Hill non andava di passare alla storia come uno che odiava le donne – anche perché, ci tiene a precisare il solito Larry Gross, non era assolutamente così!
Quale che sia la ragione, Strade di fuoco è il primo film di Walter Hill in cui i personaggi femminili hanno un ruolo davvero rilevante. La rockstar Ellen è sì la principessa da salvare, ma è anche un’artista affermata con un talento e una carriera così ingombranti da far sentire piccolo piccolo un uomo che non deve chiedere mai come Tom Cody. Alla fine, Cody la lascerà borbottando roba sul fatto che appartengono a mondi troppo distanti, ma quello che sta dicendo veramente è “non so se posso stare con una che è più importante di me”. L’interpretazione di Diane Lane, che tira fuori una presenza scenica incredibile semplicemente facendo finta di cantare, colpisce Hill a tal punto da spingerlo ad ampliare il suo ruolo e scriverle una manciata di scene in più rispetto al copione originale.
E poi c’è McCoy, un caso di gender swap prima-che-diventasse-di-moda in cui un’attrice, Amy Madigan, si presenta a un provino leggendo un ruolo scritto per un uomo ed è così perfetta che Hill e Gross si guardano imbarazzati chiedendosi perché non ci abbiano pensato loro. Oggi metà di voi sarebbe in un angolo a piangere perché le nazifemministe rubano i ruoli agli attori maschi.
Sul casting mi ero ripromesso di dilungarmi troppo, anche perché abbiamo già parlato di questo film più che approfonditamente, ma non ce la faccio a non spendere due parole sull’assoluta perfezione di Willem Dafoe, ancora a inizio carriera, nel ruolo di un motociclista cattivissimo e sessualmente ambiguo, inguainato in una salopette di pelle che emerge da fiamme infernali e si presenta a Tom Cody dicendo “finalmente ho trovato qualcuno a cui piace giocare duro quanto a me”. Ragazzi, prendetevi una stanza.
Quando un film incredibile e inventivo come Strade di fuoco floppa male, siamo sempre lesti a dare la colpa all’ottusità del pubblico dell’epoca. E in questo caso abbiamo assolutamente ragione. È interessante però vedere come chi ha realizzato il film sia molto meno incline a prendersela col mondo esterno e più portato a cercare responsabilità all’interno. In fondo credo che sia normale, per chi fa un cinema commerciale: se il tuo lavoro è fare una cosa che piaccia alla gente, e alla gente non piace, è inevitabile chiederti cosa hai sbagliato. Cosa non ha “fatto click”. Ancora una volta le interviste di Gross ci vengono in aiuto, perché lui non ha dubbi: se Strade di fuoco è andato male al box office, è esclusivamente colpa di Michael Paré, l’attore che interpreta Tom Cody.
È una cosa a cui ho iniziato a fare caso leggendo roba su The Driver: negli anni in cui esisteva uno star system, l’attore protagonista era investito di un’importanza ma anche di una responsabilità enormi, tanto che il successo o il fallimento di una pellicola si potevano attribuire quasi esclusivamente a lui o lei. Nel caso di The Driver, Walter Hill ha sempre difeso la scelta di Ryan O’Neal, un bellone da commedie romantiche, ma Larry Gordon non ha mai smesso di dire che se avessero avuto Bronson o Steve McQueen le cose sarebbero andate diversamente (beh, grazie al cazzo). In Strade di fuoco, a decenni di distanza, Larry Gross continua a riservare a Michael Paré un odio ferocissimo. “We all knew in our hearts that Michael was disappointing – ha detto nel 2016 – the most damaging thing is that we didn’t have the right actor for Tom Cody”. Il fatto è che Paré, che certamente non è un grande attore, ma non si merita neanche questo livore, fu una scelta di ripiego. Nella testa di Gross, l’attore perfetto per interpretare Cody era l’allora promettente, ma non ancora affermato e certamente non ancora famoso, Tom Cruise.
Tom, che aveva fatto il provino. Tom, che era piaciuto così tanto che gli era stata immediatamente offerta la parte. Tom, che aveva rifiutato, perché quell’anno lì aveva troppe cose in ballo (nell’83 comparirà in quattro film, in due dei quali da protagonista). Ve lo immaginate?
Da uomini di scienza quali siamo, sappiamo che nel multiverso della follia esiste un mondo in cui Tom Cruise ha accettato quel ruolo e oggi Strade di Fuoco è solo il primo capitolo della lunga, vincente, fruttuosa saga di Tom Cody – The Stranger.
Ma non so se mi interessa vivere in quel mondo.
Chiamatemi romantico, ma c’è della grandezza anche nello schiantarsi al suolo. Nelle ambizioni imossibili, nei film imperfetti, nella recitazione legnosa di Michael Paré.
Come dice la canzone, non c’è nulla di male nel non andare da nessuna parte, baby, l’importante è andarci veloci.
Blu-ray quote:
“God Speed You! Neon Emperor”
Quantum Tarantino, i400calci.com
“Oggi metà di voi sarebbe in un angolo a piangere perché le nazifemministe rubano i ruoli agli attori maschi”.
Beccato.
L’ho visto una volta e mai più: ricordo un’amara, fortissima delusione e di aver pensato: “Che cazzo fa walter Hill?”
“Strade di Fuoco” è stato un grande, esperimento fallimentare.
Diane Lane ha decisamente potenziato il mio talento di falegname, però.
Se esistono Double Dragon, Final Fight e Streets of Rage devo ringraziare questo film.
E tanto mi basta.
Per la cronaca, il nome Cody lo hanno ripreso proprio per uno dei personaggi del picchiaduro Capcom, mentre le bretelle con salopette sono finite addosso ad Haggar.
Senza contare che l’urlo di Cody lo hanno campionato per il personaggio omonimo, quando esegue la sua mossa speciale.
Per me e’ un capolavoro.
Stavo per fare un commento sulle CANZONI, ma ho visto che Nanni dedica l’altro pezzo interamente a Jim Steinman, che con il suo tamarrismo ipertrofico da musical anni 80 è il vero jolly del film. Madigan immensa, Defoe neanche ne parliamo, Diane Lane aveva 18 anni e io davvero non ho parole.
Un piccolo aneddoto: anni fa conobbi un giovane aspirante fumettista di vent’anni, nevrotico, conservatore e molto immaturo. Viene da me quasi tremando e mi fa “l’hai mai visto un film che si chiama Streets of Fire? E’ una roba pazzesca, stranissimo, non riesco a capire che film sia, non ho mai visto niente del genere.” Ero divertito e meravigliato del suo stupore giovanile, contentissimo che quasi nel 2020 un ragazzino un po’ bigotto fosse confuso e sbalordito da un’opera d’arte che gli aveva letteralmente spalancato gli occhi. Cercava quasi una rassicurazione, come per dire “è bello vero? Ditemi che non sono scemo, piace anche a voi vero?”. Gli ho dato una pacca sulla spalla, con un paterno ghigno di soddisfazione, e spedito a recuperare The Warriors.
JIM STEINMAN: roba da matti.
(in senso positivo).
“…quel giovane fumettista era Frank Miller”
“quel giovane fumettista era Ezio Greggio”
“…quel giovane fumettista era Elon Musk!”
“…quel giovane fumettista era Gualtiero Cannarsi”
Ah dimenticavo: il paragrafo finale su Tom Cruise è una BOMBA. Non conoscevo quella storia, incredibile.
Se il film lo hai visto in gioventù, mi sa che era sulla mitica Telemontecarlo piuttosto che su La 7
E’ l’unico film di Hill che non ho mai visto, forse demoralizzato da recensioni non troppo entusiasmanti, e non me ne vanto. Certo che se il protagonista principale manca di carisma, metà del film è già perso in partenza
In Ralph Super Maxi Eroe Michael Parè aveva charisma (se non da vendere) a sufficienza: ai tempi ero contento fosse stato scelto come protagonista di Strade di Fuoco
Poi non so cosa sia successo.
E non si è mai ripreso.
L’errore secondo me sta nel pensare che il protagonsita sia Michale Paré.
Per come la vedo io, il protagonsita di Strade di fuoco è il mondo stesso in cui i personaggi si muovono. A differenza di Bond o Indiana Jones, dove è lampante che tutto sta sulle spalle di chi li interpreta (te lo ricordi signò che all’inizio indy doveva essere tom selleck?), Paré/Cody ha un ruolo sì centrale ma non hai mai l’impressione che la riuscita o la qualità del film dipenda da lui. forse dipende anche dal fatto che è un film magari non corale come i Guerrieri della notte, ma con un cast molto affollato in cui tutti i comprimari sono abbastanza importanti.
Miglior blu-ray quote nella storia di Valverde.
Posso dire qualcosa per la quale forse sarà escluso a vita dai commenti di questo sito? Secondo me questo film è la dimostrazione assoluta di come, talvolta, l’estro creativo dei grandi autori vada guidato, gestito e temperato dai produttori. Premesso che anche io mi rendo conto di come, sotto certi punti di vista, “Strade di fuoco” sia una figata, ma seriamente, ma come si poteva pensare che avrebbe avuto un successo di botteghino? E’ palesemente un “vanity project”, un film che fai fare per accontentare un autore che vuoi tenerti buono per altri progetti, magari sperando in qualche premio ai festival o che nel futuro possa assumere al rango di cult movie, ma non certo puntando a farci i soldi.
Con un protagonista diverso, magari Tom Cruise (neanch’io conoscevo quella storia) avrebbe avuto qualche speranza in più, ma ci credo poco.
Beh, si’. Condivido in pieno, e hai centrato il punto.
Perche’ un film sfondi, e’ necessario trovare il giusto compromesso tra pretese autoriali e ingerenze produttive.
Altrimenti ottieni solo qualcosa che a livello di pubblico genera una frattura tra chi lo ama e chi lo odia, e che a livello di incassi generalmente si rivela un fiasco.
se invece di “vanity” lo chiamoamo “passion project” posso anche essere d’accordo. era una cosa in cui hill credeva a mille, ma non ci vedo arroganza né narcisismo. universal gliel’ha probabilmente comrpato a scatola chiusa pensando che scrivendo sui poster “dall’autore dei guerrieri della notte” comunque qualche soldo lo facevano. non riesco a pensare a un produttore sano di mente che pensa possa essere un successo una roba con una premessa come strade di fuoco ma credo fossero tutti covinti che sarebbe andato almeno dignitosamente
Ok per il passion al posto del vanity, e concordo anche sul resto, probabilmente è andata come dici tu. Fa strano che gente che di mestiere gestisce progetti da milioni compri qualcosa (qualsiasi cosa) a scatola chiusa, ma la gestione aziendale è materia nella cui storia ne sono successe anche di più inspiegabili.
per il poco che ho imparato su come funziona(va)no queste cose, un regista/sceneggiatore/attore che fa il botto con un film diventa automaticamente “hot” a hollywood e scatta la gara a chi si aggiudica il suo prossimo progetto. non tanto perché sono sicuri che sarà un altro successo (statisticamente parlando, è molto più facile che non lo sia!) ma perché non vogliono che se lo prenda la concorrenza
E poi dopo il flop deve sudare sette camicie per far realizzare il progetto dopo ancora! :D
Anche per me Pare’ andava benissimo.
Semplicemente l’avevano stroncato a prescindere.
Avesse fatto pure una prova da Oscar, non sarebbe andata bene comunque, per certa gente.
E’ la sensazione che ho sempre avuto, a riguardo.
Il collage di foto con Dafoe mi ha fatto tornare in mente quella gag dei Simpsons dove il signor Burns cerca di corrompere Homer mentre quest’ultimo equivoca e crede che gli stia facendo delle avances.
Scherzi a parte, è un film del quale ho sempre sentito parlare ma che non ho mai visto, e in onore di Hill mi piacerebbe colmare la lacuna. E comunque mi è venuta addosso una voglia di giocare a Streets Of Rage 4.
Streets of Rage esiste grazie a questo e a I Guerrieri della Notte.
Come tanti altri.
È uno di quei film dal fascino talmente unico che fatico a non amare alla follia anche penso gli manchi quel fattore x che poteva elevarlo a cult immortale.
Comunque stasera me lo rivedo per la ottantamillesima volta eh. Cioè io sto film lo amo alla follia. Però sento anche che gli manca qualcosa che non riesco a capire. E forse davvero un protagonista all’altezza è uno dei deficit principali.
“Oggi metà di voi sarebbe in un angolo a piangere perché le nazifemministe rubano i ruoli agli attori maschi”.
Non credo che Elodie o la compianta Michela Murgia saprebbero interpretare il personaggio di McCoy:
A parte questo, filmone che ho scoperto tardi, ma che è entrato subito nella mia top 10 di tutta la vita.
“Maybe on Earth, maybe in the future” è la bellissima tagline di Blame!, uno dei fumetti (definirlo manga sarebbe fuorviante) più neri e incompromissori della storia giapponese. Ora so da dove arriva!
definirlo manga non è fuorviante, stabilisce solo che è fatto in giappone e si legge da destra verso sinsitra: tutte cose vere. non è un giudizio qualitativo. dai, non facciamo quelli che per dire che guardano le serie fighe dicono “sono un fruitore di media audiovisivi”
Che poi semmai definire un fumetto manga sarebbe fargli un complimento, altro che il contrario….
Con la citazione dei Godspeed You! Black Emperor hai vinto tutto
Visto che si è accennato a fumetti e manga, quanto è plausibile che nelle mani di Larry Gross sia capitato un volume di Hokuto No Ken?
sarebbe bello, ma la vedo dura perché in america in quegli anni la circolazione di roba giapponese era meno che scarsa. molto più facile che bronson (voglio dire, un giapponese che sceglie di chiamarsi bronson!) e hara abbiano avuto questo tra i tanti riferimenti cui hanno attinto, in fondo ken è iniziato solo un anno prima e ne è andato avanti altri 100
Ken nasce da Mad Max principalmente, come scritto e detto più volte
Ma è chiaro che in quegli anni non si poteva prescindere da I guerrieri della notte o da 1997
Sempre in tema di fumetti, nel manga di menare Noritaka (pubblicato tanti anni fa anche in Italia) ci sono interi capitoli in cui l’antagonista è spudoratamente Raven (stesso nome e look)!
questo non lo sapevo, corro subito a cercare!
non so quanto si trovi in giro, ho caricato una foto qua: https://imgbox.com/TebEPdUR
Allora, è un po’ un periodo strano fra me e l’internet (come al solito) e fino ad ora non sono ancora riuscito a trovare la forza di lasciare un commento in nessuna parte di questa rassegna.
Rassegna di cui, lo ammetto, finora ho letto ben poco.
Quando avete iniziato volevo dire una cosa, al primo capitolo su Hill, ma fra una cosa e l’altra non ci sono riuscito, quindi approfitto dell’ultimo articolo realizzato finora.
L’idea di un “le basi” su Walter Hill è grandiosa non foss’altro perchè permette di riscoprire titoli a cui altrimenti pochi porrebbero attenzione.
Ci stavo pensando già qualche anno fa, quando frequentavo maggiormente amici più addentrati di me nelle cose di cinema: gli piaceva Walter Hill, avevano grandi parole per Walter Hill, come tutti, ma, a parte “i guerrieri della notte”, quali altri suoi film avevano visto?
Mi spiego, il mio intento è volutamente provocatorio ma non molesto: voler chiedere, con cortesia beninteso, a tutti coloro che si riempiono la bocca del suo nome “ok, siamo tutti d’accordo che è bravo, ma quanti altri suoi film abbiamo visto?”.
Diciamo che per chi si interessa di film, questo Walter è uno di quelli di cui si parla bene a prescindere, a tutti piace Walter Hill, ma a parte i film più famosi, quali altri suoi film la gente vede o anche solo conosce? Tutti a dire “adoro i guerrieri della notte e 48 ore” ma poi? Quali altri film sono in grado di nominare? Quali altri film hanno visto? Forse solo “Danko”
Insomma, è uno di quei cineasti che gli appassionati (gran parte, non tutti, lo ammetto) di settima arte citano, adorano, ma conoscono solo una manciata di suoi film.
Con genuina ammirazione, certo, ma non sono sicuro che sia conosciuto bene.
Per questo credo che questa serie di articoli sia importante: una ragionata analisi dei suoi film può portare non solo a una rivalutazione più seria e in generale a una doverosa riscoperta, ma anche, di conseguenza, a un più corretto ricollocamento della sua importanza.
In più di un senso: ritorno a essere “provocatorio” ma a fin di bene, perchè magari stai a vedere che accanto a grandi filmoni, conosciuti e meno conosciuti, puoi anche scoprire che ha fatto tanti film semplicemente di medio livello.
Non brutti, e magari c’è un film brutto nella filmografia di questo intoccabile, ma semplicemente medi. E magari non sono neanche pochi.
E anche questo è importante: riconoscerlo significa maturare.
E stasera mi faccio un bel ripasso di tutti gli articoli.
tranquillo che di film brutti ne ha fatti pure walter hill e non abbiamo il minimo problema a dire quali (per scoprire quali non vi resta che leggere il resto della rassegna ahahahahahah)