Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato. E se adesso vi state chiedendo “maccome, non avevate mai parlato di I guerrieri della notte?!”, sì, certo che ne abbiamo già parlato, vi pare? Per esempio in un bellissimo pezzo inedito scritto da Casanova Wong Kar-wai per Il manuale di cinema da combattimento. Andatevelo a rileggere (perché avete tutti Il manuale di cinema da combattimento, vero?).
Non c’è nessuno che abbia fatto il classico che non si ricordi di Senofonte. [Per sgombrare il campo da ogni dubbio, il classico a Valverde è quel corso di studi che tra le materie ha “menare duro utilizzando tomi di letteratura greca e latina”: una tradizione gloriosa omaggiata, tra gli altri, anche in John Wick 3 – Parabellum, nella straordinaria sequenza in cui John ammazza Boban Marjanovic con un volume della New York Public Library]. «Senofonte è come Cesare, ma in greco». Aahahahaha NO. (O forse sì se eravate forti. Io non lo ero). Ma è probabilmente raccogliendo le lacrime di generazioni di studenti picchiati dalle versioni di greco che Sol Yurick, un assistente sociale newyorkese con una laurea in letteratura e un antico rancore nei confronti di West Side Story, decide di scrivere il suo primo libro, The Warriors: cioè l’Anabasi di Senofonte, però con le pittoresche gang giovanili della degradatissima Grande mela anni 60 al posto dei mercenari greci intrappolati in territorio nemico nel cuore dell’impero persiano del VI secolo a.C. Ottima idea, Sol, gli dice sicuramente qualcuno, pubblicandogli il libro nel 1965. «Ottima idea, Sol» pensa circa un decennio dopo Lawrence Gordon, produttore a cui i 400 calci devono pressoché tutto (tipo Predator, Die Hard, Point Break), acquisendone i diritti cinematografici dopo che un primo tentativo di adattamento si è arenato.
Nel 1978, Gordon ha prodotto già Hard Times e The Driver, e sa che l’unico che può fare questo film è Walter Hill, quindi si precipita da lui col copione di The Warriors che ha fatto scrivere a David Shaber. Hill lo legge e dice «fichissimo, ma non ce lo faranno fare mai». Glielo fanno fare, invece, per la precisione glielo fa fare la Paramount, che in quella fine anni 70 è a caccia di “film per ragazzi”, e cosa c’è di più “per ragazzi” di un film in cui un gruppo di ragazzi (appunto) si veste in tanti modi buffi e si mena fortissimo rischiando continuamente la morte in una città desolata e violentissima? «Il resto è Storia», direbbe Senofonte. Sigla!
[Sì, la sigla era solo una scusa per mettere l’incipit di questo film, ufficialmente votato da una commissione di esperti “uno degli incipit più fighi ever”, è tutto vero, lo dice la scienza]
Di cosa è fatta la sostanza del mito? Qual è il confine tra cronaca, storia e leggenda? L’Anabasi di Senofonte, in teoria, è un testo storico. Anzi, prima ancora, è autobiografico: Senofonte medesimo, che dio l’abbia in gloria, era uno dei Diecimila mercenari di cui sopra, e già che è sopravvissuto a quella sbatta ed è il 400 e qualcosa avanti Cristo decide di inventarsi di punto in bianco un genere letterario nuovo, il memoriale di guerra. Però è indubbio che la storia che racconta, l’impresa dei Diecimila che devono salvarsi raggiungendo il mare e un porto sicuro, tra mille insidie e inseguiti dai nemici, abbia le forme dell’epica. Il mito, in fondo, si trova quasi sempre dentro le storie dritte, quelle che corrono su una linea, da un punto A a un punto B, siano A e B Cunassa e il Ponto Eusino, o il Bronx e Coney Island. Quelle storie a cui puoi togliere tutto, ogni orpello o dettaglio inutile, finché diventano archetipi (o topoi, già che siam qui a fare i grecisti della domenica, anzi del mercoledì), finché tutto quello che viene dopo non è che una variazione sul tema o un omaggio, ripetuto talmente tante volte da dimenticarsi chi e come l’ha originato.
Hill ha già dimostrato che a lui “togliere tutto”, andare all’essenziale, ridurre all’astrattismo, privare i personaggi perfino dei nomi propri per lasciarne solo le funzioni narrative, piace. The Warriors – I guerrieri della notte, naturalmente, in italiano; che non è mica una traduzione sbagliata, ma a dirla tutta ha già un complemento di specificazione di troppo – è un’occasione perfetta. Ci sono degli eroi, con i nomi buffi e insieme altisonanti, l’aspetto sublime tra il ridicolo e il leggendario che possono avere solo gli eroi, e nessun pregresso, nessun background, nessuna contestualizzazione, nessun passato (era stata girata una sequenza iniziale a Coney Island, che si può recuperare, ma per fortuna venne eliminata: la luce del giorno, i nostri eroi, almeno quelli che riusciranno a sopravvivere, la vedranno solo alla fine di questo viaggio al termine della notte). Ci sono un territorio ostile e un obiettivo chiaro. C’è una minaccia che non li molla mai, che li insegue e li assedia, ma c’è anche un codice d’onore. La trama è: bisogna andare da A a B. Possibilmente arrivare a B vivi.
Questo processo di astrazione, di scarnificazione, non è solo un fatto di personaggi o narrazione, ma è esteso da Hill all’intera materia cinematografica. Da subito, da quella prima inquadratura in cui la Wonder Wheel di Coney Island è un disegno di luci al neon su fondo buio pesto. Dal 2005 esiste una Director’s Cut in cui il regista ha potuto inserire alcune caratteristiche che avrebbe voluto mettere fin dall’inizio ma che lo studio nel 1979 gli vietò: un’introduzione (lui l’avrebbe voluta letta da Orson Welles, figuratevi) che richiama direttamente l’Anabasi, e delle transizioni disegnate a fumetti tra le varie “tappe”. Un po’ come con il Blade Runner dello Scott sbagliato, ognuno ha il proprio parere su quale sia la versione migliore, e se sia meglio giurare eterna fedeltà alle sacre intenzioni originarie dell’Autore, o accettare che un film è un’opera collettiva e situata in un tempo preciso, frutto di un’industria, e perciò anche di una serie di più o meno fortunati accidenti. Quello che è certo, però, è che nel 1979, quando The Warriors esce così, senza intro, senza nulla, senza fronzoli, semplice come il suo titolo “scarabocchiato” in scarlatto su fondo nero, è quello che potremmo tecnicamente definire “una bella mina”.
La città è un deserto urbano attraversato dalle geometrie di luci e cunicoli della metropolitana, dalle “pozze d’oscurità” di cimiteri e parchi quasi vuoti. È una terra desolata e lucida, fotografata da Andrew Laszlo che si preoccupa di far mettere in sceneggiatura un acquazzone all’inizio, così che poi tutto possa essere bagnato e brillante, moltiplicando i riflessi e i contrasti vividi. È quasi tutto (fa eccezione lo scontro con i Punks nel bagno della metropolitana) girato on location, nelle vere strade newyorkesi, per settimane di lavorazione solo in notturna, che inevitabilmente si protraggono oltre i piani stabiliti – anche se tutto quanto comunque viene fatto in fretta, con un’urgenza aderente a quella dei Guerrieri in fuga, perché la produzione sa che c’è “un altro film sulle gang” in preparazione, e bisogna riuscire a uscire in sala prima degli altri. Forse anche per questa fretta, o magari perché Hill a quanto pare è uno che sa il fatto suo, il film riesce nel miracolo paradossale di unire “autenticità” e “stilizzazione estrema”. L’azione procede per picchi di tensione e temporanee botte di sollievo, seguite talvolta da quell’euforia immotivata in cui si annida dell’altro pericolo (le gang rivali, gli sbirri, le donne – è un po’ Mascolinità tossica: The Movie questo film? Sì, certo, come la quasi totalità dei nostri miti fondativi). I personaggi sono talmente ridotti all’osso che Hill può decidere a un terzo di film di cambiare eroe principale perché l’attore che lo interpretava, Thomas G. Waites, gli aveva rotto i coglioni: se ne libera facendolo letteralmente finire sotto un treno (per mezzo di una controfigura), e il nuovo protagonista designato diventa, senza passare dal via, Michael Beck (che peraltro pare avesse pure una chimica maggiore con Deborah Van Valkenburgh, quindi tutto è bene quel che etc. etc.).
Il bello è che in tutto questo “togliere”, dentro The Warriors finisce per esserci tantissimo, quasi tutto: Hill avrebbe voluto esplicitare all’inizio un «somewhere in the future» (la Paramount glielo vietò: faceva «troppo Guerre stellari»), e c’è un indubbio carattere distopico, post apocalittico in questa metropoli buia e deserta, dove imperversano bande di ragazzini che, nei piani del compianto messia Cyrus, vorrebbero, anzi, potrebbero “prendersi la città”. Eppure l’ambientazione è contemporanea, figlia di quei Seventies in cui New York era definita, da chi le voleva bene, una fogna a cielo aperto, l’esatto opposto della Times Square “disneyficata” di oggi (oltre che a Martin Scorsese e Paul Schrader, come sempre, volendo approfondire, ci si può rivolgere al più bravo di tutti a raccontare le città, David “The Wire” Simon: ha fatto una serie anche su questa New York qui, s’intitola The Deuce, ci sono due James Franco, e una Maggie Gyllenhaal strepitosa). Molte delle gang, perfino quelle più oltraggiosamente camp come gli indimenticati Baseball Furies, hanno ispirazioni in bande reali dell’epoca, con alcuni membri che infatti parteciparono – con conseguenti problemini di sicurezza, tanto che una vera gang, i Mongrels, venne direttamente assunta per far da security alla troupe – alla realizzazione della sequenza di massa iniziale, il conclave in cui Cyrus spiega il suo piano di conquista del mondo e ci lascia tristemente le penne, seguendo il destino di tutti i rivoluzionari. Lì, tra il pubblico, tra le comparse, c’erano veri appartenenti alle gang e veri sbirri in borghese: guardie e ladri, indiani e cowboy. Sì, è anche un western, naturalmente, The Warriors: l’anima è quella, perché quello volevano fare inizialmente, Hill e Gordon, un’Anabasi western. Ma non c’erano abbastanza soldi, e sai che c’è? La New York degli anni 70, di notte, questa New York parallela che scorre quasi invisibile ma più che mai tangibile accanto a quella delle “persone normali”, è un vero paesaggio di conquista, una wilderness spietata, letale e senza legge, proprio come il vecchio Far West.
È anche un po’ un musical, The Warriors, con buona pace di Sol Yurick, è la versione di menare di West Side Story (ma qui il contesto è talmente disperato e nichilista che ci si può permettere perfino di dare una specie di lieto fine alla sua specie di storia d’amore – sì, c’è anche una storia d’amore! Beh, più o meno, dai). Basterebbe l’entrata in scena super cool delle varie gang in costume, basterebbe l’indimenticabile colonna sonora di sintetizzatori e rock’n’roll che scandisce il ritmo e tiene alta la tensione, basterebbero le labbra della dj che mentre aggiorna il sottobosco criminale sugli spostamenti dei Guerrieri, mentre fa da narratrice e da coro greco, sceglie i brani giusti per commentare gli eventi, per “illustrare l’azione” (Nowhere to Run, guerrieri miei!). E basterebbero le coreografie di lotta, che sono un bell’ibrido violento tra il balletto e il menare duro (tutti gli attori dovettero andare a scuola di stunt; qualcuno ci lasciò comunque arti e costole rotte). Western e musical, in fondo, sono più di tutti i generi dell’astrazione, quelli dove l’immagine può farsi puro segno grafico, e le trame non hanno bisogno di essere niente di più del minimo necessario.
Fatto della stessa sostanza del mito, The Warriors entra lui stesso nella leggenda. Come le vicende dei Diecimila, raccontate da Senofonte, trasfigurate in avventura e poi in epica, salvate da centinaia di anonimi amanuensi attraverso le maree della Storia, e oggi irrorate dalle lacrime e dalle bestemmie di migliaia di studenti del classico, anche l’avventurosa notte dei Guerrieri e la corsa cinematografica di The Warriors si mutano presto in epopea mitologica e diventano parte integrante dell’immaginario collettivo. Quando il film esce, la maggioranza dei critici, come spesso accade, non capisce una mazza e lo stronca (a parte Pauline Kael, una che anche quando non ci capiva una mazza diceva cose abbastanza monumentali, e qui invece ci prende, definendo The Warriors «visual rock»), presa totalmente alla sprovvista dal ribaltamento totale del punto di vista: si parla di gang giovanili e di delinquenza, ma nessuno fa la morale, nessuno si angustia torcendosi le mani e mormorando «dove andremo a finire, signora mia», nessuno pensa ai bambini. No, il punto di vista di The Warriors è quello dei suoi “bambini” protagonisti, e lo esplicita in una delle sue scene più belle (anche se è una di quelle in cui non si mena nessuno): l’incontro in metropolitana dei Guerrieri sopravvissuti con la coppia di eleganti ragazzi tornati dal prom. Ci vuole sempre uno specchio, per vedersi, e qua Marcy si vede – gli abiti stracciati, le mani sporche, i lividi – dentro lo sguardo dei “bravi ragazzi” borghesi, mentre il loro chiacchiericcio euforico si spegne, piano piano. Ma invece della vergogna, in fondo al tunnel c’è un moto d’orgoglio: «Where there is ruin, there is hope for a treasure» era il titolo del pilot di un’altra serie bellissima, The Get Down, che pure pescava a piene mani da The Warriors (e il cui finale recitava «Only from exile, we can come home», anche se nemmeno arrivati a casa i Guerrieri possono essere felici o al sicuro: davvero hanno combattuto tutta la notte per arrivare qui?). Sono i “borghesi” l’elemento estraneo, l’altro, l’alieno, il “fuori posto”: e infatti il loro punto di vista scompare nella luce dell’alba, scendendo nel nulla, a un’altra fermata della metropolitana.
Questo ribaltamento di prospettiva è quello che fa di The Warriors un successo. Nonostante zero fiducia da parte dell’industria e una campagna promozionale quasi inesistente, e nonostante all’indomani dell’uscita in sala si diffondano subito notizie di gente che si mena fuori e dentro i cinema che lo proiettano (d’altra parte, come spiegherà anche Hill, tutti i membri delle gang vanno a vederlo, ed è un niente che si trovino sedute di fianco le due persone sbagliate), spingendo gli esercenti ad assumere ulteriore security, e la Paramount a sospendere le pubblicità e anche a liberare le sale dall’obbligo di proiettare il film. Ma un sacco di sale continuano a proiettarlo comunque, perché ogni proiezione è piena rasa, con gente che s’infila in ogni pertugio disponibile, in piedi in fondo, seduta per terra, e partecipa con esaltazione e giubilo all’epopea dei Guerrieri come fosse la propria.
Oggi The Warriors è quel tipo di film che quando fai un elenco di “cult movie” non puoi non mettere ai primi posti. Ha le sue frasi iconiche (la più celebre delle quali del tutto improvvisata da quel matto totale di David Patrick Kelly), quelle che la gente cita senza magari sapere neanche da dove vengano. È stato rifatto, innumerevoli volte, in modi più o meno diretti (l’ultima volta? John Wick 4, naturalmente), ultra citato e mega parodiato, omaggiato e idolatrato: come dicevamo all’inizio è diventato quel tipo di archetipo universale, quel mattone d’immaginario che tutti conoscono e condividono, tutti hanno nel DNA, anche se non lo sanno. È entrato nel mito, e con lui i suoi Guerrieri. Senofonte e l’antica Grecia tutta ne andrebbero fieri.
Dvd quote suggerita:
“Il film di menare preferito da chi ha fatto il classico”
Xena Rowlands, i400calci.com
Dvd quote di Paolo Mereghetti:
“Sembra un videogioco”
Paolo Mereghetti, IlMereghetti
>davvero hanno combattuto tutta la notte per arrivare qui?>
Per me momento topico del film e frase che lo rappresenta – This is what we fought all night to get back to? – molto di più del pluricitato ed abusato “guerrieri, giochiamo a fare la guerra”, che tra l’altro in italiano rende molto meglio dell’ originale “warriors, come out to play”.
Dopo il moto d’orgoglio proletario in metropolitana, di fronte ai ricchi universitari che tornano da una festa, la consapevolezza dello squallore e della miseria della borgata in cui vivono e che devono “difendere”, la Coney Island non ancora gentrificata.
Tra Taxi Driver e The Warriors, nella New York notturna di fine anni ’70 c’era poco da scherzare.
È interessante però il riferimento a Taxi Driver perché è in un certo senso l’esatto opposto dei Guerrieri.
Taxi Driver è la storia di un tizio alienato ed isolato, i Guerrieri invece con le bande rappresenta a suo modo delle comunità
Non che la New York diurna degli anni ’70 fosse un paradiso. Ti giravi e ti trovavi il Braccio Violento della Legge, poi svoltavi l’angolo e ti ritrovavi nel Colpo della Metropolitana.
Anche per me, fin dalla prima volta che lo vidi, istruito dal proverbiale cugino più grande, LA frase del film è quella. Bravo.
La DVD-quote è meravigliosa e rende perfettamente il film epocale che “The Warriors” è.
Grazie per la splendida recensione e grazie per l’accenno all’altrettanto splendida serie “The Deuce”, che credevo di aver visto solo io.
Dopo The Wire ,the Deice scomparirà del tutto
The Wire è un capolavoro assoluto, una delle più belle serie in assoluto mai fatte, probabilmente superiore a The Deuce, ma ha anche poco senso confrontarle, sono due generi completamente diversi e sono raccontate e sviluppate in modo diverso.
The wire piace solo a chi fa il dams
Xena, Grazie! Pezzone.
Ogni volta che ascolto In The City, mi viene la pelle d’oca.
SOMEWHERE OUT ON THAT HORIIIIIIIIIIIIIIIIIIZON
Nel 2006 a 16 anni trascinai mia madre a Coney Island mentre eravamo in vacanza NYC.
Il perché penso sia chiaro…
Secondo me la scena-chiave del film è quella dell’incontro in metro coi ragazzi di buona famiglia. Lì Hill ti fa vedere due mondi che si sfiorano, totalmente separati ma che comunque rappresentano la New York irripetibile di quegli anni: da un lato lo Studio 54 dall’altro la criminalità galoppante. Quella New York “marcia” degli anni ’70 e ’80 era un luogo irripetibile ed ideale in cui ambientare film d’azione e polizieschi, in un certo senso anzi quella New York dei tombini fumanti ne era la vera protagonista.
Quella sulla “mascolinità tossica” capisco sia una battuta, ma mica vero che le donne siano relegate sullo sfondo: oltre alla figura di Mercy (molto più complessa che “la donna degli Orfani”) ci sono le Lizzies e c’è la scena di Ajax che fa la figura dell’imbecille venendo preso dalla donna poliziotto. Ed il tutto viene scandito da una voce femminile (la DJ). Le donne ci sono e sono pure toste.
Per il resto niente da dire, parliamo di un film che colleziona momenti iconici entrati nell’immaginario collettivo
Non sto piangendo, mi è andata una bruschetta nell’occhio!
Rubrica spettacolare per film spettacolari raccontati con articoli spettacolari. Mi fa male ogni volta arrivare alla fine del pezzo, perché ne vorrei ancora. Brava Xena.
Su questo film niente e troppo da dire. Epico e seminale: mi ricordo che da bambino, negli anni 80, tutto era ispirato a questo film, tutto. Non conto gli episodi di Dylan Dog che lo citavano, non conto i videogiochi che avevano la stessa struttura: corri e combatti, poi arrivi a una zona “salva”, poi riparti e combatti, e arrivi a un altra zona “salva”. È letteralmente la struttura a livelli dei videogiochi arcade. Ed è anche la struttura del baseball: corri, base, corri, base, corri, casa. Se questa cosa faceva strippare me bambino, figuratevi per un americano che la struttura del baseball ce l’ha piantata in testa da quando nasce.
Una cosa che mi ha sempre colpito è la rappresentazione folkloristica delle gang. Da bambino non capivo come fosse possibile che dei ragazzi andassero in giro pittati apposta per picchiarsi. Mi sembrava veramente una cosa possibile solo nei film e nei fumetti. Questa ambiguità, questo discostamento fra realtà di cronaca e fantasia mitologica (che appunto da bimbo non avevo modo di verificare, ma ancora oggi mi chiedo quanto fosse realistica) rendeva il film un’opera davvero epica.
Applausi per la citazione a The Deuce, mai così pertinente.
In quel periodo, dove abitavo io era proprio così: nessun discostamento fra cronaca e fantasia (colori a parte).
Non era roba epica, ma merda pura: ci ho scritto un libro.
Uh dimmi di più! Luogo? Titolo libro? Ma sei un famoso autore/editor che di nome fa Va Sa?
Il luogo è Trieste(e frazioni). Non sono famoso,
Chiedo a Nanni se posso lineare il libro.
Vai, dai, troppo curioso!
Come scritto sopra The Wire inarrivabile
@Bradlice & Bugo
Ecco il link a due delle recensioni del libro.
https://thrillernord.it/dritto-sui-denti/
https://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2019/05/06/news/sarafian-va-dritto-sui-denti-con-la-sua-trieste-dall-anima-pulp-1.30718802
Grazie, lo cercherò. Comunque rivisto ieri, rimango ancora più perplesso dalle scelte estetiche. Cioè io capisco i guerrieri che si vestono da guerrieri selvaggi. Capisco i Baseball Furies che vogliono fare brutto con il trucco. Ma i tizi vestiti da mimi? Quelli funky con i gilet rosa glitterati?
Il connubio attitudine clownesca/violenza è sempre andato forte in virtù del principio “guarda qua: sono un derelitto psicopatico e COMUNQUE ti faccio il culo”. Lo stesso vale per il glam.
Inoltre, più uno e’ volutament bislacco, più irride i guerrieri duri e puri.
Ovviamente io sono dalla parte di questi ultimi.
E degli Orfani.
XD!!!
De Borgo fin Melara a pie
@Myno Ren
XD!
Su e zò come la pelle del cazzo.
The deuce è ottimo per chi non capisce un cazzo di serie tv e si fa fregare dalla moda 80’s like e dal colorgrading dozzinale.
Non l’ho visto, ma lo sospettavo…
Mi sa che hai visto il The Deuce sbagliato….
La madre di mio figlio (che oggi mi venera) piantò un casino pazzesco perché avevo fatto vedere The Warriors al nostro pargolo adorato, in età secondo lei troppo tenera: non me ne sono mai pentito.
The Warriors è Epica Pura, una pietra miliare della coscienza collettiva.
Secondo me due film consolidano definitivamente New York nell’immaginario moderno, solo che in modi opposti.
C’è la NY dei Guerrieri, così lurida e senza legge che ci manca solo Batman su un tetto illuminato da un lampo (l’anno prima Carpenter con la scusa della fantascienza l’aveva resa direttamente una colonia penale).
E poi c’è Manhattan di Woody Allen, scintillante, borghese, esaltata dalle note di Gershwin, tirata a lucido con quel bianco e nero iconico e ironico.
Stesso anno. Stessa città. Boh.
Ho visto un botto di film con gente ammazzata malissimo, tra horror e film d’azione.
Tralasciando quelle robe torture-porn alla Saw che ti fanno dire: “OSTIA, MA IL CORPO UMANO NON DOVREBBE FARE COSI”, nessuna mi ha mai sconvolto più di tanto. La vivevo molto alla “Commando”: Schwarzy tira giù cristiani peggio delle Crociate e amen, si tira dritto.
Ecco, detto questo, ho visto The Warriors a (credo) vent’anni, e Fox che viene stirato dalla metro, con quel synth, quel rallenty, mi ha fatto star male per un giorno intero.
Vai a capire…
Invece io ho realizzato che non sarei mia stato un essere umano completo se non avessi imparato a menare come Swan, Ajax e co.
@VandalSavage
Nello straordinario gioco della vita, avrei voluto essere uno Swan, quando era abbastanza ovvio che sarei diventato un Cleon.
Cazzo. Nientepopodimeno.
Visto pochi mesi fa al cinema nella riedizione restaurata e anche dopo 40 e passa anni resta una pellicola iconica, di enorme forza visiva, visionaria nel suo anticipare i videoclip ma tutto fuorchè un giochetto estetizzante e vuoto. In sala al buio, brividoni e lacrimuccia sul fantastico finale con In the city
Rece da paura! Dovrò rivederlo entro oggi! Un’altro film un pò meno serio e cupo ma sempre di gang a NY “the Wanderers” che non era male anche se aveva delle vibe tipo Animal House almeno in certe scene…
The Wanderers non era male manco per il cazzo: pur non essendo paragonabile al capolavoro di Hill resta un signor film con personaggi indimenticabili e script che oggi (l’ho già detto?) manco per il cazzo.
;)
mi ha sempre infottato l’inseguimento dei fantasmi quando il tipo entra in chiesa…
Eccome! E il bastardissimo personaggio di Emilio?
Emilio the real man hahah, pesissimo
Quindi Cyrus=Ciro il Giovane.
A 35 anni dalla prima visione del film finalmente lo apprendo.
Grazie!
mi ha sempre infottato l’inseguimento dei fantasmi quando il tipo entra in chiesa…
Mereghetti se non sbaglio diede un giudizio a dir poco favorevole del film, nel suo manuale (tipo 3.5 pallini su un massimo di 4)
Aggiungere qualcosa alla bella recensione è inutile, credo che chiunque abbia visto The Warriors ne sia rimasto estasiato, e si emoziona ogni volta che lo rivede pure se lo conosce a memoria. Ancora oggi fa parte di quella cerchia fine anni 70-inizio anni 80 (1997 fuga da NY, Mad Max, etc) che hanno cambiato per sempre il cinema e rimangono tatuati nel cervello
Questo è stato il primo dvd che mi sono comprato con i miei soldini in accoppiata con speed. Non avevo la benché minima idea di cosa si trattasse, ma la copertina era irresistibile. Oggi, dopo migliaia di film, è ancora, saldamente, uno dei miei 10 film preferiti.
Uno di quei film che se inizi a vederlo, anche da metà, è impossibile interromperne la visione.
GRAZIE.
Non sapevo esistesse una director’s cut… una scusa in più per ri-vederlo.
…pezzissimo!
contribuisco con il mio omaggio-parodia preferito: https://youtu.be/ipsPgNEmAXI
Il tuo link non funziona…
Da parte mia segnalo questo:
https://youtu.be/fyu9DJanrGw?si=64OMuwvi13TeDD-N
quanto avrei pagato per assistere alla scena:
Walter Hill : “vorrei cominciare con ‘somewhere in the future’
Paramount : “troppo Star Wars”
WH : “no guarda, quello è ‘tanto tempo fa in una galassia lontana’, è l’esatto opposto”
P : “TROPPO STAR WARS”
Questo film è talmente un capolavoro che è uscito bello pure il tie-in videoludico (e chi mastica videogiochi sa quanto sia cosa rara).
oh , è stato il motivo per il quale ho “dovuto” comprare una psx.
Ok sono curioso: pareri sul Director’s Cut?
Il mio: uscito troppo tardi, parti fumettose davvero brutte e a parte quello le trovo ridondanti visto che ormai c’era anche la Dj a dividere la storia in capitoli.
Totalmente d’accordo, gli inserti fumettistici tolgono drammaticità al film e creano una cornice favolistica che diminuisce l’impatto realistico della messinscena.
Perché la trama sarà anche fantasiosa ma lo spaventoso sfondo di criminalità, degrado e povertà in cui i personaggi si muovono è la testimonianza di un’epoca ed una delle ragioni per le quali il film rimane impresso.
Director’s cut tanto inutile quanto controproducente, a dimostrazione che, talvolta, i produttori hanno ragione a frenare l’estro dei registi.
Le transizioni fumettose semplicemente oscene. Abbassano di dieci tacche la classe con cui Hill dirige il resto. Il prologo bah, imbarazzante: “duemila anni fa dei greci furono eroi. Ma adesso cambiamo argomento, e andiamo a New York” ma allora sticazzi dei greci.
Ho incidentalmente rivisto The Warriors qualche giorno fa e non capivo come facessi a non ricordare gli inserti cartoon e il preludio che specifica l’ambientazione distopica, grazie alla rece per aver specificato che effettivamente non li ricordavo perché non li avevo mai visti. Le vignette uribili, ma la frase che contestualizza il non-tempo in cui si svolge non è male, lo rende ancora più straniante.
Ricordo che NY fra la fine degli anni 70 e fine 80 ,con l’arrivo di Giuliani ,era una delle città più pericolose del mondo
Recensione che fomenta , in positivo (complimenti), e ti fa salire la scimmia.
Tocca rivederlo assolutamente.
Credo di aver riascolato il discorso di Cyrus decine di volte, uno dei più intrisi di fomento motivazionale e di sentenze da scolpire nella pietra che mi ricordi (“BECAUSE IT’S ALL OUR TURF!!”). Roger Hill, che interpreta Cyrus, in stato di grazia (non so se la scena è stata girata innumerevoli volte) e per quanto il minutaggio complessivo del capo dei capi (“pure magic!”) l’ho considerato uno dei protagonisti al pari dei Guerrieri.
“Can you dig it? CAN YOU DIG IT???” 😜😜
mi spiace contraddirvi ma la frase più epica è WE OUTNUMBER THE POLICE FIVE TO ONE che da anche al resto del film quel sapore di “stiamo a farci la guerra tra di noi per niente invece di fottere i pigs e il sistema”
gli “elmetti” li chiamavano in inglese se ricordo bene, comunque si anche per me il momento del film che mi alzo sempre per applaudire.
insomma, le anabasi: walter hill :P
Son passati abbastanza giorni, ora posso scriverlo. 53 commenti ai guerrieri della notte, in questo sito, è sintomo di qualcosa. Non so di cosa, forse solo che chi lo ha visto e “vissuto” ora sta facendo altro
Non c’è mai stato bordello nei film d’archivio. Il bordello scappa sempre per il fenomeno di attualità su cui tutti non vedono l’ora di esprimere la propria opinione.
Grazie della risposta
Capisco ma mi aspettavo un’adunanza
Mancato ricambio generazionale degli spettatori di certo cinema e, a cascata, dei lettori del blog che escano dalla condizione di lurker, offerta cinematografica e televisiva spropositata ed inarrestabile, scarsa voglia di recuperare classici del passato recente.
Un insieme di fattori che retroagiscono gli uni sugli altri, in una società che ha visto radicalmente mutare, nel corso degli anni, sensibilità, interessi e modalità di interazione.
I blog non se li caga più nessuno, è archeoinformatica. Siamo rimasti solo noi vecchi ed è un bene, la merda Z ha la sindrome da disattenzione compulsiva, non riuscirebbero a leggere 10 righe di fila senza un urletto, uno skip-ad o un fuffaguru delle cripto che gli spiega il dropshipping.
Il futuro prossimo dell’occidente è in mano ai cinesi.
Raga, vi state facendo delle pippe su dati che state inventando a sentimento. Va tutto bene.
@Nanni
Hai appena descritto un cineforum.
Sul dibattito l’altro Nanni ci aveva visto lungo.
Almeno ho contribuito ad arrivare a 63!
@La Paciugona
“Il futuro prossimo dell’occidente è in mano ai cinesi”
Non se battiamo gli elmetti 5 a 1.
The deuce con James Franco non è minimamente paragonabile a questo capolavoro. Come cazzo si fa anche solo ad affiancare due titoli come questi? JAMES FRANCO dico… JAMES FRANCO.
Concorco James franco è l’anticinema, ha la faccia del perdente raccomandato che non è credibile nemmeno nel ruolo da perderte raccomandato.
Chi considera buono deuce è semplicemente un james franco con meno amici importanti.
Un film sontuoso, seminale, unico di un tipo di cinema ormai morto e sepolto, quello del racconto sociale e sociologico travestito da cinema d’azione, o più in generale da cinema di menare (Rocky, Rambo, ma pure Karate Kid, per citare i primi tre random). Ma la riflessione che faccio è: per noi 40enni sicuramente un assioma, un caposaldo, la forgia di una cultura pop della quale siamo tutti marchiati, almeno noi che bazzichiamo questo blog. Ma le nuove generazioni, quanto si possono riconoscere in questo capolavoro? Non tanto per la dinamica ormai sorpassata di farsi la guerra rincorrendosi a piedi e non su dei monopattini elettrici, quanto per il diverso sistema sociale e di valori nel quale i 12enni di oggi crescono…una volta eravamo tutti molto più “uniformati”, soprattutto in adolescenza e prima giovinezza. C’erano i ricchi, i proletari e una classe media a cui tanti di noi sono appartenuti. Ma potevi essere ricco ed essere amico di uno povero, magari con un background familiare diverso, però con uno scenario di vita comune condivisa e più o meno, fino ad un certo punto della tua vita, facevi le stesse cose e seguivi gli stessi riti di formazione ed educazione. C’erano i quartieri e le bande, le risse fra queste ultime (anche a Torino, dove vivo io), c’erano i ragazzini ricchi che incrociavi sugli stessi autobus che ti portavano a scuola con loro, c’erano tante differenze ma tutto sommato c’era un’unione data dal un certo senso di appartenenza alla stessa “cosa”. Oggi sono spesso soli, o peggio isolati, spesso non conoscono il significato della parola comitiva, nè sanno cosa significhi avere giornate da trascorrere a bighellonare ed inventarsi cose da fare senza l’aiuto di smartphone attaccati agli occhi h24. Io non credo che, come per altri capolavori della nostra giovinezza, sia un film che apprezzino. Ma rimane un’opera d’arte immortale, senza dubbio.
Vabbè, una digressione \ sega mentale e niente di più, ma la volevo fare :-)
p.s. un altro film che a mio parere dipinge e racconta, anche attraverso le parole di Carlito, in maniera sublime la NY degli anni ’70, per quanto meno prepotente e senza che la città diventi essa stessa protagonista del film, è Carlito’s Way a mio parere.
Sono pienamente d’accordo
Sulla prima parte del commento, su Carlito non mi esprimo perché non ho visto
Ma sì, il mondo giovanile di quegli anni non esiste quasi più e credo che la fama dei “guerrieri della notte” sia alquanto scemata negli ultimi vent’anni
(La citazione ad Anacleto è del tutto involontaria)
Sono perfettamente conscio del fatto che questo commento, a tre mesi di distanza dalla pubblicazione del post, non lo leggerà mai nessuno.
Ma ho appena scoperto che esiste un’organizzazione di pazzi fottuti che ogni anno organizza una corsa che parte dal parco del raduno di Cyrus e arriva alla spiaggia di Coney Island, seguendo il percorso dei Warriors, e da qualche parte dovevo scriverlo.
Sono quasi cinquanta chilometri e si parte all’una di notte.
Sono qyas