Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
«Mi fa sempre ridere pensare al fatto che la gente definisce questo film una “buddy comedy”: questi due si odiano a morte, e non c’è poi molto da ridere».
Una variazione di questa frase Walter Hill la pronuncia ogni volta che gli chiedono di parlare di 48 ore. E, ovviamente, non ha torto: i due protagonisti, lo sbirro Jack Cates interpretato da Nick Nolte e il ladro Reggie Hammond impersonato da Eddie Murphy, passano la quasi totalità del tempo a insultarsi, sfottersi, sfancularsi e/o menarsi, e il massimo a cui arrivano alla fine non credo possa definirsi davvero “amicizia” quanto “reciproco rispetto”. Quanto alla commedia, 48 ore è grandissimo intrattenimento, certo, ha dei momenti genuinamente divertenti, ma è anche difficile che guardandolo vi rotoliate sul pavimento ridendo sguaiatamente. Come dice sempre Hill, «è un action movie con dei momenti divertenti, non una commedia con qualche scena d’azione».
Siccome la vita è strana, e la storia del cinema ancora di più, 48 ore è «il film che ha inventato le buddy action comedy». Ed è vero, eh. Anche se qualche prodromo c’era, naturalmente, perché nulla, neanche i film di Walter Hill, si sviluppano nel vuoto: nel 1974 Una strana coppia di sbirri con James Caan e Alan Arkin, e per quanto riguarda l’accoppiata di un co-protagonista nero e un co-protagonista bianco lo stesso Hill cita la doppia influenza di Sidney Poitier, dai suoi film d’attore come La parete di fango e La calda notte dell’ispettore Tibbs al lavoro come regista di Nessuno ci può fermare, con Richard Pryor e Gene Wilder. Ma il punto è che 48 ore distilla e raffina una formula perfetta, ha un enorme successo e porta alla produzione di epigoni in quantità, per la precisione quella quantità che a un certo punto smette di essere “una sequela di imitazioni” e diventa “il genere più amato e frequentato da Shane Black”.

il motivo per cui
E quasi tutti i film che discendono da 48 ore, da Beverly Hills Cop a Men in Black, sono infinitamente più “commedia” di 48 ore (anche se non è così automatico che i co-protagonisti siano davvero “amici”). Il motivo per cui il genere inaugurato dal film di Hill viene identificato da tutti come buddy comedy è, sostanzialmente, Eddie Murphy. Eddie Murphy che, vorrei ce lo ricordassimo tutti ogni volta che rivediamo 48 ore, è al suo primo film in carriera. Non solo: è arrivato sul set due settimane dopo tutti gli altri, praticamente senza fare prove, perché doveva prima finire la stagione del Saturday Night Live (un’altra cosa che sarebbe bello ricordarsi sempre quando riguardiamo questo film: hanno iniziato a girarlo nella primavera del 1981, ed è uscito a inizio dicembre, per dire della velocità assurda con le persone giuste sanno confezionare cult movie).
Ovviamente Eddie Murphy non era un novellino, perché nel 1982 – A VENTUN ANNI – era già la stella più luminosa del Saturday Night Live, anzi, aveva praticamente salvato da solo il moribondo programma (al quale aveva cominciato a lavorare A DICIANNOVE ANNI) dopo il provvisorio abbandono del creatore Lorne Michaels. Si esibiva sui palcoscenici praticamente da quando era adolescente, però, ecco, un film non l’aveva mai fatto, e come può agilmente dimostrarci la lunga e spesso deprimente sfilza di film brutti costruiti attorno a stand-up comedian di successo, un conto è fare uno sketch indimenticabile in tv e un altro essere una star del cinema. È vero che in quegli anni il salto dal piccolo schermo del Saturday Night Live a quello grande delle sale cinematografiche era riuscito a diversi soggetti (portando, tra l’altro, alla realizzazione di quello che forse se mi obbligassero sotto minaccia di tortura potrei definire il mio film preferito), ma il rischio di spiaccicarsi male provandoci rimaneva alto. Walter Hill racconta di aver detto a Nick Nolte: «Ti toccherà essere bravissimo a ogni ripresa, perché questo tizio è alla prima esperienza, farà un sacco di take inutilizzabili, appena riesce a farne una buona la teniamo e via». Ovviamente la storia si rivelerà un’altra, ora lo sappiamo: fin dal primo momento in cui compare – solo in forma “sonora”, canticchiando stonato Roxanne dei (sarà un caso?) Police – Eddie Murphy è già la star che, alla fine del decennio, verrà incoronata come “la più pagata degli anni 80”.
La strada che porta Murphy su quel set comincia un sacco di anni prima, e, come per molti capolavori di Hill, con Larry Gordon. Il quale ha – pare fin dal 1971 – quest’idea del “countdown” di 48 ore e di un poliziotto e un criminale costretti a collaborare per risolvere un caso. Nel primo soggetto c’è un cattivo che rapisce la figlia del governatore della Louisiana, la impacchetta nella dinamite e minaccia di farla esplodere dopo due giorni se non viene pagato il riscatto; un poliziotto tosto va a pescare in un carcere un altro criminale che conosce bene il rapitore per farsi aiutare a salvare la ragazza. Hill suggerisce di far scrivere la sceneggiatura al montatore di L’eroe della strada Roger Spottiswoode, che come lui aveva collaborato con Peckinpah (e che in futuro avrebbe diretto, tra le altre cose, Sotto tiro con Nick Nolte, e 007 – Il domani non muore mai), e che riambienta la storia in una grossa città e gli dà un tono in generale più realistico, meno sopra le righe. A un certo punto, il copione viene riscritto ancora su misura per Clint Eastwood, che dopo aver fatto l’ispettore Callaghan ora vuole fare il criminale, ma poi preferisce fare il criminale per Don Siegel in Fuga da Alcatraz e tutto va di nuovo a monte. Hill, a quel punto, suggerisce che il criminale lo faccia Richard Pryor, introducendo con un solo colpo di genio le due idee che faranno di 48 ore un archetipo: il fatto che in questo action thriller possano esserci degli elementi di commedia, e il fatto che il conflitto razziale possa sommarsi, per i due protagonisti, a quello, diciamo così, “professionale”. Con la consueta lungimiranza che contraddistingue i produttori, la Paramount gli dice di no, il progetto naufraga per l’ennesima volta, Hill fa altri film, poi a un certo punto gli stessi produttori lo richiamano e gli chiedono «ti va di fare ancora quel film delle 48 ore ma con Nick Nolte e con un attore nero come suggerivi?» e lui risponde: «Absolutely!».

non c’è tempo da perdere
Come dicevo, 48 ore è un film su una “corsa contro il tempo” che viene fatto come “una corsa contro il tempo”, perché l’allora capo della Paramount Michael Eisner (uno che se c’è un villain nella storia dei produttori cinematografici secondo me è lui) vuole un altro film da distribuire sotto Natale per “auto-controprogrammarsi” il sequel di L’aereo più pazzo del mondo. A quel punto avere Richard Pryor però è impossibile, è diventato un nome troppo “grosso” e pieno di impegni, Hill vorrebbe Gregory Hines (che poi farà un buddy cop movie con Billy Crystal!) ma è impegnato pure lui, pare che venga preso in considerazione pure un giovane Denzel Washington, ma alla fine ci si convince a provare questo giovane comico che sta facendo furore al Saturday Night Live, tale Eddie Murphy. E per lui si rimaneggia ancora lo script, col nostro amico Steven E. de Souza ingaggiato per aggiungere un “light touch”, e presto rimpiazzato da Hill con Larry Gross. Cosa di cui gli siamo grati soprattutto perché Gross ha tenuto, e poi reso pubblico, un diario di lavorazione che è pieno di preziosissime info, e di cui potete leggere degli estratti qui.
E finalmente ci siamo: iniziano a girare, Eddie Murphy è perfetto, l’unico a non accorgersene ovviamente è Michael Eisner che non lo trova «abbastanza divertente» e vorrebbe cacciarlo, ma Hill a questo punto ha capito cos’ha per le mani, e si impone. Lo difende dalle ingerenze dei produttori e cerca di metterlo a suo agio sul set. Capisce che Murphy non è solo divertente, ma è soprattutto un bravo attore, con un istinto pazzesco e una presenza scenica innegabile: il suo Reggie Hammond non è una caricatura, non è una macchietta, è un personaggio credibile, verosimile, di cui possiamo intuire la storia pregressa, le motivazioni, le strategie mano a mano che lo vediamo in azione. Ancora una volta, anche con elementi di “commedia” tutto sommato nuovi nel suo cinema, Hill si riconferma un maestro nel far parlare i suoi personaggi attraverso i gesti, attraverso l’azione. E in Murphy trova un complice strepitoso: la prova è in quella che viene ricordata spesso come la sequenza chiave del film, quella in cui Reggie, da solo, prende il controllo di un intero locale addobbato di bandiere confederate e zeppo di redneck razzisti utilizzando esclusivamente la propria sfrontata sfacciataggine e il badge della polizia di qualcun altro. Eddie Murphy, con il beneplacito di Hill, quella sequenza la improvvisa: entra in quel locale che è un celebre comico, ne esce divo del cinema, e già icona Eighties, e oltre.

io li odio i nazisti di san francisco
Improvvisazioni a parte, quella di 48 ore è una sceneggiatura che – soprattutto se si pensa a quanto è stata rimaneggiata – sorprende per solidità, intelligenza, linearità ed efficacia. Il plot è dritto, volendo perfino prevedibile, ma è organizzato in modo preciso e geometrico, attorno a continui sdoppiamenti e simmetrie. A partire dalla coppia di protagonisti che si specchia nella coppia di villain (un esempio: all’inizio è il Ganz di James Remar a organizzare un incontro sessuale per il compagno Billy Bear che l’ha liberato dalla prigionia; alla fine Jack/Nolte presta 20 dollari a Reggie/Murphy per una camera d’hotel in cui fare sesso con la ragazza che ha rimorchiato), e proseguendo con frasi che si ripetono e rincorrono («Listen: we ain’t no partners, no brothers and no friends…») e con le due scene opposte e complementari nei locali, quella già citata in cui Reggie è (ovviamente) l’unico nero tra i suprematisti bianchi, e quella che dà il via all’ultimo atto in cui è Jack a raggiungere, unico bianco, Reggie in un club di Fillmore, quartiere tradizionalmente black di San Francisco. L’avvicinamento tra i due nemiciamici si costruisce anche nelle simili reazioni che hanno con i rispettivi interessi sentimentali: prima è Jack a dimenticarsi la fidanzata al telefono per inseguire Reggie, poi è Reggie a mollare la tipa con cui sta finalmente per andare a letto per chiamare Jack all’inseguimento di Luther (rieccolo qui quel matto totale di David Patrick Kelly: con James Remar questo film fa il bis anche di matti totali).
E insomma tutti questi “doppioni” non sono un caso in un film che fa del ribaltamento (delle aspettative e degli stereotipi: per un interessante analisi delle dinamiche razziali del film, guardate l’episodio dedicato a 48 ore in Voir, serie Netflix di videosaggi sul cinema prodotta anche da David Fincher) la sua cifra – il ribaltamento, poi, è pure, non a caso, uno dei più frequenti strumenti della comicità. Eddie Murphy funziona così bene anche perché il suo personaggio è sempre, in realtà, il contrario di quello che gli altri pensano che sia, ostinandosi a sottovalutarlo (la gag della portiera dell’auto, pure quella, la fa due volte). Ed è l’opposto complementare di Jack/Nick Nolte: loquace quanto l’altro è laconico, allegro quanto l’altro è malmostoso, elegante quanto l’altro è sciatto, etc. Pure nella sequenza in cui si prendono a cazzotti hanno stili di combattimento e movimenti antitetici: per inciso, mandano a segno lo stesso numero di colpi, con l’ultimo pugno dato a tradimento da Jack a pareggiare i conti, e la partita.

pari e patta
Poi, vabbè, è ormai quasi scontato da ribadire, ma c’è sempre Hill che fa il suo mestiere meglio di quasi tutti: con un altro dei suoi incipit strepitosi (in cui, peraltro, i villain riescono a fregare gli sbirri proprio giocando sul ribaltamento delle aspettative), una sequenza d’inseguimento & sparatorie tra un’auto e UN PULLMAN, un’altra tesissima tra la folla in metropolitana, una sparatoria durissima e sanguinolenta, e poi un finale tra fumo, nebbia e neon che Refn probabilmente si sogna tutte le notti (mentre ripete tra sé la balla secondo cui non aveva mai visto The Driver prima di fare Drive). Nessuno si stupisce che questo sia quel raro tipo di film che non ci si stufa mai, ma proprio mai, di rivedere.
Dvd quote:
«C’è un nuovo sceriffo in città, e il suo nome è Eddie Murphy»
Xena Rowlands, i400calci.com
Beh, si’.
Era gia’ tutto qui, alla fine. E a chi e’ venuto dopo non e’ rimasto altro da fare se non pigliare appunti.
Su Reggie, il buon Eddie ha costruito l’altro suo personaggio iconico per eccellenza ovvero il detective Foley di Beverly Hills Cop.
Bella rece di un grande film, sarebbe interessante capire poi come mai il buon Eddie non ha saputo andare oltre gli anni 80 e da li in poi ha sbagliato quasi tutto. Ma è un altro film.
Verissimo. Uno di quei deragliamenti di carriera (non l’unico) sui quali si potrebbero scrivere dei saggi.
Cmq si, grandissimo film.
Non è che “ha sbagliato film”. Semplicemente si è fossilizzato a fare sempre lo stesso film (commedia per famiglie) e, di riflesso, sempre le stesse battute come un massimo boldi qualunque
Concordo.
Piu’ che di sbagli, possiamo dire che Murphy come attore non aveva ragione di esistere oltre il decennio in cui ha fatto faville.
Bellissima recensione, dice tutto quello che c’è da dire.
La risata di Murphy dopo “Beverly Hills Cop” di un paio di anni più tardi divenne un simbolo della cultura pop anni ’80.
@Lestofante, Eddie pure negli anni ’90 era sulla cresta dell’onda, la saga del Professore Matto fu un bel successo. Il patatrac arriva nel 2002 con Pluto Nash che fu una mazzata clamorosa. Poi però si è risollevato
In realtà la risata di cui parli è quella di Tonino Accolla. Fuori dall’Italia non esiste.
@MariaChi? mi hai distrutto un mito
@Killing Joke: Accolla tendeva a “caratterizzare” i personaggi che doppiava, spesso facendo aggiunte che nella versione originale non c’erano; altre sue invenzioni fortunate per esempio sono il “De hi hi ho!” e il “mitico!” di Homer Simpson.
Sfatiamo una leggenda metropolitana: la risata di Eddie Murphy fuori dall’Italia esiste. È solo molto diversa. Ma esiste ed è famosa. Probabilmente quella di Accolla suona più particolare/memorabile, ma non è che aggiungevano scene in cui rideva solo per il mercato italiano.
@Nanni Cobretti mi permetto di dissentire, ho notato che sono diverse le scene in cui un semplice sorriso di Eddie Murphy viene doppiato con la “risata” da Accolla.
@mariachi: ribatto con la lettura di più di un saggio anglofono su Eddie Murphy in cui si cita la sua memorabile risata.
@ Killing Joke: “Eddie pure negli anni ’90 era sulla cresta dell’onda, la saga del Professore Matto fu un bel successo. Il patatrac arriva nel 2002 con Pluto Nash che fu una mazzata clamorosa. Poi però si è risollevato”
No dai, non c’e’ proprio paragone. Ovviamente Murphy resta sempre un attore molto noto, ma negli anni 80 era molto piu’ che famoso e di una “semplice” star cinematografica, era un Divo, un archetipo vivente, ad un certo punto superiore anche a Stallone, Schwarzenegger e Cruise.
Il declino arrivo’ quando si mise in testa didiventare una specie di Clark Gable black. Gli ando’ bene con ” Il principe cerca moglie” perche’ nonostante tutto c’era Landis, gli ando’ malissimo con “Harlem Nights” da lui anche diretto (anche se Tarantino che lo elogia nel suo saggio mi ha messo voglia di rivederlo). Da li’ in poi solo flopponi micidiali. Quando ritrovo’ il successo con “The Nutty Professor” nel 1996, sembravano passati 20 anni dagli anni del successo, aveva gia’ l’aria da ex stella del cinema (a 34 anni!) costretta a filmetti di cassetta un po’ umilianti.
@tommaso Però devi tenere conto del cambiamento dello star system tra gli anni ’80 e i ’90.
Onestamente non so dire se negli anni ’80 Murphy fosse addirittura superiore a Stallone e Arnold come dici te, ma pure per loro nel decennio successivo cambiarono parecchie cose.
Da quel che mi ricordo io la saga del Professore Matto fu un bel successo
Murphy a un certo punto era quell’attore che piaceva anche ai nonni, Stallone, Schwarzy e Cruise all’epoca tiravano piu’ presso il pubblico giovane.
Poi Murphy, dalla sera alla mattina, nei 90 divento’ proprio irrilevante, cosa che Stallone e Arnold non e’ mai successa, neanche ora che pure non richiamano piu’ gente al cinema.
Certo che “The Nutty Professor” fu un grosso successo, ma e’ come se da un certo momento in poi Stallone e Schwarzenegger fossero andati avanti (e identificati) solo con roba come “Fermati o mamma spara” e “Un poliziotto alle elementari”.
Tra l’altro ho sempre trovato tristissimo che Murphy, dal rovinarsi la carriera volendosi proporre come attore elegante e fascinoso, sia finito a fare il guitto scoreggione da commedie per famiglie.
Io ricordavo che fosse stato trombato dalla malefica&ipocrita Hollywood perché lo avevano sgamato che andava a troie e/o viados.
@Bugo: no, semplicemente a un certo punto è diventato abbastanza famoso da tirarsela, fare il difficile sui progetti che gli interessavano, finire per scegliere roba che non ha fatto soldi (Harlem Nights per primo), ecc… Il resto è rimasto a livello di rumours mai davvero esplosi.
Lasciate stare Harlem Nights, che è un filmone
Citerò, a difesa della libertà despressione nell’arte e nella settima in primis, due delle battute più politicamente scorrette della storia del cinema, entrambe pronunciate da Nick Nolte, in ambedue i casi nel ruolo di uno sbirro:
“Io ti trituro, negro” – 48 ore
“Lo so che siete dei maledetti froci che vi piace prenderlo nel culo” (notasi l’uso geniale del pronome relativo, merito dell’ottimo doppiaggio) – Questions & Answers (Terzo grado).
Sono frasi che oggi non si possono dire, ma caratterizzavano (nel bene, visto il percorso successivo nel primo caso) e nel male (assoluto) i personaggi che le pronunciavano.
L’unico a surclassare Nolte è stato Christian Bale in “Shaft”, pronunciando una roba che credo abbia fatto rabbrividire anche i ragazzi del Klan.
Coi quali vado notoriamente a caccia i weekend.
Poi beviamo sangue di cervo.
Ciao Vandal! Lo so che ti piace dire le parolacce nel nostro sito sapendo che non le gradiamo perché ti fa sentire provocatorio ed eroico. Lo si capisce anche dal fatto che citi pure un dialogo che non è in argomento con niente. Entrambi (per fortuna) caratterizzano un personaggio e sono riparati dall’ampio ombrello di privilegio culturale dell’epoca, per cui esistono sicuramente esempi peggiori, ma la brutta notizia è che non stanno difendendo la “libertà” (d’espressione o altro) ma unicamente l’individualismo e il menefreghismo. E comunque, a difesa di Walter Hill, non trovo che caratterizzino il personaggio in positivo neanche nel primo caso. Però, siccome potrebbero nascerne discorsi lunghissimi che preferirei fare davanti a una birra dove se ti spazientisci e mi vuoi dare un cazzotto sarebbe più onesto che abbaiare qua, concedimi quel rispetto a cui credo tu tenga e lascia perdere. Com’è?
Eh, lo ammetto. è una mia debolezza.
Sei libero nel fine settimana?
Alla grande, ma tu hai iniziato l’argomento, tu vieni a casa mia.
Ok.
Dopo la cosa del cervo.
XD!
A me non sembra che da quando non si possa più dire “negro” il cinema abbia perso qualcosa. Semmai ci ha perso nel non poter sfruttare certe dinamiche legate a stereotipi. L’eccesso di parolacce ed un certo tiro laido che aveva il cinema anni ’80 sono figlie di un periodo, non archetipi o “must” senza i quali un action non possa riuscire. Naturalmente la situazione del linguaggio odierna è oggetto di dicussione poiché estremizzata al woke ma credo sia dovuto al fatto che il cambiamento culturale riguardo alle minoranze nel cinema sia ancora agli albori e dopo anni di maschiocentrismo bianco sia ancora allo stadio della reazione uguale e contraria. Magari in futuro si troverà un equilibrio dettato dal buonsenso, connotato dalla purezza dell’intenzione e non comandato dalla forma. Insomma, credo che ci potrà essere il clima per considerare che non siano necessari Dei norreni o elfi di colore nulla più che una lecita opinione
Scusa Nanni, non voglio essere quello che tira sempre fuori questo argomento (quantunque se si parla di Murphy negli éitis non sia certo OT) ma mi domando se tu ti renda di quanto la sensibilità che abbiamo in Italia su certe questioni sia diversa da quella che c’è dove abiti tu? In questo senso (almeno nella mia bolla) l’Italia è come un paese del “secondo mondo”, cioè non sottosviluppato, ma zingaro e sgarrupato, dove certe cose non attecchiscono. Però boh, a me sembra che più in un paese vige un apartheid di fatto, più diventa mandatory negarlo ipocritamente nel linguaggio, e questo rende il problema innominabile e di fatto contribuisce a mantenerlo.
È vero che questa non è la sede per certi discorsi, eppure se continuano a tornare a galla un motivo ci sarà.
Io lo ripeto, per me il motivo che, anche senza volerlo, col linguaggio che avete inventato e che rappresentate pone sempre questo problema, perché la comicità sempre lì va a parare, dove c’è qualcosa che è proibito dire. E lo smaschera.
Ci sono mille considerazioni da fare: una di queste è che se ti riferisci all’intervento di VandalSavage non mi pare che abbia smascherato nulla se non un “tic” personale che lui stesso ha ammesso; un’altra è che trovo preoccupante come certo linguaggio diventi il problema più impellente di cui parlare in un sito di cinema nel contesto della recensione di un film di cui è caratteristica accessoria; un’altra è che mi pare che sui termini in questione ci sia chiarezza anche in Italia nonostante tale chiarezza, come giustamente noti, ci stia mettendo più tempo ad essere assimilata; un’altra è che sul perché di questa lentezza ci si potrebbe discutere per mesi tirando in ballo mille fattori diversi, e che questo, ovviamente, non è il luogo più opportuno in cui farlo. In generale – e lo sai perché ne abbiamo già parlato – trovo sinceramente sbalorditivo che il dover tirare via un paio di paroline dal proprio vocabolario debba essere motivo di disagio tale da dover esplodere al minimo accenno di argomentazioni tangenziali addirittura, a volte, sentendosi Braveheart.
Giustissimo, niente da dire. Anzi, ti faccio l’ultima domanda che avevo sempre dato per scontata, ma invece va esplicitata e (per quel che mi riguarda) taglia la testa al toro. Ma tu lo fai perché vuoi o perché devi? Cioè se tu vuoi tenere lontani da qui certi discorsi e le persone che ne sono portatrici fai benissimo. Se invece sei costretto perché altrimenti avresti rogne, fai benissimo e io non avrei il fegato di fare diversamente, però mi girano le palle perché non va bene.
In effetti io mi sento Braveheart, ma per altri motivi.
Il mio era un intervento serio, espresso negli usuali termini faceti, attinente al cinema, alla storia di questo sito e alla filmografia di Hill in particolare (ma anche di Siegel, Milius e Peckimpah).
Ciononostante, se invitato a usare il bagno degli ospiti dal padrone di casa, da gentiluomo (del Sud XD!) qual sono, eviterò di defecare in salotto, men che meno mi produrrò in un fastidioso abbaiare.
Ne riparliamo davanti a birra e salsicce.
Oddio Bugo, se “dovessi” vi direi di non farlo e basta e non perderei tempo in altre spiegazioni e giustificazioni, no? Tipo: dovervi far compilare il CAPTCHA prima di commentare è una decisione presa sopra ai miei poteri e non posso farci nulla, posso solo chiedervi di portare pazienza.
Guarda, espando: questo sito, e lo ripeto costantemente dal 2009, è letteralmente nato per dimostrare che i film d’azione e d’orrore possono piacere anche a un tipo di gente che non corrisponde a certi stereotipi del fan medio di film d’azione e film d’orrore in cui personalmente non mi ritrovo per nulla, e per vedere se “ero l’unico” (ma avevo già almeno un pugno di co-redattori che mi dimostravano che no). Il motivo per cui mi piace 48 ore e altra roba di quel periodo – sembra stranissimo, a leggere certi discorsi in cui comunque mi sono imbattuto un numero inenarrabile di volte negli ultimi anni – non ha niente a che fare col fatto che il protagonista potesse trattare male donne e/o minoranze varie, ma in generale (sconvolgetevi!!!) con il modo in cui veniva presentata e girata l’azione. Questa è la mission.
che la comicità vada sempre a parare sul proibito a dirsi e lo smascheri (cosa? l’ipocrisia?) insomma…forse parliamo di satira a sto punto…ma se la cinematografia (di produzione e pubblico) è per grandissima parte non italiana non vedo neanche il motivo di psicanalizzare la presunta inferiorità del pubblico italico su “certe” questioni che a noi arrivano già ultra filtrate e iper discusse (a torto o a ragione).
Poi il sito è i 400 calci…la “comicità” può esserci nel genere di menare ma è un aspetto secondario e i film mi sembra vengano scelti e recensiti in base ad altri criteri.
A me fa più ridere sapere che c’è gente che perde tempo a discutere di uno spot di un supermercato…quello sì tutto farina del nostro sacco…però vabbè che ce vuoi fa.
preciso, e chiudo la polemica tra me e il sottoscritto (cit.), che non era una critica a nessuno nè dei commentatori nè del sito sul modo di vedere certe questioni..ognuno ha la sua sensibilità…era una considerazione ad alta voce e non richiesta solo sull’ambito cinematografico.
Ultimo film divertente di Eddie, a mio avviso: Bowfinger.
Dolemyte is my name, su Netflix. Con Eddie ovviamente. Bel meta film su lui che, senza soldi, vuol girare un film, il tutto nei 70 se non erro.
Mi è piaciuto, molto simpatico, direi consigliato con pretese non altissime :)
Lo sappiamo però che è un film tratto da una storia vera, giusto? https://www.i400calci.com/2010/04/blaxploitation-heroes-dolemite/
“hanno iniziato a girarlo nella primavera del 1981, ed è uscito a inizio dicembre, per dire della velocità assurda con le persone giuste sanno confezionare cult movie!”
…e del potere di quella polverina bianca di cui adesso non mi sovviene il nome
Dixan
bellissimo articolo Xena! grazie grazie grazie
(segnalo un micro-refuso: “velocità assurda con [cui?] le persone giuste”)
Xena , condividiamo il film preferito ( quello che , se proprio mi costringessero, ecc…), e non potrei essere più felice di condividerlo con qualcuno che scrive sul mio sito preferito 🤩
Rece eccellente di un film che ha creato un genere, e che piacere leggere i commenti dei regáz qui sul sito . Grazie come sempre di esistere