Non farò l’ipocrita: mi piace John Wick.
È apparso in questi tempi bui come l’inaspettato messia del mainstream hollywoodiano che finalmente aveva capito come girare le scene di menare, una battaglia che dopo tutti questi anni davo ormai per persa.
Ho solo delle belle parole per John Wick.
Ma The Raid era un’altra cosa.
The Raid non era una serie di botte pirotecniche su una trama buffa tipo “ammazzano il cane al killer sbagliato, il quale si vendica contro un’intera società pseudo-segreta di pittoreschi assassini con il suo tuxedo antiproiettile”.
The Raid era praticamente un cazzo di horror: una specie di tesissimo slasher in cui il protagonista è da solo contro decine di pazzi armati che lo vogliono morto. Una trama sì semplice, ma che funzionava perché ti coinvolgeva nella situazione di pericolo, in cui le botte non erano mai fini a loro stesse.
Dopo The Raid sono venuti diversi cloni, ma ognuno di loro si concentrava sull’elaborare ulteriormente questo nuovo modo di gonfiarsi di mazzate cruento, sadico e attentamente coreografato lanciato da Gareth Evans, e sul resto del film ci si chiedeva di sorvolare. E chi si lamenta.
Ma Farang è il primo film, dai tempi di The Raid, ad aver capito che il gioco non è tutto lì.
Farang è il nuovo film del francese Xavier Gens, lanciato da Frontier(s) e bruciato quasi subito da Hitman. Il buon Xavier aveva continuato in questi ultimi anni a girare qualcosina qua e là con successo alternato, e poi gli era capitata l’occasione d’oro: un workshop, praticamente, agli ordini di Gareth Evans in persona a dirigere alcuni episodi della prima stagione di Gangs of London. È qui che Xavier conosce Jude Poyer, action designer / stunt coordinator di fiducia di Gareth. Finisce i compiti, torna a casa, scrive Farang. Farang è la storia semplice di un ex-criminale francese che si trasferisce in Tailandia, dove cerca di rifarsi una vita con una nuova famiglia, finché il suo passato violento non lo scova anche da quelle parti. È una trama semplice, ma che consente a Xavier di dimostrare di aver capito tutto: il trucco, al di là di una trama standard e minimale, è di coinvolgerti con la storia, con personaggi semplici ma ben tratteggiati, con un mondo losco e opprimente, e poi metterci una quantità modesta d’azione – il budget non concede chissà quali ambizioni – ma far contare ogni singolo colpo. E il risultato è una delle cose più esaltanti degli ultimi anni.
Farang è già uscito in Francia, ed è passato al Frightfest.
Ho avuto modo di parlarne con Jude Poyer in persona, senza il minimo dubbio uno dei top action designer in circolazione oggi nonché un pozzo infinito di esperienza e cultura cinematografica, ed è stata una vera e propria lezione.
A voi:

Jude Poyer
Farang mi ha sinceramente lasciato con la mascella a terra. Che film. Quindi innanzitutto congratulazioni. Come sei stato coinvolto nel progetto?
Ho conosciuto Xavier Gens su Gangs of London. Ero stunt coordinator e action designer e lavoravo con Gareth Evans, e Xavier era uno dei tre registi del progetto. Non abbiamo trascorso molti giorni insieme sul set, ma abbiamo lavorato molto bene insieme e abbiamo trovato una bella intesa. Come action designer o coordinatore degli stuntman, a volte semplicemente non sei d’accordo con alcuni registi, o non parli la stessa lingua, ma Xavier e io abbiamo riferimenti simili in in termini di cinema, in particolare per quanto riguarda il cinema asiatico, per cui è stata una collaborazione molto piacevole quando abbiamo dovuto creare sequenze d’azione insieme. In seguito – penso sia stato durante il COVID – Xavier mi ha parlato per la prima volta del progetto Farang, e mi è subito interessato dalla premessa, dalla prospettiva di girare in Tailandia e da quella di lavorare di nuovo con lui. Abbiamo prima lavorato di nuovo insieme sulla seconda unità di Havoc, il nuovo film di Gareth Evans, e poi non molto tempo dopo ci siamo ritrovati per Farang.
Penso che Xavier abbia davvero trovato l’equilibrio perfetto, almeno per me, tra narrazione, personaggi e scene di combattimento. Com’è stato il processo di creazione di una coreografia che fosse impressionante ma anche bilanciata con la storia?
In primo luogo, per collegarmi a ciò che hai detto, una delle cose che ammiro di Xavier come regista è che sa come arricchire il materiale su cui lavora. Se leggi la trama di Farang, o leggi la sceneggiatura, potrebbe sembrare un film d’azione standard sulla vendetta. Mi ha ricordato un po’ quei film di Van Damme che escono direttamente in DVD, oppure Taken, o Full Contact di Ringo Lam, che ritengo sia un ottimo film. Ma quello che fa Xavier è far sentire il pubblico coinvolto nelle vicende dei suoi personaggi. Fa in modo che creda in loro e sia interessato a loro. E per me questo è davvero importante quando fai azione perché, per citare Bruce Lee nei Tre dell’Operazione Drago, abbiamo bisogno di “emotional content“, contenuti che provochino emozioni. Voglio dire: a volte è bello spegnere il cervello e godersi lo spettacolo, ma altre volte è bello preoccuparsi davvero dei protagonisti delle storie che guardiamo. E, con Farang, Xavier ha lavorato molto duramente con il cast, in particolare con il protagonista Nassim Lyes e Loryn Nounay, che interpretava sua moglie, per farti credere in queste persone e nella loro piccola famiglia. In termini di azione, c’erano alcuni problemi concreti. Non è un film con un budget elevato. Non avremmo mai avuto 30 minuti di pura azione. Penso che ci siano probabilmente circa 12 o 15 minuti di pura azione distribuiti nel film. Ma è una questione di ritmo. Xavier ha voluto un inizio un po’ lento e graduale, in modo che quando le cose arrivano al punto chiave e il film diventa di colpo una vendetta e una caccia all’uomo, il pubblico è coinvolto nel viaggio. Prima di quello c’è solo un po’ di thai boxing, e il combattimento a Parigi che è piuttosto breve e aggressivo perché serviva che fosse così, anche se doveva essere di grande impatto perché è il motivo per cui Nassim lascia la Francia per la Tailandia. Quindi sapevamo di non avere molto tempo a disposizione. Credo fermamente che, quando si tratta di action stilizzata, la qualità è più importante della quantità: lo credo sia come filmmaker che come persona che ama guardare questo tipo di scene. Meglio un combattimento di un minuto che funziona davvero bene, che un combattimento di 4 minuti che sembra affrettato, o non mi convince, o non mi emoziona. Non so se ho risposto alla tua domanda ma è questo l’approccio che ho prima di iniziare a progettare le sequenze d’azione.

Mentre butta giù uno in Farang
Funziona alla grande. Devo comunque obbligatoriamente chiederti, nello specifico, della scena che ho trovato più impressionante, ovvero il combattimento in ascensore. Che come dici tu non è molto lungo, ma succedono mille cose e si vedono infortuni clamorosi. Come è stato organizzato?
Quando Xavier mi parlò per la prima volta di Farang, non parlammo molto dell’azione ma ci concentrammo di più sulla storia, che penso spieghi il modo in cui Xavier lavora ai suoi progetti. Ma mi disse che ci sarebbe stata una rissa in un ascensore. Non voleva dirmi troppo, voleva lasciarmi una mia libertà di creare, ma mi disse che c’era un infortunio specifico che doveva accadere. Tutto qui. Parlammo di altre risse negli ascensori – ce n’è una molto bella in Die Hard 3 – ma non volevamo approfondire troppo, in modo da poter creare qualcosa di nostro. Il modo in cui lavoriamo io e il mio team quando progettiamo l’azione inizia dalla sceneggiatura e con i personaggi. E poi discutiamo con il regista: di cosa parlano queste scene? Ovviamente si tratta di una lotta, ma mi piace avere un’emozione o una motivazione particolare dietro ogni sequenza: questo influenza la coreografia, ma anche il modo in cui la scena sarà montata e girata. Nel caso di Farang, penso di aver avuto 3 settimane, forse 4 se ricordo bene. Ero in UK con una squadra di stuntman molto piccola: Chris Webb, che ha lavorato con me in Gangs of London e Havoc; Andy Taylor, che ha anche lavorato a quei due progetti e anche ad altri progetti con me, e ha lavorato molto a Hong Kong; Shane Steyn, e due stuntmen tedeschi che mi erano stati raccomandati, Hannes Pastor e Rajab Hassan. Insieme abbiamo creato le coreografie e poi abbiamo girato il previz: essenzialmente, tutti i combattimenti principali del film sono stati girati e montati in anticipo. Quindi abbiamo utilizzato il periodo antecedente alle riprese vere e proprie per sperimentare diverse angolazioni della cinepresa, diverse velocità, rallentata o accelerata e quel genere di cose. Mi sarebbe piaciuto avere anche Xavier con noi, ma a causa delle restrizioni COVID era in Tailandia o in Francia e non poteva andare avanti e indietro dal Regno Unito, quindi gli inviavo i video per avere il suo feedback. Nel caso del combattimento in ascensore, poiché era davvero complicato e aveva bisogno di raccontare una storia in termini di tenere traccia di diverse armi e diverse ferite, inizialmente non ho fatto un previz: lo abbiamo coreografato con tutta la squadra, e poi abbiamo inviato a Xavier dei video in cui eseguivamo il combattimento molto lentamente e raccontavamo i diversi momenti e cosa stava succedendo, perché il risultato finale sarebbe stato al contrario molto veloce e frenetico e non facile da seguire del tutto. Xavier ci ha dato degli appunti su cosa gli piaceva e cosa non gli piaceva, e poi abbiamo rifatto la coreografia, gliel’abbiamo inviata e lui l’ha approvata. Il piano era di girare la previz lì, ma poi si è verificato un problema tra Germania e UK riguardo ai viaggi a causa del COVID, per cui ho perso due stuntman e abbiamo dovuto interrompere. Quando poi sono andato in Tailandia per girare Farang, mentre Xavier dirigeva le scene narrative io sono andato a Bangkok con gli stuntmen che recitano nella sequenza in ascensore e con la controfigura di Nassim, e abbiamo girato la previz in un ascensore che era stato costruito per noi appositamente per quello. Filmare quel combattimento è stato un processo molto, molto specifico. Ma poiché avevamo una previz, sapevamo inquadratura per inquadratura cosa doveva accadere, non solo in termini di coreografia ma in termini di oggetti di scena, di effetti di trucco, effetti visivi e quel genere di cose. Xavier ha organizzato un meeting con tutti i diversi capi dipartimento, trucco, costumi, luci, fotografia, e abbiamo parlato della previz, ogni inquadratura, ogni taglio di montaggio. Poi Christel Bordon, l’assistente alla regia, ha organizzato meticolosamente il piano di riprese. Poiché non avevamo molto tempo per girare quel combattimento, eravamo organizzati in modo che se ad esempio uno degli stuntmen fosse dovuto andare a farsi applicare del trucco per 20 minuti, noi avremmo avuto qualcos’altro da girare che non lo prevedesse nell’inquadratura. Quindi giravamo costantemente, che è stato estenuante e faticoso, non solo per me e Xavier ma anche per gli stuntman e Nassim. Ma in realtà è stato un processo piuttosto semplice, perché abbiamo seguito la previz e sapevamo com’era la sequenza, come sarebbe stata girata e come sarebbe stata montata insieme.
Il risultato è incredibile. Direi che, in questo tipo di film d’azione, è stata la mia esperienza preferita dopo The Raid.
Grazie, per me significa molto. La gente paragona Farang a The Raid, e per me The Raid è un capolavoro e uno dei migliori film d’azione mai realizzati, quindi non so se sia vero ma è bello quando lo dicono. Ho visto il film un paio di volte con il pubblico in sala e quella sequenza ha provocato reazioni molto forti, che è molto gratificante.
Al Frightfest ha fatto effetto vedere Nassim salire sul palco con le stampelle per via dell’operazione che ha dovuto fare al ginocchio, perché il film era appena finito e sembrava quasi che fosse uscito dallo schermo e stesse ancora recuperando dal massacro finale…
Sì, è stato divertente!

Con Xavier Gens (a sinistra) in Farang
Parlando più in generale della tua carriera: hai iniziato circa vent’anni fa a Hong Kong, e da allora hai visto modi molto diversi di lavorare, non solo quello che hai appena descritto con Farang. Sto pensando nello specifico a Jackie Chan. Da quello che ho capito, Jackie Chan in un certo senso crea la coreografia sul posto: cammina per il set, analizza la location e si fa ispirare in quel momento. È stata così anche la tua esperienza con lui? Pensi che sia un metodo che possa funzionare anche in altri contesti?
Non posso parlare di come vengono fatte le cose a Hong Kong adesso perché sono quasi 20 anni che non vivo lì, ma ai miei tempi il loro approccio era effettivamente in buona parte quello, gran parte della coreografia è creata sul posto. Ovviamente c’è un po’ di pianificazione, perché potrebbero aver bisogno di oggetti di scena specifici o di cavi speciali, quindi l’action designer e i coreografi fanno un giro sul set in anticipo se possono permettersi quel lusso. Ma hai ragione nel dire che ai miei tempi non c’erano prove. Ho vissuto e lavorato a Hong Kong per otto anni, e le uniche volte che ho fatto le prove è stato per un film americano e per degli spot televisivi. Quindi sì, è molto più improvvisato in termini di coreografia, mentre in Occidente si tende a fare le prove. Ma direi che quello che sto facendo adesso con il processo previz, che è la stessa cosa che fa Gareth Evans, è solo un’estensione dello stile di Hong Kong perché improvvisiamo molto nelle nostre coreografie in quella fase. Improvvisiamo durante la previz, ma poi giriamo e montiamo in modo molto specifico. Ciò che rende l’azione di Farang o di Gangs of London diversa dalla maggior parte dei film occidentali è che noi non giriamo la cosiddetta copertura. Noi non prendiamo una parte della coreografia per poi girarla cinque volte con dieci telecamere e lasciare che sia il montatore a decidere come metterla insieme: noi giriamo inquadrature precise e motivate, le montiamo prima nella nostra testa ma poi le montiamo anche su un computer e, quando arriviamo sul set, giriamo specificatamente per quel montaggio. Ai miei tempi a Hong Kong non montavano sul set: loro giravano con già in mente il montaggio di come una ripresa avrebbe influito sull’altra, come ogni mossa avrebbe funzionato e così via. Penso che la differenza sia che negli anni 80 e 90, a Hong Kong, potevano permettersi di passare un mese a girare una sequenza d’azione di Jackie Chan e potevano permettersi di dedicare quel tempo a creare e improvvisare sul set, perché lui è Jackie Chan e c’era il budget per sostenerlo, mentre oggi queste cose sono molto costose da realizzare. E specie in Occidente, i produttori non vogliono 100 o 200 persone in una troupe bloccati mentre gli stuntman cercano di capire quale coreografia fare e come girarla. Quindi questo è uno dei vantaggi della previz: semplicemente rimuove quella fase dalla produzione e la porta alla pre-produzione, dove possiamo provare a sperimentare, senza dover pagare centinaia di tecnici, attori e artisti per stare lì sullo sfondo a guardarci con le mani in mano.

Con Jackie Chan in The Medallion
Proseguendo: hai iniziato la tua collaborazione con Gareth Evans con Apostle, e poi avete lavorato insieme in Gangs of London, che contiene alcune delle scene d’azione più impressionanti che io abbia mai visto in televisione e non solo. Mi riferisco in special modo alla sparatoria nell’episodio 5. Gareth era abituato a produzioni indonesiane per cui immagino che fosse una novità provare a tradurre il suo modo di lavorare in una produzione occidentale. Come l’avete fatto funzionare?
Ero entusiasta all’idea di fare Gangs of London per via di Gareth e di Matt Flannery, il direttore della fotografia. Erano loro i creatori dello spettacolo. E sapevamo che l’azione era il punto di forza specifico dello show, quindi era importante realizzarla correttamente. Ed era importante non affrontare l’azione nel tipico modo televisivo inglese in cui magari coreografi qualcosa al mattino e poi lo giri nel pomeriggio in 3 ore con più telecamere e poi lasci che sia il montatore a capirci qualcosa. La maggior parte dei programmi televisivi – sicuramente la maggior parte dei programmi televisivi inglesi – credo che non abbiano scene action buone per questo motivo. Per Gangs of London, Gareth e Matt dissero molto chiaramente che l’azione doveva essere di una certa qualità e affrontata in un certo modo. Prima della pre-produzione abbiamo fatto 12 settimane di action design, in cui eravamo io, Gareth e una piccola squadra di stuntman in uno spazio di prova. Abbiamo coreografato queste sequenze insieme, poi abbiamo girato e montato la previz e infine, una volta in pre-produzione, Gareth ha potuto spiegare ai diversi capi dipartimento che non avremmo girato la classica copertura e che avremmo piuttosto seguito la previz: “questi sono i movimenti della telecamera, queste sono le inquadrature, qui è dove inizia e finisce la ripresa”. È stato un processo nuovo per la maggior parte di loro perché non avevano mai visto niente di simile, ma avendo la previz potevano vedere che effettivamente funzionava. In questo modo tutti potevano prepararsi, in ogni dipartimento. Dopodiché si poteva discutere su quali sarebbero gli effetti speciali pratici sul set e cosa si poteva fare con gli effetti visivi, o dove avrebbero potuto funzionare insieme, ecc… Ovviamente sono molto felice quando la gente parla di Gangs of London, e molti parlano dell’episodio 5. Ricordo quando sono stato contattato per la prima volta per lo show: stavo leggendo alcune sceneggiature, e quando ho letto quell’episodio, sapendo che Gareth lo avrebbe diretto, ero molto emozionato. Ovviamente non tutta l’azione era scritta sulla pagina, ma la la struttura di base c’era. Per me Gareth è un maestro dell’azione, ed è anche un maestro della suspense e della costruzione della tensione, quindi ero super emozionato, ed è bello quando le persone reagiscono e parlano di quell’episodio. Devo dire che è stato un vero e proprio lavoro di squadra e non solo con il team degli stuntman, ma anche gli addetti agli effetti speciali guidati da Alexander Gunn. Rob Partridge, il nostro capo armaiolo, ha tenuto tutti al sicuro con le armi, e poi gli effetti visivi, gli addetti alle riprese, gli scenografi, hanno tutti lavorato davvero, davvero duramente. Gli scenografi hanno costruito una fattoria in Galles, e poi avevamo anche un doppio set per il piano superiore e un set per il tetto e, fra queste tre costruzioni, siamo riusciti a creare delle riprese davvero impressionanti.

Gangs of London, episodio 5
Decisamente. Oggi sembra che sia un ottimo momento per essere un coreografo d’azione. Non so se sei d’accordo, ma per come la vedo io John Wick è riuscito a prendere i combattimenti che si erano visti in The Raid e trasformarli in qualcosa che sarebbe piaciuto al pubblico mainstream. E ora sembra che stiano cercando di inserire quel tipo di combattimento anche in altri tipi di film. Non so se hai visto Violent Night: è fondamentalmente una commedia, ma ha quei cinque minuti di combattimenti chiari e ben coreografati che sembrano a loro modo seguire quel filone. Quindi sembra che ci sia una tendenza e che, per la prima volta, Hollywood abbia imparato la lezione giusta. Cosa ne pensi del panorama action in questo momento?
Penso che sia bello vedere ex-stuntmen come Chad Stahelski, David Leitch e Sam Hargrave passare alla regia. E non è sorprendente perché la maggior parte di loro ha anni di regia di sequenze d’azione, quindi ha senso che passino alla regia se è quello che vogliono. Penso che in Occidente la gente non comprenda bene il ruolo di un regista di seconda unità o di un action director. E anche nel settore, anche in UK, le persone tendono a pensare ai registi della seconda unità come a coloro che filmano gli esterni degli edifici, o gli inserti, i primi piani delle mani che aprono le porte, ecc… Ma a Hong Kong era molto normale, per la maggior parte dei film in cui ho lavorato al tempo, che ci fosse un regista per le scene drammatiche e poi, quando si trattava delle sequenze d’azione, che fosse il coreografo d’azione a dirigere. Il regista poteva essere presente ma anche no. Se guardi, ad esempio, Hong Kong – Colpo su colpo, Tsui Hark era presente per la maggior parte del tempo con Yuen Bing, ma anche Sammo Hung era con una seconda unità a dirigere sequenze d’azione. E a Hong Kong non c’era alcuna sorta di tabù riguardo al fatto che uno stuntman dirigesse e muovesse la cinepresa e supervisionasse il montaggio, mentre in Occidente, per molto tempo, penso che ci sia stata questa percezione che gli stuntmen fossero atleti o dei semplici duri, e non registi o narratori. Quindi è bello vedere questo cambiamento nella percezione. Penso che si debba dare credito anche a Brad Allan, che non è più con noi, che veniva dalla squadra degli stuntman di Jackie Chan e che poi ha svolto un lavoro incredibile come regista della seconda unità e action designer in film come Kingsman e Shang-Chi. È bello vedere questo cambiamento, ma direi anche che è un’arma a doppio taglio, perché le persone vedono The Raid e vogliono copiare The Raid, ma forse non sanno cosa serve veramente per realizzare quel tipo di azione. Oppure vedono attori come Colin Firth o Keanu Reeves recitare in scene d’azione, e pensano all’improvviso che puoi prendere qualsiasi attore e far sembrare che sappia combattere, e non è sempre così, almeno non senza prendersi il tempo, l’impegno, i soldi e l’attenzione ai dettagli necessaria. Subito dopo aver finito Farang mi è stato chiesto di fare una serie francese per Netflix, e i produttori avevano sentito parlare del lavoro che avevo fatto sia per Farang che per Gangs of London. E sono stato molto trasparente: ho detto loro che esiste un processo su come creare questo tipo di azione, e che è impegnativo. È più impegnativo della tipica serie TV o della sequenza d’azione media di un film francese, non solo per il cast e non solo per gli stuntmen: ci saranno più requisiti imposti al reparto oggetti di scena, al reparto costumi, al truccatore. C’è sicuramente un modo per ottenere i risultati che sono lassù con i film e i serial che abbiamo citato ma ci vuole tempo, ci vogliono soldi e ci vuole preparazione. Per la mia esperienza, da quando ho fatto Gangs of London sono stato contattato per molti progetti per cui mi hanno detto di volere scene d’azione in quello stile, ma non tutti sono disposti a investire quel tipo di tempo e attenzione perché è un nuovo modo di lavorare per la maggior parte dei produttori. E questo è uno dei motivi per cui amo lavorare con Xavier, perché su Gangs of London ha visto il processo che Gareth e io seguiamo, e ha visto come produce risultati. Ed è quello che abbiamo impiegato per Farang. E le persone reagiscono positivamente alle sequenze d’azione. Farang non era un film con un budget elevato e non abbiamo avuto molto tempo per girare quei combattimenti, ma sembrano funzionare. E questo è davvero, davvero gratificante, e spero di lavorare molto di più con Xavier in futuro.

Con Dave Bautista in Final Score
Mi incuriosiva notare dal tuo curriculum che hai anche lavorato ad alcuni film indiani. Ho guardato molti film indiani di recente e trovo interessante il loro modo di rappresentare l’azione che, ovviamente, è ancora una volta molto diverso da ciò che si vede altrove. Qual è stata la tua esperienza?
Non ho lavorato in India ma ho lavorato a diversi film indiani girati in UK. È divertente perché, dopo Gangs of London, ho ricevuto diversi approcci da compagnie di Bollywood per girare film a Mumbai, ma per vari motivi non sono stato in grado di accettare quelle offerte. Ma molti film indiani sono girati in UK. La maggior parte di quelli che ho fatto io erano Bengalesi, quindi erano molto più piccoli, non il grande mercato dei film di Mumbai. Badsha the Don e Romeo vs Juliet avevano quindi un budget piuttosto basso e tempi piuttosto ristretti, ma quello che mi piace dell’India, che è molto simile a Hong Kong in questo, è che trattano il coreografo d’azione come un regista e si aspettano che tu diriga le sequenze d’azione, cosa molto insolita in UK. In UK molto spesso è il regista a dirigere le cose: il direttore della fotografia sceglierà le inquadrature in collaborazione con il regista, e poi il montatore le monterà. E penso che sia questo il motivo per cui la maggior parte delle sequenze d’azione girate in questo modo non sembrano molto specifiche o particolarmente coerenti o di grande impatto. Ma nei film indiani ti vogliono se pensano che possono fidarsi di te: vedono l’action designer come un regista per cui dirigi tu le sequenze d’azione. Quei film sono stati per me un ottimo modo per fare esperienza di regia. E quello che ho fatto in quei film è stata la stessa cosa che faccio ora ovvero, dopo le riprese, montare la sequenza d’azione e fornire le mie indicazioni alla produzione, che poi possono seguirle o meno ma almeno capiscono la mia visione della sequenza e come la vedo montata insieme. Quindi sì, penso che l’India sia uno di quei posti che apprezza l’azione: possono avere gusti diversi, possono avere cose diverse che preferiscono, ma apprezzano l’azione come forma d’arte. Anche Hong Kong lo fa sicuramente, così come la Corea, ma in Occidente ci stiamo ancora arrivando. Del resto dobbiamo ancora vedere un John Woo britannico… Voglio dire, la cosa più vicina che abbiamo è Gareth Evans e poi non riesco a pensare a nessun altro.
Penso che il modo in cui stanno gestendo questo passaggio a Hollywood sia affidare l’intero film all’action designer, permettere loro di fare direttamente il salto nella regia. Immagino che non siano abituati a separare le competenze, e che piuttosto diano loro il film intero se pensano di potersi fidare di loro.
Ma per esempio, molta gente guarda Kingsman e ricorda le scene d’azione in quel film. Sono davvero qualcosa di speciale. La gente pensa a Kingsman come a un film di Matthew Vaughn, e ovviamente lo è. Ma Brad Allen ha diretto la famosa rissa nella chiesa. Era la sua unità. Ora, ovviamente, c’è stata la fase di previz ed è stata approvata da Matthew Vaughn, e c’è stata fiducia e un dialogo continuo. Ma sul set c’era Brad Allan, un ex stuntman, membro della squadra di Jackie Chan, a dirigere l’azione. E spesso sono gli action designer o i registi della seconda unità ad essere responsabili di molte di queste sequenze che rendono questi film memorabili. Ci sono ovviamente delle eccezioni: Gareth Evans non ha certo bisogno che i registi della seconda unità facciano il lavoro per lui perché Gareth è un maestro dell’azione, ma non è sempre il caso per altri registi tendenzialmente narrativi. In UK non molto, ma in America c’è sicuramente una tendenza in questo senso. Gente come Brett Chan, che è un ex coordinatore degli stuntman che progetta le scene d’azione per la serie TV Warrior, ora sta dirigendo episodi di Warrior. C’è una bella progressione naturale in quel senso. Abbiamo bisogno che l’industria cinematografica occidentale veda i coreografi d’azione come filmmakers, e non solo come le persone che mettono insieme i combattimenti.
La mia ultima domanda è: quando si tratta del miglior combattimento nella storia del cinema, penso che siamo ancora bloccati a Bruce Lee contro Chuck Norris nell’Urlo di Chen. Ogni volta che si cerca di individuare qual è il migliore, dopo tutto questo tempo, finiamo quasi sempre lì, seguito a poca distanza da Jackie Chan e Benny “The Jet” Urquidez in Cena a sorpresa. Hai un’idea del perché?
Sono felice che tu non mi abbia chiesto qual è il miglior combattimento di sempre perché non potevo rispondere senza pensare, e le mie scelte cambierebbero dal lunedì al martedì. Ma penso che il motivo per cui il combattimento al Colosseo nell’Urlo di Chen funzioni, così come quello tra Benny the Jet e Jackie Chan in Cena a sorpresa, è che il combattimento racconta una storia e il protagonista intraprende un viaggio durante quel combattimento, attraversa un arco. E non si tratta solo di tecniche di arti marziali: si tratta del fatto che il personaggio impara qualcosa o prova qualcosa di diverso. Ci stavo in effetti pensando la settimana scorsa perché stavo leggendo il libro di Matthew Polly su Bruce Lee e parla del modo in cui Bruce combatte nell’Urlo di Chen, e poi ho subito pensato al combattimento di Cena a sorpresa perché anche in quel combattimento il personaggio di Jackie Chan deve cambiare il suo approccio alla lotta per vincerla. Decide di trattarla come una sessione di allenamento e inizia a giocare e a rilassarsi, il che confonde il personaggio di Benny. E nell’Urlo di Chen, Bruce Lee passa dall’essere piuttosto rigido al fare passi più molleggiati in stile Muhammad Ali, diventando più leggero e rilassato. Bruce Lee ci teneva molto a esprimere la sua filosofia delle arti marziali attraverso quelle sequenze. Quindi penso che L’urlo di Chen funzioni perché racconta una storia. Anche se non c’è dialogo, c’è una conversazione in corso tra Bruce e Chuck. C’è rispetto. C’è quel momento in cui Bruce scuote la testa guardando Chuck Norris perché non vuole togliergli la vita. E quando gli toglie la vita c’è un’emozione sul volto di Bruce Lee: c’è rammarico. E dopo che Chuck è morto, gli mette rispettosamente la giacca a coprirgli il volto. Questi sono i dettagli che lo fanno funzionare. Penso che abbiamo fatto molta strada negli ultimi – wow! – 50 anni, in termini di coreografia, e in termini di come i combattimenti possono essere girati e montati. La coreografia e la fotografia nell’Urlo di Chen non sono delle più complicate o appariscenti: quel che resta, ovviamente, è che hai a mano due artisti di grande talento. Ma la cosa principale è che il combattimento ha emotional content e tu segui il personaggio attraverso un viaggio. E penso che questo sia qualcosa che la gente come me deve ricordare: bisogna mettere l’emozione nei combattimenti. E io cerco sicuramente di farlo.
Sì, è sostanzialmente quello che stavo pensando, perché se si tratta di sforzarsi di raccontare una storia all’interno di un combattimento non pretendo che ne esca per forza qualcosa di memorabile come quello dell’Urlo di Chen, ma non vedo nemmeno molte persone che ci provano. Questa è almeno la mia impressione – non so se mi sono perso alcuni combattimenti meritevoli che cercano di strutturarsi in quel modo. Jackie Chan lo fa anche in altri film. Immagino non sia troppo facile creare una storia all’interno di un combattimento finale, piuttosto che trattare i combattenti finali come la semplice esplosione e catarsi di tutto ciò che è avvenuto prima.
Sì, dipende dal progetto. A volte il pubblico è più che felice di vedere solo del buon spettacolo. Anche in Drunken Master 2, quando Jackie Chan combatte contro Ken Lo, deve adattare il suo stile e deve ricordare le sagge parole di avvertimento che gli erano state date credo da suo padre o dal suo patrigno, ed è questo che gli permette di vincere la battaglia. Ci sono molti modi per affrontare l’azione, ma se c’è una sequenza di combattimento che mostro spesso alla gente, è il combattimento finale di Duel to the Death di Siu-Tung Ching. È un film del 1983, quindi prima della tecnologia digitale, prima del montaggio digitale, e l’azione è molto in stile Hong Kong. Quindi l’azione è stata girata in funzione del montaggio, e questo permette agli attori di sfidare la gravità: in parte usano i cavi, in parte usano il trampolino, in parte semplicemente viene posizionata la cinepresa a un angolo basso. C’è questo fantastico duello tra uno spadaccino cinese e uno giapponese e di nuovo, anche quando non parlano tra di loro ti trasmette un senso di onore, un senso di rispetto. E anche la narrazione all’interno del combattimento, tipo usare la lama della spada per far brillare il sole negli occhi dell’avversario… C’è una logica in questo. Quando coreografo l’azione mi piace molto avere giochi di causa ed effetto, mi piace impostare certe cose. Per fare un esempio che mi è venuto in mente: in Gangs of London, nel secondo episodio, abbiamo la banda di Wallace che attacca i traveler gallesi nel loro accampamento di carovane, e noi abbiamo mostrato in una scena precedente che i traveler sanno che verranno attaccati, e quindi preparano bombe molotov. Quindi durante la sequenza d’azione abbiamo uno sul pavimento: accende la molotov, ma c’è benzina già versata sul pavimento per via della precedente carneficina. Quando tenta di lanciare la sua molotov, gli sparano e prende fuoco. E poiché c’è benzina dappertutto, anche il pavimento prende fuoco. Quindi è questione di impostare le cose e causare un effetto. E penso che il pubblico lo apprezzi, piuttosto che farsi bombardare semplicemente da un sacco di esplosioni e colpi di proiettile.
A questo punto la mia vera domanda finale è: c’è qualcosa che puoi dirci riguardo a Havoc? O è troppo presto? C’è qualcosa che possiamo aspettarci?
Non posso ancora dire molto di Havoc. Posso solo dire una cosa perché è già stata comunicata, ovvero che nel cast c’è anche Michelle Waterson, che è qualcuno con cui volevo lavorare da molto tempo. Ricordo di averla vista combattere nel torneo Invicta, forse otto anni prima di Havoc. Mi chiesi chi era quella donna, perché era molto carismatica, era molto dura, ma aveva anche una tecnica molto bella e un controllo perfetto, e poi ho scoperto che aveva un background in karate e che aveva anche studiato wushu. Ricordo di aver pensato che quella persona, se non stesse già combattendo per l’UFC, avrebbe potuto avere una carriera come stuntman o attrice d’azione. E lavorare con lei in Havoc è stato come un piccolo sogno diventato realtà. È sembrato destino, perché mi aveva colpito quando la vidi persino prima che entrasse nell’UFC e si è rivelata essere esattamente tutto ciò che speravamo: una dura, ma anche una combattente davvero talentuosa e adattissima al cinema. Inoltre, per me lei è davvero l’incarnazione di ciò che dovrebbe essere un vero artista marziale, ovvero qualcuno che può combattere ma è anche gentile. Qualcuno che può essere duro, ma che ha anche molto amore, umorismo, leggerezza. Michelle Waterson non mi ha affatto deluso e sono molto, molto grato di aver potuto lavorare con lei.

Con Gareth Evans (non quello in mutande, quello dall’altra parte)
Sapete come funziona. Segnarsi Farang, che spero che arrivi presto in Italia in una forma o l’altra. Segnarsi Jude Poyer, seguirlo come @reelpowerstunts su Instagram e ripassarsi la sua filmografia. E attendere Havoc, l’ultima collaborazione tra Jude e Gareth Evans, con il fomento delle migliori occasioni.
grazie per l’intervista! speriamo arrivi presto qua anche su qualche piattaforma streaming!
la lunga ombra di hong kong è ancora presente dopo tantissimi anni, è veramente il seme da cui sono nate centinaia di cose in occidente (ma come dice poyer ci si ricorda spesso solo del regista). Anche in Giappone la pratica del doppio credit come regia mi pare sia abbastanza standard, in shin godzilla c’è quantomeno (e si ricollega ad un vs. pezzo sugli effetti speciali di spiderman).
p.s. ribadisco la mia speranza, fatta privatamente tempo fa: una serie di pezzi sui classici di hong kong. Leggere il nome di Ringo Lam e di Full Contact mi ha fatto sudare fortissimo gli occhi.
Una della migliori interviste di sempre sui 400 Calci, sul serio.
Ti ringrazio
Havoc con Gareth e Hardy?! Ma che sorpresa.. non lo sapevo e ora aspetto il mio regalo
Poi cerco info e leggo Tom Hardy fará Taboo stagione 2.. porca miseria! Troppe news succulente non ce la faccio
Intervista molto interessante cmq grazie
Grazie Nanni, ottima intervista, piena di spunti molto interessanti.
So che mon è lo scopo del sito ma penso davvero che i Calci diano il loro meglio con retrospettive tipo Le Basi o belle interviste ai professionisti come questa (e il livello dei film che girano attualmente non aiuta…).
Mi hai fatto venire voglia di rivedere gli episodi di Art of Fighting ; )
Molto bella e condivisibile la riflessione che ne è uscita sulla chiave del successo per “i migliori combattimenti finali di sempre”. Me lo stavo perdendo come un fesso questo Farang! Thanks a lot Nanni
Dal trailer sembra grandioso
Che figatissima quest’intervista, trù pàsscion. Bravò!
Ma cos’è questa storia che se fotografi una persona normale insieme a un attore, la persona normale sembra incollata con photoshop?
Dovreste fare uno speciale sulle sparatorie in ascensore e i mexican stand-off
Beh questo Farang sembra davvero molto interessante.
Apprezzò queste interviste perché aiutano a capire il lavoro immane che c’è dietro ogni singola sequenza, di azione e non.
Poi ogni volta che si parla di The Raid mi commuovo un poco perché è stato uno dei primi articoli letti sui Calci!(emoticon cuore)
Grazie mille a tutti, davvero. Mi incoraggiate a fare più interviste, che è una cosa che mi garba. Ce n’è già un’altra imminente (no spoilers), ma in generale proverò a muovermi più spesso in questo senso.
Madonna Nanni, che bomba d’intervista. Mi dai sempre speranza per internet come mezzo di divulgazione. Ora c’ho una fotta di Farang e di Havoc che vorrei vederli ieri
Mamma ragazzi che filmone
Azione non tantissima ma quando arriva ti Fa alzare in piedi per la bellezza e potenza delle coreografie
Se lo hai visto con i sub ita ,sappi che li ho fatti io