Ciao Fabrizio! Hai tempo per un video-saggio? Dai su, porta pazienza che è importante per dopo.
Eccoci, piaciuto il video? Troppo lungo, eh? Fabrizio… Vabbè, ti faccio un riassunto: in sostanza, il buon Tom van der Linden di Like Stories of Old parla della “marvelizzazione” del cinema mainstream di oggi, spiegando un concetto molto interessante che lui definisce “storytelling entropy”. Per fartela breve, per lui il cinema è tendenzialmente anti-entropico, ovvero prende una serie di concetti e temi e li condensa in maniera simbolica, usando ad esempio un oggetto (come la lightsaber di Star Wars), che esprime molte idee contemporaneamente. Quando però quell’oggetto, così semplice e perfetto, viene moltiplicato, modificato, riprodotto al solo scopo di battere cassa, perde via via di significato fino a diventare semplicemente un prodotto.
È davvero una bella immagine che d’ora in poi ruberò costantemente al buon Tom van der Linden, perché mi piace proprio questo accostamento tra cinema seriale (e serialità) e leggi della termodinamica, come se una copia di una copia di una copia diventasse sempre più fredda a mano a mano che si allontana dall’idea originaria. Ma cosa c’entra questo con il nuovo film di Stefano Sollima, dirai tu Fabrizio? C’entra perché, guardandolo, ho ripensato subito ai primi due episodi di Suburraeterna, la nuova serie Netflix che è un sequel di Suburra, che era la serie a sua volta tratta dall’omonimo film di – wait for it – Stefano Sollima. Lo sapete tutti, ovviamente, cari lettori (sposto la mia attenzione su di voi, ché Fabrizio ha rotto il cacchio). Ecco, non so se avete visto Suburraeterna, ma a me è capitato di vedere i primi due episodi a Lucca e, ragazzi, che ovvove. Pare veramente un’imitazione scema dell’imitazione di Stefano Sollima, un pastone di idee, narrative e visive, riciclate maldestramente da Suburra, Gomorra e compagnia cantante. È pura entropia: Sollima è ormai talmente lontano che il suo calore e la sua luce si sono completamente estinti, e rimane solo un freddo guscio di noia e inutilità.
Poi ho visto Adagio e che ve lo dico a fa’. Adagio è da shit. Dopo la parentesi americana, Sollima torna nella sua Roma e torna a riprenderla come non fa nessuno, estremizzandola ancora una volta come faceva in Suburra. Solo che là c’era la pioggia torrenziale, qui ci sono il caldo torrido, i blackout costanti e un gigantesco incendio che incombe all’orizzonte, talmente vasto che sembra pronto a inglobare tutta la città e cancellarla dall’esistenza. Al cinema mi hanno fatto ovviamente notare subito il parallelo con l’incendio di Nerone, a cui io, che sono stupido, non avevo pensato. Però per me c’è altro, c’è di mezzo la crisi climatica, ma anche questa non è che una metafora che allude a un concetto più vasto, ovvero che le generazioni che hanno calcato il pianeta finora abbiano lasciato ai giovani una bella patata bollente, una situazione disperata, privandoli del futuro.
Quella di Adagio è una Roma decadente, allo sbando, fatta di gente alla canna del gas e appartamenti fatiscenti – identici per sbirri e criminali, come è giusto che sia in un noir: la distinzione tra bene e male non coincide con il lato in cui ti trovi rispetto alla Legge, che conta molto meno del codice morale del singolo. È una Roma in cui chi lotta lo fa per saziare LA FAME, vedi il carabiniere corrotto interpretato da un Adriano Giannini diretto talmente bene che mi ha fatto dire “Bravo!”, che fa quello che fa per dare da mangiare ai figli (due ragazzi normalissimi) e non certo per motivazioni vaghe da cattivo da fumetto. È una Roma iperreale, che in certi frangenti mi è sembrata la Los Angeles di Blade Runner, o meglio ancora la Londra de I figli degli uomini, un posto in cui tutti sembrano aver rinunciato a combattere per un ideale e si limitano a sopravvivere, aspettando la fine dei tempi. E intanto quell’incendio avanza, lo sanno e lo vedono tutti, ma nessuno sembra interessato a farci nulla (Don’t Look Up puppa la fava). Anzi, tutti continuano a reiterare vecchi schemi di comportamento in un circolo vizioso di violenza e sopraffazione che non si fermerà mai.
Ma Adagio è anche una chiusura del cerchio personale per Sollima, che riprende la Banda della Magliana di Romanzo Criminale e la usa per mettere in scena gli ultimate boomer, incancreniti nelle loro vie tanto quanto le guardie che danno loro la caccia. Solo uno di questi – non a caso malato terminale di cancro – e sto parlando del Cammello di un sempre efficace Pierfrancesco Favino – saprà spezzare la ruota e fare un gesto altruistico, per tentare, almeno in parte, di rimediare al passato lasciando uno spiraglio di futuro al protagonista (Gianmarco Franchini). Forse, perché giustamente Sollima preferisce un finale aperto a un lieto fine manicheo.
Nel mezzo c’è posto per immagini bellissime – lo stormo di uccelli che fugge dall’incendio è per me tra i grandi momenti di cinema del 2023 – attori assurdamente in palla – Giannini, Franchini, Di Leva, Mastandrea, Servillo e Favino tutti concentrati e in forma smagliante – un finale da antologia nella stazione Tiburtina e una voglia di fare cinema ambizioso, che trascende il genere senza smarrirne la strada, che può definirsi d’autore senza la spocchia di chi vuole strafare. Stefano Sollima conferma con Adagio di avere tutti i requisiti per realizzare grandi film high concept, capaci di parlare a tutti con messaggi semplici ma potenti, e di tenerci sulle spine con un controllo del ritmo, delle performance e dell’azione che ha pochi paralleli nel cinema italiano di oggi. Io ve lo dico: per me questo è il suo capolavoro.
Sigla finale!
DVD quote:
“La parola con la C di Stefano Sollima”
George Rohmer, i400Calci.com
Premesso che ormai odio il cinema in toto, se questo film è come la recensione va davvero visto.
“Adagio è da shit”
Orpo, immagino sia una qualche tipo di citazione, o di riferimento interno al sito, che però da non fancalcista non capisco. La recensione parte riproponendo la non troppo originale idea che i topos (meme se siete ggiovani) nel cinema (e dove non?) tendono rapidamente a diventare prodotto commerciale. E afferma che Adagio è “da shit”, il che mi ha fatto pensare al topos ferrettiano, quindi mi aspettavo che da lì in poi la recensione descrivesse un notevole patume, invece si descrive un quasi capolavoro (e sono decisamente felice per il cinema italiano).
Quindi “da shit” vuol dire “roba forte” o “figata”? Da quando, esattamente? Non chiedo per un amico o per fare polemica, sono proprio io che non ci arrivo.
Mi associo, da come era partita la rece mi aspettavo tutt’altro giudizio. C’è forse dell’ironia?
È slang ammeregano, quando qualcosa è “da shit” vuol dire che è una bomba
E niente, sono proprio vecchio. Da shit. No, aspetta, contrario. Vabbè, quello.
Stavo per scrivere la stessa identica cosa. Tanto che stavo saltando la recensione da lì in poi pensando “vabbe’, è una merda, peccato”.
Con “Is shit” gli americani intendono che fa schifo, con “the shit” (“da shit” in slang) che è il meglio in giro.
Agevolo link simpatico che spiega nel dettaglio: https://youtu.be/kXH3HDE9Czo?si=kaeDTnDc_FMlVxwD
Shit e Fuck sono due parole che vogliono dire tutto e il suo contrario a seconda del contesto e del tono di chi le utilizza. In “This shit is fire” per esempio, shit è un sostituto di thing, che volgarizza/rafforza la frase, ma che non più alcun collegamento con le originarie deiezioni umane.
@ Johnny, sì, quello è in giro da parecchio, è nella funzione aggettivante che mi mancava il senso positivo. Ma si viene qui anche per imparare, è giusto così. Grazie.
Un po come l’eterno dilemma tra “sticazzi” e “me cojoni”
Questo fu risolto da Giallini in Rosso Schiavone.
Non è più un dilemma.
Graize! Commento e recensione lucidissima come raramente capita di ascoltare e leggere!!!
Credo anch’io che una cosa, piu’ la si ripeta, piu’ finisca col perdere potenza fino a svilirsi.
Meno male che Sollima ha deciso di non svernare definitivamente a Hollywood e che sporadicamente continui a fare la spola pure da noi.
Abbiamo un bisogno disperato di registi cosi’.
A me non ha fatto impazzire per via di un ritmo abbastanza sballato, ci sono troppi momenti morti e cose messe li’ perche’ fighe e basta (tipo la malattia di Servillo), ma Adriano Giannini in sto film e’ allucinante, dove cazzo e’ stato nascosto tutto sto tempo?
“da shit”, ovvero “the shit”, ovvero “ficata” in slang anglofono, più o meno da sempre.
E passi l’inglese dei ggiovani, ma il plurale di “topos” è “topoi”.
Più o meno da sempre, ok. E sì, su topos avevo il dubbio, ma mi hanno sempre insegnato che i termini stranieri non vanno messi al plurale nella nostra lingua. Col latino di regola si fa, ma è nostra radice, il greco invece non mi risulta, ma potrei sbagliarmi, lo uso assai di rado. E siccome quando si arriva al grammar nazi level si è già ampiamente al fondo, accetto la critica e prendo nota.
Bene, mi fa piacere questo pezzo. Anche perché invece gli incassi mi risultano disastrosi. Ma veramente disastrosi. Chiedo all’autore del pezzo se ha qualche idea del perché (visto anche che un noir italiano recente, l’ultima notte di amore che avete recensito) mi risulta sia andato molto.bene (sempre per gli standard italiani)
Ma solo io trovo aberrante il trucco di favino che lo fa sembrare dan akroyd in teste di cono????bob
a me l’immagine in copertina sembra tantissimo Mastrota nel meraviglioso video della polenta taragnarok
Orgoglio dei paioli della Vallahaltellina!
Wow cosa ho scatenato! Sì, the shit vuol dire proprio il contrario di shit. È un mondo bellissimo.
Ma non è slang da giovani! Comunque su topoi hai ragione.
Super hype!
Quando mi imbattei per caso in Romanzo Criminale rispetto alla media italiana mi venne da fare la ola. Idem per la prima stagione di Gomorra e Suburra il film. Perciò mi sembra lecito aspettarmi grandi cose anche da questo.
Sollima è uno dei pochissimi registi italiani contemporanei che guardo.
interessante il concetto di “storytelling entropy”.
si potrebbe complementare con quello di “omeopatia narrativa”, ovvero la fallace aspettativa (speranza?) che un’idea diluita mille volte (film secco e asciutto di 80 minuti >> … >> serie televisiva di quattro stagioni) possa chissà come trattenere una parte del suo originale principio attivo (o qualunque cosa, davvero).
proprio come l’omeopatia, non ha nessun senso E fa girare un sacco di soldi :)
Io l’ho visto raga,
ma a me è sembrato proprio scarso.
Cioè è tutto tell e niente show, i personaggi parlano un sacco e raccontano ogni situazione, e Sollima fa vedere davvero poco poco.
Se lo avesse girato Walter Hill, come sarebbe stato sto film?
Ma poi, ma chi cazzo li vuole i film high concept?
Visto prima di Natale e piaciuto un botto.
Stradaccordo che chiude il cerchio, anzi per me è quasi un what if libano, dandy e freddo fossero vissuti abbastanza per diventare vecchi, malati e semi rincoioniti.
Tra le cose che mi hanno affascinato, quasi tutte dette nella rece, c’é anche il fatto che, per chi è di Roma, gli incendi una volta sembrano stare a sud, un’altra a est, ecc quasi come circondassero la città
Buon film, molto bravo Giannini, ma la storia non è riuscita ad appassionarmi come in Suburra. Quel film per è ancora al top della produzione italiana degli ultimi 20 anni