Un po’ come fanno i veri critici di Cinema. Adesso, per prendere tempo, prima di arrivare alla vera recensione del film di oggi – che non è che sia lunghissima – vi racconto una storia personale di cui non ve ne frega un cazzo. Siccome però vi voglio bene, vi posso anticipare che quanto segue non contiene 1) decisioni causate da “siccome in questo periodo sono innamorato” 2) scelte motivate da “siccome mi piace vestirmi come una delle protagoniste del film” 3) svolte prese in considerazione del fatto che “siccome una volta un mio amico è stato seduto in treno vicino a uno che a sua volta aveva un amico un cui conoscente ha incrociato Fellini a Ostia“. C’è un limite a tutto, insomma.
Quest’estate io e tre miei amici abbiamo deciso di andare in Brasile. Per stabilire l’itinerario abbiamo comprato una bella guida turistica. Abbiamo letto di posti incredibili: i Lençóis Maranhenses, il delta del fiume Parnaiba, le dune di Jericoacaora, la Baia dos Golfinhos di Praia da Pipa… Ma ci siamo subito accorti di un’altra cosa: il vero argomento principe delle guide turistiche sul Brasile è un altro. Riassumibile in una frase. “Occhio, che in Brasile non ci mettono un cazzo a rapinarti, rapirti, torturarti, ucciderti“. Ci sono pagine e pagine che ti sconsigliano di fare questo o quello, di andare in quel posto o in quell’altro, di portare quell’oggetto o indossare quell’indumento. Un terrorismo psicologico terribile. Arriviamo al giorno della partenza. Io, siccome c’ho le tagliole nelle tasche, per risparmiare ben 200 euro, ho avuto la brillante idea di prenotare un volo diverso da quello dei miei amici. Sono partito da solo, il giorno prima, alla volta di Rio de Janeiro che, secondo la nostra guida, è la città più pericolosa del pianeta. Forse dell’universo. In confronto la piramide mezza atzeca costruita dai Predator e farcita di Alien, è un’oasi di piacere. Mi travesto da giovane scasciato (un misto tra un ciellino e uno scout, con una punta di saggezza e acume dovuto all’esperienza), saluto parenti e amici e parto.
Arrivo all’aeroporto Antonio Carlos Jobim di Rio alle 4,30 del mattino. Appena metto piede su suolo carioca, comincio a temere il peggio. Mi guardo in giro sospettosissimo. Mi fanno paura anche quelli del controllo passaporti. Io con me ho documenti, carta di credito e soldi… Tutto quello che potrebbe fare gola a un malintenzionato assassino tagliagole. Ritiro il bagaglio e, in uno stato di tensione quasi insostenibile, mi avvio verso i taxi. Fumo disinvolto una sigaretta su una banchina dell’aereoporto, guardandomi in giro e tentando di assumere i connotati di un local. Dopo essere stato abbordato da svariati tassisti, contratto un po’ con uno e, visto che mi sembra di essere arrivato a un prezzo ragionevole, decido di salire sulla sua macchina. Stiamo per partire quando il mio tassinaro viene bloccato da una macchina che gli si para davanti e si mette di traverso. Sono le 5 del mattino. Sono da solo a Rio De janeiro. Il mio taxi è stato bloccato da una macchina tipo in corsa… C’è qualcosa che non va. Il mio tassita scende, questiona con quello della macchina che l’ha bloccato. Cristonano per 5 minuti buoni. Io sono seduto in macchina, per nulla sereno, abbracciato al mio zainone da campeggio come se fosse l’amore della mia vita. Alla fine mi fanno scendere dalla macchina e il mio tassista si allontana, dicendo… non capisco bene cosa, ma non certo delle belle parole. Io rimango interdetto e spaventato, ma in mio soccorso arriva quello che ha bloccato la macchina. Parla inglese. Mi dice “Quello non aveva il segno ufficiale dei tassiti di Rio. Non era un vero tassista. Era un abusivo. Io sono un vero tassista“. E mi fa vedere che sulla sua fiancata c’è un loghino. Una roba piccolina che se non sei un investigatore privato, puoi anche non notare al primo sguardo. Mi guardo in giro. Effettivamente i taxi che sono lì fuori ad aspettare i turisti, hanno tutti quel logo. Quelli che non ce l’hanno sono solo due o tre e stanno in agguato modello avvoltoi. Io salgo sul taxi ufficiale garantito certificato sicuro del tipo che mi ha tratto in salvo. Il quale poi in macchina mi dice “Non ti preoccupare: probabilmente non avrebbe fatto nulla, ti avrebbe fatto pagare un po’ di più di quello che ti avevo chiesto all’inizio e ti avrebbe lasciato andare. Sai, sei un ragazzo. Se sei una donna magari ti rapinano… o anche peggio “. True Story. Non vi ha spaventatissimo questa storia? Eh? Come quella della tipa che c’ha il pitone in casa che sta dritto come un fuso da due giorni e poi la tipa scopre che il serpente stava in quella posizione per prendere le misure perche voleva inghiottirla? Una roba del genere! Io sarà che non sono particolarmente coraggioso, sarà che la guida effetivamente mi aveva messo in allarmissimo, sarà che ho visto ben due volte Turistas, ma una cosa del genere mi ha traumatizzato. Fine dell’aneddoto.
Shuttle è un film del 2008 scritto e diretto dall’esordiente Edward Anderson (e con questo Anderson arriviamo a quota… quattro Anderson?) . Racconta la storia di due ragazze che, appena tornate dal Messico, prendono una navetta in aeroporto per tornare verso casa. Sono da sole, è molto tardi, piove e sono molto stanche. Dopo poco, si accorgono che la navetta sta facendo un giro strano: sfortunatamente per loro, il conducente non ha nesusna intenzione di portarle realmente e casa. Magari vuole rapinarle… o anche peggio. La storia di Shuttle è tutta qui: semplice e senza fronzoli. Racconta di un viaggio infernale, di un Caronte con la faccia luciferina di Tony Curran, e della disperazione del suo devastato carico. C’è chi accetta un martirio senza spiegazione come se fosse una condanna inevitabile e chi invece lotta fino alla fine attaccandosi con le unghie al più minuscolo spiraglio di speranza. In parte Shuttle ricorda Martyrs, senza però i mille cambi di genere e soprattutto senza la svolta misticheggiante. La storia è quella e rimane quella dal minuto 18 fino alle fine della pellicola. Ovvero altri 88 minuti di angoscia e terrore.
L’idea che le ragazze siano scampate ai mille tranelli messicani (altra terra dove appena ti giri, si sa, c’è qualcuno pronto a rubarti un organo per riempirlo di droca o di aiz) per poi incappare nel Male praticamente sotto casa, è già di per sé convincente, ma c’è anche da dire che la sceneggiatura (dello stesso Anderson) è ben pensata e fantasiosa. Non c’è molto sangue, ma quando c’è, arriva copioso e inaspettato. Si decide di fare leva più sulla situazione in sé, sul terrore che si prova sapendo di stare andando incontro a qualcosa di orrendo, non potendoci fare nulla. Ed è qui che a mio avviso sta il merito maggiore del film. Visto che la trama non è proprio il massimo della fantasia, stupisce come – una volta delineata la situazione – si riesca a calibrare bene le svolte decisive e i colpi di scena, facendo rimanere sempre molto alta la soglia di attenzione. Certo, 106 minuti sono tanti, e verso il finale si avverte un minimo di stanchezza, ma Shuttle ha anche il pregio di non avere nessuna remora a spazzare via via ogni briciolo di speranza e assestare pugni alla bocca dello stomaco senza neanche avere l’accortezza di avvertire. Niente male.
DVD-quote suggerita:
“Martyrs senza la parte misticheggiante/spirituale”
Casanova Wong Kar Wai, i400calci.com
La protagonista, Peyton List, è talmente bella che mi viene voglia di dare delle testate contro il muro.
Dopo Martyrs, ho deciso che non guardo più i film angoscianti. Non c’ho più l’età. Però mi hai incuriosito. Ma no, non lo guarderò. Forse.
… le rapina nello spazio???
(non mi ha preso lo screen capture!tié!)
http://images.hollywood.com/images/large/l_1092293.jpg
Comunque a getto sembra meglio di martyrs (che non mi è piaciuto, tra l’altro), probabilmente per la decisione di intraprendere un percorso diverso, se ho capito bene. Curioso, proverò, grazie… anche perché temo che dopo il sopracitato sarebbe stato automaticamente scartato al primo trailer-locandina, altrimenti.
Temo che Martyrs sia un titolo che rischi di fuorviare. Martyrs lo si ricorda principalmente perche’, svolte mistiche a parte, passa tutto il tempo a spingere la situazione al limite sia a livello di angoscia che di gore, in una cosciente e inarrestabile ricerca dell’estremo (che ho gradito). Shuttle non e’ esattamente cosi’, e’ un normale film che trasmette molto bene un gran senso di paranoia, mantenendo solo una quantita’ funzionale di gore senza mai essere eccessivo. Poi uno come me che l’aereo lo prende spesso, quasi sempre in piena notte, e nella stessa citta’ del film…
comunque io quella del pitone l’ho sentita di prima mano da una amica di famiglia che aveva davvero il pito pito e che un giorno bla bla. cazzo, ci credevo troppo!
Cicciolina, anche io, e appena becco quello che me l’ha raccontata lo smerdo davanti a tutti. Ora faccio un urban legend-hunting su google e come minimo verrà fuori che nemmeno aveva il pitone.
EDIT: fatto.
http://www.snopes.com/critters/snakes/measured.asp
CInque Anderson:
Paul Thomas, l’Anderson maggiore, quello che porta i fratelli alla partita, per sopperire all’assenza del padre, ma va a troie di nascosta nel cuore della notte:
Wes, quello cripto gay che fa il poser, ma non se lo caga nessuno;
PAul W.S., quello che si fa le canne in camera masturbandosi coi fumetti degli X-Men:
Brad, quello adottato che da fuoco ai topi in cantina;
e poi Edward, che un giorno si e’ accampato in giardino e di tanto in tanto taglia l’erba nella speranza che lo invitino a colazione.
e poi c’è addolarato anderson, che è quello che le ragazze va a baciare al lungomare.
SPOILERINI
sì, il paragone con martyrs è piuttosto fuorviante,
anche se da un certo punto di vista,
piuttosto superficiale,
secondo me è possibile mettere vicini i due film.
in Martyrs c’è un momento in cui la protagonista
sembra accettare la sua prigionia e il suo destino.
ed è un po’ secondo me la cosa più interessante di Shuttle.
Reagire? Non fare nulla? aspettare che accada qualcosa? Farsi prendere dal panico? sperare che la situazioni cambi? Credere che veramente tutto possa risolversi in una semplice rapina? o sedersi in fondo alla navetta sapendo di essere destinati a una fine orribile?
FINE SPOILERINI
la roba del pitone me l’hanno raccontata introdotta dalla frase
“una mia amica di londra”.
che paura comunque.
gigi: non riesco a non immaginarli come una versione distorta tra i Tenenbaum, running with scissors, e texas chainsaw (ma il remake).
Con l’umorismo di verdone la sera a cena.
la roba del pitone e quelle cose lì, dipende chi te le racconta. Nel mio caso viene da una persona che ha effettivamente tre serpi, tanto (TANTO) spazio in casa, e ha avuto bestie di quasi ogni tipo. Roba che se me la raccontano iniziando con miocuggino, o il mio amico che sviene alla vista delle lucertole, la si prende con una diversa credibilità. La mescoli al fatto che… Chissenefrega di come mangia un pitone no? (*) Ed è fatta.
(*) cosa pericolosissima tra l’altro. Metti che ti capita di rimanere con un pitone, e starai serenissimo pensando “tanto se non mi prende le misu” >K-KOFFF< mentre ti sta già strangolando.
Il trailer promette sicuramente bene, ma sta Peyton List promette meglio!!!! 30 anni fa ad una bella fighetta come lei qualche produttore le avrebbe imposto un nome diverso, che so Felicity Shagwell…
la prima delusione non si scorda mai, oggi ho visto shuttle ed è un triste giorno… il film fa abbastanza cahare, con buchi nella sceneggiatura e comportamenti dei protagonisti irrealistici
La sospensione dell’incredulità.
Fine commento…
Ovviamente scherzo, ci avevate creduto?
A me è piaciuto questo film, al di là di tutte le magagne della sceneggiatura (una commessa riceve una richiesta di aiuto e, poi, prima di svegliarsi si rivede 8 ore di registrazione video?).
La differenza fondamentale con Martyrs, film che mi ha lasciato senza fiato, cambiando totalmente punto di vista ogni volta che poteva, ma senza un briciolo di ironia, figurarsi di auto-ironia, è che lì il male era per così dire necessario, ovvero una condizione per cui la sventurata avrebbe rivelato le segrete cose mistiche e cosmiche.
Qui c’è solo un ottimo autista che sbaglia tutte le strade perdute di questo mondo e che sopravvive ai proiettili per “traferire merce preziosa”.
Si potrebbe citare la banalità del Male?
Però la tensione si sente eccome