Siamo in Cina, l’anno è il 689 d.C., e una statua del Buddha alta duecento piani domina la città di Luoyang. I lavori per terminarla procedono febbrilmente perché la sua costruzione deve essere ultimata per il giorno in cui Wu Zetian, la moglie dell’imperatore ora deceduto, verrà incoronata prima imperatrice della storia.
La precisione al cinema non è obbligatoria ma fa sempre piacere, e in mezzo a tante accuratezze storiche — la capitale cinese maniacalmente ricostruita in CGI, il dialogo mandarino-latino tra un funzionario cinese e un generale romano, l’excursus sulla dinastia Tang e il significato storico e sociale di una donna a capo dell’impero — immaginate il mio disappunto nello scoprire che l’unica libertà che si prende la splendida sequenza introduttiva di Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma riguarda quel Buddha alto duecento piani, che non è mai veramente esistito.
Questa è davvero l’unica e la peggior critica che posso muovere contro Detective Dee, e non è neanche davvero indirizzata a Detective Dee quanto alla Cina del 689 d.C.: cosa gli costava costruire veramente un Buddha altro duecento piani?
Dire che Tsui Hark sia un autore versatile è un eufemismo ingeneroso che minimizza il percorso artistico di uno dei più audaci, fantasiosi, sperimentatori del cinema asiatico: col suo primo film entra di defualt nella new wave hongkongese (che come ogni new wave non consiste in un vero mianifesto ma vuol dire semplicemente “registi giovani che fanno cose nuove”), col terzo diventa una specie di eroe della rivoluzione perché il governo britannico glielo censura e al quinto già gli tirano le occhiatacce perché guarda troppo al cinema americano; a decenni alterni viene salutato come un genio o come un venduto, mettendoci anche del suo, visto che con una mano produce A Better Tomorrow e con l’altra dirige Dennis Rodman, e intanto esplora ogni genere, sperimenta tutto quello che gli passa per la testa (il suo ultimo film è il primo wuxia girato interamente in 3D), firma, o aiuta a firmare, capolavori imprescindibili.
Ora Tsui ha 62 anni e siede su un trono fatto di soldi dal quale dirige in assoluta libertà il cavolo che gli pare e nessuno deve neanche pensarci di provare a rompergli il cazzo.
Detective Dee è il classico film su commissione che un regista della sua caratura fa tra un colossal e l’altro “per rilassarsi”, una robetta di puro divertimento lunga appena due ore e girata da dio che mischia in tutta tranquillità wuxia, sword & sorcery, film epico/storico, fantasy, horror, commedia e giallo whodunit.
Ispirato alla figura realmente esistita del magistrato (che attuallizzando diventa “detective”) Di Renjie, reso celebre da una serie di romanzi scritti da un olandese a metà ‘900, e ambientato in un momento cruciale per la storia della Cina, si può tranquillamente dire che Detective Dee è lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie cinese, a patto di tenere a mente che l’idea che hanno i cinesi di film di intrattenimento è completamente diversa da quella che abbiamo noi (su tutto: la trama è di un intricato assurdo), che sopperiscono alla scarsità di esplosioni con iniezioni massicce di follia pura e che le battutine sull’omosessualità dei protagonisti in Asia sono un gigantesco been there, done that — quindi qui non ci sono.
Tutto ruota attorno alla sopra menzionata statua del Buddha altra un miliardo di metri (che scopro essere una mega citazione a Il Colosso di Rodi — ma quanto ci stai dentro Tsui) e una serie di casi di gente che prende fuoco dall’interno. Di Renjie è un ex funzionario finito in prigione anni addietro per essersi ribellato all’imperatrice, che viene liberato in quanto classico caso di “l’unica persona al mondo che può risolvere questo caso è lui”: per svelare il mistero delle fiamme fantasma gliene capiteranno di ogni, tra città sotterranee abitate da creature sovrannaturali, palazzi sontuosi, templi inaccessibili, CERVI PARLANTI, un cinese albino, le acconciature impossibili dell’imperatrice, cambi di sesso e un tipo che suona due sitar con sei braccia!
La trama è un vero macello di trucchi e scartatrucchi, colpi di scena, doppi e tripli giochi con qualcosa come un miliardo di personaggi, eppure tutto ciò non va minimamente a discapito del godersi il film, che meriterebbe la visione anche solo per le scene d’azione straordinariamente coreografata da Sammo Hung: qui le regole del wuxia prendono il sopravvento sulle più basilari leggi della fisica ed è uno spettacolo impagabile di robe e persone che volano in ogni direzione come fossero privi di peso, una danza bislacca che sfocia di tanto in tanto nell’autoparodia (la scena in cui Di Renjie e la protagonista femminile quasi scopano a colpi di wuxia è esilarante) pur senza degenerare nel demenziale.
Bravissimi tutti, specie Andy Lau (Di Renjie), Li Bingbing (il braccio destro dell’imperatrice in odore di storia d’amore saffica) e Deng Chao (l’albino), che affrontano il tutto quasi completamente digiuni di nozioni di arti marziali. In particolare, sono contentissimo che per il ruolo del protagonista Tsui abbia scelto un attore come Andy Lau e non un atleta come Jet Li, preso inizialmente in considerazione per la parte: Lau dona al personaggio di Di una simpatia e un carisma che il Li nazionale, sicuramente più esperto in “menare cristiani e fare salti di 12 metri” ma che se gli chiedi di recitare sembra che gli fai un dispetto, non avrebbe saputo neanche dove andarli a cercare.
Poi è vero quello che dicono tutti, la CGI fa schifo, ma fottesega. Se è questo l’unico modo che ho oggi per vedere Andy Lau che le dà a dei cervi parlanti senza che dei veri cervi parlanti vengano feriti nel processo, mi accontento volentieri.
DVD-quote suggerita:
“Lo Sherlock Holmes della Cina imperiale, col wuxia e i cervi parlanti”
Quantum Tarantino, i400calci.com
A me ha fatto cagarissimo ma per degli ottimi motivi: 1) Non mi piace il wuxia 2) Mi girano i coglioni quando non si capisce la trama 3) Sono un gretto materialista 4) Troppe capriole senza motivo. Per il resto sono d’accordissimo con la recensione
boh, a me ha fatto cacar: noia+cg fatta male+wtf
A me invece era piaciuto! Non per difendere per forza il mio collega novellino, qui, ma a me la gente che prende fuoco dall’interno esalta a prescindere dal CGI. E poi i costumi sono una roba assurda. E poi Tsui e’ una roba assurda sempre e comunque.
piaciuto il film, piaciuta la rede.
andy lau meriterebbe ben altra fama che nn la sola scena orientale. oddio nn che una platea da un miliardo e passa di persone sia poca roba… diciamo, che meriterebbe di uscire dai confini cinesi.
Non so perché ma il tipo col Sitar mi ha fatto venire in mente Michael Angelo Batio -__-
C’è pure Tony Leung Grosso, che gli dà a quel fighetta cantopop di Andy Lau. Secondo me lo Sherlock Holmes cinese è più il Giudice Bao, ma manca una filmografia esportabile…
A me la trama non è sembrata così complicata… e mi è piaciuto un sacco. Soprattutto quando si piantano gli aghi nel cranio e cambiano faccia e si sentono tutti i rumorini disgustosi.
Ah, per inciso, nell’originale il notabile occidentale che si vede all’inizio parla in spagnolo, quindi la zozzeria di infilarci latino e romani nel 600 è di matrice italica (o americana non so, tutti uguali ‘sti culi bianchi).
@Fagio
eh ma allora mi sa che il problema è a monte, sai?
@canepazzo: d’accordissimo, Andy Lau è un figodiddio, è un vero peccato che fuori dal circuito asiatico diventi completamente irrilevante.
@Il Presidente
obvious citation was obvious!
@g
NOOOOO!!! mi sento defraudato
ci sono i quote?!
OMFG DO WANT
/wuxia
e bravo Nanni, per me hai azzeccato in pieno quando dici:
Detective Dee è il classico film su commissione che un regista della sua caratura fa tra un colossal e l’altro “per rilassarsi”, una robetta di puro divertimento lunga appena due ore e girata da dio che mischia
intrattinemento coi controcazzi, ad avercene!
@EDA: l’articolo e’ firmato “Quantum Tarantino”, gira i complimenti a lui
@Quantum ma infatti ammetto di essere un piccolo creti che ha guardato una cosa che non avrebbe dovuto guardare e poi si è pure incazzato perché non gli è piaciuta, ma il film me l’avevano così caricato di hype che speravo non fosse tutto capriole e capriole e funi invisibili e capriole e capriole. E invece era proprio così. Infatti non ero sarcastico quando mi sono detto d’accordo con la recensione perché per chi non è allergico al wuxia come me è sicuramente un film piacevole
@Fagio ma guarda, ti capisco perché anche io ci ho messo anni ad abituarmi al wuxia (la prima volta che ne ho visto uno ero tipo “are you shitting me?” perché non riuscivo a capacitarmi delle coreografie), detto questo secondo me in Detective Dee c’è qualcosa di più delle acrobazie strampalate e infatti ho provato a consigliarlo anche a non fanatici del genere (non fanatici, appunto, se uno proprio lo odio c’è poco da fare) sperando facesse presa… evidentemente mi sbagliavo io, ma ehi, Tsui Hark ha detto che vuole fare anche un seguito, magari riesco a convertirvi con quello! (just kiddin’)
Appena Babaz ha fatto notare che esistono i quote, il loro legittimo scopritore (Quantum) ha smesso di usarli. Notevole XD
A me il wuxia piace.
E mi piacciono anche i buddha altissimi (e infatti ho pianto tanto il giorno che).
E i cervi parlanti.
Mi avete convinto.
Bel film, il regista è un genio. Come stacco culturale wuxiapian – cinema de noantri c’è di peggio, Tsui è uno che sa mediare. Ma a me il wuxiapian piace abbastanza anche se continuo a non capire il loro senso dell’umorismo.
Sinceramente non capisco che ci fanno i romani nel 600 dopo cristo, che sono crollati due secoli prima come minimo e poi ti credo che i cinesi non erano in grado di costruire un buddha alto un miliardo di metri, visto che hanno iniziato a costruire in calcestruzzo 50 anni fa, prima da buoni orientali facevano tutto in legno e in canna di bambu e comunque non hanno mai costruito niente più alto di tre piani, questo è uno spottone alla nuova cina, ma del resto accusare i cinesi di fare soft power con il loro cinema è quanto meno ipocrita, per il resto preferisco film come questi divertenti e culturalmente al posto giusto, rispetto ai wuxia occidentali copiato al cinema cinese, come la trilogia di Matrix o i pirati dei caraibi con le loro coreografia orientali, poi diciamo il vero i cinesi amano il cinema di Sergio Leone e Peckinpah, il colosso di Rodi non a caso è il primo lungo metraggio di Leone e sono gli unici che hanno capito il senso e l’anima di questi due registi, non tanto nel cinema wuxia, ma in quello d’azione più puro come quello di John Woo o Johnnie To.