L’introduzione di Nanni Cobretti
Il 12 giugno 1981 usciva nei cinema americani I predatori dell’arca perduta, un film di Steven Spielberg ideato dall’amico George Lucas.
Per Spielberg, era un’avventura scacciapensieri con la quale sfogare la sua voglia di fare un action spettacolare alla James Bond e rifarsi la reputazione dopo il flop di 1941; per Lucas, era la prima distrazione dopo il successo stratosferico di Guerre stellari e L’impero colpisce ancora.
Il film è un omaggio spesso calligrafico ai film d’avventura di 30 anni prima: il protagonista si veste e si chiama come il personaggio di Alan Ladd in Cina (1943); spirito, struttura narrativa, preparazione storica e di nuovo il look del protagonista (Charlton Heston) e finché c’è pure la scena del sole che indica il tesoro vengono da Il segreto degli Incas (1954); le trappole, gli enigmi, i trabocchetti, un certo respiro kolossal e l’idea di cercare artefatti della religione cristiana in Egitto vengono da La valle dei re (1954). E, notoriamente, c’è molto altro.
Nel farlo, pompa ritmo e azione al massimo con l’idea di lasciare allo spettatore il minor tempo possibile per respirare: la profondità e l’umanità del personaggio è trasmessa quasi tutta dalla recitazione fisica di Harrison Ford mentre intorno gli succede la qualsiasi.
Per Pauline Kael, che ha sempre un modo di argomentare inattaccabile persino quando la pensate all’opposto, è un film senz’anima e persino sciatto.
Per molti, più che Lo squalo e Guerre stellari e persino del flop epocale dei Cancelli del cielo di Michael Cimino, segna il momento definitivo in cui muore la New Hollywood e l’epoca d’oro del cinema autoriale, e nasce il blockbuster giocattolone moderno.
È, insomma, contemporaneamente il Kill Bill, il Mad Max: Fury Road e il The Avengers dei suoi tempi.
È anche, incidentalmente, a tutt’oggi uno dei migliori film d’azione di sempre.
Lo celebrano per voi George Rohmer, Stanlio Kubrick e Xena Rowlands.
Voilà:
Il pezzo di George Rohmer
Sigla!
I predatori dell’arca perduta è il mio Indiana Jones preferito. Mi piacciono tantissimo anche gli altri, eh? Ma per quanto mi riguarda, con la saga di Indy è un “buona la prima”. Altre saghe ci mettono un po’ prima di inquadrare i personaggi. I predatori dell’arca perduta è invece già perfetto, è già tutto a fuoco, dal look alla storia, dagli eroi ai cattivi e fino ai personaggi di contorno. Tanto è vero che, nel proseguire, Spielberg e Lucas avrebbero dovuto prima discostarsi quasi totalmente da I predatori con Il tempio maledetto – ambientazione unica, tono più cupo – e poi recuperare la formula e rifarla pedissequamente con L’ULTIMO film della saga, quello dopo cui non ce ne sono altri, L’ultima crociata.
Tanto per fare un paragone con un’altra saga di George Lucas discretamente famosa, se ci pensate nemmeno Guerre stellari aveva fissato così perfettamente la propria formula nel primo film: ci sarebbe voluto L’impero colpisce ancora per coglierne ogni sfumatura e sfruttare ogni angolo del vasto universo suggerito nel primo film. Ci sarebbe voluto L’impero per avere Yoda. Una robetta.
Eppure entrambi i progetti nascono con la stessa idea di fondo: prendere la narrativa pulp della prima metà del Ventesimo Secolo e riproporla al cinema con le tecnologie e le tecniche moderne. Nel caso di Star Wars parliamo di un più ambizioso mix di Tolkien, western, Kurosawa e Flash Gordon, buttati in un gigantesco Bravo Simac per creare l’epopea eroica definitiva. Nel caso di Indy, invece, i punti di riferimento erano un po’ più circoscritti: i serial cinematografici e i film d’avventura con cui Lucas e Spielberg erano cresciuti. Quelle storie di avventurieri bianchi americani alle prese con location esotiche, il mistero del grande Oriente, le giungle dell’Africa. Luoghi distantissimi, in un mondo ben lontano dalla globalizzazione. Un mondo di stereotipi visto dagli occhi dell’uomo occidentale, spesso offensivi secondo i canoni moderni, ma allo stesso tempo ingenui.
Qui ci sarebbe da aprire tutta una parentesi sul mito della Cancel Culture e su come sia direttamente proporzionale all’avanzare della globalizzazione. È l’ignoto ad affascinare e fare paura allo stesso tempo, e quando le distanze vengono azzerate e il mondo è tutto un’enorme Google Map con macchinine dotate di telecamere che ne rivelano ogni anfratto, riproporre quegli stessi stereotipi diventa datato e fuori luogo. Accuse che sono state fatte anche a Indiana Jones, sia chiaro. Gli anni ’80 non avranno avuto Internet, ma gli aerei supersonici c’erano comunque e “tutto il mondo era già paese”. Si rifletteva già su come il mito romantico del maschio WASP che approda nel terzo mondo e lo salva da se stesso fosse il rigurgito di un passato coloniale da dimenticare.
Ma per me è fuorviante muovere questa critica verso I predatori dell’arca perduta. Come i film di Tarantino una quindicina di anni dopo (e non venitemi a dire “Che belli gli anni ’80 che almeno si facevano film originali invece di tutte ‘ste robe nostalgiche, signora mia”), si tratta di un film ambientato nei film, non nella realtà. Quello di Indy è un movie-movie universe che contiene allo stesso tempo la celebrazione definitiva e la parodia dei suoi stessi elementi. È vero, Henry “Indiana” Jones è il maschio bianco americano protestante cattolico eterosessuale normodotato, ma per precisa scelta autoriale – e per volere di Harrison Ford, e grazie all’apporto di Philip Kaufman – è meno playboy e più accademico. È altrettanto vero: Steven Spielberg accettò di dirigere perché voleva fare un film di Bond, e infatti due film dopo ci avrebbe messo proprio Bond nel ruolo – letterale – del papà di Indy. Ma, a differenza di Bond, Indiana Jones è vulnerabile, umano. Conosce l’errore (Marion/Abner), la sconfitta. È capace di umiltà. E, come John McClane qualche anno dopo, nasconde la sua debolezza dietro una barriera di sarcasmo.
È anche abbastanza l’opposto dell’eroe giovane, biondo e ottimista di Star Wars. Ha sulle spalle i chilometri (come ci ricorda in una delle battute più belle del film e/o della storia del cinema, scegliete voi), è spesso impaziente perché ne ha viste di tutti i colori e non ha voglia di rifare ogni volta tutto daccapo (la scena pistola vs. scimitarra, nata per caso, racchiude un mondo). E, soprattutto, e questa cosa l’ho notata solo ieri, rivedendolo per la milionesima volta, vince non guardando gli effetti speciali. Laddove Luke Skywalker si getta a capofitto dentro un canyon di miniature e spara coi laser pew pew, Indy chiude gli occhi e ci ricorda fondamentalmente che siamo noi spettatori i guardoni che se ne stanno comodi nelle loro poltrone e vogliono esperire il mondo per conto terzi, senza fatica. È un atto di grande meta-cinema ma anche una sorta di geniale negazione di tutto il baraccone Star Wars che, per quanto abbia regalato a George Lucas un ranch e tutti i soldi della galassia, era anche probabilmente un peso non indifferente da portare.
Ecco che allora I predatori dell’arca perduta diventa escapismo al quadrato: per lo spettatore, ma anche per il creatore, che fugge dalla sua gigantesca macchina da soldi con un progetto agile e divertente. Poi, a ben vedere, I predatori è costato 20 milioni di dollari contro gli 11 di Star Wars, ma ci capiamo. Quest’ultimo era già un fenomeno pop globale che chiamava un sequel, Indy era un progetto precedente, accantonato per fare Star Wars e ripescato nel corso di una vacanza alle Hawaii dove, guarda caso, Lucas stava proprio cercando di scappare da tutto il trambusto della sua vita. E dove nacque l’idea di affidare il progetto a Spielberg.
Spielberg che già aveva trasformato la serie B in serie A con Lo squalo (un horror dalla premessa estremamente pulp che divenne il primo blockbuster della storia) e che dunque era perfetto per ripetere l’operazione. Cito anche Lawrence Kasdan, che ebbe il compito di mettere insieme i set pieces ideati da Spielberg e Lucas e che fa da trait d’union tra Indy e Star Wars, giusto per chiudere il cerchio.
I predatori dell’arca perduta è dunque, molto più di Star Wars, frutto di un lavoro creativo di squadra tra Lucas, Kaufman, Spielberg e Kasdan. È il classico fulmine nella bottiglia, in cui tutte le cosine vanno al loro posto e producono magia. È l’unione di alto e basso, di cervello e pancia, costato come il pil di un paese africano ma girato velocemente come un B-movie.
Ed è perfetto da subito, buona la prima. E la cosa risulta ancora più impressionante se pensiamo a quante cose sarebbero potute andare storte: da Harrison Ford che non era la prima scelta a Spielberg tirato dentro quasi per caso e inviso agli studios – incredibile a pensarci adesso – per via di una serie di lavorazioni andate over budget e del flop fresco di 1941. Proprio la necessità di mantenere tutto sotto controllo e nei tempi previsti, però, contribuì a rendere I predatori quello che è, secondo la solita regola per cui dagli ostacoli nascono i capolavori. O, nelle parole di Spielberg: “Se avessi avuto più tempo e denaro, avrei fatto un film pretenzioso”.
Il pezzo di Stanlio Kubrick
Il particolare che più mi ha colpito riguardando Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta in occasione dei suoi quarant’anni e di questo pezzo che state leggendo è con quanta spontaneità e leggerezza si inventi un intero cineuniverso, nell’accezione più moderna e contemporanea del termine, in un’ora e quaranta.
Mi ha colpito perché ovviamente da quel punto di vista il film di Spielberg e Lucas non inventava nulla, era un’operazione-nostalgia tarata però non su quella del pubblico (o comunque non primariamente) ma su quella dei suoi stessi autori, che volevano riportare al cinema quei film a episodi con i quali erano cresciuti et cetera e bla bla. E OK che i vari Buck Rogers e Zorro non avevano l’ambizione e le dimensioni sproporzionate e crossmediali di certi noti cineuniversi moderni, ma ne gettavano le basi con svariati decenni d’anticipo. E S&L non volevano solo replicare quella formula ma espanderla e darle ancora più respiro: I predatori dell’arca perduta è scritto apposta per dare potenzialmente origine a millecinquecento sequel in tutte le accezioni del termine. È un film che scena dopo scena partorisce letteralmente sotto i nostri occhi una serie di altri film che magari non esisteranno mai (e infatti alla fine ne sono esistiti solo altri due) ma che potrebbero, che hanno tutti gli ingredienti pronti e le istruzioni di montaggio a disposizione.
Mi ha colpito anche per un altro motivo che se avessi voglia potrei collegare a espressioni altisonanti tipo “la grammatica dell’epica” o “le regole della mitopoiesi”, ma siccome non ho voglia non lo farò e riassumerò invece così: Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta ti fa sentire speciale e privilegiato.
Mi spiego.
Possiamo essere d’accordo che la sequenza iniziale del film è una delle cose più belle mai esistite, che non si limita a sfiorare la perfezione ma la abbraccia forte forte? C’è tutto quello che serve in un film in generale, e c’è tutto quello che serve sapere sul professor Jones, questo nuovo personaggio mai visto prima che ci viene presentato nel mezzo di un’avventura alla ricerca di un idolo dorato nascosto in un tempio in rovina pieno di trappole e tracobbetti. Alla fine di questo cortometraggio iniziale Indiana Jones perderà clamorosamente (un altro dettaglio fondamentale per caratterizzarlo, e che tornerà poi regolarmente per tutto il film) e tornerà alla sua vita quotidiana, in una coda che ci mostra anche l’altro lato della sua personalità e quindi la completa.
L’unico dettaglio di tutta questa sequenza che ha un qualche peso sul resto del film è la presenza di Belloq. Tutto il resto viene presto dimenticato, l’idolo d’oro non tornerà più e lo stesso Indiana Jones deciderà di concentrarsi su altro, nello specifico la scoperta dell’arca dell’alleanza. La prima avventura di Indiana Jones alla quale assistiamo è completamente inutile ai fini narrativi, ma serve per spiegarci una cosa importantissima sul personaggio: questa roba è il suo pane quotidiano. Cioè, immaginando che ogni spedizione gli porti via almeno un paio di mesi tra preparazione, viaggio et cetera, e che il nostro non dedichi 12 mesi l’anno alla caccia agli artefatti ma solo, boh, diciamo 8, se ne deduce che esperienze di quel tipo, trappole, frecce velenose, massi rotolanti, capitano a Indiana Jones dalle tre alle quattro volte l’anno. E se la faccenda del Perù è indicativa, ognuna di queste è abbastanza divertente e ricca d’azione e mistero e tensione da riempire potenzialmente i novanta minuti di un film standard.
Insomma: quello che a noi che guardiamo sembra miracoloso e incredibile, per Indiana Jones è una normale giornata in ufficio.
E questo creativamente ti mette di fronte, se non a un vicolo cieco, per lo meno a un muro abbastanza alto, da scalare, aggirare o sfondare a testate. Se quello che ho appena visto non è nulla di speciale perché Indiana Jones lo fa una volta ogni due/tre mesi da vent’anni a questa parte, perché dovrei andare avanti a guardare il tuo film? Che cos’ha di tanto speciale quello che sta per succedere che al protagonista non sia già successo mille altre volte?
Ecco: il bello dei Predatori è che si rende conto di questo inghippo e decide che la soluzione è far sentire lo spettatore un privilegiato, e regalargli non “un’altra avventura di Indiana Jones” ma “l’avventura di Indiana Jones che Indiana Jones stesso si ricorderà per tutta la vita”. Lo seguiamo in giro per il mondo in cerca di indizi sul luogo dov’è sepolta l’arca dell’alleanza, e ci rendiamo subito conto che “questa volta non è come le altre”; ci sono fantasmi che ritornano dal passato per stravolgergli la vita, c’è, per la prima volta per l’archeologo, quello scontro tra razionalità e fede, tra reale e soprannaturale che diventerà una delle cifre stilistiche di tutto il franchise, ci sono i nazisti!, non un archeologo rivale a caccia di fama ma i cazzo di nazisti fissati con l’occulto. La vita di Indiana Jones non è normale neanche quando è normale, e nei Predatori diventa particolarmente non-normale: ti viene voglia di ringraziare Spielberg e Lucas che hanno deciso di coinvolgerti in un evento epocale, invece di raccontarti una o più delle tante avventure di medio livello che il personaggio vive con inquietante regolarità.
E ovviamente è solo una sensazione, perché stiamo parlando del primissimo film della saga, non del ventesimo; ma è una sensazione che deriva da quello che dicevo sopra, dal fatto che I predatori dell’arca perduta è un film che in potenza ne contiene migliaia, che subdolamente e inconsciamente ti spinge a immaginarti tutti quei film mentre ne stai guardando uno, e quest’uno non è uno qualsiasi ma è speciale, unico, eccezionale. In pratica Spielberg e Lucas ti stanno facendo un favore: “di tutte le storie che potevamo raccontarti” dicono “abbiamo scelto la migliore”.
E io che devo rispondere? Grazie, apprezzo molto, anche dopo quarant’anni.
Il pezzo di Xena Rowlands
Va bene, siccome George e Stanlio hanno già scritto due pezzi perfetti dicendo tutto quel che c’era da dire, da me vi beccate la sbrodolata nostalgica in prima persona.
La prima cosa che ricordo di Indiana Jones è la musica. C’era questo cd in casa quand’ero in quell’età in cui i tuoi ti lasciano già maneggiare l’impianto hi-fi ragionevolmente convinti che non farai danni. Sul cd una miscellanea di pezzi orchestrali più disparati – non era né una collezione di colonne sonore né un best of di John Williams, sono abbastanza sicura ci fosse pure qualcosa di Beethoven (il compositore, non il cane), chissà cos’era – e a un certo punto c’era anche il tema principale di Indiana Jones. Lo ascoltavo a ripetizione – ovviamente ero ancora troppo piccola per sapere chi fosse John Williams, o per associarlo alle altre colonne sonore spielberghiane (a proposito, anche a voi capita frequentemente di chiedervi quale sia la vostra OST di Williams preferita, e cambiare freneticamente idea per svariati minuti, per poi rinunciare e riascoltarvele tutte?), ma avevo visto in tv i film di Indiana Jones, li avevo videoregistrati, li riguardavo regolarmente, ed ero quel tipo di bambina che quando gli adulti chiedevano “cosa vuoi fare da grande?” rispondeva “l’archeologa” (un anno avevo anche chiesto a Babbo Natale di portarmi Il grande libro della Storia, un tomo gigante, e quando l’avevo scartato sotto l’albero, felicissima, avevo suscitato sghignazzi e ilarità in tutti i miei cugini presenti).
infallibile, anche con quello sfondo improbabile
La musica, però, quella musica, era il mio accesso istantaneo al mondo di Indiana Jones. Mettevo su il cd e il soggiorno di casa si riempiva di liane, il corridoio di infidi tracobetti, la parete di geroglifici. Da bambina, quel senso di avventura infinito e infinitamente ripetibile, di cui parlano benissimo Stanlio e George qua sopra, si traslava alla perfezione nella continua ripetizione del gioco, della fantasia e del facciamo finta che. Il fatto che Indiana Jones non fosse un “predestinato”, e che tutto sommato non fosse neanche un unicum (potrebbe essere “il più bravo”, ma è tutt’altro che infallibile, anzi, ne prende molte di più di quelle che dà), credo che inconsciamente amplificasse enormemente le potenzialità d’immedesimazione, un po’ come mi sarebbe successo pochissimo dopo con il dottor Grant e la dottoressa Sattler di Jurassic Park: c’era tutto un mondo da esplorare là fuori, bastava prendere e andare, oltre ad avere il coraggio di affrontare con una certa flemma qualche possibile inconveniente, tipo, che so, un pavimento ricoperto di serpenti o una tripletta di velociraptor inviperiti.
Come nota giustamente Stanlio, a rivedere oggi I predatori dell’arca perduta è impressionante notare come sapesse già apparecchiare benissimo un universo cinematografico ai tempi in cui Kevin Feige nemmeno si faceva le pippe. Peraltro all’epoca – erano gli anni 90 – la mia fissazione per Indy era tutta merito di tv e videoregistratore (avevo mancato per un pelo al cinema anche l’ultima crociata, pur sentendone riverberare l’eco nell’immaginario pop tutto attorno a me), e a predare sulle mie debolezze sarebbe arrivata presto anche una serie tv, Le avventure del giovane Indiana Jones, certificando: a) lo status di “franchise crossmediale” della saga, capace di declinarsi su diversi medium; b) l’intuizione che, se le avventure “maggiori” erano destinate al grande schermo, quelle “minori” erano perfette per il piccolo; c) che la fissa di George Lucas per rimestare, ritagliuzzare, rivisitare, rimodificare la propria opera mandando in bestia i fan non si sarebbe limitata alla prima trilogia di Star Wars, oh no: oggi è pressoché impossibile (che io sappia: se avete altre info chiamatemi subito) ritrovare le puntate di Le avventure del giovane Indiana Jones come le ho viste io in tv, col vecchio Indiana Jones, con una meravigliosa benda da pirata su un occhio e tutti gli acciacchi di mille incredibili avventure sulle spalle, ad aprire e chiudere ogni episodio (il vecchio Indiana Jones, tra l’altro, aveva all’epoca l’età che ha ora Harrison Ford, ma sospetto che in Indiana Jones 5 Harrison Ford non avrà nessuna benda da pirata sull’occhio. Purtroppo).
Ricordate quell’entusiasmante e super super interessante e assolutamente non tediosa polemica Marvel vs Scorsese, nata dal fatto che secondo Marty i cinecomic Marvel non sarebbero film ma parchi a tema? Martin aveva – in un certo senso – ragione, però chissà se ha detto lo stesso ai suoi amici Steven Spielberg e George Lucas dopo aver visto I predatori dell’arca perduta nel 1981. Sì, perché, oltre a generare istantaneamente un universo infinitamente espandibile (Star Wars lo aveva fatto “nello spazio”, Indiana Jones lo faceva “nel tempo”); oltre a porsi come matrice illimitatamente ripetibile di una formula di successo (ovviamente mutuata dall’ispirazione ai vecchi serial cinematografici); oltre ad allargarsi crossmedialmente alla tv, alle action figure, ai giocattoli, ai videogiochi, alle novelization, ai romanzi, ai fumetti, etc,; oltre a “nobilitare” con l’alto budget generi e spirito fin lì considerati da B movie; oltra a tutto questo I predatori dell’arca perduta è subito, fin da quella sua primissima meravigliosa sequenza introduttiva, anche un parco a tema. Puoi già immaginarti la giostra, puoi salirci insieme a Indy, con lui immergerti nella giungla (una giungla, come dice George, a semplificata misura imperialistico-occidentale, come appunto sono sempre le varie zone e attrazioni di Disneyland), puoi rabbrividire per lo zampettare sulla schiena dei ragni (fintissimi, per te che sei al sicuro in poltrona) e per l’appiccicume della ragnatela gigante, puoi sentire l’alito d’aria quando scatta la trappola mortale mancandoti per un pelo, puoi accarezzare le pareti di roccia e immaginare di risolvere gli enigmi, e poi puoi filare via, veloce, sempre più veloce, con il vento nei capelli e l’adrenalina in gola, fuggendo da un enorme masso rotolante o da indigeni inferociti, e infine prendere il volo verso la salvezza (e il negozio del parco, mi raccomando, non dimenticate i gadget in edizione limitata!). E infatti, già dal 1989, Disney e Lucasfilm realizzarono la prima attrazione a tema Indiana Jones all’Hollywood Studios in Florida (a noi povery da questa parte dell’oceano comunque andavano benissimo anche la Valle dei re e il Colorado Boat a Gardaland). E infatti 12 anni dopo il primo Indiana Jones, nel 1993, Spielberg avrebbe fatto Jurassic Park, cioè un film-parco direttamente ambientato in un parco.
Ero piccola, ma già mi ricordo quando tutto questo veniva bollato con uno dei termini che avrei imparato a detestare con l’intensità di mille soli, e cioè “americanata”: come se l’effetto speciale, l’eccitazione, l’adrenalina, il coinvolgimento sensoriale fossero qualcosa di cui ci si doveva un po’ vergognare, al massimo un guilty pleasure, qualcosa che cacciava di default il film fuori a calci dal recinto dorato del “Vero Cinema”, e infatti erano ancora i tempi in cui Spielberg era considerato “bravo ma poco serio”, una nomea che si sarebbe scrollato di dosso solo facendo un dramma in bianco e nero di tre ore sull’Olocausto (contemporaneamente a Jurassic Park, tra l’altro, non dimentichiamocelo mai). Invece, Spielberg e Lucas stavano gioiosamente, e forse anche un po’ inconsapevolmente, costruendo il futuro – bello o brutto non so, a riguardo c’è ampio spazio per uno di quei dibattiti in cui però di solito la risposta giusta è quasi sempre “dipende”. Se c’era qualcosa di davvero buono, nel Jurassic World di Colin Trevorrow, era proprio l’intuizione che questa meraviglia esperienziale si sarebbe presto consumata, depotenziata a ogni nuova iterazione, diventata un po’ meno elettrizzante a ogni giro di giostra, rischiando di far crescere occhi sempre più annoiati e distratti, invece che avidamente curiosi e spalancati.
Sapete invece cosa, miracolosamente, non si consuma e non si depotenzia mai? I predatori dell’arca perduta, ecco cosa! E pure, giusto per tornare all’inizio, la sua esaltante colonna sonora: la metti su e, taaac, funziona sempre. Succede perché I predatori dell’arca perduta è uno di quei film in grado di farti tornare bambino, ma non con i trucchetti nostalgici e paraculi alla Stranger Things, non infantilizzandoti e convincendoti che una volta era tutto più bello di adesso: è perché ha sempre lo sguardo ancora nuovo, l’eccitazione di quando stai per salire sulle montagne russe “dei grandi” per la prima volta, il senso sterminato dell’avventura che ti aspetta, proprio lì, appena fuori dalla porta. Basta aprirla, e andare.
Blu-Ray 4K box-set quote:
“Il migliore dei tre”
George Rohmer, i400calci.com
Blu-ray da collezione 40° anniversario edition:
“Oh, e poi ci sono anche dei nazi che si sciolgono, cioè non puoi capire, bellissimo”
Xena Rowlands, i400calci.com
Grande omaggio a un film perfetto.
Rivisto l’anno scorso, mi ha colpito quanto sia “tight”, teso, tirato, senza un attimo di tregua o momenti morti. Procede spedito al punto da essere a volte superficiale, ma mai banale o scontato. E` una macchina perfettamente oliata che fa il suo lavoro senza sbagliare. Questo lo rende anche un capolavoro: non e’ il mio preferito della saga (il secondo le e’ da sempre), ma lo rivedo sempre volentieri.
Beh, resta ben poco da aggiungere.
Un film epocale, il cinema nel suo stato ed essenza piu’ puri.
Uno di quei film che ringrazio il cielo di aver visto, nel posto giusto e al momento giusto. E per cui ringrazio di esser nato in quest’epoca.
un bignami di cosa dovrebbe essere il cinema d’intrattenimento e avventura.
sono però più affezionato al terzo…indiana, lasciala dov’è…
trilogia comunque perfetta per quanto mi riguarda, pochi cazzi.
Totalmente d’accordo con te
E la cosa più belle è che di Indiana Jones si trovano fan quasi equamente divisi nei tre capitoli, non c’è uno nettamente preferito rispetto agli altri da parte dei fan
Una trilogia PERFETTA
Che posso dire? La mia infanzia e buona parte della mia adolescenza.
Non mi pare di aver mai voluto fare l’archeologo, ma c’ero dentro tutto nel mito e nel franchise di Indiana Jones. Vedevo le imitazioni televisive (L’uomo di Singapore, I predatori dell’idolo d’oro), compravo le novelization* e i fumetti Marvel sul personaggio pubblicati (eccezionalmente) della Bonelli: questi ultimi modesti e mediocri per la verita’, ma bastavano le copertine di Riboldi per carburare la fantasia.
“Le avventure del giovane IJ” invece arrivo’ tardi, lo segui’ distrattamente e mi sembro’ un prodotto troppo infantile e innocuo. Ricordo giusto divertete una puntata kafkiana con Indy alle prese… con la burocrazia.
Fantastico invece il video gioco su Atlantide.
Ai tre impeccabili pezzi aggiungerei solo una nota: I Predatori recuperava l’avventura esotica dei beitempiandati, ma la processava attraverso la violenza dei anni 60 e 70 dei Peckinpah e degli Aldrich. Perche’ a ben vedere i Predatori e’ un film bello violento: non solo per i dettagli splatter come gente impalatao fatta a pezzi da eliche, ma per tutta una serie di particolari “duri” in tutte le scene d’azione. A furia di vederle non ce ne accorgiamo quasi, ma in scene come quelle della lotta nella taverna e nell’inseguimento sui camion c’e’ un sacco di gente che muore malissimo e in modo dolorosissimo. Anche la famosa “gag” del tipo abbattuto nella piazza a ben vedere e’ tutt’altro che innocua. Cio’ creava una tensione assente negli altri film (il Tempio maledetto sara’ piu’ sanguinoso e horror, ma in maniera piu’ infantile e fantasy), tipo che quando Marion e’ nella mani di nazisti si temeva davvero per la sua vita e la sua incolumita’, ricordo preciso di come nella scena dell’attacapanni tutti in famiglia trattenemmo il respiro la prima volta, prima della risata di sollievo.
*se interessa, copio incollo quanto scritto un paio d’anni fa in un forum:
Mi sono ricapitate in mano le vecchie novelization dei film di Indiana Jones che mi avevano comprato da ragazzino. Neanche mi ricordo se le avevo davvero lette. Se le altre due sono fedeli ai film, decisamente interessante e’ stato rileggere quella de “I predatori dell’arca perduta”. Il libro di Campbell Black e’ stato chiaramente scritto basandosi sulla sceneggiatura, prima che il film venisse realizzato. Quindi i dialoghi e le scene sono quelli, ma ci sono molte diffrenze, a cominciare dal tono, molto piu’ drammatico, con meno alleggerimenti ironici. Indiana Jones viene descitto come un classico eroe pulp, biondo e col fisicone (quindi il libro e’ stato scritto prima ancora che venisse scelto Harrison Ford). Soprattutto c’erano molti piu’ spiegoni archeologici e stacchi narrativi, con tutta una parte dedicata alle ricerche parallelle dei nazisti che e’ stata totalmente eleminata dal film, e che l’avrebbe fatto assomigliare piu’ a classico film di spionaggio. Ma quello che mi fa piu’ ridere e’ che nella parte al campus Indiana Jones viene presentato come un mandrillone che si scopa le studentesse, che le “studia” e giudica “meritevoli” nei corridoi e poi a casa sua dopo essersel fatte le tratta pure un po’ di merda. Non bastasse, viene messo giu’ a chiare lettere il suo rapporto con Marion: lui ventottenne l’aveva “usata per i suoi scopi” approffittando del fatto che lei fosse adolescente e innamorata di lui. In confronto James Bond sarebbe stato #MeToo.
@tommaso cinque altissimi per aver citato “Indiana Jones and the Fate of Atlantis”, che a pieno titolo il vero quarto episodio della saga.
(anche il tie-in di “The Last Crusade” era dignitoso, ma niente di paragonabile).
A latere,
un ringraziamento al grande Michele Gammino per quella incrdibile voce: che doppiaggio ragazzi! Con buona pace di Pino Insegno (ancora devo capire questa storia del ridoppiaggio).
Normalmente il ridoppiaggio si fa per motivi tecnici. Brevemente, quando da fuori ci arriva un film restaurato noi facciamo prima a registrare un doppiaggio nuovo che a tentare di recuperare e remixare adeguatamente quello vecchio. Ho letto che il cofanetto nuovo contiene anche il doppiaggio originale, ma sicuro la differenza di qualità si sente.
Grazie,
confermo che nel mio cofanetto i film, per fortuna, sono ancora doppiati da Gammino.
A me pare di ricordare che il trabocchetto de Le sette città di Cibola fosse a leva, non a peso, ma non voglio fare la punta agli aghi. Però siccome mi sembra che stiamo citando padri e madri io vorrei aggiungere Blake e Mortimer, che con Il mistero della Grande Piramide hanno introdotto nella mia vita, ma non solo, l’Egitto come luogo dell’avventura esotica e meta della caccia al tesoro, e che così bene hanno definito lo Zeitgeist (e ho usato anche questa) del reparto Avventura di quei tempi.
In Facoltà, ad Archeologia, un giorno ci chiedemmo “Perché siamo qui? Cosa ci ha spinti?”: qualcuno rispose ” La Mummia”, TUTTI rispondemmo “Indiana Jones!”. Grazie, Indy!!!
Bellissimi contributi che mi han fatto venir voglia di rivedermelo once again. Il mio Indy preferito rimane il terzo (e ULTIMO) perché fu uno dei primi film visti al cinema (forse il primo) e credo anche il primo Indy che vidi intero, dato che in TV all’epoca ne avevo incrociato solo sprazzi. Tral’altro, data la natura quasi antologica dei primi due, per tantissimo tempo fui convinto che il primo film della saga fosse “Il tempio maledetto” (che comunque – a mia puerile discolpa – è ambientato un anno prima dei “Predatori”).
Grandissimi e puntuali come sempre nel tributare il giusto alle vere pietre miliari che col passare del tempo rischiano di essere ricoperte dall’edera del rumore di fondo del cinema attuale. All’epoca mi fulminò a tal punto da volerlo vedere ancora e pagare l’ingresso (per me il secondo) al mio recalcitrante fratello maggiore che lo giudicava una stronzata a priori. Fu l’unica volta nella nostra vita che, dopo, mi diede ragione. Segnalo alla (fantastica) Xena che nei primi anni ’90 per noi povery da questa parte dell’oceano, almeno per quelli già abbastanza vecchi da poter guidare la macchina, a Disneyland Paris c’era una rollercoaster dedicata a Indy, e che nel negozio dei gadget vendevano un cappello di Indy di ottima fattura (in feltro vero!) che ancora conservo. Il giro sulla giostra lo feci dopo due ore di coda. Una settimana dopo il trenino uscì dai binari e finirono all’ospedale tre o quattro persone. Per il cinico me giovane era la conferma che con Indy non si scherzava.
Io ho fatto l’archeologa, e al netto che ho scoperto poi che l’archeologia ha più a che fare con spostare grandi carriole di terra che col correre e scappare dai massi rotolanti Indy rimane un pezzo del mio cuore. Quarant’anni e non lo sento proprio.
Anche la serie TV era un gioiellino vero.
Se non sbaglio trasmessa su Raiuno da uno di quei contenitori pomeridiani per ragazzi che al netto dei giochini un po’ scemi facevano vedere tanta bella roba
Lo stesso dove è passato anche lo Sherlock Holmes di Miyazaki
P.S.: Comunque faccio notare come nei primi 11 commenti ce ne siano ben 2 di archeologi, incredibilmente sopra la media, 400 Calci il sito più visitato nei musei di tutta Italia :D :D :D
Mi faccio invidiare: mai visto il film che non esiste. Me ne sono tenuto ben alla larga e, francamente, non capisco la necessità di bissare l’errore, quando tutti ti hanno spernacchiato già una volta.
Pensa a quanto sono stronzo io che lo vidi al cinema al Day One… Ogni tanto mi sputo in faccia da solo quando ci ripenso.
Siamo in due: una vergogna cazo
Con l’occasione ricordiamo, anche se è stranoto, che Indy è anche erede diretto di uno dei più grandi avventurieri della narrativa mondiale: lo Scrooge McDuck di Sua Maestà Carl Barks.
Infatti, era una nota importante da aggiungere. Grazie per averlo ricordato, massima stima!
Il trabocchetto a peso su cui poggia l’idolo viene dalla storia “Le Sette Città Di Cibola”
A me pare di ricordare che il trabocchetto de Le sette città di Cibola fosse a leva, non a peso, ma non voglio fare la punta agli aghi. Però siccome mi sembra che stiamo citando padri e madri io vorrei aggiungere Blake e Mortimer, che con Il mistero della Grande Piramide hanno introdotto nella mia vita, ma non solo, l’Egitto come luogo dell’avventura esotica e meta della caccia al tesoro, e che così bene hanno definito lo Zeitgeist (e ho usato anche questa) del reparto Avventura di quei tempi.
L’eterna diatriba tra me e un carissimo amico con cui, ancora oggi, si litiga per stabilire se “Il tempio maledetto” sia il migliore (lui) o il peggiore (io) dei primi tre film.
I km, anzi le miglia, macinate in giornata per trascinare mia moglie (anzi all’epoca “quasi moglie”, stupisce mi abbia sposato lo stesso) da Providence a New Haven per curiosare sul set del “4”.
Mia figlia di due o tre anni che vedendo una copertina di Tex, tradita dal cappello mi chiese se era Indy…
Tre tra i tanti bei ricordi legati al nostro archeologo preferito.
Grazie per aver scritto dei pezzi pieni di affetto e magia che confermano quanti siamo ad amare questa saga: è bello sentirsi in famiglia!
Un film talmente perfetto che non ci fa mai pensare a quel dettaglio della sceneggiatura, anzi proprio della storia, quello che nota subito Amy in TBBT la prima volta che lo vede.
Indiana Jones ai fini della vicenda è del tutto inutile. Nonostante i suoi interventi i nazisti recuperano l’arca ed eseguono il rito, e se poi il rito va a puttane (per loro) non è cmq a causa del protagonista.
Te lo salvo dalle grinfie di TBBT: è Indy a trovare il pozzo delle anime e recuperare l’Arca insieme a Sallah. Poi i nazi gliela fregano ed eseguono il rito eccetera, ma senza Indy non l’avrebbero trovata perché avevano il medaglione sbagliato.
Tana per George: senza Indy i nazi prendevano/compravano il medaglione giusto a Marion in Tibet, correggevano i calcoli e trovavano Tanis lo stesso. Erano già sulle tracce di Abner Ravenwood a inizio film, è proprio il motivo per cui la Cia si mette in contatto con Jones
Infatti, senza Indy avrebbero avuto direttamente il medaglione giusto ed avrebbero trovato il pozzo lo stesso.
Ma in realtà non lo avessero trovato idem, cioè semplicemente non sarebbero riusciti ad usare a loro vantaggio l’Arca, come poi non ci sono riusciti comunque
Senza Indy, probabilmente i nazisti Marion non l’avrebbero trovata, e tutta l’avventura non ci sarebbe neanche stata. Al netto che, come anche nell’Ultima Crociata, Dio non avrebbe mai permesso un simile sacrilegio. I nazisti erano morti deambulanti fin dalla prima scena.
HAH! E niente, avete ragione voi. Però… No niente avete ragione voi.
io me l’ero dimenticata la scena dello squagliamento, se no mica lo facevo vedere a mia figlia di 8 anni. che poi doveva vederlo si o si, visto che questo film è stracitato ancor oggi.
ps: si scrive “tracobretti” :D
o sempre trovato l’obiezione di Amy totalmente idiota. Incapace di comprendere la forza del film e del personaggio, che viene invece messo bene in evidenza nel pezzo, quando si racconta di come Indy ci venga presentato con una gigantesca sconfitta. I film di Indiana Jones sono sempre una grossa pernacchia a chi crede che tutto dipenda dall’uomo e dall’eroe: l’Arca si sarebbe difesa benissimo da sola, così come il sacro Graal non poteva finire in mano a qualcuno incapace di riconoscere con umiltà come potesse essere la coppa di Cristo. Anche nel secondo film l’intervento divino risulta indispensabile, seppure in modo meno evidente (ma se le pietre non fossero diventate incandescenti come sarebbe finita?). Ma quindi cosa rende Indy un eroe? Banalmente, il fatto di rimanere vivo, insieme alle persone che lo accompagnano. Ogni tanto, nelle mille avventure che non ci vengono raccontate, qualche tesoro viene pure recuperato e portato al museo, qualche vittoria c’è, ma non sono quelle ad essere interessanti, o a rendere speciale il personaggio. C’è il fatto di essere sopravvissuti ed essersi avvicinati qualche passo in più alla Verità nascosta dietro i singoli reperti. Spiace che gli sceneggiatori di TBBT non ci siano arrivati da soli, e abbiano visto come un difetto ciò che invece è un pregio.
Esatto, sono gli obbiettivi stessi ad essere fuori portata, e la conseguenza di tanta hybris è scontata. Come avrebbero potuto mai i nazisti piegare Arca e Graal ai propri fini? Indy è il testimone che ci mostra tutto, che ci porta in un mondo altro.
Sono fuori portata ma va dato merito a Spielberg di aver giocato molto bene le sue carte per darci sempre l’impressione che invece i “cattivi” possano vincere. Perchè noi vediamo tutto con l’occhio rispettoso ma comunque pragmatico e disilluso di Indiana, quindi non ci aspettiamo molti aiuti da lassù. Anche se è evidente che Indiana stesso rappresenta un mezzo di forze superiori per cercare di portare un po’ di giustizia. Quando non ci riesce con le proprie forze, è il momento del Deus ex machina (anche “chiamato” da Indy stesso, magari in un momento di maggiore “fede”) che grazie alla regia di Spielberg e alla caratterizzazione di Indy non arriva del tutto prevedibile. Fossero state “Le avventure di Padre Pio e Frate Jones”, sorta di action con protagonisti due devoti religiosi contro i nazisti, forse i finali “provvidenziali” sarebbero risultati un po’ più scontati.
La mia saga preferita, il mio personaggio cinematografico preferito.
Due delle purtroppo poche VHS che sono riuscito a conservare sono Indy 1 e 3. Avrò certamente avuto anche io il mio momento “voglio fare l’archeologo” (ho ancora un librone enorme di Archeologia a casa a testimoniarlo, arrivato verso i miei sette anni), che mi è poi passato. Quello che non mi è mai passato invece è l’amore per Henry Jones Jr.: ancora oggi cerco a trovo collegamenti, pezzettini di storia e storie che ricollego a Indy, soprattutto le storie che lo hanno ispirato (i film citati nel pezzo, il giustissimo commento che ricorda la derivazione da Le sette città di Cibola di zio Carl Barks, ma anche le biografie di Roy Chapman Andrews e di Otto Rank), il suo universo espanso (Le avventure del Giovane Indiana Jones telefilm pregevolissimo, ma capisco che Lucas col senno di poi abbia capito che mettere in scena un Indy centenario, attaccabottoni e fondamentalmente scassacazzi non rendeva un bel servizio al personaggio), i romanzi, i romanzi del telefilm, tutta, tutta l’Avventura che lo ha seguito, nel cinema o meno (Uncharted, tanto per citare un clone riuscito tra tanti cloni difettosi).
Consiglio a tutti il volume La filosofia di Indiana Jones, edito da Mimesis. È frustrante perché un vero approfondimento psicologico occupa solo una piccola parte del volume, ma quella piccola parte è oro puro.
I trucchi della sceneggiatura (l’apporto di Indy quasi nullo alla fine dei conti nei Predatori, teoria di quel genio di Peter David poi riciclata dappertutto), Spielberg che mette in scena il personaggio pulp definitivo e si ricorda di renderlo simpatico, a differenza di Doc Savage, le sei previsualizzazioni di Jim Steranko che vorrei appese nelle gallerie d’arte…
Il quarto film (trovo puerile il giochino de “Il Regno del… non esiste. Esiste ed è bello, nonostante LaBoeuf. Fateci pace) è riuscito per un soffio e sono preoccupato per il quinto. Ma già lo so che tre note di John Williams e una fedora inquadrata mi scioglieranno come sempre.
Comunque, team Rimpiazzate Ford e fate altri quaranta film.
Ci aggiungo un altro pezzetto: un altro riferimento per l’aspetto di Jones e la sua mise è sicuramente il Gary Cooper di Per chi suona la campana. Che non è forse un film istituzionalmente avventuroso come quelli di Ladd e di Heston, ma l’aspetto del protagonista è incredibilmente simile
Chiedo scusa, ma con Peter David intendi il grande sceneggiatore di fumetti? O è un lapsus e intendevi fare il nome di Kasdan o Kaufman e ti è uscito David per errore? Mi è sfuggita una qualche teoria di Peter David a riguardo di Indy, quindi può anche essere ignoranza mia e nel caso ti chiedo a cosa accenni
Parlando d’altro, sono d’accordo: se si deve fare un altro film, che si trovi un altro attore. Ormai Ford ha superato limiti di età accettabili
No, no, nessun errore, dico il Peter David de L’incredibile Hulk. Qualche anno fa fu pubblicato in Italia un piccolo ma pregevolissimo volumetto di David, “Scrivere fumetti e graphic novel”, edito dalla Dino Audino editore.
L’ho risfogliato per trovare la citazione giusta e, se non faccio errori, David cita Indiana Jones in almeno tre occasioni:
– quando sostiene che da un punto di vista narrativo “i Predatori è disastroso: Indiana Jones non porta a termine nulla. È perennemente a un passo dai cattivi. Ogni qual volta mette le mani su qualcosa, lo perde. Al climax della storia tenta un bluff che non funzio, non ha un piano di riserva, si fa legare a un palo e spetta a Dio salvargli la pelle.
Se è per questo, Marv Wolfman ha fatto notare che eliminare Indiana Jones dalla storia non farebbe alcuna differenza. Se lui non c’è i nazisti vanno da Marion e s’impossessano dell’amuleto. Lo usano per trovare l’arca perché stavolta scavano nel posto giusto, la mettono nel sottomarino, la portano all’isola, la aprono e muoiono tutti. Fine”
(continua poi spiegando come ne Il tempio maledetto invece Indiana sia un eroe attivo che fa eccome la differenza, ma il film avesse un ritmo sbagliato perché pieno di scene inserite per approfondire le storie di personaggi secondari di alcun interesse)
Io qui ci metto una postilla e aggiungo che anche David (e Wolfman) sottovalutano una cosa. Che il piano dei nazisti non era inizialmente quello del sottomarino ma quello di portar via l’arca in aereo. E se l’Arca fosse arrivata a Berlino e l’avessero aperta davanti a Hitler… però anche questo dovremmo escluderlo, visto che Belloq si fa i conti e decide di aprirla proprio per evitarsi la possibilità di una figuraccia davanti al fuhrer.
– Nel secondo caso in cui David cita Indy, lo fa per spiegare la necessità di svolte narrative forzate e cita la scena in cui compare dal nulla a cavallo per inseguire il camion. “Dove l’ha preso? Non importa. Lo sceneggiatore ha fatto la tacita ammissione, tramite la voce di Indiana Jones, che non c’è una spiegazione ragionevole.”
– Infine David riprende a esempio Indy quando parla della caratterizzazione del cattivo in opposizione al protagonista buono, citando la scena del bar in cui Belloq rinfaccia a Jones che i loro metodi non sono poi così diversi.” È basterebbe pochissimo perché uscisse dalla mia ombra e iniziasse a brillare di luce propria”. Qui sono le note dello stesso Kasdan a precisare che “c’è una certa dose di verità in questo: Indiana Jones lo riconosce quando un lampo di lucidità attraversa i suoi occhi appannati”.
Diciamo che il quarto film esiste ed è orrendo, nonostante Harrison Ford sia ancora PERFETTO come Indiana Jones
Ero piccola, ma già mi ricordo quando tutto questo veniva bollato con uno dei termini che avrei imparato a detestare con l’intensità di mille soli, e cioè “americanata”: come se l’effetto speciale, l’eccitazione, l’adrenalina, il coinvolgimento sensoriale fossero qualcosa di cui ci si doveva un po’ vergognare, al massimo un guilty pleasure, qualcosa che cacciava di default il film fuori a calci dal recinto dorato del “Vero Cinema”
Questa frase andrebbe scolpita sulla pietra, o scritta in cielo come in quel Fantozzi.
Cinema deriva da CINETICA (kinetos credo, in greco).
Cinetico è l’opposto di statico.
Ergo, tanti cosiddetti registi avrebbero dovuto dipingere, scolpire le loro espressivissime espressioni, o scrivere dialoghi fulminanti e geniali, ma l’epoca di quadri e romanzi faceva così millottocento.. sei out fratè, ecco, prendi una cinepresa i soldi di mamma e fai il regista. Fai un film, qualcosa con titoli ermetici fatti da soggetto e verbo, tipo “Carla parte” o “Capire Antonio”. Campi lunghi, bei colori, un vecchio parla dialetto e piange. E i nostri radicalchic genitori che nell’infinito complesso di inferiorità intellettuale italica pretendevano di amare certe camomille allungate, da interpretare e portare in conversazione.
Per fortuna avevo anche un padre, i vari Rocky, Ghostbusters e Indy mi venivano segnalati con fare cospiratorio sul palinsesto del venerdì di Repubblica.
cinema deriverá pur da cinetica ma, per diana, sono abbastanza sicuro che a Steven Seagal non glielo ha ancora detto nessuno.
Applausi, Ovazione, Trionfo.
Ci aggiungo un altro pezzetto: un altro riferimento per l’aspetto di Jones e la sua mise è sicuramente il Gary Cooper di Per chi suona la campana. Che non è forse un film istituzionalmente avventuroso come quelli di Ladd e di Heston, ma l’aspetto del protagonista è incredibilmente simile
Per distacco! :-D
Pardon, era la mia risposta a Killing Joke.
Da adulto la palma del migliore se la giocano questo e il terzo, ma veramente non saprei quale dei due scegliere. Mentre da ragazzino era “Il tempio” il mio favorito. A mani bassissime!
Film dritto come un fuso, che parte in quarta e si ferma dopo quasi due ore senza mai staccare il piede dall’acceleratore. Ci sono le battute simpa e i morti ammazzati malissimo, c’è la frase maschia e c’è il siparietto comico, i cattivi cattivissimi (Toht) e i buoni buonissimi che si butterebbero nel fuoco per l’eroe (Sallah). Film che rivedo sempre con enorme piacere e che non mi ha mai stancato. Trilogia perfetta. Anche se a volte però mi chiedo se Selleck sarebbe stato meglio di Ford.
E ammetto pure che non saprei se cambiare l’attore e dar vita a un filone di Indiana Jones in stile 007 (cioè pellicole con nuove avventure ogni 3-4-5 anni) possa essere un bene o una banalizzazione del personaggio la cui forza è anche nei film che sono tutti e tre perfetti.
niente da aggiungere a pezzi come questi..solo applausi e ringraziamenti…però il discorso del paragone parco a tema film / parco marvel, per me non regge…i Marvel vari esistono solo su pellicola (digitale) e non hanno una realtà materiale a cui appellarsi, neanche in ambito videogame per fare un esempio, perchè sono sorpassatissimi anche lì. Hanno ottenuto, per ovvi motivi, incassi e diffusione infinitamente superiori…ma è tutto da vedere se resteranno nella memoria collettiva quanto un cappello, una frusta e un ex 007 che abbatte caccia con ombrelli stilosi.
(p.s. per me no, i pigiami son destinati ad un oblio dorato)
Non scommetterci dei soldi.
è una speranza vana..ma finchè ci sono i calci va bene così…big love
La penso esattamente così. In tutto il MCU non c’è un “Alessandretta!” né un Carlo Magno né una pietra rotolante né una frusta che venga ricordata e citata regolarmente anche al di fuori del suo contesto. L’unica cosa simile a un timido ingresso nell’immaginario collettivo che mi viene in mente è lo schiocco di dita di Thanos: cioè la summa di dieci e passa anni di uscite, decine di ore di film, decine di registi e personaggi etc. etc… e neanche tutti la capiscono.
Da amico, rinnovo il mio consiglio.
Il migliore dei tre, il più serio, tenebroso, cattivo.
Quello dei nazisti cattivi, del camion a cui attaccarsi per non starci sotto o dell’aereo che “secret of Luftwaffe” ci fa una pippa.. del fotogramma migliore della storia del cinema( dai vediamo se lo riconoscete.. musicalmente e fotograficamente difficile fare meglio https://i.pinimg.com/originals/96/5d/72/965d72cb4bcb03c20d36b68822c5c5a4.jpg) , dei pugni esplosi come manco Bud Spencer, della scimmietta stronza o dei deformi nel Nepal, della cartina dei viaggi o del magico dietro l’angolo. Diciamo che non puoi più fare qualcosa di meglio di questo , sarebbe come rifare Animals dei PF oggi .. non sarebbe lo stesso. Unico momento che manca lo si trova nel finale del terzo.. si in quel finale con il tema che suona e i cavalli che escono dal canyon e corrono al tramonto c’è il passaggio alla realtà di molti di noi diventati adulti, con la sigla finale non della saga stessa ma degli interi anni 80.
Film bellissimo: rivisto di recente, insieme agli altri 2 lungometraggi… facendo una fatica dannata per riuscire a trovare sulle piattaforme di streaming le tracce audio originali (per il 2° ed il 3° basta scegliere l’italiano non 5.1, se disponibile), perché io Pino Insegno proprio non lo posso sentire a “vestire” i panni di Indiana Jones.
Per il resto, come già detto da alcuni, i lungometraggi “canonici” saranno pure 3, ma i film sono molti, molti di più: ogni episodio della serie tv era un piccolo film da 40-50 minuti, talvolta – negli episodi doppi – un vero e proprio lungometraggio… le avventure del giovane indiana jones sono state l’esempio di come lo “zampino di Lucas” non fosse necessariamente un male: l’eliminazione degli antefatti/intermezzi/epiloghi (ricordo ancora da un passaggio televisivo “nonno” Jones alle poste che racconta le sue storie come un Forrest Gump alla fermata dell’autobus…) e un riordino degli episodi hanno giovato tantissimo al materiale, già comunque molto buono di partenza (le scelte di cast poi azzeccatissime).
Comunque, come per l’altra trilogia di Lucas, anche qui il mio preferito è il terzo film!
Nathan
Ah che bello,le recensioni dei vecchi film classici sono quelle che preferisco,tra l’altro,questo stesso mese cade l’anniversario anche del Tempio maledetto e delle Crociate,il 23 Giugno cade il trentasettesimo e un mese anniversario del Tempio Maledetto,il 24 è il giorno del trentunesimo e un mese anniversario dell’Ultima crociata. Non vedo l’ora di leggere le prossime recensioni.
Il mio Indiana Jones preferito, anche se in realtà nessuno dei tre è il mio Spielberg preferito. Il bello del film sta proprio nella perfetta gestione della macchina spettacolare da parte di Spielberg, nel senso di trascinante divertimento, nel sense of wonder elementare ma dannatamente efficace. In questo, sono in pieno disaccordo con la Kael: è un film leggero e volutamente costruito su stereotipi, ma è tutt’altro che sciatto.
Ho sempre trovato l’obiezione di Amy totalmente idiota. Incapace di comprendere la forza del film e del personaggio, che viene invece messo bene in evidenza nel pezzo, quando si racconta di come Indy ci venga presentato con una gigantesca sconfitta. I film di Indiana Jones sono sempre una grossa pernacchia a chi crede che tutto dipenda dall’uomo e dall’eroe: l’Arca si sarebbe difesa benissimo da sola, così come il sacro Graal non poteva finire in mano a qualcuno incapace di riconoscere con umiltà come potesse essere la coppa di Cristo. Anche nel secondo film l’intervento divino risulta indispensabile, seppure in modo meno evidente (ma se le pietre non fossero diventate incandescenti come sarebbe finita?). Ma quindi cosa rende Indy un eroe? Banalmente, il fatto di rimanere vivo, insieme alle persone che lo accompagnano. Ogni tanto, nelle mille avventure che non ci vengono raccontate, qualche tesoro viene pure recuperato e portato al museo, qualche vittoria c’è, ma non sono quelle ad essere interessanti, o a rendere speciale il personaggio. C’è il fatto di essere sopravvissuti ed essersi avvicinati qualche passo in più alla Verità nascosta dietro i singoli reperti. Spiace che gli sceneggiatori di TBBT non ci siano arrivati da soli, e abbiano visto come un difetto ciò che invece è un pregio.
Mi hai fatto venire in mente il finale di “The Stand” di King, non so se l’hai letto.
Ciò che conta sono la storia e l’avventura, e chi guarda solo all’utile e al profitto non ha capito niente della vita.
Cit. “(a proposito, anche a voi capita frequentemente di chiedervi quale sia la vostra OST di Williams preferita, e cambiare freneticamente idea per svariati minuti, per poi rinunciare e riascoltarvele tutte?)”…
Amen!
Ad ogni modo, anche qui come in quasi tutto quello che JW tocca, la musica fa da collante narrativo, come in un balletto classico amalgama tutto e lo rende credibile e coerente. A differenza dello “spalming” carta da parati dello scoring di oggidì, è una vera e propria spina dorsale del racconto, al netto del fatto (non secondario) di essere Musica spessa così dal punto di vista strettamente tecnico-orchestrale-tematico-contrappuntistico… Semplicemente IL genio!..
…e, come per l’ultima trilogia di SW, l’unico vero motivo di esistere dell’Innominato 4° e imminente 5°… Go Johnny Go!
Giusto per concludere e ricordare quanto sia cattivo il mondo. Quando vidi al cinema il terzo film usci felice e pieno di ottimismo, pensando che saremmo andati avanti cosi per decenni, con uscite regolari di film di Indiana Jones per tutta la vita.
E invece…
Riporto il contributo dell’esimio amico e collega Massimo Benvegnù sulla scena della pistola vs. scimitarra:
“In un articolo dell’ottobre 1981 apparso su un quotidiano culturale ora ahimé scomparso che si chiamava “La Repubblica”, il buon Beniamino Placido fece una bella esegesi dei Predatori, infilandoci un parallelo tra la scena del mercato e il capitolo XXXIX de Un americano alla corte di Ré Artú (1889) di Mark Twain, dove il feroce saladino Sagramor traccia “una curva lampeggiante nell’aria” con la sua spada, e lo yankee Hank Morgan lo fredda con una revolverata, per spiegare la meravigliosa commistione di alto, basso, cultura e citazionismo del lavoro di Spielberg.” https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/05/03/attenti-al-caso-anche-indiana-ha-vinto.html
c’è anche un quarto indiana jones.. che è perfetto.
No..non è il film che pensate.
Era il videogioco: Fate of Atlantis.
Era perfetto, anzi, sarebbe stato un perfetto quarto film.
Tutta colpa di Ford che non l’ha mai voluto girare
Vorrei dire a Xena Rowlands che se dieci anni fa l’avessi sentita parlare delle Avventure del giovane Indiana Jones le avrei probabilmente chiesto di sposarmi. Così, di brutto.
Volevo solo dire a Xena che qualche anno fa, diciamo una decina, sono riuscito a recuperare “Le avventure del giovane Indiana Jones”, credo che abbiamo più o meno la stessa età e di conseguenza abbiamo più o meno mitizzato quel telefilm allo stesso modo. La prova del tempo per me la regge al 100% (capirai, con un milione di dollari a puntata..!) anche se i limiti della serie stavano tutti nella struttura schizofrenica vecchio-bambino-giovane. A ogni modo, ne conservo ancora una copia, naturalmente perseguibile dalla legge. Per chi fosse interessato…
Da dove cominciare…
L’ho rivisto proprio il giorno del 40esimo anniversario ed è sempre una meraviglia: il più bello di tutti.Praticamente il film perfetto.Ho rispolverato il mio cofanetto blu ray e settato il film sul doppiaggio originale ed è ricominciata la meraviglia.Ancora una volta.Per l’ennesima volta.Non è affatto un film innocuo o per tutte le età: a Spielberg l’horror piace ,ce lo ha detto con Lo Squalo,con Poltergesist ,Con Il tempio Maledetto ,Jurassic Park e successivo sequel etc etc…
Ne i Predatori iniziamo con Molina trafitto da diversi pali appuntiti e gli occhi trabuzzanti e finiamo con i nazi che si sciolgono e/o esplodono.
Ma io l’ho visto come un segno di maturità: questo non è un gioco per bambini.Qua si muore violentemente.si fa vedere la morte.E’ un film per adulti.Ne sono sempre convinto anche se lo guardavo da ragazzino.
L’altro aspetto che mi ha colpito è la delicatezza e il rispetto di Spielberg verso l’elemento religioso : l’arca dell’alleanza era materiale delicato da trattare e lui ha l’accortezza di rendere “presente” Dio ogni volta che viene citato con una frase,un soffio di vento,il simbolo nazista che autocombustiona,E siccome, lui ebreo,non può pronunciare il nome di Dio allora con saggezza decise di non fare “vedere” Dio ai protagonisti : nella scena finale : umiltà e saggezza.
La cosa ritornerà in maniera piuttosto simile nel terzo film dove si punta ancora più in alto con il Graal (“hai scelto saggiamente”).
Il Terzo film che è quello a cui sono più affezionato perché uscì nella mia adolescenza (quell’anno era in gara col Batman di Tim Burton) ma il primo è storia del cinema.
Oltre ai film io e Indy ci siamo frequentati con libri (ho trovato la novellizzzazione del primo in una bancarella di libri usati e il terzo l’ho preso 1 settimana fa su Amazon a 5 euro) ,videogiochi : Fate of Atlantis sarebbe dovuto essere il quarto film invece di…va beh lasciamo stare …(e io che l’ho visto il primo giorno di programmazione in anteprima a mezzanotte) ma anche la tomba dell’imperatore è bello.
Come avete detto voi : ne I Predatori c’è già tutto.ed è perfetto.E sono rimasto sorpreso dal leggere alcune recensioni dell’epoca che lo bocciavano.
Aspetto retrospettiva degli altri due.
C’è sempre voglia di Indiana jones. Anche dopo 40 anni.
Io penso che il grande pregio dei film di Indiana Jones (e dei film di Spielberg quando faceva i filmoni blockbuster) e’ che sono ormai dei classici. Quando li vedo non ho un pesantissimo retrogusto di anni ottanta che mi capita di avere quando vedo un film tipo Die Hard.
Sia dal punto di vista estetico che di trama i film di Indiana Jones sono godibilissimi anche adesso. Indy non e’ un supereroe, sbaglia, si caccia nei guai, non e’ un irresistible playboy, ha un padre che e’ una macchietta ma con cui non ha mai avuto un rapporto sereno. Le controparti femminili non sono delle povere idiote senza carisma o delle petulanti scienziate che lasceresti crepare sulla Terra (Nolan, sto parlando con te).
La diatriba sulla cancel culture la chiuderei qui, se un film e’ un classico lo vedi oggi come lo vedevi ieri, senza abbassare gli occhi per l’imbarazzo e il trash, cosa che infatti accade per Indiana Jones.
Questo commento riguarda i primi tre film, il quarto non esiste, il quinto persino spielbergi si e’ rifiutato, pensa come stiamo messi.
Stavo per ribattere ma in effetti Willie del secondo film non è una scienziata…
Be ma ha senso che sia stupida in quel contesto: e’ una cantante di night che si e’ ritrovata a calvacare elefanti e mangiare cervelli di scimmia! Piu’ che damsel in distress e’ il diversivo comico, insomma quella che grida Bucio de culo!
Il mio film preferito ad bambino, forse anche adesso. Qualche anno fa stavo con una ragazza un po’ più giovincella e glielo feci vedere. Mi disse la cosa più bella che mi abbiano mai detto in vita mia: “ma tu sei Indy! Ti rendi conto che tu ti comporti esattamente così?”.
Ovviamente era un commento di parte ma mi piace pensare che essendo Indy “il mio ero prima ancora che avessi consapevolezza di cos’era un eroe” (parafrasando il Capo), sia stato il mio role model inconscio per tutta la vita.
Credo anche che la magia di questi film derivi dal fatto che le storie siano basate sulle religioni, su culti in cui tuttora credono miliardi di persone (tra cui modestamente il sottoscritto) e che hanno plasmato la nostra storia. E che Indy affronti il tema nel modo giusto, da razionalista moderno e non da ottuso scientista. Ci sono il Male ed il Bene in Indy, con la maiuscola ed il loro mistero, che da sempre accompagna l’umanità. Ed Indy è buono e a lui è anche concesso di cercare fortuna e gloria. E mi cade una lacrima mentre lo scrivo.
Infine, la mia scena preferita. I nazisti hanno abbordato la nave, preso l’arca e Marion, Indy non si trova. “Continuate a cercarlo”, dice il capitano. “L’ho trovato!”, è sopra il sottomarino tedesco, boato, musica di John Williams, altra lacrima. E cacchio, l’ho rivisto meno di un mese fa!