A Jung Byung-gil gli è proprio scappata la frizione. E prima di far partire dal fondo della sala il gran coro di “Sticazzi della frizione di Jung Byung-gil, non so neanche chi sia”, ecco pronto il link alla rece di The Villainess, action certamente derivativo ma talmente stiloso da meritarsi una proiezione al Festival di Cannes e anche un po’ del nostro affetto. Jung ha il curriculum di uno con cui dovrebbe essere divertente bersi un metro e mezzo di grappini: si è diplomato a una scuola per stuntmen, poi ha studiato le teorie e le tecniche del cinema (di menare e non) e infine ha debuttato alla regia con un documentario sulle controfigure, sul set del quale deve aver sedotto abbastanza Evel Knievel da riuscire a mettere in piedi la squadra di matti (davanti e dietro la macchina da presa) necessaria a realizzare The Villainess. A Jung Byung-gil gli è scappata la frizione non solo perché è entrato nel business degli NFT, ma anche perché ha deciso di girare Carter, un film action che è un finto pianosequenza lungo DUE ORE E QUATTORDICI MINUTI. Oh. Se prendiamo tutti i pianosequenza d’azione analizzati nell’indomabile rubrica Arca Rissa e ci mettiamo insieme l’ora e mezza di Arca Russa (aggiungendogli delle parolacce con qualche software deepfake), secondo me non ci arriviamo mica a CENTROTRENTAQUATTRO minuti di inquadratura unica (seppur tenuta insieme con i trucchetti). Carter è un film che alla prima sequenza esalta, alla seconda fomenta, con la terza cominci a chiederti se davvero ce la fa ad arrivare fino alla fine così, alla quarta ti guardi intorno per chiedere conferma al notaio visto che cominci a sentirti un po’ cagacazzi, alla quinta ti viene il dubbio su cosa cacchio possa inventarsi ancora Jung e alla sesta, quando siamo già attorno alla metà del film, ti sorge spontanea la domanda: è possibile che il divertimento a un certo punto possa diventare davvero troppo? La risposta dopo la: sigla!
Certo che il divertimento a un certo punto può diventare troppo. Lo so che non vi siete mai drogati perché siete bravə ragazzə, ma cercate di non essere dei Gasparri. Se vi fumate un torcione fatto bene in compagnia vi divertite, giusto? Giusto. Se dopo la canna proseguite con un mischiotto di crack, MD e ketamina, grazie al cazzo che avete bisogno di una lavanda gastrica (se va bene). Ecco, Carter è esattamente quella roba qui. Il troppo che a un certo punto stroppia spettacolarmente, con gente che sbocca a estintore e altri che cominciano a delirare di complottismi mai sentiti prima. Quindi siete arrivati alla sesta sequenza del film e vi siete dati una risposta a quella domanda fondamentale di cui sopra. Procedete. Alla settima cominciate a sentirvi esausti. All’ottava estenuati. Alla nona smettete di contare, e quando arrivano le successive scatta quella mitologica risposta psicofisica che i runner giurano esistere: corri per più di troppi chilometri, arrivi vicino al collasso, oltrepassi quelle colonne d’Ercole e vedi che il corpo inizierà a rilasciarti endorfine. Sentirai che goduria. Che poi io ho sempre pensato che fossero semplicemente i prodromi di un infarto, ma i corridori dicono che no: è proprio goduria. E per lo stesso principio, a un certo punto Carter fa il giro e diventa esilarante. Una divertenza un po’ parossistica, se lo chiedete a me. Però è indubbio che quando nel pre-finale Jung è costretto a tirare fuori un inseguimento treno-elicotteri-jeep-motorette – per mancanza di alternative, avendo esaurito tutte le altre possibilità e tutti gli altri mezzi di trasporto – non ce la fai a non ridere con un po’ di lacrime agli occhi. Che, così a naso, non credo fosse l’effetto sperato.
Anche perché Carter è uno di quegli action turbo muscolari dallo spirito vecchia scuola, senza nemmeno un fiato del birignao di battutine Marvel, ma anche privo di one-liner compiaciute e piacione. In Carter non c’è atmosfera e c’è il minimo sviluppo dei personaggi; in pratica c’è spazio quasi solo per l’azione e per un po’ di storia piazzata qua e là per mezzo di dialoghi basici (possibilmente asciutti) e di trucchi del mestiere. Per dire. L’eponimo protagonista del film viene svegliato in una stanza di motel, vestito solo di perizoma, da un team della CIA arrivato per fare brutto. Carter, però, non si ricorda assolutamente niente; e con questa amnesia dovrà pur centrare qualcosa la cicatrice a forma di croce che ha alla base della nuca. A Carter è stato anche impiantato un auricolare, tramite il quale può conversare con un’ufficiale dell’esercito nordcoreano che, tra un’ammazzatina e l’altra, gli spiega in corso d’opera la situazione (e con lui anche a noi). C’è un virus creato dall’uomo che è stato sguinzagliato nella Corea del Nord e trasforma la gente in zombie pelati super forti e autodidatti nell’uso delle armi; c’è uno scienziato che, tramite gli anticorpi scovati nel sangue della figlioletta, è riuscito a sintetizzare un vaccino; c’è un triangolo di (pre)potenze – CIA, nordcoreani e sudcoreani – che vuole mettere le mani sul virologo per poter risolvere la situazione secondo i propri termini e a proprio vantaggio; c’è, in mezzo a tutto questo bailamme, l’invincibile super agente Carter che, a detta della voce nel suo auricolare, si è proposto volontario per questa missione suicida e amnesica allo scopo di salvare il professore e la bambina, sia per scongiurare la fine del mondo, ma anche per dare una speranza a sua figlia, infettata dal virus e tenuta prigioniera in Corea del Nord.
Intendiamoci. Carter sarà anche una follia totale e una ridefinizione (verso il basso) del concetto di cinema narrativo, un’esperienza faticosa e a tratti opinabile; ma è anche uno sfoggio di tecnica cinematografica da far venire la pelle d’oca. Uno dei più grandi esempi recenti – insieme ad Hardcore! dell’amico Ilya Naishuller – di Sindrome da Guardamammasenzamani. Non c’è mai una scena che si ripete, uno stunt la cui idea venga riciclata per la sequenza successiva; e, tolto l’uso a sfregio di droni e l’accelerazione a scatti delle immagini per lasciare il minor respiro possibile allo spettatore, sono davvero rari i momenti in cui ti viene da dire “Meh”. L’unica vera pecca tecnica del film è l’abuso (fisiologico) di CGI, che diventa tara dal momento che si parla di computer grafica davvero scrausa. Sul serio, ci sono momenti in cui la CGI fa piangere cacca da tutti gli sfinteri. Non fa neanche pietà, non ti viene nemmeno da empatizzare con i poveri artisti degli effetti visivi perché magari hanno avuto pochi soldi e poco tempo per finire il lavoro; fa proprio schifo e ti fa calare un po’ la catena dell’entusiasmo. Sempre che di entusiasmo te ne sia rimasto abbastanza, dopo il tour de force semi-realistico per le strade e i palazzi di Seoul, il passaggio in aereo, la sparatoria in paracadute, gli sganassoni sul cassone di un vecchio pick up pieno di maiali fatti di computer grafica, i ponti tibetani, e via elencando. Bon, io ho sudato parecchio solo a ripensare al film per scriverne la rece. Non oso immaginare quanto tempo ci abbia messo il bravo protagonista – Joo Won, stellina del K-Drama promosso al cinema corretto con Carter – a ripigliarsi da quelle riprese lì. Per non parlare degli operatori. Vacca boia. Un applauso agli operatori. E un caro saluto al montatore di questo film, che deve aver fatto uno sgarbo neanche normale a Jung Byung-gil visto che quest’ultimo non solo gli ha tolto praticamente tutto il lavoro, ma si è pure “dimenticato” di inserirlo fra i credits di IMDb. Malandrino.
Ufficio stampa Netflix per il sociale quote
«Nessun montatore è stato maltrattato durante la produzione di questo film»
Toshiro Gifuni, i400calci.com
Comunque Joo Won è l’anagramma di Jon Woo.
Oliver Die Hardy – commentichetitiranoglischiaffidallemani.com
Commento breve:
È: “Hardcore (Henry)” con visuale in terza persona invece che in FPV. Consigliato a chi avrebbe voluto vedere il film di Ilya Naishuller ma ha evitato per problemi di: epilessia, pessima propriocezione o misokinesia (esiste).
Commento lungo:
Effettivamente è… too much.
Nel senso, 2 ORE e passa di sparatorie, schiaffi, inseguimenti, esplosioni ecc. (c’è tutto il repertorio action, compreso l’imprescindibile treno e gli elicotteri) sembrerebbero in teoria il nirvana dell’appassionato di film 400calcistici. Però NO.
No perché:
1. ok il sangue in CGI (uno standard ancor prima di “John Wick”), ma tutto il resto della CGI fa veramente cagare (i maiali, citati in recensione, ma anche il fuoco, ad esempio). Se ci si lascia trasportare dall’azione non ci si fa molto caso, ma appena te ne rendi conto, ti si avvelena il resto della visione e non torni più indietro;
2. non si può accusare un regista coreano di aver schiaffato troppo (e inutile) drama in un action – sarebbe come accusare un samoano di essere troppo grasso [semi cit.] – ma il drama in questo caso, ovvero l’identità di Carter non viene in alcun modo risolta. Per tutto il film, fino alla fine, vengono lanciati indizi contrastanti (da personaggi che compaiono e poi con le mani con i piedi con il culo ciao ciao) e poi boh, sti cazzi;
3. DUE ORE di un qualsiasi film devono essere giustificate da trame, sottotrame, complicazioni degli eventi ecc. Non dal fatto che si è scaricata la Free Trial 30 gg di Maya 3D e After Effects e la si vuole sfruttare fino al 29esimo giorno.
Comunque.. sentirsi ‘high’ dopo o durante un’intensa attività fisica come il running non è una leggenda urbana; succede, non sempre e non a tutti, ma è un fenomeno reale. Ciò che non si dice, tuttavia, è che per i successivi due giorni stai di merda, con pensieri suicidi e pessimismo cosmico.
Troppo troppo troppo.Anche se alla fin fine mi ha divertto.
1h20 in piano sequenza da brividi è PVC-1
Sono in calo di entusiasmo…stasera me lo guardo!!!😁
Mi hai incuriosito sull’ euforia del corridore e mi sono letto l’ articolo nel link. Mio padre è morto di una cosa molto dolorosa, e ad un certo punto ha iniziato ad avere le allucinazioni. Salutava tutti quelli che gli apparivano e si lamentava meno. Secondo me è la stessa cosa che prova il corridore. È vicino alla morte, ma non lo sa e quel cannabinolo autoprodotto lo sballa bene. Che a ben pensarci è come il finale de “La lunga marcia” di King. Una volta su medicitalia, il sito in cui trovare i peggiori ipocobdriaci e i medici che li usano come cavie per terapie online, un tizio si lamentava del battito accelerato per ore dopo una lunga corsa. Il medico gli ha spiegato che se Dio ci avesse fatti per correre a lungo, ci avrebbe fatti quadrupedi. La conversazione si è chiusa lì, e mi sono sempre chiesto se l’ ipocondriaco sia poi diventato un ippocondriaco che nitriva durante le galoppate. Io ho provato una cosa simile all’ “euforia del corridore”, grazie alle pattine sotto i piedi e a mia nonna che dava la cera sui pavimenti. Era “euforia del corridoio”, e spero che anche voi l’ abbiate provata. Comunque si vede che la cgi fa cagare anche dall’ immagine di lui che cerca di salire sul treno. Che allora uno si chiede perchè fare lo sforzo di un finto piano sequenza da grande regista che vuole vincere un premio, se poi ti affidi a gente con Windows95 per gli effetti digitali. Dev’ essere l’ “euforia del regista”: mentre stai girando piani sequenza, tutto il resto ti sembra più bello.
P.s: il Boss non ci ha mai parlato dell’ “euforia del danzatore di giga”. So che esiste! Deve esistere!
Sì sbraca e gli mancano i soldi, ma regala delle sequenze action incredibili
Punta in alto e si schianta, ma che bel botto che fa
Come ti cambia la vita in 2 ore e 15, all’inizio ero gasato, mi piaceva e mi veniva da applaudirlo, nell’ultima mezz’ora al contrario pensavo ” bastaaa, ma siediti un attimo e gustati una tazza di tè, si hai capito bene, desidero guardarti mentre ti rilassi, leggiti un libro, ti guarderò mentre sfogli le pagine ”, purtroppo non succede, questo genere di film è perfetto con durate da 80/90 minuti, poi stancano.
Mi accodo a chi dice troppo lungo. Comunque assolutamente godibile.
Vince su Hardcore Henry perché la visuale in terza persona è più meglio.
Speravo non finisse mai…CGI brutta ma chi se ne frega, i film in costante movimento mi stragasano, HCHenry l’ho amato, anche quello horror della tipa Youtuber pesissima, anche la tutta una corsa, una bomba…
Qualcuno sa dire a che titolo si riferisce?
Ps direi che questo pezzo mi fa pensare proprio allo stile del recensore: qua do ha esordito Toshiro mi (ma non sono l’unico) ha fatto esclamare: “è dunque possibile averne troppo di tutto questo?” Troppe battute, trovate, invenzioni, caembour, cazzate e citazioni? Toshiro ci ha dimostrato che sì, ma anche che il talento puro, quando e se finalmente lo si imbriglia, non tradisce. Per me la dimostrazione è stata la rece di Dashcam. All’epoca me la sono persa e non ho commentato, ma la trovo una delle migliori del sito