I film tratti da Stephen King sono ormai come i laureati: ce ne sono talmente tanti che esserlo ha perso tutto il suo valore. Non è più un motivo di vanto, non ti distingue dalla massa, non ti rende un evento. A meno che, ovviamente, il film in questione non sia tratto dai lavori GROSSI di King.
The Boogeyman non lo è: è basato su un racconto del 1973, Il babau, contenuto nella raccolta A volte ritornano. Il 1973! Cinquant’anni ci sono voluti per portare sullo schermo il racconto, se escludiamo un corto del 1982. Cinquant’anni durante i quali Stephen King è diventato sinonimo di horror d’autore e non se ne è mai più andato dal nostro immaginario. Al punto che, ancora oggi, i produttori fanno a gara per adattare le sue opere, andando persino a ravanare nello sgabuzzino (pun intended) alla ricerca di qualche gemma ancora non sfruttata.
Adattare sul grande schermo The Boogeyman ha senso, perché ti permette di giocare con il buio e gli spiragli di luce per costruire dei signori jump scare. D’altro canto, fa un po’ ridere che ci sia voluto il nome di Stephen King per vendere un film sul Babau come se fosse chissà che grande idea originale dal genio dell’horror. Sigla!
Del racconto originale, il film di Rob Savage – autore di quella bombetta inaspettata che è Host e di Dashcam, che non ho visto – prende solo la premessa e in parte il finale. O meglio: la sceneggiatura di Scott Beck e Bryan Woods (gli stessi di A Quiet Place e 65) con Mark Heyman (Il cigno nero) usa il racconto come fosse un prologo, da cui si dipana il resto della vicenda.
E la premessa è: un individuo disturbato (l’individuo disturbato per eccellenza David Dastmalchian) va dallo strizzacervelli Will Harper (Chris Messina) per confessargli di non essere realmente colpevole della sospetta morte di tutti i suoi figli: ha stato il Boogeyman, un’entità che si muove nel buio, viene fuori dai fottuti armadi a muro e ammazza i bambini a uso ridere. Will non gli crede, chiama la polizia just in case, ma nel frattempo l’individuo disturbato muore apparentemente suicida nello sgabuzzino. Solo che ha stato davvero il Boogeyman, che ora si è attaccato alla famiglia di Will, perché il Boogeyman si attacca alle famiglie che soffrono e Will e le sue due figlie hanno recentemente perso mamma. Riusciranno i nostri eroi a sconfiggere l’entità mala ritrovando, allo stesso tempo, l’unità famigliare perduta?
Non c’è niente di particolarmente innovativo in The Boogeyman, ma d’altro canto abbiamo la conferma che, anche con a disposizione del materiale tutto sommato banalotto, Rob Savage sa costruire delle sequenze di spavento ben congegnate. Non siamo al livello dell’inventiva di Host, un film realizzato durante il Covid in cui, da remoto, Savage aveva spiegato agli attori come creare gli effetti speciali in casa e aveva lasciato loro la libertà di improvvisare su un canovaccio generico, immettendo istruzioni al volo nella chat di Zoom. Qui ci muoviamo nei terreni già battuti del più classico horror sul nucleo famigliare, girato quasi tutto tra quattro mura. C’è la famiglia scossa che deve rimparare a funzionare, la maledizione ereditaria e il precedente su cui indagare, l’adolescente che se la deve cavare da sola per proteggere padre e sorella (Sophie Thatcher, vista in Prospect e The Book of Boba Fett), la creatura che ama il buio e odia la luce.
E poi ci sono gli svarioni di sceneggiatura tipici dei prodotti di largo consumo realizzati un po’ alla buona: in più di una sequenza, i personaggi fanno cose molto stupide perché sono belle da vedere, si ficcano costantemente in luoghi bui pur sapendo che potrebbero morire male, tipo nel finale, che è tutto un “Ehi, affrontiamo il cazzo di Babau senza mai accendere le luci in casa, cosa potrà andare storto?”. Però poi singolarmente le sequenze funzionano e ci sono dei piccoli pezzi di bravura – ad esempio la scena in cui la sorella minore Sawyer (Vivien Lyra Blair, alias la principessa Leila di Obi-Wan Kenobi) illumina la stanza usando i videogiochi – degni di nota. E, crepi l’avarizia, funziona pure il cast, su tutti Thatcher e Blair, capaci di evitare lo stereotipo dell’adolescente incazzata e della bambina orribile. Mi è venuto in mente La casa – Il risveglio del male, dove i rapporti famigliari avrebbero dovuto essere la forza del film e invece ne erano il punto debole: qui ci credi che questi tre poveracci si vogliano bene ma siano semplicemente troppo incasinati per dimostrarlo, fino a che non serve davvero.
The Boogeyman non sarà questa roba pazzesca, ma fa il suo dovere, rispetta la visione di Stephen King – il Babau è sì una metafora del trauma, ma anche un Male molto reale che proviene da una dimensione parallela – e porta a casa il risultato in maniera dignitosa. Sarebbe lecito pretendere qualcosa di più da Rob Savage? Forse sì. Però a volte bisogna sapersi accontentare.
DVD quote:
“Bisogna sapersi accontentare.”
George Rohmer, i400Calci.com
La raccolta A volte ritornano è uno dei capolavori assoluti del Re ma i suoi racconti sono difficilmente filmabili, si insinuano tra pieghe della mente inaccessibili per un altro mezzo di diffusione come la telecamera (al posto della penna). Io adoro letteralmente il racconto omonimo, ma come fai a portarlo sullo schermo senza banalizzare la storia di un tizio che ritrova tra i suoi studenti quelli che vent’anni prima avevano ucciso il fratellino? E magari belle le ambientazioni da “Renè sento gli anni ‘80”, belle magari le scene singole dell’evocazione e della morte della moglie ma poi il film quello è. Sospetto sia lo stesso per questo, al netto della rielaborazione citata.
Porca troia cosa mi hai tirato fuori: il racconto che dava il titolo al libro. Io avevo un’ edizione con un camion e una donna spappolata sul davanti, quindi quando penso a quel libro penso subito a “Camion”, che era uno forse dei racconti più deboli della raccolta, ma tra i più filmabili sicuramente. Grazie al tuo commento ho riscoperto quel “A volte ritornano”. Pollice alto.
Che poi se penso a un ipotetico cast anni ‘80 mi viene in mente Ragazzi perduti…
Perdonami, ma che King sia difficilmente filmabile mi pare un’affermazione discutibile, anche solo per il fatto che fra poco non rimarrà un suo libro che non sia stato trasformato in film.
rispondevo a Norton
Fra poco non rimarrà un suo libro che non sia stato trasformato in un PESSIMO film. Unica eccezione Shining: più un film di Kubrick che una trasposizione del testo originale.
Le versioni televisive di Salem’s Lot e The Stand sono roba a sè stante e meritano un approfondimento a parte.
Si può filmare tutto, la qualità però è un’altra cosa e mi pareva di aver esposto bene il mio punto di vista.
Sì, dice Shawshank Redemption sia brutto.
L’avevo dimenticato insieme a chissà cos’altro.
Tipo: Carrie, La Zona Morta, Il MIglio Verde…
Ce ne sono così di film tra il bello e il decente tratti da King, non stiamo a fare l’elenco.
Stand by me non è bello o decente, è un fottuto capolavoro. Ma è tristemente vero che la lista è piena di mezze ciofeche, i validi sono minoranza, e spesso stravolgendo il testo originale, visto che il nostro a volte sbraga sui finali. Però avercene così.
Hai ragione su Stand by me.
Mi sembra di ricordare che il racconto avesse un ottimo incipit. Qualcosa del tipo “Che cosa ho fatto, ho semplicemente ucciso i miei figli”.
Mi meraviglio che non ne avessero ancora fatto un film, ma il racconto è davvero breve. Scritto bene ma piuttosto scontato. Un Baubau che esce dall’armadio e terrorizza i bambini non è uno degli spunti più originali del re.
Posso suppore che abbiano utilizzato il racconto di King come spunto iniziale per vendere meglio il film e per poter utilizzare il suo nome nelle locandine?
In generale preferisco il King dei racconti a quello dei romanzi.
Consiglio fortemente se vi è piaciuta la Thatcher la serie Yellowjackets che sapientemente mischia seicento sottogeneri horror (survival, folk, slasher soprattutto) a un sentore anni 90 fichissimo con tanto di Juliette Lewis, Christina Ricci e Melanie Lynskey. Comunque film godibilissimo, ha stato Rob Savage.
Non male Yellowjackets, soprattutto la sigla iniziale.
Di Yellowjackets stavo per scrivere io. Dei figli di Lost quella che, insieme a From, si salva.
FROM si salva, ma via via sempre meno…
Aspetto finisca la 2a stagione,visto lo sciopero degli sceneggiatori
Devo ancora vederlo.
Se si parla di racconti brevi, la mia trasposizione kinghiana preferita ad oggi è “Night Flier” del ’97.
Il compianto Miguel Ferrer in quel film è clamoroso
Se non lo avete ancora visto ve tocca addaguardare assolutamente Dashcam
https://www.i400calci.com/2022/06/chi-vuole-vedere-morire-la-stronza-la-recensione-di-dashcam/
Si lo sapevo , assieme a qualche film indiano è ,forse,l’unico film che abbia visto dopo la recensione.
Grandissima raccolta di racconti. Il mio primo libro di King, a 12 anni. Se non ricordo male il Babau nel racconto era un essere maleodorante che lasciava chiazze d’ acqua e impronte. Il mio preferito ai tempi era “Campo di battaglia”, con un killer alle prese con dei soldatini tipo Lego armati come un esercito e con un finale lollissimo che mi fece cappottare. C’era del gran fuorismo nel giovine King. Inutile dire che solo per l’ intro di questo Boogeyman me l’ hai venduto.
Quoto Norton, lassù in cima (prima o poi capirò come si fa). Il racconto è stupendo – tutta la raccolta è un capolavoro – ma difficilmente filmabile… Lo ricordo come una storia di tensione, in cui un po’ empatizzi con il protagonista nonostante le sue brutture (come per il Jack Torrance di Shining) e per tutto il tempo ti chiedi se sia un assassino, un pazzo o solo un padre affetto da sensi di colpa…
> Quoto Norton, lassù in cima (prima o poi capirò come si fa)
Non ho capito cos’avevi intenzione di fare di preciso. Se è quello che ho appena fatto io adesso, è un banale copiaincolla. Sbizzarrisciti pure.
No, è il rispondi direttamente sotto il commento: a volte mi funziona, a volte no (a ‘sto giro ammetto che ho messo le mani avanti e per pigrizia non ci ho neanche provato…)
Visto solo oggi. Bello, vorrei fare un appunto alla recensione: “tipo nel finale, che è tutto un “Ehi, affrontiamo il cazzo di Babau senza mai accendere le luci in casa, cosa potrà andare storto?””
Se il mostro si manifesta solo col buio, come potevano affrontarlo alla luce? Alla luce avrebbero solo rimandato il confronto. Credo sia una metafora dell'”uccidere” le proprie paure, lo puoi fare solo affrontandole e superandole, non rimandando “lo scontro”, perchè così non le superi, le eviti, il che non serve a niente (come non sarebbe servito a niente accendere le luci).