Rob Savage è uno di noi anche se non è uno di noi. Non è uno di noi poiché, evidentemente, nessuno di noi può sfoggiare all’anagrafe il ragguardevole nome ROB SAVAGE. Ma sotto sotto, in realtà, è uno di noi. Uno gnaro, un toso, un guaglione, un picciotto, un butel, un bardasciu. Un cinno, un carusu, un fiol, un contraru. In qualunque modo vogliate chiamarlo, Rob Savage secondo me vi risponderebbe e direbbe sì per quel treno di birre che gli avete proposto. Rob Savage innanzitutto è inglese, e ciò aiuta abbastanza per le birre di cui sopra. Egli è inglese e si appresta a compiere i suoi primi 30 anni. Il bastardo.
Rob Savage ha passato tutti i suoi vent’anni in dirittura d’arrivo a riempire la propria pagina IMDb con credits di cortometraggi, episodi di serie tv da battaglia in trincea (Bite Size Horror, True Horror, Fear Haus) e un paio di film autarchici a costo fondamentalmente zero. Il secondo di questi film fatti con gli spicci si chiama Host, e l’abbiamo recensito tramite la nobile penna dello Stanlio perché è davvero simpatico: dura 56 minuti (CINQUANTASEI, iddio ti abbia in gloria Rob Savage) ed è un discreto horrorino di spiriti demoniaci fatto su e con Zoom durante l’apice della pandemia VentiVenti. Savage quel filmetto qui l’aveva fatto con 35mila dollari, ricavandone mezzo milione di schei del cinema. E sapete chi apprezza molto questa cosa di metterci pochissimi soldi e guadagnarne, relativamente alla spesa, una marea e mezzo? Tutti. Tutti apprezzano molto questa cosa di metterci pochissimi soldi e guadagnarne una badilata, ma Jason Blum la apprezza decisamente più degli altri. E allora si è incontrato con Rob e gli ha detto: sai cosa succede adesso, Rob? Succede una cosa fantastica. Succede che io, Jason Blum, il produttore che in carriera ha guadagnato 2 fantastiliardi di dollari investendo quattro tappi di birra, sei elastici e due stecche di Nazionali senza filtro, ho deciso di credere nel tuo talento (nel fare film con la moneta del carrello del supermercato che mi fanno guadagnare il 7000%) . Io medesimo, Jason Blum, ho deliberato come segue garantendoti ben il TRIPLO del budget di Host per fare il tuo prossimo film. Ostia, risponde Savage, com’è umano lei signor Blum! La ringrazio, le lascio qui il cesto di salamelecchi e mi metto subito al lavoro. Solo che, poi, qualcuno di particolarmente in gamba con la matematica ha fatto notare a Rob che il triplo di 35mila dollari sono più o meno 100mila dollari; e 100mila dollari bastano giusto appena a girare un altro computer screen film. Daje Rob, consolati con la sigla!
Annie Hardy è una musicista americana non troppo conosciuta che, tra le altre cose, si trasmetteva in diretta su YouTube mentre girava in macchina improvvisando canzoni ispirate a quello che vedeva o ai commenti di chi la stava seguendo in quel momento. In Dashcam, Annie Hardy interpreta una versione estremizzata di se stessa. Ovvero una musicista americana non troppo conosciuta che, impazzita del tutto durante la quarantena, va a zonzo in macchina e trasmette in diretta streaming le sue intemerate – i classici attacchi di bile dell’alt-right statunitense a tema dittatura dei vaccini, stupidità dei pecoroni che portano la mascherina, la truffa del Covid, i media liberali, i pedofili in pizzeria, JFK massone, Elvis vivo, Paul McCartney morto e Pippo Franco insomma – improvvisando canzoni ispirate a quello che vede o ai commenti di chi la sta seguendo. La prima cosa da dire su Annie, il personaggio, è che è una stronza. Non è questione ideologica e/o politica. Annie, il personaggio, è proprio una stronza. Ed è una cosa A) nettamente voluta da Rob Savage, che in un’intervista ha detto: «Annie è tipo la persona più rispettosa e adorabile del mondo nella vita vera, e noi volevamo fare un film su una persona stronza. Volevano fare un film in cui la protagonista fosse la persona più pericolosa della nostra storia. Una che se solo si fosse comportata in maniera ragionevole, il film sarebbe finito dopo cinque minuti e tutti sarebbero sopravvissuti»; e B) realizzata alla perfezione da Annie, l’attrice, che si trasforma nell’essere più fastidioso sulla faccia della terra: un bianco che rappa un’egoista facciadicazzo culodicane che non vede al di là del proprio ombelico. E matta. Ma mica matta simpatica, di quelle che ti tirano la pezza per strada e la concludono con una raffica di bestemmie random urlate a squarciagola; bensì matta subdola e pericolosa, che cerca di imporre con violenza verbale (ma anche fisica se può) la propria verità, scollata dalla realtà oggettiva. Praticamente Tom Cruise.
Annie, il personaggio, si è talmente sfavata di stare negli illiberali Stati Uniti d’America da attraversare l’Atlantico e tornare a Londra, dove un tempo furoreggiava come musicista e dove oggi abita ancora Stretch, ex compagno di band. Stretch ha preso la pandemia meglio della sua ex frontwoman: vive con la compagna Gemma, si è vaccinato e fa serenamente il rider alla faccia del passato da rockstar. Annie odia tutta questa borghesia liberale di stocazzo – fanculo alla gente che si fa il bidet e legge ancora sui libri fatti CON LA CARTA – eterodiretta dalle multinazionali farmaceutiche e indottrinata dai media comandati nell’ombra da tusaichi, occhiolino occhiolino (nasone nasone). Lei è una persona libera, nessuno le dice quello che deve fare, andate a ramengo voi e le vostre regole per affrontare la pandemia. Annie viene cacciata in tempo zero da casa di Stretch, dove si era presentata non annunciata nel cuore della notte; e per festeggiare il risultato, ruba la macchina dell’amico e va in zingarata nelle peggiori periferie di Londra. Il tutto sempre trasmettendo in diretta dalla sua dashcam. Finisce che Annie viene pagata da una strana ristoratrice scozzese per portare al tal indirizzo una vecchina, Angela, che non spiccica parola e porta sempre la mascherina. Qui è dove inizia l’horror, quello letterale, e dove finiscono le diottrie, per via della qualità delle immagini. Ci sono gli spaventini – praticamente gli stessi di Host, d’altronde la pre-produzione di Dashcam è iniziata due settimane dopo l’uscita del film precedente – c’è qualche arto mozzato, qualche accenno (di sfuggita) al demonio, il ritorno del tenero Stretch come perfetto agnello sacrificale, inseguimenti nei boschi, automobili nel lago, svariate gole tagliate e i titoli di coda che non ti aspetti. Ne parliamo appena sotto, così evitiamo di far inalberare la spoiler gang.
Allora. Innanzitutto complimenti a Gemma Hurley, Rob Savage e Jed Shepherd, che hanno sceneggiato il film e mi immagino abbiano passato gran parte delle serate nell’ultimo anno a bere gin del discount e a scrivere TUTTI i commenti dei follower che affollano l’angolo in basso a sinistra dello schermo per due terzi di film. Altri complimenti, inoltre, per aver scovato Annie Hardy e per averle messo in mano il ruolo di Annie Hardy; che io davvero non so come sia nella vita vera, Annie Hardy, ma in questo film si è digievoluta in maniera inquietante e super realistica nella versione più sgradevole e spiacevole possibile di un essere umano immerso nello squanfido zeitgeist attuale. Tanto che mi sono chiesto una cosa. E se fosse che questo film ti mette, con gioia sadica, davanti a quella scelta qui: la tua protagonista è, per tanti versi, la persona possibilmente più fastidiosa, odiosa, egoista, caotica malvagia, intellettualmente violenta e disonesta dell’emisfero occidentale; tu, che la riconosci come tale perché viene presentata senza ambiguità in quel modo, godi nel vederla soffrire esattamente come godrebbe lei nel vedere soffrire te, normocittadino che non ha in agenda nessun complotto e nessuna paranoia, e che tendenzialmente apprezza che tutti abbiano gli stessi diritti e le stesse possibilità? Oppure sei in grado di galleggiare al di sopra di quel disagio da curva per fare prevalere empatia e umanità e fare il tifo acciocché ella esca indenne da siffatta ordalia? Io ci ho pensato a queste cose durante il film. Sarà che Dashcam è un horror denso – succedono duecento milioni di cose nel giro di 70 minuti – ma anche piuttosto prevedibile; sarà che punta più sullo stile (e sulla caratterizzazione di un personaggio) che sulla sostanza (tanto da fregarsene abbastanza bellamente di approfondire il quid soprannaturale di Angela). Fatto sta che, paradossalmente, è un film che ti dà il tempo di vagare, di approfondire il tuo fastidio per Annie, ma anche la tua ammirazione per la creatività di alcune volgarità da lei coniate. La cosa più incredibile di Dashcam, comunque, rimangono i titoli di coda. Li canta Annie, il personaggio e l’attrice, improvvisando un insulto razziale e/o sessuale per quasi ogni membro della troupe. Adorabile e terrificante allo stesso tempo.
Computer screen film quote:
«Annie, il musical, ma in versione Hardy»
Toshiro Gifuni, i400calci.com
Si però le scene finali sono molto più fastidiose di lei in quanto a furbata da quattro spicci (IMHO)… detto questo in effetti se non fosse per la sua bravura il film sarebbe collassato su se stesso molto prima dei primi 5 minuti. Comunque si è curioso.
A me i found footage mi son sempre piaciuti, e questo mi pare figo. Venduto
Beato te…io avevo giurato a me stesso che non ne avrei visto mai più e invece eccomi qua.Devo dire che è comunque abbastanza efficace per almeno l’80% delle risprese…le restanti sono quello che ci si aspetta da un found fotage.
È molto figo
Chiaro non tutti funzionano, però in generale, e ci butto dentro anche quei film girati tutti sullo smartphone o sullo schermo del pc, mi danno quella sensazione spiccia di realismo che, quando succede qualsiasi boiata, mi fa prendere strizza vera a differenza del 90% degli horror diciamo classici. Sarà che ormai i meccanismi del “vecchio” horror (chiedo perdono) iniziano ad essermi troppo familiari, o che, passando tutto il giorno sul pc x lavoro, mi immedesimo di più se il mostro manda un wetransfer con dentro la morte
Per la cronaca esiste un altro Dashcam , thriller psicologico ,niente affatto male.
Questo lo vedrò domani.
Stasera ho finito Wyrmwood Apocalypse , se vi è piaciuto il primo consiglio anche il secondo.
Ok, ma in Italia esce al cinema o in streaming diretto?
La cosa inquietante è che a leggere quanto scritto da Lucia Patrizi sul suo blog Il giorno degli zombie, la protagonista e l’attrice hanno molti, molti punti in comune, tanto da dire: “Annie non è interpretata da un’attrice, ma da Annie Hardy, che […] sta, di fatto, interpretando se stessa, o una versione un po’ estrema e sopra le righe di se stessa. Lo show in diretta Twitch, Band Car, che Annie conduce nel film, esiste davvero, con lo stesso titolo e le stesse modalità di esecuzione. […] Hardy è innanzitutto una cantante, non so se così di estrema destra come appare nel film, ma di certo molto spostata da quella parte. Sicuramente è una no-vax di quelle oltranziste” ( https://ilgiornodeglizombi.org/2022/06/17/dashcam/ )
Messa sotto questo punto di vista, tutta l’operazione assume un tocco molto inquietante!
Ciao Hector! Se lo chiedi a me, è abbastanza inquietante anche che sei andato a copiaincollare un paragrafo da un altro blog per dire una cosa che ha già detto pure Toshiro in questo pezzo…
Ammetto che leggendo il pezzo di Toshiro questo aspetto a me sembra accennato in maniera molto meno chiara, lasciando (a me eh!) l’immagine che l’unico punto di contatto tra attrice e personaggio sia essere cantanti in giro per gli USA. E per questo mi sembrava interessante aggiungere questi dettagli che per me (oh, per me) non sono ben chiari, citando una fonte esterna perché soncazzo io, non voglio fare quello che “la sà”. Se è vietato postare link esterni mi scuso, a me internet pare una cosa figa proprio per questa cosa di mettere link di altre siti, anche di quelli di cui non ho nessun interesse diretto. Se vi ho offesi e feriti nel profondo, me ne dolgo.
Ciao! No guarda, l’unica cosa che mi ha stranito è che da come hai scritto il precedente commento sembrava che avessi come minimo saltato il paragrafo in cui Toshiro spiega appunto come Annie interpreti una “versione estremizzata di se stessa”, e quindi per qualche motivo segnalato come nuovo qualcosa che in realtà era stato detto. Se non era nelle tue intenzioni nessun problema, e soprattutto nessun bisogno di diventare passivo-aggressivi: basta chiarirsi. Conosco e stimo già il blog di Lucia, mi ha fatto piacere leggere anche il suo parere.
Gnaro, toso, fiol e butel…ben 4 su 10 dal veneto, zacinto mia
Bello, mi e’ piaciuto un sacco! protagonista da 10
In questo genere sarei curioso di vedere anche “Spree”, storia di un influencer fallito che si mette ad ammazzare la gente pur di fare “likes” e “views”, interpretato da Joe Keery alias Steve di Stranger Things. Il punto è che non è presente su nessuna delle piattaforme streaming disponibili in Italia.
Piaciuto. Mi ha messo addosso più di qualche brivido.