Volevo scrivere poco e non spoilerare il film. Ho scritto tanto e ho spoilerato il film. Scusate.
Contando che un film che sfoggia nel cast i nomi di Aubrey Plaza e Jason Statham ha su di me un fascino innegabile, non vi nego che ho mollato Operation Fortune: Ruse de Guerre più o meno a metà. E questo perché, tipo, ho passato da un po’ i sedici anni. Un film sciapo, parola bruttissima ma perfetta per quel film, uno di quelli che mentre li vedi sbuffi annoiato e dentro di te pensi: “Madonna, poverino Guy Ritchie, oh. Che finaccia che ha fatto…”. Ho proprio provato un po’ di sconforto, quella sensazione tipo quando vedi uno della mia età a un concerto di e per i giovani. Avete presente? Da una parte dici, ok, guarda che figata, c’è un signore imbiancato che apprezza le cose dei giovani. Poi il signore in questione azzarda un passo di danza e tu, giustamente e subito, perdi il controllo: “No, no, vez, dai… lasciamo perdere che mi fai impressione, mi fai”. Ecco, Operation Fortune è così. Incontri Guy Ritchie al concerto dei Japanese Breakfast, tra un pezzo e l’altro ti si avvicina sornione, ti urla all’orecchio: “Wow, i ragazzi rockeggiano forte, eh?” poi ti fa l’occhiolino e si congeda facendo il gesto delle corna del ruoock. Tipo Paola Maugeri quando faceva quella che.
Ma le vie della misteriosa carriera di Guy Ritchie sono infinite, e a distanza di pochi mesi da questa debacle, esce il suo nuovo film, The Covenant. Che non è, lo dico a scanso di equivoci, quella specie di paradiso cripto gay che era il film omonimo di Renny Harlin del 2006. No, non era quello a cui tu, ed io, stavamo pensando con un giovane Sebastian Stan a torso nudo senza alcun senso logico. E infatti questo, tecnicamente, si intitola Guy Ritchie’s The Covenant. Capito il Guy? Un po’ come faceva il vecchio baffone: John Carpenter’s Eccetera Eccetera. Vabbeh, comunque. Esce questo film e a noi tocca vederlo, capisci? Anche con le aspettative bassissime, che quello ha sbagliato uno spy movie con Jason e Statham, ma qui c’è una locandina con Jake Gyllenhaal preso male e con un mitra in mano! Va visto! E op, scatta la sorpresa: Guy Ritchie’s The Covenant è un buon film.
Il film si apre con una serie di didascalie. Ci viene raccontato che dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti hanno mandato un sacco di soldati in Afghanistan, spesso aiutati nelle loro operazioni da dei traduttori. Chi erano questi traduttori? Grazie per la domanda: gente normale, afgani non talebani, che davano una mano. Traducevano, come da didascalica definizione, ma facevano anche altro: guida esperta del territorio, supporto logistico, trait d’union con laggente. In cambio, a molti di loro, veniva promesso un passaporto per gli Stati Uniti. Una vita nuova. Promesse che, va detto, non sempre venivano mantenute. Ma, hey, quelli so’ americani, lo sappiamo come so’ fatti, no? Sono comunque un po’ delle carogne e, tu m’insegni, la guerra non è un pranzo di gala. Va bene, questa è l’intro. Ma la nostra storia?
Jake Gyllenhaal è un Sergente dell’Esercito Americano di quelli fighissimi, a comando di una squadra di quelle fighissime, dove tutti i soldati hanno un nome pazzesco, tipo “Tom Cat!” o “Jack Jack!”. Nome che compare a didascalia sullo schermo, ma che invece di fare effetto The Snatch, fa più effetto documentario serio o film impegnato tratto da una storia vera. Un giorno, un brutto giorno, Jake e la sua squadra fermano il camion sbagliato. Esplosione, confusione, morte. Il soldato Jack Jack e l’interprete volando in cielo. Questa cosa ha due dirette conseguenze. La prima: Jake Gyllenhaal adesso è fighissimo ma anche segnato dalla vita, coi problems. La seconda: c’è bisogno di un nuovo interprete.
Ed è qui che entra in scena Ahmed (un ottimissimo Dar Salim), un interprete che ci viene presentato come uno un po’ difficile da gestire. Bravo nel suo lavoro, ci mancherebbe, ma oh, una testa calda. E c’è questa parte di film abbastanza pazzesca in cui Jake e Ahmed si conoscono, si annusano, ti amo, poi ti odio, poi ti apprezzo. Guy Ritchie’s The Covenant diventa una specie di buddy cop thriller di guerra in cui un duo mal assortito si mette insieme per trovare i covi dove i Talebani costruiscono o nascondono le loro armi. Inseguimenti, infiltrati, trattative spregiudicate e rischiosissime, tradimenti, doppiogiochisti! Insomma, una tensione che non ti dico. E poi c’è da tenere conto che, anche se i due non potrebbero essere più diversi tra loro, il lavoro li accomuna, li avvicina: “Ahmed, anche se magari non te lo dico apertamente… mad respect for you, bud“. Poi però, il film cambia.
Succede che, ancora una volta, la squadra di Jack finisce nei casini. E questa volta a perderci la pelle non è solo il vecchio Jack Jack, pace all’anima sua. No, questa volta schiattano praticamente tutti. Tranne Gyllenhaal e Ahmed. Due uomini soli behind enemy lines. Uno yankee e un traditore in territorio talebano che tentano di far rientro a casa. Appostamenti, gatto e topo, gente che si parla solo coi gesti delle mani mentre in profondità di campo cresce la suspence, talebani che spuntano ad ogni lato dell’inquadratura. Insomma, una tensione che non ti dico. E poi c’è da tenere conto che Jake si sta spendendo in prima persona per aiutare Ahmed. Da militare addestrato fa di tutto per difendere uno che fino a due giorni fa era un civile afgano. Poi però, il film cambia.
Jake viene ferito male dai Talibans e a toglierlo dai guai ci pensa proprio Ahmed. Che, per uno che fino a due giorni fa era un civile, si reinventa praticamente Rambo e, da solo: 1) uccide un po’ di talebani 2) si carica letteralmente Jake sulle spalle e 3) attraversa metà Afghanistan in salita per salvare il suo Sergente, il suo amico, mo cùishle, il mio tesssoro. E qui c’è tutta una parte un po’ survivalism, mescolata con quelle lunghe ellissi dal profondo sapore anni Novanta in cui il protagonista si allenava e diventava uno davvero tosto. Sacrificio, sforzi inumani, nascondigli disperati… Insomma, una tensione che non ti dico. E poi c’è da tenere conto che a questo punto ero convinto che il protagonista del film fosse diventato definitivamente Ahmed, visto che Jake sbava nascosto in un tappeto afgano per 30 minuti di seguito. Poi però, il film cambia.
Jake è tornato a casa. È stato salvato. Ce l’ha fatta. È magro, ha la faccia da pazzo, sembra sconnesso dalla realtà, ma ce l’ha fatta. È tornato a casa sano e salvo dalla sua famiglia (mi sembra di ricordare che c’è tipo una figurante che interpreta la moglie di Jake Gyllenhaal. Una che ha, mi sembra di poter serenamente dire, non proprio tantissimo peso in questa fiera storia di amicizia virile). Ma Jake non riesce a dormire. Non gli va giù che l’uomo che l’ha salvato, il vecchio Ahmed, dopo essere diventato una sorta di leggenda tra la sua gente, quello che “ha salvato l’americano”, sia diventato il nemico numero uno dei Talebani. E per te, a casa, con quella figurante di tua moglie che si occupa della tua officina per motorette mezza hipster, la vita è bella, Jake. Ma per Ahmed? Pensi che sia bello vivere ancora lì, tra montagne infestate di Talebani e pezzi di merda vari? No, te lo dico io: non è bello. Ahmed è costretto a vivere in cattività, a nascondersi, a cambiare identità e paesiello ogni due per tre. E lo sai perché? Perché il suo passaporto americano non è mai arrivato. Tante belle parole, passaporto di qui, nuova identità di là, e poi? E poi un cazzo, Ahmed! Jake però non ci sta. È corroso dal senso di colpa e passa un minutaggio di film eccessivo al telefono con l’Ufficio Passaporti per Interpreti Talebani. “Non mi metta mai più in attesa! Ma come è pronto tra nove mesi? Ma non capite che tra nove mesi il mio migliore amico Ahmed sarà bello che cadavere? Ah, sì? Allora sa cosa la dico? Che la smetto di ciurlare nel manico e faccio quello che avrei dovuto fare almeno 20 minuti di film fa: torno in Afghanistan per salvare il mio amico Ahmed”. E sì, il film cambia ancora.
Per salvare il suo BFF, per mettere a tacere quelle brutte voci nella testa che gli impediscono di vivere, Jake è costretto a going rogue. Sfancula un vecchissimo superiore con la faccia di Jonny Lee Miller e va in missione da solo. E qui inizia l’ultima parte del film, quella in cui torna ad essere protagonista la parte giusta del mondo, quella in cui Jake Gyllenhaal dimostra a tutti che i giusti veri onorano sempre i loro debiti. E allora, ancora una volta, appostamenti, tradimenti, prove di forza, colpi di scena, sguardi fieri e carichi di emozioni che mai il freddo mezzo cinematografico potrà rendere al suo meglio… Insomma, una tensione che non ti dico. E poi c’è da tenere conto che la colonna sonora di Christopher Benstead butta lì dei pezzi doom orchestrali, Jake sfoggia degli occhiali da vista hipster, Dar Salim tira fuori una chimica inaspettata, compare a sorpresa quel merda di Antony “Homelander di The Boys” Starr… E poi il film, giustamente, finisce. E tu, da bravo fancalcista, sei pronto a ridare a Guy Ritchie almeno due o altri tre bonus.
DVD-quote:
“Tieni, Guy: questi sono due o tre bonus per te”
Casanova Wong Kar-Wai, i400calci.com
pure io mollato a metà forse meno Operation Fortune … questo merita..un pò stirato nella parte di mezzo del salvataggio ma ha una certa dignità..anche se il buon Ritchie un bonus se l’era già meritato con The Gentlemen.
Oh, ma quale bonussino, The Gentlemen è l’ultimo capolavoro di Guy Ritchie.
si può chiamarlo anche capolavoro…io non lo farei ma chi sono per impedirlo
Sono contento che questo sia un film buono e, ovviamente, lo guarderò perché al Guy gli voglio bene e la bevo sempre volentieri una birra con lui.
Per essere sincero, però, dopo aver letto la recensione, non sono sicuro avrei speso dei soldi per il cinema, perché comincio a non sopportare più questa bulimia narrativa:
è veramente necessaria raccontare (nella maggior parte dei casi pure male) storie inutilmente convolute che non respirano? è possibile che film che durano 2 ore/2 ore e mezza, riescano a essere sia noiosi che affrettati?
Per riportare il discorso a questo film qui: non sarebbe stato più “saggio” (e anche più economico, produttivamente parlando) scegliere un angolo, un punto di vista interessante e invece di 4 “e poi il film cambia”?
Sarà che mi sto facendo vecchio e questo comporta che ho sempre meno tempo e che sono sempre più rompiscatole, ma sto tipo di narrazione che affastella eventi invece di raccontare una “storia” mi è sempre più intollerabile.
Recensione capolavoro. Comunque con the gentlemen aveva fatto un abbonamento di bonus per la vita
Absolutmant
Giusto per chiarire, ma nella seconda foto chi è dei due che parla? XD
Ammetto che questo film lo avevo scartato dopo avere letto la sinossi perché non mi sembrava un film “da Ritchie”, il quale storicamente da il suo meglio in gangster movies corali e vagamente cazzoni.
Diciamocelo, Guy nasce come una sorta di risposta British a Tarantino e io un film come questo non lo vedevo molto nelle sue corde. Recupererò
Confermo, bravo Guy. La didascalia con RRR mi ha ribaltato. La moglie figurante però ipoteca la casa per pagargli tipo 100k necessari per l’operazione di recupero, almeno una cosa buona la fa.
Nuooooo adesso mi tocca vederlo, che invece dopo il trailer avevo detto manco per il cazzo.
Operation Fortune mollato dopo 15min secchi, però The Gentlemen mi era garbato, dai.
a me ha garbato parecchio. Un ritchie lontano dal suo ultimo lavoro che ho visto (gentlemen), molto asciutto, quasi western.
La parte di fuga dall’imboscata notevolissima.
Jake G.che sbrocca al centralino facendo il pazzo con gli occhi da pazzo….un grande momento
Ma lo recensiamo il nuovo delle tartargughe ninja? Un po’ di mazzate ci sono
Non la recensione migliore di Casanova di sicuro. Film bellino ma non molto organico
Speravo in una recensione double-bill con Kandahar, con Gerardone nostro, vistro che in sostanza si tratta dello stesso film…
Ma perchè cazzo vi è piaciuto The Gentlemen?
Perchè è uno spettacolo?
Io sono un fan di buona parte della produzione di Lionel…pardon: Guy Ritchie.
Ma The Gentlemen per me non è stato che un’occasione sprecatissima.
Una confezione “spettacolare” con dentro un cazzo.
E’ la terza volta almeno che leggo qui da voi una “recensione” che non è altro che la telecronaca cazzona della trama del film. Sul serio, dov’è la recensione?
Io l’ho trovato di una noia funerea. Ci sono almeno tre momenti di grande tensione, vero, ma intorno a questi c’è una storia priva di guizzi, cupa, e affidata a una sceneggiatura ridondante e banale. Ho passato davvero una serata infelice.
Perchè è uno spettacolo?
Al caro vecchio Guy un’occasione tocca sempre darla perché, anche nei suoi momenti più bui, sa regalare sempre un sorrisone.
La parte dalla seconda imboscata fino al ritorno a casa di Giacomino sergentino vale da sola parecchi film che mi sono sorbito recentemente… e pure il resto non è affatto male.
P.S. La sorpresa più grande è stata la sopravvivenza dell’autista del camion nella parte finale… quello aveva il morbo della morte attaccato dalla prima scena in cui è comparso.