Ti svegli una mattina e hai un’idea bellissima.
Un’idea che nessun altro ha avuto, tu pensi.
Uno slasher, molto classico, MA – attenzione eh? sta per arrivare uno spiazzante twist – dal punto di vista del killer.
Quindi Maniac di William Lustig.
No! Non tipo Maniac di William Lustig, una roba diversa, una roba mai vista prima: non un serial killer urbano, ma proprio uno di quei buzzurri da casolare nel bosco.
Quindi Tucker & Dale vs Evil.
No! Cioè, sì, ma quello era comico e il killer non era un vero killer, era un’idea molto più elaborata e sovversiva e… cioè l’idea qui è proprio semplice semplice, uno slasher normale ma dal punto di vista di uno di quegli assassini gigantoni e sempre muti alla Jason Voorhees di Venerdì 13 mentre attacca i soliti anonimi teenager e li ammazza male.
Quindi, piuttosto che il film, Venerdì 13 il videogioco.
…sì, sostanzialmente quello.
Ti sei svegliato la mattina e hai avuto un’idea bellissima, e ne sei talmente fiero che, dopo che hai preso il caffè, ti scoccia un po’ ammettere che l’hai presa dal videogioco che hai provato la sera prima.
Però oh, è una bella idea, no? Cioè, se funziona su videogioco deve per forza funzionare anche al cinema, giusto? Che differenza c’è tra un videogioco e un film? Nessuna. Sono entrambe cose che puoi guardare su uno schermo. E c’è gente che guarda altra gente giocare a videogiochi continuamente su Twitch, anche per ore: l’unica differenza è che in un film togli il commento divertente, o togli la parte di schermo con sexy gamers a cui dare la mancetta e fare le richieste. Che sarà mai? Figurati se è la personalità di chi commenta su Twitch mentre gioca ad essere decisiva per rendere l’esperienza piacevole, eh?
Ci pensi un po’ meglio e ti rendi conto che in effetti questa cosa di seguire un gigante muto per un’ora e mezza presenta, mettiamola così, qualche problema di accessibilità. Va sorretta in qualche modo, la gente va intrigata e preparata. Non puoi dire semplicemente “come il videogioco di Venerdì 13” per cui, in seguito a un improvviso sussulto di ambizione artistica, dici “come Terrence Malick”.
Se ti ritrovi in questi ragionamenti, sei Chris Nash.
Cazzo ci vuole?

Così, ma meno visivamente frizzante
Ora vi svelo una cosa sconvolgente, una specie di segreto del mestiere: non facciamo un’intro di questo genere se poi il film di cui parliamo ci è sembrato riuscito nelle sue intenzioni.
Partendo dall’inizio: la guarderei una versione di Venerdì 13 in quasi-soggettiva del killer diretta a modo suo da Terrence Malick?
Certo che la guarderei. Lui però avrebbe il buon gusto di mettere, sopra le sue immagini magistralmente eteree, almeno un minimo di voice over poetico per sostenerle: “Vago in questa flebile alba della mia notte eterna, il mio sonno disturbato da incauti giovani che non conoscono il peso del mio dolore e non comprendono il fardello della mia esistenza… Ogni loro risata è un’onta alla memoria di mia madre, ogni loro respiro è un insulto alla mia irraggiungibile quiete… Si meritano il mio machete su per il c–”
Chris Nash invece, con il suo background negli effetti speciali, viene piuttosto dalla filosofia del “cazzo ci vuole”.
Avete presente quella regola della commedia per cui una gag quando è rapida fa ridere, quando è troppo lenta smette di far ridere, ma quando la stiri veramente a lungo a un certo punto torna a far ridere? Tipo la gag del ginocchio dei Griffin? Ecco, Chris è convinto che funzioni in modo simile anche con il dramma. Se cogli i tempi giusti, sei nel giusto. Se sei troppo lento, sei noioso. Ma se sei davvero tanto, tanto lento, visibilmente, volutamente, atrocemente lento, allora sei “profondo”. Sei – che ne so – un “artista puro e senza compromessi”. Un “regista polacco”. Apro una parentesi: non lo so come mai è sempre la Polonia lo stereotipo dei film d’autore ostici e indecifrabili. È colpa di Kieslowski? È per via di quella volta che Kieslowski nel secondo episodio del Decalogo ha indugiato per sette minuti su una mosca in un bicchiere di té? Ora io non me lo ricordo se quella lunga inquadratura sulla mosca avesse un significato profondo o meno, avevo 13 anni per la miseria, ma vi garantisco una cosa: vuota per vuota, era molto più interessante da vedere rispetto a un giandone di spalle che cammina nel bosco all’infinito.

Che vi ho detto? Uguale.
Purtroppo è tutto lì.
Il Chris piazza la cinepresa dietro al suo pseudo-Jason, e lo fa camminare nel bosco per un tempo immemore. Poi gli fa incontrare le vittime, e ascoltiamo i loro dialoghi: vorrebbero essere neutri e generici per evitare che associamo a loro troppa personalità distraendoci dal vero protagonista (il bestione muto che vediamo sempre di spalle). E invece indovinate? Sono fastidiosi. Incredibile. In così poco tempo.
In mezzo c’era stata tutta la calma per provare a giochicchiare un po’ con il non detto – non è quella la parte divertente, quando il tuo film segue un protagonista muto? – ma niente: cogliamo un po’ di background tramite dialoghi opportunamente origliati, poi tramite il sorprendente escamotage delle (tenetevi stretti) foto di famiglia e ritagli di giornale, prima che tutto questo ingegnoso utilizzo del mezzo espressivo cinematografico ceda di schianto e uno dei personaggi secondari racconti l’intera storiella per benino a voce.
Non infierisco oltre.
L’idea di per sé non era affatto malvagia, il cambio di prospettiva dona indubbiamente freschezza e qualche inquadratura qua e là è azzeccata, ma è una freschezza che si esaurisce presto e Chris sembra non accorgersene: indomito, rimane intestardito sulla stessa sequenza sperando di stirarla abbastanza a lungo da superare la noia e sembrare un genio – o almeno un genio incompreso (persino da se stesso).
Ora vi faccio esempi non polacchi: sono sicuro che qualcuno di voi ha visto Hunger di Steve McQueen e la famosa scena del tipo che lava il corridoio in tempo reale con camera fissa. O il mitico A Ghost Story, con Rooney Mara che si ingolla un’intera torta in diretta. Pretenziosità a duemila se volete, eh? Ma almeno c’era un senso dietro quelle scelte. Cinque minuti del tizio che lava il corridoio e io avevo già sentito i violenti ed estenuanti anni passati in galera da Bobby Sands, pesanti come la fame. Cinque minuti di Rooney Mara che si ingolla una torta e avevo già sentito tutta la silenziosa disperazione del lutto (non è vero, ho iniziato a guardare il telefonino sbuffando, ma ho capito comunque dove voleva andare a parare – e mi immaginavo Bobby Sands con l’acquolina in bocca).
Due minuti di pseudo-Jason che cammina col suo passo da golem e, una volta passata la novità (?) di vedere un imminente omicidio inquadrato dall’altro lato, non so niente che non sapessi già da uno slasher qualsiasi: il mostro è inarrestabile e con un solo obiettivo in testa perseguito con implacabile e innata determinazione.

Arrivare al dunque
Chris Nash non riesce a trasformare il suo intrigante concetto in qualcosa che spaventi, o in qualcosa che abbia un significato, un interesse, che “esplori da vicino la natura inafferrabile di un personaggio disumano e misterioso”, che ne so, un minimo di sostanza qualsiasi, anche semplicemente una quotidianità del male come l’idea dell’assenza di musica suggerirebbe.
Non ce la fa, se non a brevi sprazzi. Ma nel dubbio, tiene ogni camminata lunga un quarto d’ora lo stesso.
Quando ci mostra il killer che si avvicina alle sue vittime che non lo vedono fino all’ultimo, finisce per evidenziare il lato comico degli slasher invece che quello di tensione. Quando indugia per (percepite) tre ore e un quarto sul killer che insiste a maciullare un cadavere, sembra avvicinarsi filosoficamente al suo target obiettivamente più alla portata, ovvero il glorioso filone degli pseudo-snuff underground tedeschi anni ’90: in realtà non riesce manco a solleticare un po’ di quello stesso sano sadismo nichilista adolescenziale e, fra tutte le passeggiate nel bosco in cui poteva succedermi, ha iniziato a calarmi la palpebra proprio lì.
In compenso, il Chris è riuscito a far parlare di sé al Sundance Festival, e a creare un hype a cui persino io sono cascato, infilandoci un pugno di omicidi trucidi e discretamente creativi e uno in particolare, bello cruento e fantasioso, che ha per vittima una praticante di yoga ed è in effetti al momento il candidato favorito a Miglior Morte dell’anno. Non ve la sto a descrivere (lo faremo ai prossimi Sylvester) ma dicono che al Sundance qualcuno sia uscito dalla sala per vomitare. E che vi devo dire? Vero o falso (di solito è falso o, diciamo, dovuto a cause multiple), è un omicidio che merita parecchio: è credibile che uno sprovveduto preso di sorpresa abbia vomitato. Ma è un omicidio completamente slegato dalla gimmick di partenza, che avrebbe avuto identico effetto anche in uno slasher standard.
Che deludente spreco di tempo, gentile pubblico.
Bon: qui è dove tiro la linea dello spoiler perché gli ultimi 20 minuti mi hanno mandato fuori di testa. Ve li devo raccontare per filo e per segno. Siete pronti? Vado:
Allora, la faccenda è questa: fin dal minuto 1 è lampante, e confermato dai dialoghi, che il killer si è svegliato perché uno dei ragazzi gli ha fregato un amuleto a cui è molto affezionato che serve a tenerlo buono e pacifico. Il killer si sveglia e ammazza tutti finché non ritrova l’amuleto: chiaro e semplice.
Dopo un’ora e 10, la final girl ci arriva: molla l’amuleto e scappa.
A quel punto il film dovrebbe finire, no? Il killer ha quello che vuole.
No. A quel punto Chris imbroglia e di colpo abbandona il killer e segue la final girl che scappa. E tu ti chiedi: perché?
La final girl scappa disperata nel bosco, come qualsiasi slasher da Non aprite quella porta in poi. Arriva in strada e inscena la solita pantomima in cui cerca un passaggio, ecc… Tutto con la stessa flemma che ha contraddistinto il resto del film. Hai tutto il tempo di chiederti cosa sta per succedere. Dove vuole andare a parare questo finale? Non ha senso che di colpo il film diventi uno slasher classico con lo scherzetto in cui il killer riappare all’improvviso e/o si scopre la tizia che le sta dando un passaggio è complice. Ma che alternative ci sono?
La tizia che dà un passaggio alla nostra protagonista comincia a raccontare gli omicidi precedentemente avvenuti nell’area, attribuendoli a “un orso”. Si dilunga. Giunge alla conclusione che “certi animali a volte attaccano senza motivo, ammazzano e basta senza un perché, è nella loro natura”. È chiaro che il tentativo è quello di fare il monologone che spieghi il senso del film… tranne che il killer del film non attacca senza motivo! Attacca perché rivuole il suo amuleto, mannaggia la maledizione Chris, ce l’hai mostrato tu!!! Se era questo il film che volevi fare, in cui semplicemente pedinavi pseudo-Jason come in un documentario del Discovery Channel, ci hai confusi/depistati dandogli delle motivazioni, santa pazienza!
Ma non è tutto: Chris crea finta apprensione con la tipa al volante che di colpo decide di fermare l’auto per curare le ferite della final girl, la quale giustamente va nel panico totale. Ma cosa può succedere, realisticamente? Nel senso: di nuovo, la prospettiva è stata ribaltata ed è tornata ad essere classica. Anche se il killer rispuntasse nonostante l’auto abbia ormai fatto qualche chilometro, qualsiasi colpo di scena tradirebbe la premessa, e questo azzera la tensione. E infatti non succede niente, e dopo questi 20 minuti a vuoto il film di botto finisce, convinto di essere stato furbo.
Ora, ho letto un’intervista al buon Chris: spiega che la sua idea era proseguire oltre i finali standard degli slasher, per dipingere l’imbarazzo che si immagina crearsi durante il viaggio in auto nel classico scenario del sopravvissuto di una strage che riceve un passaggio verso la salvezza.
Non è una brutta idea Chris, anzi, è molto simpatica.
MA È UN FILM DIVERSO, PORCOMONDO.
Fine degli spoiler.
Che vi devo dire in conclusione? È il classico film con spunti interessanti e, purtroppo, una limitata cognizione su come farli funzionare. Un film comunque utile: un giorno probabilmente qualcun altro (Terrence Malick?) piglierà lo stesso concetto e troverà il modo di dargli davvero un senso. Cose che capitano. A quel punto Chris Nash schizzerà dalla sedia urlando “hey! hey hey! OH! hey! HEY!!! L’hoh fattoh primah ioooh!!!” e gli daremo tutti una pacca affettuosa sulla testa.
In a Violent Nature uscirà in Italia in autunno, sembrerebbe addirittura in sala.
Se vi piace vomitare (a me piace), il mio personale consiglio è aspettare di poterlo fare con l’avanti veloce tra un omicidio e l’altro.
Quote sulla brochure del Festival di Cannes, sezione “Un Certain Regard”:
“A’ fenomenooo!!!”
Er Monnezza, Delitto al casolare nel bosco
La noia mortale, ma piuttosto uno slasher in stile Hardcore Henry no?
Anche quello c’è già, è sempre Maniac (però del 2012)
Vero quello con il tipo del sig. degli anelli, a causa sua l’ho evitato
Grave errore
Anche io consiglio perché spacchetta abbastanza
C’era una mosca che indugiava in modo imbarazzante sul lunghissimo e intenso primo piano di Thimotée Chalamet (visto che so scriverlo?) anche nell’ultima inquadratura di Chiamami col tuo nome.
Stava metaforicamente a significare che era un film demmerda?
Grande prova attoriale comunque (dicono) e in relazione a quell’unico primo piano sono d’accordo.
Mah, per me bombetta di film, invece.
Più posizionato dalle parti dei giochetti di un Ti West o di un Oz Perkins che non dei “registi polacchi” o di un Malick a caso.
Beh, Malick non l’ho citato a caso, l’ha dichiarato Chris Nash. Ha anche detto “Gus Van Sant”, per la cronaca.
A me ha ricordato Dead by Daylight.
Inizialmente interessante poi noia.
Eh no, deve ricordare proprio ‘Friday the 13th -The game’ perché a dicembre di quest’anno chiuderà anche i server e smetterà di esistere… ‘Dead by Daylight’ invece è vivo e vegeto, continuando ad essere discretamente popolato ;-)
@Ridley Scottex: hai ragione. Vado a cambiare “il gioco di Venerdì 13” con “Dead by Deadlight che è un gioco in cui hai uno scenario simile ai film di Venerdì 13 ma in cui usi il killer che insegue le vittime e puoi usare quasi tutti i killer più famosi del cinema tranne però guardacaso Jason di Venerdì 13”.
E hai dovuto per forza travisare il senso della scena nel Decalogo? Complimenti. Strano tu non abbia trovato un senso ma se lo riguardi adesso forse ci arrivi. L’insetto risale la cannuccia del bicchiere per tornare a vivere, il bicchiere si trova in una camera d’ospedale, dove un tizio si risveglia subito dopo il successo del volatile. Non mi andava di appuntare la cosa ma sai, noi cinefili siamo permalosi.
Cioè te la stai prendendo con il me stesso 13enne??? Complimenti a te… Fate spesso i bulli coi pre-adolescenti, voi cinefili?
La pesantezza
I cinefili avevano smesso di bullizzare da quella volta che la polizia si è incazzata ma ogni tanto rialzano la testa.
“Forse ci arrivi” odora un po’ di merda, eh?
Che bello quando non c’era internet (tipo a Sparta) e chiunque, dal più umile cittadino al Re, rispondeva coi fatti delle proprie parole.
C’è da dire che per sconvolgere i fighetti (avrei potuto scrivere radical-chic ma sarebbe risultato politicamente controverso) del Sundance ci vuole molto poco, è un benchmark decisamente basso
Ma sì. Vedila così però: al Sundance ci è passato anche The Raid e nessuno ha vomitato. E The Raid era bello tosto. Per cui, a mio avviso, qualsiasi cosa faccia vomitare il Sundance è come minimo meritevole di uno sguardo.
per me buon film poi capisco che al recensore manchi un pò di nostalgia a random, martin lawrence con il buzzo che spara in ralenti o robe del genre e se non succedono tre esplosioni se annoia, un pò troppo citare a random malick o kieslowski tipo studente del dam(n)s.
Malick lo cita Chris Nash stesso qui, insieme a Gus Van Sant: https://time.com/6983140/in-a-violent-nature-director-chris-nash-interview/
QUESTA È UNA RECENSIONE, PORCO MONDO.
Non condivido praticamente una parola di quello scritto. La grande forza del film sta proprio in quelle scelte criticate, a partire proprio dalla decisione di rinunciare ai suoni extra diegetici per fare parlare solo la natura (che in in certo senso appare così indifferente all’uomo per tutta la lunga prima parte del film) ma che nel finale ribalta il suo senso e si fa colonna sonora, accompagna come musica diegetica, pronta a introdurre una minaccia incombente. Sfido a dire che non si sia avvertito questo ribaltamento di senso per cui nel finale sentiamo il bosco minaccioso proprio quando non succederà invece nulla. Ancora non riesco a capire questa spasmodica necessità di dover trovare un significato alle cose (per di più in un film ambientato fuori dal contesto civilizzato dove appunto le cose accadono e basta: e il nostro grosso problema dover trovare un senso a ogni accadimento). Da qui anche l’errore di dover sovrapporre la storia dell’orso con quella del killer (che detto per inciso non si contraddicono per niente anzi, la donna non si spiega perché un orso uccide, non se lo spiega perché non è capace di comprenderlo ma un perché c’è; lo stesso si può dire del killer per il quale solo apparente ne scorgiamo la causa ma in realtà non siamo in grado di comprenderla, non c’è una vera causalità – o meglio siamo noi a trovare causalità – nell’abbandono dell’amuleto e nel nuovo silenzio del killer). C’è un momento di gore altissimo ma la protagonista, quella davvero violenta (e indecifrabile) è la natura, come suggerisce il titolo film.
Commento interessante, grazie!
Allora:
– “a partire proprio dalla decisione di rinunciare ai suoni extra diegetici” che però non ho criticato, anzi, ho detto che lascia intuire le intenzioni ma non è comunque efficace se non sul breve
– “Sfido a dire che non si sia avvertito questo ribaltamento di senso” l’ho sentito e, come spiego, mi ha tolto tutta la tensione proprio perché, ribaltando il senso di quello che si era visto fino a quel momento, ha eliminato ogni altra opzione che non fosse semplicemente finirla lì senza che succedesse niente o si sarebbe bellamente tradita la premessa
– “il nostro grosso problema dover trovare un senso a ogni accadimento” il problema ovviamente non ce l’ho con il trovare il senso a quello che accade, ma con il trovare il senso alla messa in scena e alla sua corrispondenza con le sensazioni che si vogliono comunicare/stimolare. Quello è fondamentale, altrimenti vale tutto, non trovi?
– “l’errore di dover sovrapporre la storia dell’orso con quella del killer” non c’è per forza sovrapposizione delle storie, ma di sicuro si cerca la sovrapposizione di significato, altrimenti la donna sta parlando a vanvera. Mi sembra un po’ forzato dire che “siamo noi” a trovare la causalità nell’amuleto: Nash la suggerisce insistentemente con immagini e dialoghi piuttosto netti, per cui o è così o sta imbrogliando in maniera un po’ troppo sleale.
Opinione legittima la tua comunque, ci mancherebbe.
Ci mancherebbe! Diciamo allora più sinteticamente che quel che viene visto come criticità o debolezza del film per me non lo è (e qualcosa di simile, sempre per me, è accaduto con The Devil’s Bath nel quale diverse voci hanno contestato la scena iniziale ritenuta troppo esplicativa).
Credo che le tue due ultime considerazioni meritino qualche parola in più da parte mia. Vero che Nash è un po’ furbetto (diciamo così) ma l’equazione furto (amuleto) -> vendetta (killer) e abbandono (amuleto) -> acquiescenza (killer) resta comunque nostra e sa un po’ di “tacchino induttivista” soprattutto per la seconda affermazione dal momento che sino all’arrivo dei titoli di coda noi questo non possiamo affermalo (lo possiamo confermare solo a visione conclusa), infatti sfido che non sia avvertita la tensione del tipo: sta per accadere qualcosa. Ancora, la storia dell’orso non può e non è tenuta ad essere interpretata da noi fruitori (e dalla final girl) allo stesso modo della signora perché la narratrice viene da un’esperienza diversa; e tuttavia questo eventuale scarto non farebbe perdere “il senso della messa in scena” anzi la rafforza perché ci ricorda della distanza presente nella comunicazione quando l’esperienza degli interlocutori non è condivisa e per di più sarebbe anche coerente con la rappresentazione di Nash il quale per tutto il film fa parlare la Natura che per forza di cose usa un linguaggio altro dal nostro e dunque indecifrabile. E’ un film perfetto? No. Ha dei momenti di stanca? Li sfiori ma si ferma un attimo prima di arrivarci; offre una prospettiva un po’ insolita rispetto a quello che siamo abituati e vedere del genere e ha un finale che ribalta quel che è solito accadere; forse è per questo che ci ha un po’ spiazzato. Saluti
Ciao Alessio:
– amuleto: no, c’è un intero dialogo specifico col ranger, non è per forza la Sacra Bibbia ma niente ci suggerisce che debbano essere nozioni di cui dubitare, e niente di quello che si vede sia prima che dopo lo mette in discussione.
– orso: può essere che non ho capito quello che cerchi di dirmi, ma se quello che racconta la signora non ha nessuna attinenza col killer, fosse anche solo metaforica/simbolica, starebbe parlando a vanvera.
– prospettiva diversa: no, sono cose che si sono viste altrove, solo non per un film intero. E il mio problema principale è che questo film, fatto interamente così, non aggiunge niente di nuovo. Il finale diverso avrebbe funzionato alla grandissima in uno slasher classico, non in questo dove ogni possibile colpo di scena sarebbe stato incoerente per via del cambio di prospettiva. Quello mi ha smorzato tutta la tensione.
Chiudo perché tanto abbiamo due punti di vista abbastanza distanti;
per me (ma non sono l’unico) gli ultimi 15 minuti sono pieni di tensione, indipendentemente dal fatto che la final girl avendo lasciato l’amuleto porti a ipotizzare (ma la controprova non c’è se non coi titoli di coda) che il killer si fermerà (tralascio il fatto che l’auto quando accosta, in linea teorica dovrebbe essere a una distanza di sicurezza dal killer; criticità aggirabile). Però Nash ribalta obiettivamente quello che siamo abituati a vedere nel genere, solitamente è nei primi minuti che si crea tensione lasciando credere che qualcosa stia accadendo senza che accada niente (ma, penso a The Night o a Barbarian dove questa premessa si prolunga superbamente per oltre mezz’ora) per poi il sangue deflagrare nella seconda parte; qui avviene l’esatto contrario: questo ribaltamento invece non è usuale.
Quello che dice la signora in merito all’orso per me è un parlare a vanvera, e trovo questa cosa fantastica (giustamente ricordi un’intervista di Nash in merito a questo)! La ragazza che scappa da un killer e la signora che torna a casa: cosa c’è di più inconciliabile, come si potrebbero capire, dove trovare un senso? Le prospettive sono agli antipodi; la signora poi che a un certo punto giustamente vuole accostare e la ragazza che pretende di continuare, c’è una venatura comica in questo che non fa da contorno alla tensione ma la esalta proprio (come una scorzetta di limone su crema pasticciera o scegli tu). Insomma per me c’è coerenza e tensione.
Ma per me l’assenza di tensione non è tanto la questione dell’amuleto, ho visto miliardi di film giocarsi il twist su questo punto: l’assenza di tensione per me è che cambiare prospettiva equivale a trasgredire l’assunto formale del film. Hai fatto un intero film il cui motivo di interesse è basato sul ribaltare la prospettiva e vedere uno slasher dal punto di vista del killer, e poi dovrei provare tensione sulla possibilità che tu abbia deciso di colpo di impostare gli ultimi 20 minuti, il gran finale, la grande conclusione del tuo discorso, sull’aver bellamente cambiato idea ed essere tornato a fare il film standard? Si era chiuso in un bivio in cui una soluzione era imbrogliare e l’altra non portava a nulla: entrambe sarebbero state insoddisfacenti, motivo per cui per me la tensione stava veramente a zero (a meno che non parli di tensione puramente fisiologica da jump scare, ma lì vale un po’ tutto). Ti faccio una metafora sul calcio: c’è tensione a vedere un cross in cui le uniche alternative dell’attaccante sono toccarla con la mano o lisciare il pallone? Come ho già scritto nella recensione, l’idea di quel finale di per sé è bella e lo è proprio per i motivi che descrivi, ma è appiccicata al film sbagliato: sarebbe stata efficace, e avrebbe davvero creato una tensione interessante, in uno slasher normale. Qua ormai il film aveva settato altre regole che ne hanno compromesso l’effetto. Ed esattamente per questo motivo, se la signora parla completamente a vanvera (è qui che la storia dell’amuleto entra in ballo, ed è troppo tardi per contraddirla per i motivi di cui sopra) gli ultimi 20 minuti diventano di un’inutilità abbagliante perché non hanno davvero motivo di esistere, se non per tirarla lunga in uno scherzetto la cui gag finale è sostanzialmente già spoilerata dalla sua stessa premessa.
Però continuate a recensire film che hanno più o meno senso e a mesi dall’uscita ANCORA non avete coperto RUMBLE THROUGH THE DARK.
Questo è molto, molto grave (Cit.).
Negli anni ’80 c’era un misconosciuto horror semi-parodico chiamato “Unmasked Part 25” che faceva il verso a Venerdì 13 nello specifico e agli slasher in generale, con l’assassino “Jackson” che parlava tutto il tempo (pure mentre ammazzava la gente), prendeva per il culo le tizie che inciampavano mentre le inseguiva, e si innamorava di una cieca come il Toxic Avenger (e poi la uccideva). L’avevo visto su YouTube anni fa, e niente, a leggere questa rece sembra molto più interessante e divertente di questa roba pseudo-intellettuale che sentivo venire osannata mesi fa…
In realtà penso sia proprio un buon film, sperimenta almeno qualcosa di nuovo. Inoltre il ribaltamento finale della prospettiva è esattamente la forza del film, ed è il primo momento in cui infatti senti davvero paura. Mentre per tutto il film seguiamo Jhonny e conosciamo la minaccia incombente sui ragazzi, prevedendo cosa sta per succedere, nel finale Nash fa questo giochetto cambio pov anche per mostrarti la differenza con la prospettiva “classica”. Il sonoro diegetico come accennava qualcuno è davvero una bomba e sorregge alla grande tutto il film, per poi inquietare un casino nel finale (nella scena della fuga notturna). La questione della violenza della natura credo sia ambivalente, interessa sia l’ambientazione che il riferimento alla natura umana, se pensata a come Jhonny diventa ammazzo-tutti-Jhonny, ovvero una storia di bullismo. Film non perfetto ok, tipo i ragazzi oltre che antipatici sembrano anche celebro lesi non accorgendosi mai (dico mai) che sta arrivando qualcuno alle loro spalle. Infine dai su, include la morte più bella e cruenta degli ultimi anni nel cinema horror.