Bisogna avere una pazienza infinita con operazioni del genere. Il progetto è un’idea della famiglia Lee, non di un filmaker, e la sceneggiatura è tratta dalla biografia scritta dal fratello (da qui il titolo Bruce Lee, My Brother): in quanto tale, nasce con limiti esagerati.
Per darvi un’idea della situazione parto dai titoli di coda, che a lato dei credits mostrano una serie di foto di famiglia affiancate dal loro corrispettivo ricreato con gli attori del film. Lo scopo della pellicola è tutto qui: raccontare i primi 18 anni di vita del Piccolo Drago – quelli precedenti alla sua fuga in America – unendo con lo sputo una serie di sketch basati su fumosi e corrotti ricordi vecchi oltre 50 anni. E la famiglia Lee a capo di tutto fa sì che ci si incaponisca testardamente su un numero incredibile di dettagli inutili ma si lasci via libera alla sceneggiatura di agiografare selvaggiamente tutto il resto. Nel film c’è un numero impressionante di momenti in cui persone si fanno foto. A volte un’intera sequenza ha l’unico scopo di giustificare una foto, come se i ricordi fossero in realtà svaniti da parecchio e affidati unicamente alla presenza di quell’unico cristallizzato istante. Ad esempio, questa è la scena in cui Bruce Lee si iscrive al corso di wing chun: “Salve vorrei iscrivermi al corso di wing chun del maestro Ip Man” “Il maestro Ip Man non insegna più, ma posso insegnarti io” “Ah ok, nessun problema. Posso fare lo stesso una foto con Ip Man?” “Ma certo, accomodati!” e voilà, ecco la famosa foto di Bruce Lee con Ip Man, stacco, cambio di scena.
L’altra sindrome che il film non trattiene è quella da Wikipedia che porta al name-dropping più estremo, tra didascalie che compaiono anche a fianco di comparse e personaggi che appaiono giusto il tempo di un forzatissimo scambio di battute (“hey, e tu chi sei?” “sono James Wong, andavo a scuola con Bruce al LaSalle!”) e poi scompaiono per sempre. E il tutto è immerso in un sentimentalismo patinato degno degli spot della Barilla, ma questa era la parte più ovvia. Così come è ovvio che non confonderesti il pur volenteroso Aarif Lee con Bruce Lee neanche dopo otto pinte di Leffe, una micropunta e una sedia spaccata in testa. E lo so perché ho provato a riguardare il film dopo questa esatta sequenza. Non funziona. E ora ho una sedia in meno. E un’emicrania.
Passiamo quindi ai lati positivi!

Ci hai provato.
No aspetta, ce ne sono altri negativi.
Uno si sopporta questa impenetrabile melma di dettagli inutili messi in scena da Manfred Wong e Wai Man Yip con una verve di poco superiore a due che hanno una lista della spesa da spuntare e non tutte le buste di plastica che vorrebbero, e ingenuamente pensa di poter pretendere più (occhio, sto per dire una parolaccia) “fedeltà” (l’ho detta) del solito, o almeno un po’ di moderazione. E invece, direttamente dal più stronzo degli universi paralleli, ecco a voi l’americano Charlie Owen. Il suo compito di sceneggiatura è incarnare il solito ingiustificato senso di inferiorità dei cinesi verso gli occidentali. Lo incarna malissimo, che è ovviamente il problema maggiore. L’altro problema, di cui un ennesimo esempio recente è Ip Man 2, è che un cinese che sente di dover dimostrare di sapere le arti marziali meglio di un americano ha senso quanto un italiano che sente di dover dimostrare di fare la pizza meglio di un indonesiano.
Ora, Bruce e il suo nemico immaginario Charlie Owen si sfidano due volte, ognuna delle quali trova il modo di far cascare le braccia:
1) la prima sfida è un match di boxe. Di boxe!!! Venitemi incontro: io da ragazzino ho letto svariate biografie di Bruce Lee, ufficiali e non ufficiali, ognuna di esse più di una volta. E non ricordo che abbia mai fatto un incontro di boxe in vita sua. Ricordo bene? Il problema, sia chiaro, non è la fedeltà: il problema è che hai Bruce Lee, porca pupazza ladra, e non solo non lo fai combattere per oltre un’ora, ma quando lo fai gli togli le gambe! Con tutte le cazzate che puoi inventare! È come fare un’agiografia su Jimi Hendrix e farlo partecipare a una gara di canto. Poi certo, è l’occasione per mostrare la passione di Bruce per i giochi di gambe ubriacanti, ma nel ’58 erano come dire, un po’ prematuri… mi aspettavo che da un momento all’altro un tizio prendesse il telefono e dicesse “Cassius? Sono io, tuo cugino! Marvin Clay! Ti ricordi quelle innovazioni pugilistiche che stavi cercando? Ecco… ehm… te le descrivo quando arrivo a casa perchè questo non è un iPhone e l’audio da solo non serve a nulla.”
2) la seconda sfida è uno street fight in una specie di soffitta abbandonata. Per cui correggo: un “attic fight”. E qui si capisce dove si voleva andare a parare con la storia dell’americano. I due si danno le spalle e si scaldano prima del match. Bruce si leva la maglietta rimanendo in canotta bianca. Viene inquadrato insistentemente un gatto. Esatto: è L’urlo di Chen. Per sicurezza, in sottofondo parte la colonna sonora dell’Urlo di Chen (quella originale, mica quella ridoppiata in Occidente dove evidentemente non siamo stati colpiti abbastanza). Ci manca solo un poster del Colosseo, o Chuck Norris che appare in sovraimpressione a dare il segno di “ok”. Persino l’andazzo del combattimento è simile, con Bruce che gli spezza le ossa e Charlie Owen che non si dà per vinto, tranne che è una sofferenza da guardare interpretato da due pivellini con tecnica appena decorosa e in compenso zero carisma.

Lo schiaffo in testa del drago!
Ma ora i lati positivi!
Lo stile di combattimento mostrato è sicuramente più simile a quello del vero Bruce Lee rispetto a quanto fece a suo tempo Dragon: gran raffiche di pugni, niente acrobazie, il suo classico calcio allo sterno… il fatto è che Bruce era 70% efficacia e 80% carisma (= 150%), ma se non hai carisma l’efficacia da sola è noiosa e a quel punto tanto valgono le capriole di Dragon. Poi ok che qui ci si vuole concentrare su Bruce Lee ragazzo piuttosto che l’atleta, ma un conto è raccontare un suo lato meno conosciuto, un altro è dare l’impressione che le arti marziali fossero per lui solo una specie di hobby in cui era casualmente talentuoso. Per uno che sull’arte di combattere ci ha fondato il suo intero scopo e filosofia di vita, è un po’ riduttivo. Quindi niente, era un lato negativo pure questo.
Lati positivi!
Se siete ignoranti e felici di ignorare, ovvero il 95% del pubblico, è sì un film continuamente frammentato da dettagli goffi e inutili, ma tutto sommato simpatico. E l’inseguimento finale sulle impalcature di bambù ha il suo perché. E il padre di Bruce Lee lo fa Tony Leung. Miiiiitico.

Ti ricorderemo così, Aarif
DVD-quote:
“Bruce Lee’s Facebook Page – The Movie”
Nanni Cobretti, i400calci.com
P.S.: e ok, fra tutte le scene didascaliche, quando c’è il bambino che dice “io mi chiamo Unicorn” ho sorriso :)
credo di aver letto in una biografia che Bruce abbia partecipato in gioventù a un torneo di boxe su suggerimento di un missionario e leggenda vuole che lo abbia anche vinto…
ma il libro lo lessi alle superiori durante le inutili assemblee di classe… quindi la memoria vacilla…
vittoria assoluta per il cugino Marvin Clay!
@joe: ma io LO SPERO che tu abbia ragione, perche’ altrimenti e’ la scena piu’ inutile/frustrante che io abbia mai visto. Ti dico pero’ quello che ricordo io: io ricordo che prese lezioni di boxe negli USA in qualita’ di ammiratore di Clay, e che ne incorporo’ i tipici saltelli sulle gambe nel proprio stile. Cosa che tra l’altro fece incazzare i puristi quando li videro in bella mostra nella sequenza dell’Urlo di Chen in cui schiva cinque calci consecutivi danzando come un pugile (in un enfatico rallenty, per di piu’).
beccato su wiki: “Tutto ciò che il giovane Lee ricevette prima di imbarcarsi furono 100 dollari. Fu così che Bruce partì; con un titolo di campione ‘interscolastico’ di boxe, e uno di campione di cha cha cha di Hong Kong. ”
Poi se vogliamo, quando zeppano la boxe in film su campioni di arti marziali esce sempre roba ridicola… mi ricordo quel film su Sosai Oyama di produzione coreana (non ricordo ahimè il titolo) dove fanno vedere che Sosai è un pugile professionista e hanno invece saltato le mitiche bullfight e bearfight che lo resero celebre…
fighter in the wind! ecco quale era il titolo, dannazione!
@joe: ottimo! Sono sollevato. E’ effettivamente il tipo di scena che ha senso di esistere solo se e’ avvenuta davvero, anche se su questi dettaglini mi fido di Wikipedia quanto di mio cugino (che ha letto pure lui almeno una biografia di Bruce Lee, ma 20 anni fa). La cosa del cha cha cha fortunatamente si sapeva, e nel film e’ messa giu’ in modo ultra-spettacolarizzato ma carino.
L’altra curiosità “non marziale” che avrebbero potuto raccontare, oltre al risaputo corso di cha cha cha, riguarda il fatto che il giovane Bruce faceva già l’attore in Cina (robetta drammatico sentimentale). Questo i vari “Dragon” non lo dicono mai, lasciandoti credere che il provino USA per Green Hornet sia stato l’inizio di tutto.
Ha partecipato a 20 filmacci china in bianco e nero, proprio nell’arco che va dal bambino al diciottenne. Se non ne parlano neppure qua è follia.
P.S.
Ma viene dato un qualche spazio a sto fratello del titolo o sta solo immortalato nelle fotografie?
Si’ nel film ovviamente mostrano la sua carriera di attore, anche se e’ piu’ una scusa per mostrare tutte le persone che ha conosciuto grazie ad essa che altro. Un po’ tutto il film e’ cosi’: una carrellata di aneddoti e persone con poco senso o sostanza sotto.
Il fratello compare di persona a inizio film per introdurlo, poi rimane un personaggo secondario. Il fatto che comunque all’epoca avesse 10 anni dice molto sull’affidabilita’ dei suoi ricordi.
Il fatto che Lee fosse campione interscolastico di boxe può nascere da un errore di traduzione: tra i vari nomi dei vari stili di kung fu appare spesso il suffisso chuan, che viene tradotto come pugilato (ex: mei hua chuan = pugilato/boxe del fiore di pruno)
Invece i cinesi ci tengono a dimostrare la supremazia del kung fu sulle altre arti marziali perchè quasi sempre chi fa kung fu le prende dagli altri stili. Sad but true.
Mi fa anche sorridere, e mettere in guardia, “campione di cha cha cha di Hong Kong”. E’ il tipo di cosa che a seconda delle fonti trovi di tutto da “una volta ha vinto una gara di ballo in un club e ha un buffo volantino in Comic Sans per dimostrarlo” a “Ha ricevuto una medaglia d’onore in cha cha cha dall’Imperatore di Hong Kong in diretta nazionale davanti a una folla di milioni”. Il film mostra una cosa piu’ simile alla prima opzione.
@Nanni Cobretti
è un po’ come il “Van Damme campione mondiale di Kickboxing” che ogni tanto spuntava nelle didascalie di TV sorrisi e cazzoni.
Mentre promuovevano il film in uscita, in giro per i centri commerciali, continuavano comunque a cercare un sosia migliore di Aarif :)
http://www.youtube.com/watch?v=RadGkHMHPJw
Quelle volte che posso scrivere “non lo so e mi scocciava guardare” mi invidio da solo ;)
Ma Aarif poverino fa quel che puo’. Mi sembra molto il Brandon Routh cinese in questo senso.
“Cassius? Sono io, tuo cugino! Marvin Clay! Ti ricordi quelle innovazioni pugilistiche che stavi cercando? Ecco… ehm… te le descrivo quando arrivo a casa perchè questo non è un iPhone e l’audio da solo non serve a nulla.”
Nanni, sei un genio.
@Nanni Cobretti
Capisco che vuoi dire ma Brandon Rutto viene chiamato solo perché (secondo loro) somiglia tantissimo all’eroe originale. Qui, oltre a non aver usato un sosia di Bruce, vai pure a scegliere un “pivellino con tecnica appena decorosa”.
Con tutti gli artisti marziali che circolano in oriente!
Ok che l’atleta Bruce era ancora un po’ acerbo da giovine (e che il film non punta sui combattimenti) ma pivellino non lo accetto.
ma vogliamo parlare del tuffo nel sociale col suo amico che si lascia andare nel tunnel della droga?
avevo gia’ i rantoli da noia o e’ successo davvero…..
cmq nn sono riuscito a finirlo, l’occhio mi andava ai panni da lavare ecc ecc…
Guarda, io sapevo semplicemente che Bruce e’ stato “spedito” negli USA perche’ attaccava brighe facile, aveva svariati nemici e rischiava di farsi arrestare. Che l’abbiano voluta rigirare come tragedia personale per via di un amico drogato (che sicuramente e’ esistito davvero e di cui hanno sicuramente approfittato perche’ e’ morto) la ritengo una via di fuga tutto sommato accettabile.
Marvin Clay vince tutto.
@Nanni Cobretti
Chissà come sarebbero andate le cose… se lo avessero spedito in Italia.
http://www.youtube.com/watch?v=puMsx3LU-Vw
Il film invece è molto bello, ed è fedele se non al 100% almeno per il 90% alla vita reale della famiglia Lee, certo che sono state inserite alcune scene per fare una storia a se, ma è normale, lo fanno in tutte le biografie, anche backbeat ci sono scene che non corrispondono alla quello successo veramente ai 4 baronetti di Liverpool pre Beatles, In quanto all’incontro di boxe, no so se lo ha mai fatto in un ring ad Hong Kong ma ci sono testimonianze e prove che lo abbia fatto negli USA, però gli incontri da strada, specialmente contro gli allora dominatori britannici, quelli sono reali
guardatevi la leggenda di bruce lee. Purtroppo per noi italiani hanno fatto solo 30 puntate, originariamente ne sono 50. E’ una serie televisiva fatta con la supervisione della moglie e della figlia di Bruce Lee come tutto il materiale cinematografico uscito post mortem. L’attore che lo interpreta non dico che è identico ma è parecchio somigliante, ben girato e ben reecitato. Molte scene combattive, molte altre toccanti, ma il tutto fatto con parecchia passione sia per Bruce che per il Kung fu. La storia narra dal periodo adolescenziale cinese alla morte, facendo parecchia attenzione ai vari mix di lotta e di stili e alla continua ricerca che Bruce ha fatto per dar vita al suo Jeet Kune Do. Tra i vari stili utilizzati c’è il cha cha cha, la boxe occidentale, gran parte del kung fu, thay boxe etc. Ve lo consiglio spassionatamente!!!!
Non solo era campione di boxe, ma sapeva tirare di scherma e praticava Yoga!!
Inoltre chiamare Dragon Bruce Lee era per lui offensivo!! Perchè all’età di 1 anno fece una comparsa in un film del padre (attore benestante) dove questo bimbo aveva i baffi ed era chiamato Dragon. Per tutta la carriera scolastica BL fu preso in giro per questo film cha aveva fatto ed è per questo che finiva sempre in mezzo ai casini e il padre lo mandò a San Francisco dallo zio a studiare.