Volevamo raccontarvi un pugno di film di James Bond in preparazione a quello nuovo, la cui uscita era prevista per il 10 aprile, ma poi è stato spostato a novembre.
Pensavano forse di scoraggiarci?
Col cazzo: adesso ci mettiamo qua e ve li raccontiamo TUTTI.
A voi Le Basi: 007.
D’accordo, che i film di Bond siano iperbolici e spesso cartooneschi è qualcosa che ci aspettiamo, anzi, li apprezziamo proprio per questo, però a volte si esagera, specialmente con questi villain larger than life e i loro arzigogolati piani di dominio dell’universo. Cioè, adesso vi sembra possibile che un magnate delle telecomunicazioni possa manipolare le informazioni, arrivando a piegare la realtà e/o a fabbricare notizie false, per poter controllare il pubblico e la politica, esasperando la conflittualità, l’incertezza e un diffuso senso di paura per il proprio guadagno? Dai, anche alla sospensione dell’incredulità c’è un limite. Sigla!
Per interpretare la title track, Sheryl Crow vinse una specie di gara tra artisti. Ma il veterano compositore John Barry non apprezzò di vedersi appioppare una canzone già pronta scritta da qualcun altro e mollò il posto a David Arnold
È il 1997, solo due anni dopo l’uscita di GoldenEye, e la EON e la MGM hanno una fretta fottuta di far uscire un nuovo 007. Un po’ per capitalizzare sul notevole – e in parte inaspettato – successo del nuovo Bond Brosnan, e un po’ per complicate questioni commerciali e finanziarie. È il 1997 e vanno di moda gli affondamenti navali e i recuperi di relitti sottomarini: il motivo per cui Il domani non muore mai – che inizia con l’inabissamento di una fregata militare che più avanti verrà raggiunta sul fondo del mare dai nostri eroi per investigare – non debutta al primo posto del box office statunitense e mondiale è che esce in Usa lo stesso giorno di una cosuccia trascurabile come Titanic (scene di entrambi sono state peraltro girate nella stessa mega-vasca). È il 1997, e anche se il cyberpunk è nato e si è consolidato nel decennio precedente, per qualche ragione improvvisamente in tutti i film ci devono essere gli hackers, i computers e gente che smanetta velocissimamente su una tastiera con una sola mano senza guardare e quindi evidentemente scrive cose tipo “njhjgjhvhvghyuvhugvhjkuynitusp0m’0”. (La ragione di questo in realtà non è così difficile da intuire: la tecnologia ha in questi anni un’impennata evolutiva notevole, e anche una penetrazione sempre più pervasiva nella quotidianità di tutti, non solo di pochi eletti, ma internet non ha ancora ribaltato la società e la capacità di maneggiare davvero in modo consapevole questa tecnologia è riservata a scienziati e smanettoni nerd, restando misteriosa ai più).
ispirazioni cyberpunk e grafiche brutte: al regista questi titoli di testa facevano comprensibilmente così cagare che si è fatto mettere il nome sul nero alla fine
È il 1997 e il Regno Unito sta per riconsegnare Hong Kong alla Cina: è tipo l’evento dell’anno, e come ideare uno sfondo migliore per un’avventura di 007, così vicino alla storia dell’impero britannico e all’MI6, così rappresentativo di un gigantesco mutamento di scenario geopolitico internazionale che corrisponde al cambiamento della figura stessa dell’agente segreto al servizio di Sua Maestà? Tanto più che siamo al diciottesimo film, i romanzi di Fleming sono stati già saccheggiati in lungo e in largo, qualcuno addirittura rifatto due volte, è il momento di inventare una storia nuova e – che culo! – l’attualità fornisce un’ambientazione perfetta. Questo è il momento di elencare il plotone di gente che si è avvicendata alla scrittura di questo nuovo capitolo bondiano: John Cork, Richard Smith, il romanziere Donald E. Westlake, il co-produttore Michael G. Wilson, Bruce Feirstein (che viene assunto, licenziato e riassunto, e a cui lo script è alla fine accreditato), Nicholas Meyer, Dan Petrie Jr., David Campbell Wilson e altra gente di cui s’è quasi persa memoria; riscritture su riscritture durante le quali lo spunto dell’handover viene più volte ripescato e infine abbandonato (ma farà da sfondo a un nuovo romanzo di Bond, sempre di quell’anno), soprattutto perché anche se oggi col senno di poi sappiamo che si trattò di una cessione pacifica, all’epoca non era per nulla sicuro che non ci sarebbe stata una Tienanmen parte 2, e in effetti fare uscire il tuo film in cui 007 se la spassa a Hong Kong mentre magari nella realtà il governo cinese sta reprimendo nel sangue qualche protesta non è il caso.
Poco male, visto che la cosa più importante di tutte – del film e della storia del cinema – non viene cambiata, ovvero la presenza di Michelle Yeoh nel ruolo che la consegnerà alla giustissima e strameritata notorietà internazionale. Yeoh è una ex miss Malesia ed ex ballerina che, dovendo rinunciare alla carriera nella danza professionista dopo un infortunio, si dedica ovviamente a un mestiere più tranquillo e agevole, quello di attrice e artista marziale, impegnata a eseguire in prima persona la quasi totalità degli stunt nella vivissima cinematografia action hongkonghese anni 80 e 90. Lanciata sullo schermo da Sammo Hung, ha lavorato tra gli altri con Jackie Chan, Johnnie To e Yuen Woo-Ping, e in Il domani non muore mai interpreta Wei Ling, la Bond Girl del terzo atto, in realtà un corrispettivo femminile e cinese di James stesso: all’inizio spia rivale, poi i due collaborano alla pari, infine lei ovviamente si fa catturare e lui la deve salvare perché ehi, adesso non esageriamo, già abbiamo dato abbastanza col femminismo in GoldenEye. Facendo ricerche per questo pezzo ho trovato una recensione di Tullio Kezich dell’epoca che la definisce “una malese grintosetta, più brava a fare le capriole e a tirare calci in faccia che a recitare”, e se Kezich fosse ancora vivo gli direi: “Tullio, non ti devi permettere”. Tra l’altro, nel set confusissimo di Il domani non muore mai, che ovviamente deve cominciare le riprese un po’ alla cieca senza che lo script sia ancora finito, con i grandi attori Judi Dench e Jonathan Pryce che si lamentano delle proprie battute, l’altra Bond Girl Teri Hatcher che scopre all’ultimo momento di aspettare un figlio, e Pierce Brosnan più sicuro di sé ma anche già con propensioni da divo, Yeoh, abituata ai rocamboleschi set hongkonghesi, è quella più a proprio agio, anche se il regista Roger Spottiswoode non le lascia fare proprio tutti tutti gli stunt come era abituata (ciononostante è protagonista di una bella scena di menare benissimo coreografata, vedendo la quale immagino Tullio Kezich avrà avuto un mancamento e avrà urlato “oh cielo! I sali, perdiana, portatemi i sali!”).
A parte per Michelle Yeoh, Il domani non muore mai si ricorda anche per un’altra cosa, che all’epoca aveva fatto un certo scandalo: il product placement a uso ridere. Naturalmente fin dalla propria concezione James Bond è un personaggio che anche sulla sottolineatura dell’utilizzo di certi marchi fonda il proprio fascino: l’Aston Martin, il Martini, etc. Ma questo film è uno dei primi – e credo finora rari – casi in cui l’intero budget produttivo è coperto dal product placement: l’esempio più eclatante sono le due sequenze dedicate alla nuova BMW di Bond, prima presentatagli da Q in tutte le sue avveniristiche caratteristiche (in pratica è KITT di Supercar, solo con voce femminile perché i maschi non riescono davvero a trattenere l’attenzione di Bond per più di pochi minuti), poi martellata e inseguita dai cattivi in un parcheggio, teleguidata da Bond dal sedile posteriore in un’efficace dimostrazione di prestazioni eccezionali, velocità, super resistenza agli urti e altre categorie valutate dal “Quattroruote”. Ma non c’è praticamente scena in cui non compaia un marchio di qualche tipo, dall’orologio Omega al telefonino Ericsson, fino alla pistola Walther P99, che rimpiazza per la prima volta la Walther PPK usata nei film precedenti. E poi AVIS, Heineken, L’Oreal, VISA, il tutto non solo limitato al film in sé, ma anche a pubblicità, tie-in, propaggini varie, etc. In molti storcono il naso per la sfacciataggine dell’operazione commerciale (perché, si sa, di solito i film sono un affare di beneficenza), mentre i puristi di Bond, più comprensibilmente, notano che non proprio tutti tutti questi marchi sono d’altissima classe e raffinatezza, e che il personaggio rischia di essere sacrificato a una specie di svendita di seconda mano.
Stiamo comunque parlando di un film il cui titolo nasce letteralmente da un refuso: doveva essere Tomorrow Never Lies, in riferimento alla canzone beatlesiana Tomorrow Never Knows e al titolo del giornale “Tomorrow” posseduto dal villain Elliot Carver (qualcuno disse ispirato a Rupert Murdoch – e la cosa sarebbe stata davvero preveggente, visto che Murdoch aveva lanciato FoxNews appena nel 1996 – ma in realtà costruito su Robert Maxwell, fondatore del Mirror Group e morto in circostanze misteriose). Poi qualcuno ha sbagliato per caso a digitare una lettera, è diventato Tomorrow Never Dies che, come nella migliore tradizione bondiana, non vuol dire niente, ma suona bene e ha un riferimento alla morte e/o all’uccidere, e i Broccoli (gli eredi, ché Albert, pace all’anima sua, ci ha lasciati proprio durante la lavorazione del film) si son detti sai che c’è, bello, teniamolo. Spottiswoode (regista del tesissimo Sulle tracce dell’assassino, ma anche di Fermati o mamma spara e Turner e il casinaro), succeduto a Martin Campbell (che non voleva fare due film di Bond di fila, e ha preferito dedicarsi a La maschera di Zorro, portandosi anche dietro Anthony Hopkins, la prima scelta per interpretare Carver), è un solido artigiano capace di fare un po’ di tutto (gli ultimi suoi film che ho visto sono Il mio amico Nanuk, un film per ragazzi con un tenerissimo orso bianco, e A spasso con Bob, ricostruzione della vera storia del gatto Bob, RIP), non certo un Autore.
Per un insieme di tutti questi, più altri, fattori, Il domani non muore mai all’uscita riceve recensioni tiepide, e in generale è considerato un passo indietro rispetto a GoldenEye. Ma secondo me, tutto sommato, non è affatto male. Sì, patisce forse una certa patina d’anonimato, dovuta anche al fatto che il rimaneggiatissimo script, alla fine, risulta prodotto con il generatore automatico di Bond movie: abbiamo tre Bond girl, la prima che appare solo all’inizio per trastullarsi nuda con James e venir subito piantata in asso a causa di una missione (in questo caso è una professoressa di danese messa lì apposta per un paio di originalissimi doppi sensi sulla “lingua”), la seconda che fa l’agnello sacrificale (l’ex Lois Lane e futura desperate housewives Teri Hatcher, raro caso di ex fiamma di 007 che ricompare dal suo passato, nonché unica moglie di un Bond villain), la terza e ultima che è una collega più o meno alla pari e ha la fortuna di arrivare viva al termine, per il limone finale d’ordinanza (Michelle Yeoh, appunto); abbiamo un cattivone sul filo della parodia che ci porterà a un gran finale pirotecnico nel suo segretissimo covo; abbiamo un classico sgherro biondo, grosso, violento e cattivissimo (il tedesco Gotz Otto; leggenda vuole che al provino gli chiesero di presentarsi in 20 secondi, lui rispose “Sono grosso, sono cattivo e sono tedesco, 5 secondi, tieni il resto”. Parte assegnata seduta stante); abbiamo gli americani che come al solito non capiscono un cazzo; abbiamo M e Moneypenny che ritornano a fare battutine e strizzate d’occhio, praticamente imponendo a James di prostituirsi con la succitata vecchia fiamma, ché quasi mi son sentita io a disagio per lui.
Però abbiamo anche un Pierce Brosnan un po’ più convinto, nel ruolo, rispetto alle incertezze di GoldenEye; Michelle Yeoh che spacca su vari livelli; diverse scene action notevoli, in particolare l’inseguimento in moto ed elicottero a “Saigon” (in realtà è la Thailandia a interpretare il ruolo del Vietnam in questo film, per ragioni di permessi non concessi e di un certo vecchio conflitto forse non ancora risanato del tutto); abbiamo lo straordinario Vincent Schiavelli nel breve ma indimenticabile ruolo di un killer professionista, e si sa che Vincent Schiavelli migliorava automaticamente ogni film in cui appariva. Quando evita doppi sensi che erano già super cringe nel 1997, il film ha anche dei bei momenti autoironici (come la famosa scena con Q all’aeroporto). E, sì, il cattivo è macchiettistico (anche per l’interpretazione caricata di Jonathan “Alto Passero/papa Francesco” Price), ma la sua ossessione per il controllo senza scrupoli di informazioni create ad hoc ci prova che si può vivere abbastanza a lungo perché i più assurdi piani di un Bond villain possano rivelarsi non poi così assurdi.
Il punto è che Il domani non muore mai è un Bond movie classico e tradizionale, seppur – sulla scia di GoldenEye – riconfigurato nello scenario action esplosivo e spettacolare del periodo. Certo, chi si aspetta un’ulteriore decostruzione del personaggio, già iniziata nel film precedente, resta sicuramente deluso, e deve attendere Daniel Craig, Casino Royale e Skyfall per ottenere un po’ di soddisfazione. Ma a chi va di passare un paio d’ore (è anche uno dei Bond più corti) in compagnia di una “semplice” avventura di 007, con tutti i punti della 007 checklist rispettati, può trovare qui un capitolo dignitoso e divertente. Titoli di coda:
avrebbe dovuto essere questa la vera canzone del film
Bond Girl & Bond Villain by Gianluca Maconi:
Dvd quote:
“Capriole e calci in faccia”
Xena Rowlands, i400calci.com
Cosa ricordavo de “Il domani non muore mai” prima di rivedermelo? La title track di Sheryl Crow (perché piaceva alla mia ex), Jonathan Pryce che fa Rupert Murdoch, la Yeoah che fa esordire le arti marziali serie nel franchise e la BMW guidata dal cellulare. Stop. Un po’ poco direi…
Rivedendo il film recentemente capii il perché: è di un piattume disarmante. Poche scene action ben fatte (tipo l’elicottero al mercato), Bond-girl scialbe che nonostante la grinta della Yeoah, la Hatcher manco la ricordavo, una storiella banalotta con elementi che non spiccano per originalità, cattivo che è più un quaqquaraquà che una vera minaccia. Insomma, un deciso passo indietro rispetto al “GoldenEye” uscito solo due anni prima. Tutto è fatto col pilota automatico come nei peggiori capitoli, e pure questo, come quelli, non si salva dall’anonimato.
Più che raccontare una storia o mettere in scena personaggi convincenti, tutti sembrano preoccupati di mostrare la marca del cellulare, l’orologio, l’auto nuova,… Un costosissimo spot per i vari brand che fanno a gara per sfoggiare i propri prodotti nella vetrina più famosa del cinema (come la vetrina vera e propria con tanto di marchio AVIS in primissimo piano sfondata dalla BMW!). Già in passato sta pratica veniva messa in atto, ma in questo 007 la cosa è così evidente e ripetuta che provoca fastidio.
Brosnan almeno è molto a suo agio nei panni di Bond e la sua performance è sciolta e convincente. Non nego che seppur non essendo il mio favorito di sempre, l’irlandese c’ha il physique du role e i panni di 007 gli cascano a pennello. Peccato che la pellicola non lo supporti per nulla e anche lui, seppur con tutta la buona volontà del mondo, non possa far molto per salvare il film dall’oblio.
E ora mi metto comodo perché è da quando avete deciso di fare “La basi – 007” che attendo la rece su Christmas Jones…
Manca una “S” in “DIE” nei bellissimi (come sempre) disegni di GM.
Desolato, correggo. Grazie.
Concordone con la rece.
Non capisco la cattiva fama che mi pare circondi questa seconda brosnanata. Un Bond classico, ben calato nel suo tempo, il vero Bond “90s” nei colori, nei temi e in una certa scemeria tecnologica*. Minore in tutto rispetto a Goldeneye, ma piu’ compatto, che Goldeneye si infiacchiva nel finale, mentre qui tutto fila liscio.
*l’altro giorno ho visto per la prima volta “Facile preda”, che se non lo consigliava Nanni anni fa mai avrei preso in considerazione: cagatona adorabile. Ma e’ anche uno degli esempi piu’ clamorosi che ho visto di un film fatto agli albori di internet (1995) in cui internet e la computeraggine stessa sembravano pura magia, con gli hacker visti come un druidi moderni sul semi-onnipotente andante.
Sempre trovato divertente e ben fatto, amore eterno per Michelle Yeoh.
Elugububrescion personalissima: non capisco dove si evinca che Pierce apparisse insicuro in Golden Eye, per me è sempre stato un Bond perfetto.
Per me eeeehhh!!!
Alt, errore grave al secondo paragrafo. John Barry preso male dalla canzone di Sheryl Crow??? L’ultimo 007 musicato da Barry era Zona Pericolo nel 1987, si era preso così male per la canzone da lasciare Bond dieci anni prima che il brano venisse inciso, all’attore precedente?
Finito la recensione.
Premetto che è il mio Bond preferito, quello in cui Brosnan raggiunge la perfezione, non ci sono deviazioni dal canone (neanche positive, come il Bond giovane dell’incipit di GoldenEye), è un film drittissimo e piacevole, che sinceramente liquidare come “Quello con Michelle Yeoh” mi sembra riduttivo (en passant Kezich mi sembra concordare con Xena, o viceversa: Michelle è strabrava a menare più che a recitare, e non sarò io a smentire una frase del genere, visto che su I400Calci dovrebbe essere il miglior complimento possibile).
Sì, è molto pieno di marchi e marchette (pun intended) ma francamente amo la scena in cui Brosnan guida la BMW da remoto col cellulare steso sul sedile posteriore, e lo vedi proprio che si diverte come un bambino.
La sequenza teaser è ottima, quella in cui Bond scassa l’intero mercato delle armi in Russia a bordo di un jet e poi se ne vola via.
La canzone della Crow è bella bella e i titoli di testa di Kleinman mi piacciono. Poi non vorrei dire ma è accaduto varie volte che il nome del regista fosse messo in coda, a sequenza titoli finita.
Non capisco il riferimento al romanzo che Xena fa. Raymond Benson, lo scrittore all’epoca titolare della Licenza di scrivere, esordi nel 1997 con un primo bellissimo romanzo, Conto alla rovescia, che aveva come sfondo proprio la cessione di Hong Kong alla Cina, e in seguito, nello stesso anno, dovette occuparsi anche della novelization di Il Domani non muore mai. Un caso di lavori uno, ti pagano due: bravo Raymond.
La morte di Teri Hatcher, il senso di colpa di Bond nel trovarla a letto cadavere e la sua vendetta efferata e immediata sono a mio parere i minuti più belli dello 007 di Brosnan.
Barry era in trattative per tornare e alla fine non l’ha fatto. Dov’è l’errore?
Ciao!
Riguardo John Barry, sulla pagina di wikipedia inglese del film si legge “Prolific composer John Barry was in talks to return to the James Bond films for the first time in a decade but could not reach an agreement over his fee according to his then-agent Richard Kraft”. Su IMDb viene invece riportato questo: “One of the main reasons why John Barry turned down the opportunity to score another James Bond movie was because the producing team insisted that he not have anything to do with the title song, which had already been assigned to Sheryl Crow. Barry was indignant at this stipulation, given his track record with Bond songs that are then echoed in the accompanying score. The gig then passed to David Arnold, who was equally unhappy about having a song imposed on him. Arnold’s solution was to write a new song for the end credits, “Surrender”, performed by k.d. lang, which thematically crops up throughout the score.” Ho cercato un po’ altre fonti online, e anche se non c’è una versione ufficiale, sembra proprio che Barry non sia tornato per varie ragioni, tra cui soprattutto quella di non avere il controllo definitivo su tutto, come invece aveva avuto in precedenza. Comunque Arnold l’ha segnalato lui alla produzione, e il nuovo compositore si è impegnato infatti a realizzare una OST molto barryana.
Riguardo la recitazione di Michelle Yeoh, naturalmente la mia “critica” a Kezich era soprattutto rivolta al suo valutare come “non recitazione” le abilità di artista marziale di Yeoh, in un ruolo in cui quella è la cosa principale richiesta (denotando un certo snobismo oltre ovviamente a una totale non conoscenza del cinema hongkonghese, ma ovviamente mica tutti i critici devono essere esperti di tutto). Però non concordo sul fatto che non sappia recitare per niente: qui è sicuramente ancora limitata dalle difficoltà con l’inglese, forse, ma non mi sembra per nulla scarsa (rispetto anche ad altre Bond girl passate), e in generale la reputo una buona attrice.
Riguardo al nome di Spottiswoode sul nero alla fine dei titoli, è un altro aneddoto che ho trovato online su alcuni siti dedicati a Bond, non un’illazione mia: certo è possibile che sia una leggenda metropolitana, ovviamente, ma mi sembrava una cosa divertente da segnalare.
Riguardo al riferimento al romanzo, intendo proprio quello che dici tu: lo stesso anno è uscito anche un romanzo di Bond ambientato nel corso dell’handover, cosa che era nel frattempo stata un’idea per il film poi scartata.
comunque in generale io penso – e l’ho scritto – che questo sia un Bond molto classico, con tutte le sue cose giuste al posto giusto: per qualcuno questo può sembrare “banale” o “già visto” o “deludente”, ma la formula è rispettata e il film è divertente e piacevole, anche se non innovativo.
Allora errore mio, scusa. :) Mi spiego: ammetto di essere sorpreso di scoprire che ci fosse stata una possibilità di riaverlo perché ero convinto avesse smesso di aver a che fare scientemente con 007 da tempo, per due motivi. Il primo, pratico, è che questo è già il terzo film senza di lui, quindi ormai alla Eon dovevano essersi abituati, e il secondo, simbolico, è il cameo di Barry stesso come direttore d’orchestra in Zona Pericolo, che avevo sempre interpretato come un Addio voluto a Bond, scopro adesso essere stato un addio si, ma casuale.
Poi David Arnold (già grande appassionato di 007 e autore di un disco di remix barryani) fa un gran bel lavoro. Risale al periodo TND anche il remix techno del theme ad opera di Moby, che è una figata pazzesca.
Ormai mi ero “votato” a Mission Impossible, che come film ho trovato decisamente piu’ fresco.
Ma mi ha divertito, tutto sommato.
I marchettone ci sono sempre stati nei film di 007. Ricordo la 7up (non proprio una bevanda di classe) in Moonraker,ad esempio.
Concordo con chi dice “meglio Goldeneye”, comunque a me continua a piacere il Bond non coinvolto sentimentalmente.
Concludo col ricordo della versione di Rocco Siffredi: “Rocco never dies”.
“Lo stiamo perdendo…lo stiamo perdendo!”
C’erano varie (EC)-citazioni di film di menare e d’autore, se non sbaglio. A partire dal titolo, omaggio alla saga di 007, e poi “i nuovi eroi”, “Platoon”, per finire con un omaggio ai videogiochi sparatutto in prima persona.
per quel che mi riguarda il problema del product placement è che quando diventa troppo sfacciato ti fa tornare con i piedi per terra, ti ricorda di esser in un film come quando vedi un microfono che per sbalgio entra nell’inquadratura. insomma ammazza la mmmmagia der filme.
haha, un vero “sbalgio” in effetti. :P
All’epoca trovai originale l’idea di fondo:un villain re dei media che organizza disastri e omicidi per destabilizzare equilibri politici mondiali e pubblicare in anticipo su tutti le relative notizie.
È un po’ tutto il contorno che me lo ha fatto diventare un film abbastanza trascurabile: la Hatcher me la ricordavo per essere stata Lois Lane in una serie di Superman e qua, scusate, ha tempo di fare sesso con 007 per poi essere ammazzata.
La Yeoh è bravissima a menare e tirare calci (ed è un complimento), ma il suo personaggio ha proprio zero caratterizzazione.
Poi tutti gli altri: il killer con anni di esperienza e omicidi alle spalle che si fa fregare con un trucchetto, il discepolo del suddetto che è un Necros un po’ più sadico, l’auto guidata a distanza che proprio non mi è mai andata giù…
Brosnan però sembra divertirsi per tutto il film. Meno male
Il primo giorno di programmazione fu la vigilia di Natale; anch’io mi divertii moltissimo, da solitario moviegoer del pomeriggio, tanto che ci tornai – stavolta in compagnia – la sera di Santo Stefano.
Mi entusiasmai fin dalla classica, rodomontesca (rodobondesca, verrebbe voglia di variare) Pre-Title Sequence: “È vietato parlare al conducente”…
Sul piano personale, ricordo pure un improvviso retrogusto bittersweet, dovendo prendere atto che dal mio primo OO7 «La Spia che mi amava», con il quale vedevo palesi addentellati, era già trascorso un quinto di secolo.
“Twenty years has gone so fast
Wake me up when DECEMBER ends”…
Tutte quelle persone si sono messe a scrivere il film? Di fatto ci sono due potenze militari che rischiano di scazzare per i magheggi del cattivo di turno, e Bond in mezzo a metterci la toppa: è Moonraker, che già di suo era la Spia che mi amava nello spazio, che a sua volta era Si vive solo due volte ma meglio. A parte questo, il domani non muore mai è classico ma figo: l’apertura con il bazar dei terroristi merita più credito. C’è un dogfight aereo, il fuoco amico da evitare, il clandestino nel sedile passeggero, l’atomica che si scopre essere a bordo. E la battutona: “chieda all’Ammiraglio dove vuole gli spedisca la sua bomba…” Poi anche tante occasioni sprecate, come la canzone Surrender, o la scena eliminata dove Q fa vedere un giaguaro a Bond invece della macchina e lui fa: “Jaguar?” Insomma l’umorismo è migliorato, anche se Brosnan non ci è portato e sta di nuovo lì a fare la bella statuina o a litigare con le altre statuine: se Teri Hatcher è così tremenda è anche perché lei e Pierce si stavano alquanto sulle scatole… ma sono l’unico che ha pensato, siccome questa è una vecchia fiamma di Bond, di richiamare la Scorupco? Oppure, se era già in procinto di ritirarsi dalla recitazione, anche Kara da Zona Pericolo o Pam Bouvier da Vendetta Privata? Tanto si suppone che Bond sia sempre lo stesso dai tempi di Connery, no? Vai a capire certe scelte produttive…
Comunque il film in sé si lascia comunque guardare, Pryce fa già le prove per Pirati dei Caraibi, Brosnan si vede che si è divertito, e quando entra in scena la Yeoh l’azione si impenna, ma anche nelle scene di mezzo se la cava. Mi ricordo la scena della doccia ammanettati a bordo strada, dove si vede una rarità, ovvero un artista marziale che oltre alle nocche dure ha pure una bella presenza. E complimenti a chi a fatto i bellissimi disegni a fine recensione, che lo sottolineano.
Promosso con riserve qui e là. Spoiler: il prossimo aveva tutte le carte in regola per essere il Bond più figo di tutti, ma il risultato è una cagatona immane, che al confronto Austin Powers sembra Jason Bourne.
E approvo la intro che mi sono pure riguardato: Bond che si porta via l’aereo con i missili nucleari è una figata.
Il prossimo ha la bond girl / villain più gnocca di tutta la saga, e non accetto contestazioni. Per il resto, un film di merda.
Ma ne parliamo tra sette giorni 😇
Richiamare una ex è improponibile in uno 007 del tutto fuori dal canone. Le Bond-girl nascono e svaniscono nell’arco narrativo di un singolo film perchè 007 non può avere legami. Fa eccezione solo la moglie morta ovviamente, ma serve appunto alla catarsi bondiana di chi “c’è già passato, ha troppo sofferto e mo non ci ricasca” (infatti nessuno ricorda mai come si chiamava la porella).
P.S. O almeno così è sempre stato fino ad ora: poi ho visto il trailer di “No time to die”…
Ste83:
L’intro di Tomorrow è una delle migliori di tutta la saga, poche storie. E Sophie, ahh… la bella tra le belle. E pure la migliore villain femmina della storia bondiana. Christmas Jones si limita alla bellezza invece, ma non la ritengo così ridicola come tanti dicono (non all’interno del franchise almeno), ma ne parleremo sul post di quel film del cazzo :)
Marsellus Wallace:
Nel franchise ci sono parecchi altri elementi di continuity, tra cui anche le Bond girls… a parte i film con Craig che sono un caso a parte, già Connery si vedeva all’inizio di Dalla Russia con amore con Sylvia Trench, quella di Dr No.
Ma ok, diciamo pure che richiamare una ex è impossibile. Allora perché scrivere un personaggio che si è già incontrato con Bond in passato, se non vediamo una cippa di cosa hanno vissuto assieme? Io fossi un produttore della EON direi “a questo punto facciamo una strizzatina d’occhio ai fan di lunga data, no?”. Ma sono loro i produttori milionari, evidentemente io non ci arrivo ;)
Ps non guardo mai i trailer per principio, ma so quale personaggio di Spectre torna. E anche se mi è piaciuta, diversamente da molti che odiano ogni cosa del film precedente, ho molta paura di questo sequel.
Hai ragione, la Trench me l’ero completamente scordata. Mea culpa.
(Dopo «Tomorrow Never Dies», Hong Kong rimase un nervo scoperto, nell’epopea di OO7.
Cinque anni più avanti, esso venne toccato leggermente in «Die Another Day», come ambientazione, quando il Commander torna sul.campo dopo la prigionìa in NK e si scopre sorvegliato dall’intelligence di Pechino:
– Hong Kong’s our turf now, Bond!
– Don’t worry, I’m not here to take it back.
Put your hands down.
Ma quel nervo scoperto sarebbe stato toccato ben più drammaticamente nell’èra Craig, come antefatto, quando M ricorda che un certo loro agente nella già enclave britannica, nonostante l’avviato processo di handover, aveva proseguito senza mandato l’opera di hacking contro la Cina Popolare, finendo così “sacrificato” a quest’ultima per non turbare la transizione geopolitica ed ottenere la libertà di altri sei operativi MI-6…).
Condivido sulla bond girl più gnocca per quanto Cagna Maledetta, peccato duri pochissimo e schiatti prima ancora dei titoli di testa :(
Se il primo paragrafo di questa rece voleva essere sarcastico (da quando sono sposato non capisco più quando la gente scherza e quando è seria) è da applausi a scena aperta. Quello dell’influenza dei media sulla geopolitica (anche se rigorosamente perpetrato da un singolo villain come vuole la tradizione Bondiana) è probabilmente il tema più interessante ed attuale (allora come oggi) mai affrontato da un film di 007 e tale resterà, almeno fino all’avvento del mai troppo sottovalutato Quantum of Solace. Sfortunatamente il tema caldo è l’unico asso in mano a TND, e le altre carte sono da parati. Non ricordo un film con Pryce (e ne ho visti tanti) così mal recitato, mal doppiato e mal pettinato (ma chi era il barbiere?). La BMW che salta intonsa dal grattacielo nell’ufficio dell’Avis sarebbe stata ridicola anche in Fast & Furious 7 (ah, no, aspetta…). E la Yeoh, bontà sua, era caruccia ma ce la ricordiamo solo per essere stata la termocoperta di quel bel manzo di Jean Todt. Ma consoliamoci, che poi andrà anche peggio.
Stesso problema di tutti gli ultimi film di bond sia con dalton che con questi 2 di Brosnan. Interessante tutta la prima parte ma nella mezz’ora del confronto finale si dorme. Il teaser iniziale è spettacolare ed è uno spottone British rispetto agli americani. La Dench si conferma caustica e cazzuta. L’idea di fondo è di tremenda attualità e fa tremare le vene ai polsi considerando il negazionismo su tanti fronti che stiamo attraversando. Io non ho mai apprezzato la hatcher in nessuno dei suoi ruoli e qua si conferma fastidiosa. Brosnan invece si vede che si sta divertendo come un matto. Tutta la scena della BMW è esilarante in tal senso. Anche l’incontro con il killer della hatcher e i siparietti con Q.
Arrivo un po’ tardi… comunque è divertente notare come nello stesso anno sia uscito anche il film delle Spice Girls che, oltre ad prendere in giro tra le altre cose la saga di Bond (beccatevi i titoli di testa psichedelici e il cameo di Roger Moore con animale in braccio stile Blofeld), ha come cattivo di turno un magnate delle news e della carta stampata che non si fa scrupoli nel rovinare la vita della gente con notizie false (in questo caso, creare ad arte uno scandalo contro le Spice). Si vede che era nello spirito dei tempi…
Eh sì, Mister: per avere (avuto) un suino quale animale di compagnia, nella vita privata, può bastare essere George Clooney; ma per apparire sul grande schermo tenendone in braccio un “Babe” e pure nutrirlo con il biberon, senza per questo veder minimamente scalfito il naturale aplomb da distinto gentiluomo, credo che serva proprio la Roger-face…
(Per inciso, mi accodo al tuo commento su «Spice World» rendendo omaggio anche al cameo del sopracitato – nella rece – Anthony Hopkins, as «Dr. No»).
Quanto al tema “mass-media e.persuasori occulti” (nonché, volendo, il binomio “Girl Power!”) è datato 1997 anche «Wag the Dog» di Barry Levinson, in cui Washington chiama Hollywood non già per togliere le castagne dal fuoco all’ambasciata Usa in Teheran, bensì per inscenare una finta guerra dell’America contro l’Albania, quale distrazione di massa dalle accuse di molestie sessuali contro una girl-scout (sì, nell’Oval Office) che il Potus si è visto piombare, fra capo e collo, a due settimane scarse dall’auspicata riconferma elettorale.
Come sentenzia Elliot Carver, “There’s no news, like bad news”.