Anni fa, quando dibattevo con gli amici dell’uni sul perché da noi non esistesse una moderna produzione di genere, sul perché, dopo il 1980, il cinema popolare fosse morto per non risorgere mai più se non in casi sparuti e, spesso, ridicoli, una delle spiegazioni che ci davamo era “da noi non c’è un produttore serio. Manca un Luc Besson, che concentri intorno a sé una factory di gente che abbia voglia di spakkare”. Naturalmente eravamo un po’ ingenui, io e gli amici dell’uni, un po’ idealisti. Di problemi ce ne sono molti altri, a cominciare da una generale attitudine spocchiosetta verso qualunque cosa sia popolare e concepita con il solo intento di sollazzare, senza messaggi politici/sociali nascosti.
Oggi però posso dire che un po’ avevamo ragione. Lo posso dire perché, da quando esiste Matteo Rovere – che nella mia mente ha l’aspetto di Luc Merenda in Superfantozzi – finalmente ci si sta muovendo sempre più nella direzione giusta. Da regista, Rovere ha realizzato quella bombetta di Veloce come il vento e il meno riuscito, ma comunque molto interessante e importante, Il primo re. Ma è da produttore che Rovere sta impazzando, con la foga di chi vuole chiaramente diventare un punto di riferimento per chiunque voglia cimentarsi con il cinema di menare (cimenarsi?) nello Stivale. Smetto quando voglio, La Belva, e la serie ispirata a (e migliore de) Il primo re, Romulus sono tutte robe uscite dalla sua Groenlandia. E così anche Il mio corpo vi seppellirà, che, dopo il double feature del disagio Calibro 9 / Bastardi a mano armata, mi ha decisamente rincuorato sulle sorti del cinema italiano. Sigla!
Il mio corpo vi seppellirà è un film di Giovanni La Parola, che prima di questo aveva diretto solo una commedia con Luca e Paolo, …e se domani. Parte da una premessa davvero fighissima, una cosa che anni fa, in un impeto creativo, avevo immaginato: prendere l’Italia del Sud del dopo-spedizione dei Mille e usarla come canovaccio per un western. Le somiglianze non sono poche: l’epoca è la stessa, intorno al 1860 (in America era l’epoca della Guerra Civile). Come nel western c’era una terra senza legge dominata da banditi (i briganti, un mix di popolazione rurale ed ex soldati dell’esercito borbonico sconfitto), che lo Stato stava cercando di domare. Una frontiera, insomma. In qualunque altro posto si sarebbero scannati per produrre un film con queste premesse, tranne che ovviamente in Italia. Ma adesso ci siamo.
E, lasciatemelo dire, il piacere di esserci arrivati è ancora maggiore se pensiamo che dieci anni fa è uscito quel mappazzone di Noi credevamo, che sta a Il mio corpo vi seppellirà come un professore noioso che ti spiega la storia male sta a uno speciale di Superquark con Piero e Alberto Angela in gran spolvero. Con questo non voglio assolutamente dire che sia una grande lezione di storia, eh? Tutt’altro: è una versione stilizzata della realtà che prende la storia italiana e la modella secondo stilemi americani. Si muove senza vergogna in una sorta di mondo parallelo in cui il Regno delle Due Sicilie del Risorgimento era praticamente indistinguibile dal West spagnolo di Sergio Leone. È un film ambientato “nel cinema” come i western esageratissimi di Tarantino, che non a caso ho visto citato in giro. A me però ha fatto venire in mente anche esperimenti come Sukiyaki Western Django e Il buono, il matto, il cattivo, in cui l’epopea dei cowboy veniva, appunto, trapiantata in scenari in cui teoricamente non dovrebbe entrarci.
La Parola guarda abbastanza chiaramente alle esagerazioni tarantiniane come a quelle orientali, per realizzare un western femminista di grana grossissima e talmente in yo face (a partire dal titolo, che cita spudoratamente Il mio corpo ti scalderà) che finisce per conquistare di tenerezza. Perché il cuore è nel posto giusto e, per una volta, anche quasi tutto il resto. La scrittura non è il massimo, i tempi morti non mancano e i continui salti temporali confondono più che stupire (mi ha fatto venire in mente Anna di, non a caso, Luc Besson). La direzione degli attori è altalenante: l’accento piemontese dell’ufficiale cattivo è talmente caricaturale che finisce per distrarre, ad esempio.
Ma La Parola punta tutto sulla squadra delle brigantesse protagoniste e vince. Anche qui è tutto estremamente semplice: c’è la nuova arrivata timida che nasconde una grinta inaspettata e ha un passato tragico (con annessi flashback criptici alla Leone che si risolveranno nel finale); la donnona che taglia il cazzo a tutti gli uomini che si trova davanti; la leader dal sangue freddo (Antonia Truppo di Jeeg). Poi però c’è una Margareth Madè che sembra disegnata da Leiji Matsumoto e ha quel tipo di carisma che ti fa scattare in piedi ad applaudire a più riprese, soprattutto quando imbraccia per la prima volta il fucile e fa secco IL PATRIARCATO. A parte lei, le altre rispondono a dei cliché funzionali ma poco originali. Eppure tutto è ben amalgamato e funziona a modino.
Ma soprattutto Il mio corpo vi seppellirà è un film che non si ferma mai, e passa sopra ai suoi difetti con l’arroganza di un carro armato che abbatte un allevamento di polli (ah, come invecchierà male questo paragone). È un film in cui quando si spara si spara, non si parla. È un film in cui ci sono pistole che fanno BOOM fontane di sangue violenza a pacchi gente sudata e sporca ricchi grassi e antipatici e cattivi stronzi e irresistibili. Il Murat di Giovanni Calcagno (aka il Sandor Clegane italiano) è già il mio personaggio preferito dell’anno: un ex soldato borbonico che finisce per puro caso a lavorare per i piemontesi anziché fare il brigante e che, per sopravvivere, dà proprio la caccia ai briganti e come signature li decapita, ma sempre con lo sguardo sconsolato di quello che “io qui non ci volevo manco stare”. Vi prego date tutti i ruoli del cinema italiano a Calcagno d’ora in poi, che di Favino non se ne può più (ciao Pierfra, ti vogliamo bene! Grazie ancora per i Sylvester!).
Il mio corpo vi seppellirà è puro intrattenimento, porca vacca miseria, e meno male che finalmente c’è qualcuno che lo vuole fare. Di certo abbiamo ancora strada da fare, e siamo ancora molto discontinui in termini di qualità dei film di genere che sforniamo. Da un lato, film come questo sono esperimenti, tentativi di imbroccare una via commerciale che funzioni. Dall’altro, spesso è proprio quando si sperimenta che escono le cose più interessanti e che rimarranno nel tempo.
Per cui, ecco, magari sono anche troppo entusiasta adesso e tra qualche anno rivedrò le stime (lo spero, vorrà dire che sarà uscita roba molto più figa). Però una cosa la spero: spero che Il mio corpo vi seppellirà apra la strada a un filone di western risorgimentali, perché a forza di limarlo secondo me ne potrebbe uscire qualcosa di fortissimo. Nel frattempo, a posto così.
[Inserire riferimento a come la fruizione del cinema è cambiata durante la pandemia] quote:
“Il Risorgimento, però divertente!”
George Rohmer, i400Calci.com
DOV’È L’ULTIMO ARTICOLO DI EROI DI CARTA CON LA DISTRUZIONE DI SUPERMAN RETURNS?!
DOVE? DOVEEEEEEEEEE
Ps: tranqui George, ora leggo
Ma la sigla di Capitan Harlock dice “Nel suo occhio il cielo è azzurro…” o “Nel suo occhio c’è l’azzurro”? Non l’ho mai capito.
Non cielo dikono.
La seconda che hai detto.
Ho sempre canticchiato la prima. Comunque mi avete convinto, ho corretto.
…Che secondo me originariamente era “nei suoi occhi c’è l’azzurro”, poi corretto al volo dal compianto Albertelli dopo uno sguardo alle immagini di scena, in uno slancio di verismo.
La seconda, altrimenti non torna con la strofa successiva
“Nel suo occhio c’è l’azzurro,
nel suo braccio acciaio c’è”
Black cloack metter
Devo ammettere la mia ignoranza: di questo film non ero proprio a conoscenza!
Dopo una recensione del genere, non posso far altro che correre a vedere il film (3,99 su chili li investo volentieri).
Non mi posso ancora esprimere sul film, però vorrei dire la mia sulla, sacrosanta, introduzione della recensione, in particolare sul seguente passaggio:
“Di problemi ce ne sono molti altri, a cominciare da una generale attitudine spocchiosetta verso qualunque cosa sia popolare e concepita con il solo intento di sollazzare, senza messaggi politici/sociali nascosti.”
Ecco, secondo me, quel “nascosti” andrebbe sostituito con “palesi”.
Quando penso a cosa comparirebbe su un’enciclopedia alla voce “Film italiani”, credo di sarebbe scritto: “Film dove tutto è palese, a tratti urlato. Film che se lo vedi, entro 7 giorni ricevi la spaventosa chiamata del regista/sceneggiatore che vogliono essere certi che non ti sia sfuggito proprio nulla del loro messaggio politico/sociale.”
Potrà sembrare una precisazione da precisetto, ma lo dico perché a questi “nuovi film di genere” io gli voglio molto bene e non mi sognerei mai di dire che “Lo chiamavano Jeeg” non ha un messaggio politico/sociale; è solo che è più sfumato (vabbè, sfumato, non è che sia proprio ermetico, però ci siamo capiti) rispetto a un film di Ozpetek, non ha un occhio di bue puntato sopra, non è, come dicevo prima, palese, quindi manda in confusione quei loschi figuri che dimorano nei “salotti buoni”.
Ok, letta.
Mi hai comprato al dvd quote: il Risorgimento purtroppo non sono mai riuscito ad apprezzarlo come avrebbe meritato (complici anche lezioni noiose e una certa cretineria studentesca da parte mia).
Un western brutto, sporco e cattivo ad ambientazione brigantesca di fine ‘800… Venduto. Me lo cerco!
Sarà anche il Sandor Clegane italiano, ma sembra anche l’Ugo Dighero col phisique du role.
Hahahaha è vero!
Ho pensato la stessa identica cosa!!!
1) Per chi leggerà questo post nel FUTURO, il riferimento all’allevamento di polli arriva da questa notiziola:
https://www.repubblica.it/cronaca/2021/03/18/news/pordenone_carro_armato_sbaglia_mira_e_centra_allevamento_di_galline-292808553/
…di suo insignificante ma buffa abbastanza da generare una salva di meme che prevedibilmente si spegnerà entro qualche giorno.
(Nota di colore: c’è anche una pandemia in corso, è abbastanza grave ma non quanto i cambiamenti climatici che vi siete beccati voi posteri. Ahah, sucks to be you!).
2) Margareth Madè per me era sinonimo di Baarìa, fa piacere che sia passata dalla parte dei buoni.
3) Vedendo la prima immagine per un attimo ho pensato che la terza da sinistra fosse Sabina Guzzanti. Sarebbe stato carino.
Gasato dalla rece ho pensato “dai che finalmente mi vedo di nuovo un film Italiano” dando per scontato fosse su Netflix e invece non c’è (forse indizio ulteriore che sia un bel film).
“Parte da una premessa davvero fighissima, una cosa che anni fa, in un impeto creativo, avevo immaginato: prendere l’Italia del Sud del dopo-spedizione dei Mille e usarla come canovaccio per un western. […] In qualunque altro posto si sarebbero scannati per produrre un film con queste premesse, tranne che ovviamente in Italia. Ma adesso ci siamo.”
Precisinata da professore noioso: c’era arrivato gia’ Germi 70 anni fa con ”Il Brigante del Tacca di Lupo”, girato come un film di John Ford, con i bersaglieri filmati come giacche blu, i briganti calabri come apaches e Amedeo Nazzari come nostro (credibilissimo) John Wayne. Ed e’ una fottuta figata di film, pieno d’azione e di ammazzamenti, che non solo non sfigurava affatto vicino ai film della cavalleria di Ford, ma per me era persino un po’ meglio, inquanto piu’ sfaccettato, meno patriottico, piu’ cupo.
Questo ho qualche dubbio non sfiguri nei confronti dei modelli che si e’ scelto. Ma ok, siamo nel 2021 tocca accontentarsi che qualcuno nel nostro cinema faccia i compiti mettendoci la buona volonta’.
Vabbè ma non credo che nessun sano di mente abbia davvero intenzione di confrontare Germi con un Giovanni La Parola qualsiasi. Penso sia un discorso dagli anni ’80 in poi.
Germi che tra l’altro è lo stesso che ha per primo sperimentato il noir al cinema in Italia con Un maledetto imbroglio, roba da levarsi il cappello ogni volta che lo si nomina
Ma quindi era tuo il commento che lessi a suo tempo su “Noi credevamo” quando si diceva che il Risorgimento era il perfetto scenario da Western nostrano e andava sfruttato? Sono anni che aspetto che qualcuno ti ascolti!
Boh, non lo so se ero io, ma l’ho sicuramente pensato!
Premettendo che il film non l’ho (ancora) visto, c’è però un problema fondamentale nel traslare i concetti del western al periodo risorgimentale italiano (peraltro pressochè coevo). Le due uguaglianze giacche blu=bersaglieri e indiani=briganti possono funzionare in un’ottica profondamente revisionista del Risorgimento, ammetto molto popolare oggi a causa di campanilismi sia meridionali che settentrionali, ma rispetto alla realtà storica funzionano poco.
Da una parte c’è stato un vero e proprio genocidio da parte di invasori verso popoli che cercano soltanto di difendere la propria terra, dall’altro c’è stato un processo (che sicuramente poteva essere gestito meglio per usare un eufemismo per carità) d’integrazione nella modernità di territori e popolazioni che erano rimasti spaventosamente arretrati sotto ogni punto di vista e che semplicemente in un modo o nell’altro dovevano rientrare nei parametri “normali” del resto d’Italia e d’Europa, quindi uscire da un’economia sostanzialmente feudale, uscire da una sottomissione pressochè assoluta alla Chiesa etc. etc. , processo che non a caso era stato voluto e cercato anche da larga parte delle popolazioni stesse, almeno le componenti più urbanizzate ed evolute. Insomma, erano sicuramente molto più numerosi i napoletani e i siciliani favorevoli all’unità d’Italia dei Lakota o degli Cheyenne favorevoli alla conquista federale…
Importante precisazione, prima che salti fuori qualche neoborbonico.
Nel ’99 c’è stato un altro film, ovviamente flop, che raccontava il sud Italia come un far west, ma con ambientazione contemporanea e un occhio al cinema di John Woo, TERRA BRUCIATA, di Fabio Segatori. Protagonisti: Raul Bova col capello lungo, la futura conduttrice RAI Bianca Guaccero, Giancarlo Giannini boss tamarro, Alex Van Damme, Burt Young, e Michele Placido nei panni di un frate battagliero che ricorda Anthony Quinn ne I Cannoni di San Sebastian. Devo aggiungere altro?
Ah, sì: Peppino Di Capri, as himself, si becca una pallottola in mezzo agli occhi mentre canta “Champagne”.
https://www.youtube.com/watch?v=_Gsie9oZxTk
A ‘mme me piace o’ FarUest!!!
E’ quello, giusto? Delirante ma interessante!
@GGJJ Sì, esatto, proprio quello.
Io più che altro ho sempre pensato che il Risorgimento, più che un contesto dove rifare i western, avrebbe dovuto essere il western del nostro cinema, ossia un vero e proprio sottogenere, con pistole, motti, guerre, invasori stranieri, ideali, eroi a cui la storia a volte ha dedicato piazze e a volte neanche una targa su un palazzo, accenti, eserciti, briganti, ossia tutti gli ingredienti per fare film coi controcazzi.
Chissà…
La Groenlandia per me va supportata sempre e comunque. Sì anche se si tratta di un biopic su Renato Carosone, perché o la sì supporta o si rimane fermi al palo. Big up per Rovere e compagnia che anche quando sbagliano fanno qualcosa di concreto
Visto, carino e molto divertente, e avercene.
Però mannaggia al cane, mi fa una rabbia la sensazione di PIGRIZIA che mi ha accompagnato per tutta la visione. Quella sensazione che se ci avessero messo un po’ più d’impegno avrebbero fatto un filmone. Un montaggio un po’ più curato che desse il ritmo giusto alle scene d’azione; certe risoluzioni un po’ meno sbrigative (le uccisioni nel finale tutte anticlimatiche); la sceneggiatura che impiega venti minuti per farci capire che cosa dovrebbe interessarci (e mettendo il film in pausa sul finale per spiegare tutto l’ANTEFATTO). E soprattutto la regia così indecisa se fare una commedia alla Guy Ritchie o uno spaghetti western, che fa un passo verso l’epica e due verso la farsa, finendo col fare male entrambe. I personaggi dei nobilotti sul finale li ho trovati INSOPPORTABILI nel loro macchiettismo, così come il colonnello sabaudo.
Insomma, i numeri c’erano tutti, bastava dare un po’ più di ordine e cura e fare scelte un po’ più decise, e invece è venuta fuori una pizza un po’ cruda, che è pure buona quando la mangi ma poi il giorno dopo ti fa venire il mal di pancia.
Mi avete fatto scoprire un gran film, con tanti difetti ma un cuore ed una ambizione veramente importante per i giorni nostri. grazie.
Segnalo che non è la prima volta che La Parola si cimenta con il western nel meridione dell’800
https://vimeo.com/55467666
Ha una fotografia che pare una roba televisiva di rai1
Ma ha anche il cuore dalla parte giusta, è di genere fino al midollo, sporco il giusto e ha un’idea di western italiano che dovrebbe fare scuola. C’è molto margine di miglioramento ma è uno di quei film (italiani?) abbastanza interessanti da sopperire i grossi difetti
Oh ma il colonnello sabaudo parla come il nano di Twin Peaks
Avevo capito fosse un western in Sicilia, invece è Gomorra nell’800.