Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Anni Settanta, la prima metà.
Al governo c’è la Democrazia Cristiana, le radio passano a ruota La lontananza di Domenico Modugno e Terence Hill porta sul grande schermo il suo personaggio più memorabile.
Questo da noi.
In America invece il presidente è Richard Nixon, tutti ballano Sex Machine di James Brown e le sale devono fare i conti con una cosa, bella cicciona come non si era mai vista prima: la violenza.
Il codice Hays è ormai un ricordo e solo nel 1971 escono Arancia Meccanica, Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! e Il braccio violento della legge. La violenza ora è centrale, è il rimosso collettivo che scalcia per riemergere in superficie, il grande tema attorno al quale ci si interroga in modo nuovo e complesso, andando in profondità, tirando in ballo Hobbes, Rousseau, Nietzsche, ed è quindi inevitabile che la messa in scena della violenza sia qualcosa di inaudito e scioccante.
L’uomo moderno che rinuncia alla propria condizione di “civilizzato” per esplodere in una furia primitiva è argomento di grande interesse in quegli anni, tant’è che a cavallo tra il 1971 e il 1972 escono ben due film al riguardo: Cane di paglia di Sam Peckinpah e Un tranquillo weekend di paura di John Boorman, per il quale curiosamente all’inizio era stato pensato proprio Peckinpah.
Senza menzionare inoltre che sempre nel 1972 un trentenne di nome Wes Craven, con due spiccioli e un piatto di lenticchie, pensa di rifare La fontana della vergine di Bergman tra i boschi della provincia statunitense e con L’ultima casa a sinistra sconvolge tutti e rivoluziona l’horror.

Quanti bei film da vedere!
Questo più o meno il quadro generale. E non sono neanche arrivato al 1973, l’anno de L’esorcista e di The Wicker Man.
Ma la domanda è: in mezzo a tutto ciò che combina il nostro Walter Hill?
Non ho buttato lì a caso il nome di Sam Peckinpah poco fa, perché un anno dopo Cane di paglia, cioè nel 1972, mentre esce come detto quel Tranquillo weekend di paura che poteva essere suo, Peckinpah è comunque di nuovo in sala con ben due film entrambi con protagonista Steve McQueen: L’ultimo buscadero e Getaway!. E proprio in Getaway! troviamo a scriverne la sceneggiatura un trentaduenne di Long Beach con in tasca una laurea in storia alla Michigan State University, un programma di formazione alla Directors Guild of America e qualche lavoretto come aiuto regista. Sì, amici, è proprio lui: è il nostro Walter Hill.

È lui o non è lui? Ceeerrrto che è lui!
Hill inizia quindi la sua carriera nel mondo del cinema come sceneggiatore e Getaway! è uno dei colpacci grazie ai quali si fa notare, oltre che a permettergli di lavorare con Peckinpah, da sempre un suo maestro. È proprio la poetica di Peckinpah e lo stile di scrittura di Alexander Jacobs (specialmente in Senza un attimo di tregua) a influenzare maggiormente Hill, il quale passa tutta la prima metà degli anni Settanta a scrivere sceneggiature per altri (nello specifico: per Robert Culp, per Bud Yorkin, per John Huston e per Stuart Rosenberg), prima di approdare nel 1975 alla regia del suo primo lungometraggio: L’eroe della strada.

Tranquilli, ora arriva la mia puntuale lamentela sulla distribuzione italiana di film stranieri
Ora, io non so perché in Italia con tutti i titoli che potevamo inventarci abbiamo deciso di distribuire il film proprio con questo, perché secondo me ci azzecca davvero poco o un cazzo. Chaney, il nostro protagonista, il nostro “eroe della strada”, di eroico non ha niente. È un tizio misterioso sbucato fuori dal nulla che arriva in città e si guadagna da vivere partecipando a combattimenti clandestini di bare-knuckle boxing (o pugilato a mani nude, se preferite); una volta battuti tutti gli avversari e guadagnato il giusto, prende e parte verso una nuova meta. Il titolo originale, Hard Times, è infatti molto più calzante, c’è tutta l’impossibilità di fare altrimenti in quel titolo, tutta la pesantezza di dover menare per forza perché è l’unica cosa che sai fare, altrimenti oggi non si mangia. Sono tempi duri, non c’è niente di eroico.
Hill, già in questo suo primo film che in fondo è un piccolo film, un piccolo film che non va neanche particolarmente bene al botteghino nonostante la presenza di Charles Bronson (al tempo già una star affermata, aveva già fatto tutti i filmoni per i quali verrà ricordato e solo un anno prima aveva interpretato per la prima volta il giustiziere della notte Paul Kersey, al quale avrebbe legato il suo volto per il ventennio a seguire), Hill, dicevo, già qui introduce quelle che nei suoi prossimi film, di successo nettamente maggiore, saranno viste come caratteristiche ricorrenti. L’eroe della strada è ambientato a New Orleans durante la Grande depressione ma è girato come se fosse un western: si apre con Chaney che scende da un treno, sovverte la gerarchia di una cittadina come un cowboy solitario che diventa immediatamente lo straniero agli occhi di tutti, e si chiude con Chaney che sale su un altro treno e sparisce all’orizzonte. Il film è disseminato di momenti che riportano al western, in cui si sente forte l’influenza di Peckinpah, come quando avviene l’incontro tra Chaney e Speed – che sono un po’ il brodo primordiale di tante “strane coppie” che avremmo visto nel futuro cinema di Hill – in cui Bronson letteralmente si materializza davanti agli occhi di James Coburn, non lo sentiamo neanche arrivare e sedersi, e avviene questo scambio:
È in queste cose, in particolare, che sta la grandezza della scrittura di Hill. Asciutta, dritta, senza tanti giri di parole, centra subito il punto e non c’è bisogno di dire altro perché non abbiamo bisogno di sapere altro.
Hill è preciso e meticoloso nel restituire le atmosfere, gli ambienti, gli squarci di strade di una New Orleans degli anni Venti, ma si ferma sempre un passo prima di diventare neorealista, raccontando di fatto una storia che ha il sapore della leggenda: venite fanciulli a sentire la storia dell’uomo senza un passato che arriva, batte tutti, nessuno riesce a tenergli testa e se ne va.
E a questo proposito: la prima bozza di script è di Bryan Gindoff e Bruce Henstell, che chiamano il film The Streetfighter, ma è quando Hill ci mette mano che arrivano le intuizioni di girare il film come fosse un western e ambientarlo nel passato. Hill tra l’altro una sceneggiatura western ce l’ha già pronta da tempo, si chiama Lloyd Williams and his Brother, e decide quindi di incorporare diversi elementi di quel testo nella versione finale del film. Che da The Streetfighter diventa Hard Times.
Mi è sembrato doveroso all’inizio fare un inciso sulla violenza che dilaga sugli schermi in quegli anni, perché nonostante L’eroe della strada giri tutto attorno a Bronson che mena come un diavolo, la messa in scena è parecchio insolita visti i tempi. C’è pochissima insistenza, pochissimo sangue e zero tentativi di “estetizzare” la violenza; non c’è musica durante i combattimenti, solo il rumore delle nocche che colpiscono il muso dell’avversario. È pur vero che qui si tratta di incontri, non c’è l’elemento furia primitiva indomabile che permea la maggior parte dei film menzionati in apertura, è una violenza “sportiva” quella de L’eroe della strada, ma in generale è molto raro vedere un film che riprende i combattimenti in modo coreografico senza avvalersi di un commento musicale. Un anno dopo infatti sarebbe uscito un film sportivo che conosciamo bene e che il dubbio se usare o meno la musica durante una scazzottata non se lo è posto minimamente. E non dimentichiamo inoltre che solo quattro anni prima de L’eroe della strada Kubrick aveva girato un intero film di enorme successo dove la musica va a braccetto con la violenza.
Per cui, ecco, non è una scelta facile quella di Hill ma lui è irremovibile: «con la musica c’è il rischio di enfatizzare troppo i combattimenti; non voglio incoraggiare la gente a uscire a menare, ma spero di dare al film un tono – e qui torniamo al discorso fatto poc’anzi – leggendario, in modo che nessuno possa davvero vederci un approccio realistico». Hill gira i combattimenti, lo dice proprio lui nelle interviste, come fossero «danze, ecco perché non c’è sangue. Mi dissero che i combattimenti sono grandiosi ma sarebbero stati anche migliori se avessi aggiunto del sangue. Quel che non capiscono è che appena metti del sangue in quei combattimenti sarebbero diventati così reali da perdere la loro drammatica verità».
Originariamente il girato totale sta sulle due ore. Quando viene ridotto a 90 minuti vengono tagliate molte scene di combattimenti e se volete il mio parere è giusto così: L’eroe della strada ha la durata giusta per il film che vuole essere e per la storia che vuole raccontare. Chiaro, non è perfetto e non è d’impatto come lo saranno i successivi film di Hill – come i due che sarebbero venuti subito dopo: Driver l’imprendibile (1978) e I guerrieri della notte (1979) – ma è comunque un esordio coi controcazzi che a dispetto del poco successo all’uscita è stato poi riscoperto in seguito quando Hill si è fatto un nome.
Fa sorridere infine pensare ai motivi per i quali questo resta l’unico film al quale Hill e Bronson hanno lavorato insieme: quando Bronson vede il film finito e si rende conto che parecchie scene dove recita sua moglie Jill Ireland sono state tagliate, beh, ecco, non la prende tanto bene.
Arrivederci alla settimana prossima con la nostra nuova, imperdibile rubrica Le Basi: Walter Hill.
DVD-quote:
«Sono tempi duri, non c’è niente di eroico»
Terrence Maverick, i400calci.com
Posto che capirei il minore appeal di Sly in ottica di tiratura, ogni volta che parte un nuovo “le basi”, penso sempre a quanto sarebbe figo avere tutto in vari volumetti.
Walter Hill lo conosco “soltanto” per i titoli più famosi, questo mi mancava: urge un recupero.
Quanto all’articolo in sé: bravo, bravo, bravo Terrence :)
The STREET FIGHTER….maro’.
Aggiungici a questo Strade di Fuoco e I Guerrieri della Notte e di fatto dobbiamo ringraziare Hill se hanno inventato i picchiaduro.
Gli anni 70 sono stati davvero un periodo miracoloso per un certo tipo di cinema USA. Tu hai elencato i film “di menare”, altri titoli che mi vengono in mente sono forse meno violenti, ma comunque delle pietre miliari (The Taking of Pelham 123, Charley Varrick, la Conversazione, i 3 giorni del Condor)
Mi dispiace Hill non azzecchi un film da 30 anni o quasi, lui, come Carpenter o Mann, per i primi 15 anni di carriera hanno davvero riscritto la storia del cinema, e non solo di genere. Il fatto che Hill avesse le idee chiare e godesse di molta fiducia è dimostrato da come già al 1° film poteva contare di due star di Hollywood, un lusso che Carpenter non si è mai potuto permettere, idem Mann se non dopo un bel po’ di film
Hard Times è davvero clamoroso, asciutto, non c’è una parola o una scena di troppo, e Charles Bronson a 54 anni aveva un fisico ed un carisma inspiegabili. Me lo rivedo almeno una volta l’anno ed ogni volta me lo godo anche se lo conosco a memoria
Mann però diversamente dagli altri due è ancora in pista alla grande
Primi 15 anni è un filo riduttivo. Fino a Nemico Pubblico sfornava solo capolavori sperimentando con la tecnica e la narrazione.
Comunque state chiaramente temporeggiando con la recensione di Oppenheimer. Mi aspetto un lavoro a 6-8 mani, una recensione fiume che sarebbe tra l’altro del tutto meritata, vista la grandezza del film
Non trattenere il fiato, non lo copriamo, non rientra nei nostri generi.
Ah ah ah ah ahah ah ah ah!
No, no, lascia che lo trattenga.
Non è istigazione nei confronti del buon Takeshi, solo disprezzo per l’ultimo Nolan a fronte dell’amore viscerale per il primo (sempre Nolan).
Nanni
Beh sono sorpreso, credevo facesse parte delle eccezioni meritevoli, dopotutto avete trattato film molto poco calcistici (Insider, F.I.S.T.) quando erano opera di autori calciabili. Parliamo comunque del film che verrà ricordato come il più “importante” del 2023. Lo hai visto, ti è piaciuto?
Vandal
Io prima di giudicare gli darei un’occhiata. Io non sono un fan di Nolan ma qui non parliamo di Tenet o Intestellar
Senz’altro lo farò.
:)
@Takeshi: hai citato titoli che abbiamo trattato nell’ambito di una specifica retrospettiva. A parte quello, le eccezioni tendono a riguardare film che riflettono in qualche modo uno spirito action/horror pur facendo altro (che ne so, Diamanti grezzi). Oppenheimer l’ho visto ed è effettivamente lassù coi migliori di Nolan, però a parte due suggestioni qua e là non è e non fa il film di genere. Non escludo comunque di recuperarlo in qualche forma più avanti.
Ok, rispetto la decisione della Giuria. E’ che ho trovato tutta la parte che porta al test Trinity “thriller”, quanto meno nell’uso della tensione crescente
Che poi potrei capire (no, ma facciamo finta di si) se il titolo fosse un gioco di parole intraducibile in italiano, o salcazzo cosa di complicatissimo
Ma chiamarlo Tempi duri era impossibile?
Io penso che “L’eroe della strada” ( e ho visto il film) sia un buon titolo Italiano. A quel tempo il Titolo era anche il Trailer. Tempi duri forse fa venire in mente la povertà degli anni venti ( ma chi lo capisce nei 70 dal titolo?). Ma eroe della strada è esplicito e corente col film.
Aggiungo: non penso che se un certo film fosse stato chiamato “desiderio di morte” avrebbe fatto avere al film il successo che ha avuto.
Bravo, Titillatore.
Per quel che vale sono d’accordo al 100 per 100.
Chissà se Van Damme lo ha mai visto :-)
Non combattimenti: scazzottate. James Coburn stucchevole alla lunga, bella la coda operaia in salsa d’ostriche. E bevono incessantemente per tutto il film.
sono andato a controllare perchè tra i meriti di Walter Hill secondo me c’era anche questa cosa falsamente attribuita a Stallone, cioè quello di inventarsi la scena tipo videoclip con la musica protagonista, ma ho controllato dicevo e avevano ragione i 400 calci, Sly lo ha fatto prima. :(
questo film invece non lo conoscevo, bisognerá recuperarlo.
Esordio magistrale per Hill che gira già un capolavoro. Bronson è perfetto nel ruolo, e da vita a un personaggio memorabile. Bella anche la storia d’amore con Jill Ireland ( anche se Hill avrebbe voluto Natalie Wood. Impeccabile come sempre Coburn.
Ogni settimana che passa, la scelta di iniziare dall’ultimo film si conferma come la più geniale intuizione editoriale di sempre. Kudos a tutti voi, ora il mio sogno è una vostra retrospettiva sull’opera omnia di Arrigo Sacchi.