Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Chissà se glielo dicevano anche all’epoca, pure se era una simil burba che aveva esordito alla regia solo cinque anni prima e dunque, teoricamente, avrebbe avuto bisogno di ancora qualche tacca sulla cintura prima che gli si potesse riconoscere una qualche forma di “autorialità”. Fra molte virgolette e persino con qualche dubbio che la parola esista davvero. “Ohi Walter, ma lo sai che in Italia il tuo nome si scrive uguale ma si pronuncia Valter? Pazzesco”. Mi sono fatto prendere la mano, scusate. In realtà la questione che avevo in mente è altrettanto importante ma riguarda altro. Chissà se già dopo tre film, due dei quali molto prossimi al capolavoro (indovinate quali tra L’eroe della strada, Driver l’imprendibile e I guerrieri della notte) la gente del cinema andava da Walter Hill a tarmarlo con la storia del “Ma lo sai o no che tutti i tuoi film in pratica sono dei western anche se non ci sono i cavalli e le praterie?”. Io dico di sì. Dunque oltre alla goduria e al fomento – parola di Hill: “Morivo dalla voglia di fare un western. Mi piacciono e basta. Girarli è un idillio che si avvicina all’essenza del processo cinematografico più che fare film in cui la maggior parte del tempo va speso a liberare le strade di una città” – in casa di Valter ci dev’essere stata anche una sorta di soddisfazione liberatoria nel riuscire finalmente ad addentare quel genere a cui tutti lo ascrivevano. Anche se, per la prima volta, Hill non mette mano alla sceneggiatura, in questo caso già pronta e firmata dai due protagonisti, James e Stacey Keach, adattando per il cinema un musical teatrale che si erano scritti e auto-prodotti qualche anno prima per il circuito delle scuole del New Jersey (sic).
Missouri, post Guerra civile. Terra di qualcuno – il governo federale riunito sotto un’unica bandiera anti-schiavista (gggiààà) – ma in ogni caso resa vivace, diciamo così, dalla manica di ultimissimi ribelli (gggiààà) che rifiutano le leggi di Washington e vanno in giro a fare brutto. I tre fratelli Younger (tutti i Carradine che recitavano meno Bruce) e i due fratelli James (James e Stacey Keach) e Miller (Randy e Dennis Quaid) sono il cuore di una posse composta dai meglio featuring del banditismo missouriense dell’epoca; una superbanda tipo Crosby, Stills, Nash & Young – ma con le carabine al posto della cocaina – che gira per lo stato (e oltre) a ripulire banche yankee. In realtà si sbizzarriscono con tutti i tipi di ruberia a mano armata in circolazione a quei tempi: banche, poste, carrozze, treni, saloon, bordelli, lattaie, drogherie, ferramenta, depositi di monete sul cucuzzolo della collina e via discorrendo. A comandarli con mano sicura e dittatoriale è il minore dei fratelli James: il carismatico, umbratile e soon to be leggendario (grazie alla fantasia dei giornalisti) Jesse. Sono sudisti che non si sono pentiti di nulla e vanno in giro con la serena tracotanza di gente a cui non frega una ciolla di rispettare le regole di un’entità statale che non riconoscono. Sono quel tipo di teppa che se, in un saloon si sente il musichiere di turno intonare una canzone che parla di “Oh com’è bello adesso che abbiamo vinto la guerra, siamo liberi e non c’è più lo schiavismo”, minaccia con il sorriso di fargli esplodere le mani se non comincia a suonare qualcosa di più consono tipo “Oh come siamo ribelli, abbiamo perso la guerra ma chissene e continuiamo a fare come se non fosse successo niente”.
Dopo l’ennesima rapina andata a segno nonostante la dabbenaggine del Miller minore (Dennis Quaid), prontamente cacciato dalla band, il governo federale mette sulle piste di Jesse James e compagnia i temibili segugi dell’agenzia investigativa Pinkerton; che però fanno il danno, uccidendo un cugino Younger che non c’entrava niente con la banda e facendo saltare in aria la casa della mamma di Frank e Jesse, ammazzando il fratellino disabile quindicenne. Ecco che Jesse James comincia vagamente a diventare un eroe dello squattrinato popolino del Sud bistrattato dagli yankee usurpatori, ma è una faccenda che a Walter nostro interessa davvero il giusto, quasi zero. Il film prosegue dritto filato nella sua parabola schiscia e anti-epica, raccontando la ripresa delle attività della banda dopo un breve iato – necessario a Jesse per farsi crescere una ragguardevole barba da Rasputin del banditismo e a David Carradine per partecipare a una gran rissa coltellaccio vs. coltellaccio – e mostrando l’assalto alla banca del Minnesota che segna l’inizio della fine per i fratelli James, accelerando bruscamente verso un finale notorio e realizzato con tempi e modi anti-climatici, perfettamente coerenti con l’andamento asciutto e privo di fronzoli di tutto il resto della narrazione.
Alcuni, nel primo western vero e proprio di Hill, ci hanno voluto vedere un bel po’ di Peckinpah, che insieme a John Huston è stato uno dei mentori del futuro regista quando ha esordito da sceneggiatore a inizio anni ’70. È pur vero che ne I cavalieri dalle lunghe ombre non mancano accenni di sangue e carne, che sono la base della palette del regista di Pat Garrett e Billy Kid e Il mucchio selvaggio. Ma sono accenni prettamente funzionali alla narrazione in un film altresì ectoplasmatico e quasi poetico nel suo minimalismo, in cui i protagonisti cavalcano per le montagne e le praterie missouriensi come fantasmi di un’epoca che dovrebbe essere morta e sepolta. Nel film di Hill, poi, manca la morale che caratterizza i racconti di Peckinpah. Hill sceglie sempre di far vedere l’azione schietta, mai quello che la prepara; e raramente si sofferma sulle conseguenze (un tratto coerente con la filosofia di vita dei suoi protagonisti). Quello de I cavalieri dalle lunghe ombre è, similmente a Driver e a I guerrieri della notte, cinema plastico al massimo della sua potenza ideale. Spinto in quella direzione da una sceneggiatura essenziale, Hill riduce all’osso anche la Storia il mito, oltre che l’impianto narrativo. Elimina ogni sovrastruttura inessenziale. In sostanza stilizza – caratteristica che si specchia nella scelta di far indossare lo stesso soprabito grigio (quasi un’uniforme) a tutti i membri della banda di Jesse James assassinato per mano del codardo Robert Ford. Non c’è niente di eroico (né di anti-eroico) nel primo western di Walter Hill. Ma c’è tutta l’essenzialità che l’ha reso uno dei registi di menare (e non) più imprescindibili di sempre.
Blu-ray quote
“Il primo western western di Walter Hill è un gran gran buon buon film film”
Toshiro Gifuni, i400calci.com
La cosa interessante di Hill, e il film recensito è uno degli esempi, è che per un lungo periodo è stato in grado di fare dal buon film al quasi capolavoro con pochi soldi. Invecchiando, il budget a sua disposizione è rimasto più o meno lo stesso ma il “manico” è venuto meno. Un pò come quando un pugile invecchia, la potenza rimane ma spariscono velocità e riflessi e se non ti ritiri guardarti sul ring è una tristezza.
NON DIMENTICHIAMO la partecipazione (istantanea ma indimenticabile) di James Remar nel ruolo dell’arrogante (guarda un po’) Sam Starr.
In ogni caso, nonostante l’equa gestione del dream team di attori (e caratteristi), David Carradine caga in testa a tutti.
Però…Porca troia.
Ho appena rivisto il (lo) knife fight tra Carradine e Remar.
E fa cagare (senza nulla togliere a un Capolavoro, figlio dei suoi tempi).
Faccio coming out ed ammetto di non averlo mai visto, a memoria l’unico film di Walter Hill che non ho visto tra quelli girati nella sua fase di sanità (ovvero fino a Johnny il Bello). Non so, sarà che ho sempre letto commenti positivi, ma mai paragonabili ad altri suoi film dello stesso periodo…o che non ci sono attori di culto alla Nick Nolte
Eretico: c’è David Carradine.
Un film che mi ha lasciato interdetto (ma capisco che 40 anni fa poteva aver lasciato mandibole per terra), perché come tanti altri di Hill ha dei momenti di noia mortale (tutte le chiacchiere fra saloon e fattoria) e altri di azione insuperabile (la rapina al treno in corsa) con delle inquadrature iconiche. La scena dei riders che arrivano al villaggio emergendo dalla nebbia: mai visto niente di così potente. Ho amato tantissimo l’immagine usata nella rece: sono degli spettri, vestiti uguali, non sono persone, sono entità tenute in piedi solo dal destino.
Confermo che a mio avviso David Carradine si mangia il film intero.
Vi aspetto la prossima settimana che c’è il mio preferito.
Anche il mio.
I cavalli! Chi gestiva i cavalli, e anche i muli, meritava di entrare nei titoli di testa. Nuotano, saltano, cadono, distruggono. Una meraviglia.
Filmone scoperto intorno ai vent’anni, e piaciuto da subito. Hill si tiene intelligentemente a metà strada tra il romaticismo di Ford e il pessimismo di Peckinpah: non si schiera né con le guardie né coi ladri e dipinge Jesse James come un cinico bandito ma anche come un padre e marito modello ucciso a tradimento. Un’ambiguità che disorienta ma che rende il film unico. Peccato solo che le sparatorie più spettacolari copino pesantemente Il Mucchio Selvaggio.
Tutto bellissimo. Tranne “anticlimatico”. Anticlimatico mi fa salire parole derogatorie abbestia.