
“Ner primo ce stava er gatto, mo’ ce mettemo er cane”.
Delle volte, nella sua infinita e abbagliante ingordigia, la macchina Hollywood non si rende conto di cose che le stanno a un palmo dal naso. “Tipo cosa, George?”. Grazie per la domanda. Tipo quando hai un franchise che nasce da un romanzo in cui la frase chiave era “Sometimes, dead is better”, e ti ostini a volerlo resuscitare malamente, costringendo laggente a chiedersi se non fosse meglio lasciarlo morire. Non la vedi l’ironia, Mr. Onepercent McHollywood? No? Niente proprio??
Cimitero vivente: Le origini* arriva sulla scia del precedente Pet Sematary, la versione 2019 diretta da Kevin Kölsch e Dennis Widmyer, che stravolgeva un po’ a cazzo di cane il testo di Stephen King nel maldestro tentativo di dire qualcosa di originale, o di “re-immaginare” il testo per le nuove generazioni, come amano dire i dirigenti degli studios che non hanno mai visto un film in vita loro ma decidono quali film vanno prodotti. Il risultato era un pastrocchio che, finché aderiva al romanzo, si faceva anche guardare, ma che da un certo punto in poi partiva per la tangente e raccontava una storia senza capo né coda, o senso della progressione drammatica.

Previously, on Pet Sematary…
Di questo dobbiamo ringraziare almeno in parte Jeff Buhler, uno degli sceneggiatori che, avendo ovviamente fatto un ottimo lavoro, viene chiamato a scrivere un fondamentale prequel, che ci spieghi la rava e la fava di sto cimitero degli animali che non si capisce bene, guarda, cioè ho capito che se ci seppellisci uno questo poi resuscita, ma esattamente come funziona? Perché quello non viene mica detto! E cos’è questa presenza malefica che si nasconde dietro la catasta di tronchi (tranquilli, si dimenticano di quella)? Insomma, non è che puoi mettermi tutte ste cose in un film senza spiegarmene nessuna, e che cazzo, non è educato!
Cimitero vivente: Le origini nasce dunque come l’equivalente cinematografico/streaming degli articoli clickbait intitolati “Il finale di Breaking Bad spiegato”, una specie di manuale for dummies in caso il concetto di suggestione non sia qualcosa con cui avete famigliarità. Già la partenza è quindi delle peggiori: prendiamo un romanzo bellissimo, che da una premessa affascinante ma tutto sommato molto semplice estrae una serie di situazioni angoscianti che ci fanno riflettere su vita/morte/amore/lutto, e andiamo invece A SPIEGARE LA PREMESSA. Andiamo a cavare una mitologia sufficiente a giustificare un intero film da quello che in King è solamente un MacGuffin per far proseguire la storia. Andiamo a fare tutto questo senza che, alla fine, si capisca qualcosa di più rispetto a quanto si capiva leggendo il libro. Anzi, lasciando lo spettatore più confuso sulla natura del Pet Sematary di prima. It’s showbusiness, baby!
Sigla!
Ne ho vista di monnezza di recente, non ultimo L’esorcista: Il credente, di cui vi ho parlato un po’ di tempo fa. Qui siamo chiaramente su tutt’altro piano, Cimitero vivente: Le origini è l’equivalente moderno dei vecchi sequel DTV, che ha avuto giusto in più l’idea di puntare sul prequel in modo da giustificare il totale cambio di cast rispetto al primo film. Il risultato, in ogni caso, è altrettanto sconcertante: ci troviamo di fronte a due film scritti e diretti da persone che non solo non sembrano capirci molto di horror, ma che sembrano aver dimenticato all’improvviso qualsiasi nozione di grammatica e sintassi cinematografica. L’impressione, guardando questo prequel, è che sia composto da una serie di scene slegate, nate da suggestioni discusse da Buhler e la regista Lindsey Anderson Beer (una delle sceneggiatrici più richieste sulla piazza, qui al debutto alla regia), ma che nessuno si sia poi preso la briga di inserirle in una storia coerente e coesa. Succede, quindi, che dopo cinque minuti tutto si frammenta in una serie di film possibili, senza che nessuno prenda il sopravvento, in una corsa all’accumulo di cliché che fa deragliare il film verso uno dei terzi atti più insoddisfacenti che io ricordi.
La trama: siamo nel 1969, lo si capisce perché la gente si veste come in una pubblicità di Dolce & Gabbana ambientata a Woodstock. Un Fox Mulder vecchio e stanco sta seppellendo qualcosa o qualcuno nel cimitero degli animali di Ludlow. Nel frattempo, un giovane Jud Crandall sta per lasciare Ludlow con la sua ragazza per arruolarsi nei Peace Corps. La sua motivazione è che, nonostante volesse a tutti i costi andare a morire macellato in Vietnam, che sfiga!, non ci è riuscito, e allora vuole “servire” in qualche modo. Quello che Jud non sa, e che scoprirà, è che è stato suo padre (Elliott di E.T.), in combutta col medico locale, a fare carte false per evitargli il servizio militare. Ha qualche utilità questo? Una qualche ricaduta sulla storia? Assolutamente no. Comunque, mentre Jud e Norma stanno lasciando Ludlow, prima un corvo si abbatte sul parabrezza dell’auto, e poi un cane morde Norma al braccio, mandandola all’ospedale. Un cane che appartiene a – rullo di tamburi – Timmy Baterman, il figlio di Fox Mulder, ex migliore amico di Jud appena tornato dal ‘Nam e in evidente fase goth: Timmy si veste di nero, blatera cose oscure senza senso e se ne sta chiuso in casa, schifando tutti. Una serie di indizi che ci fanno giungere a un’unica possibile conclusione: è tornato dal mondo dei morti.

Staccare l’assegno, lo stai facendo bene (?)
I più furbi di voi – o almeno chi ha letto il romanzo di Stephen King – si saranno resi conto che, in effetti, la storia di Timmy Baterman era menzionata nel suddetto. La racconta il vecchio Jud a Louis Creed per dissuaderlo dall’idea di resuscitare il piccolo Gage. E quindi l’operazione di questo film ha tutto sommato senso: prendiamo un episodio canonico del passato di Ludlow, che coinvolge anche il giovane Jud, e ne facciamo un prequel con una storia abbastanza diversa, che si spera possa reggersi sulle proprie gambe. E la storia è tanto semplice quando, potenzialmente, efficace: tornato dai morti, Timmy non è più se stesso, ma sembra posseduto da qualcosa di terribile, esattamente come Gage. Timmy procede a scatenare il terrore a Ludlow, finché, come è scritto da King, il padre, che lo aveva riportato in vita, non decide di ucciderlo, dare fuoco alla casa e spararsi. Niente di originalissimo, ma se giocato dritto dritto come uno slasher poteva funzionare.
Peccato che Lindsey Beer (che comunque ha un nome stupendo) e Jeff Buhler scelgano invece di prendere tutte le decisioni peggiori possibili. Innanzitutto, Cimitero vivente: Le origini tenta di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, non accontentandosi di mettere in scena un soddisfacente racconto dell’orrore, ma tentando la carta del world building per spiegare nei minimi dettagli le origini del cimitero degli animali. E allora vai di:
- un prologo con spiegone letto dall’attore che fa Jud (Jackson White);
- una scena in cui Jud e l’amicone Manny irrompono nella chiesa locale per interrogare il parroco sbronzo (un dettaglio, anche in questo caso, totalmente superfluo) sulla maledizione di Ludlow, e ricevono dei comodi manuali in cui c’è tutto, nero su bianco;
- un flashback in cui dei coloni arrivano a Ludlow in cerca dell’eponimo esploratore e trovano il cimitero degli animali (e scopriamo ANCHE perché Ludlow si chiama Ludlow. Ma qui ci viziate proprio!);
- svariate scene in cui Henry Thomas, aka Elliott, aka il papà di Jud, spiega al figlio di far parte di una società segreta di cittadini preoccupati, a metà strada tra la setta di Hot Fuzz e gli Avengers, che da sempre si occupano di gestire l’uso sconsiderato del cimitero.

Sì, in questo film c’è anche Pam Grier. Qui non mi sento di dirgli niente.
In tutto questo, il film riesce nell’ardua impresa di spiegare un casino senza che si capisca comunque nulla della mitologia del cimitero degli animali. Tipo, se voi non aveste mai letto il romanzo o visto i due film precedenti, e per noia o masochismo sceglieste di sfruttare il vostro abbonamento a Paramount+ per vedere questo, ne uscireste senza avere la minima idea del fatto che i poteri paranormali del cimitero funzionano solamente OLTRE la catasta di tronchi di alberi che delimita il luogo frequentato dal Wendigo, che nel romanzo ha un peso importante, mentre qui è totalmente assente. E sapete perché, secondo me? Perché Jeff Buhler SE L’È DIMENTICATO. Jeff Buhler doveva rileggersi il libro, poi si è perso via facendo giardinaggio, poi non c’aveva cazzi, l’assegno era valido comunque e allora si è detto fottesega.
Se ci pensiamo è una roba incredibile: cioè, se il compito che ti viene assegnato è “spiegami tutto”, e tu, anziché infilarti a rotta di collo a parlare di Wendigo, cimiteri indiani maledetti e superstizioni nativo-americane, decidi che una vaga e confusa storia sugli effetti della PTSD sui soldati sia invece l’opzione migliore, allora vuol dire che proprio non ci siamo, signor Buhler, signora Beer e signor Lorenzo di Bonaventura che scrivi il tuo cognome sbagliato.
Senza contare che Cimitero vivente: Le origini ha il difetto peggiore degli horror peggiori, ovvero sacrifica ogni possibile regola interna per l’effetto immediato. Esempio: Norma è inseguita da un ritornante. Ovviamente lo zombi cammina lento, perché è malconcio e perché fa più figo se la vittima corre e il suo inseguitore cammina. Solo che poi non puoi decidere tutto d’un tratto che quello stesso zombi l’abbia anticipata e le compaia davanti.

Io ogni volta che gridavano “Timmy!” nel film.
Ma parliamo di questi zombi. Nel romanzo di Stephen King, qualunque essere vivente resuscitato dal cimitero degli animali risultava strano, sottilmente inquietante, “sbagliato”, in qualche modo. Qui, Timmy è fin troppo eloquente e articolato. A un certo punto si trasforma in una specie di Rambo per braccare le sue vittime, e arriva persino a piantare delle mine antiuomo.
Il terzo atto, poi, passerà alla storia del cinema come uno dei più stupidi mai pensati e messi in scena. C’è sicuramente il tentativo di avvicinarsi al testo di King: Bill/Mulder dà fuoco alla casa, ma sembra farlo solo perché King ha scritto così. Non ha nessun’altra motivazione sensata, dato che sa perfettamente che Timmy non è in casa. E cosa fa, dopo aver appiccato fuoco a casa propria? Scappa fuori più velocemente possibile? Ma no, si rifugia nel seminterrato insieme a Jud e Manny! Che, se non fosse stato per un cunicolo scavato da Timmy, sarebbe stato anche la loro tomba.
Oltretutto bruciano una casa e non si vede! Come si fa ad avere così poco senso dello spettacolo, così poca cura dei dettagli da non farci mai vedere una singola fiamma, solo del fumo e qualche crepitio? QUELLO DOVEVA ESSERE IL TUO FINALE! Mi è tornato in mente il finale di Firestarter, la scena madre in cui Charlie dovrebbe far fuori tutti con una pioggia di fuoco e invece è tutto lasciato fuori quadro. Che si tratti in entrambi i casi di adattamenti di Stephen King, usciti a così poca distanza, forse dovrebbe farci riflettere. Forse il problema è, come sempre, che conta più il nome che puoi appiccicare ai titoli di testa che la realizzazione in sé.

Staccare l’assegno, lo stai facendo.
Possiamo anche raccontarci che autori migliori sono riusciti a cavare qualcosa di onesto e ben fatto in situazioni peggiori, e di certo ci saranno altri che sapranno sorprenderci in futuro. Ma quando il problema parte a monte, nella persona di un produttore come di Bonaventura, a cui chiaramente fotteva più dello sfruttamento di un IP che del risultato finale, temo ci sia veramente poco da fare. Se ci fosse stata la benché minima volontà di creare qualcosa di dignitoso, la sceneggiatura di Jeff Buhler sarebbe stata quantomeno riscritta da zero.
Adesso che ci siamo tolti il dente del remake e del prequel, l’abbiamo capito che “Sometimes, dead is better”?
Paramount+ quote:
“Meglio la Pet Therapy”
George Rohmer, i400Calci.com
*Il titolo originale è Pet Sematary: Bloodlines, riferimento alle “linee di sangue” delle famiglie che hanno fondato Ludlow. Ora, cari Titolisti Italiani TM, mi spiegate la logica che avete seguito nel riesumare la vecchia traduzione “Cimitero vivente”? Questo è il prequel di Pet Sematary, quella volta avete lasciato Pet Sematary! Perché… Aaah, non ho più la forza, ci rinuncio.
In sacrificio per noi. Grazie.
Sul P.S.: non so perche’ e per come, ma da totale disinteressato all’operazione anch’io avevo capito che era il prequel del film dell’89 e il remake (di cui ho visto un quarto d’ora e basta anche cosi’) neanche l’ho preso in considerazione.
Quindi delle due una:
1. i distributori italiani hanno volutamente giocato su questa ambiguita’ per richiamare un vecchio titolo di un certo culto invece che il titolo di un remake che di culto non ne ha.
2. i distributori italiani distribuiscono un film prestandogli la stessa attenzione che gli riserva uno come me, cioe’ uno che non presta nessuna attenzione al film in questione perche’ non ha nessuna intenzione di vederlo.
(Molto) meglio il petting.
Non sono un robot.
Bravo.
Che Beer sia molto richiesta non mi meraviglia, ma noto comunque che fra i film che ha in preproduzione ci sono:
– una serie di nuovi capitoli di altre franchise (fra cui un altro Spider villain della Sony)
– il remake di Bambi
– il remake di Corto Circuito! Ma li vogliamo lasciare stare questi anni ’80??
Ad oggi l’unico valido prequel/reboot a mio avviso è Bates Motel.
Una serie liberamente basata sui personaggi del romanzo Psycho e sul film diretto da Alfred Hitchcock, incentrata sul rapporto tra Norman Bates e sua madre, interpretati da Freddie Highmore e Vera Farmiga.
A mio avviso è un piccolo gioiellino seriale nel quale Vera e Freddie regalano una straordinaria prova attoriale.
L’idea di questo prequel non era male, ma se togli elementi fondamentali come il Wendigo non ha più senso.
David merita comunque una possibilità .
Meglio ancora degli ottimi Freddie Higmore e Vera Farmiga, un clamoroso Ryan Hurst che in quanto a tic e microespressioni evoca lo spettro di Mickey Rourke quando funzionava (alla grandissima).
Esatto.
questa serie per me è stata eccezionale.
L’esempio perfetto di come esplorare personaggi noti senza stravolgerli, raccontando origini e storie nuove.
un cast dal talento eccezionale.
Un mix di emozioni diverse episodio dopo episodio, fino alla più totale empatia.
Un
E Hannibal?
Don’t wanna live this film again!
Hai vinto tu.
Made my day!
Una volta che inizi a canticchiarla è finita
Un george rohmer particolarmente sconfortato, ultimamente.
La vita è una merda.
George, non preoccuparti, anche questa fase nichilista passerà. Immagino quando Nanni smetterà di punirti per qualche tuo oscuro crimine e ti lascerà recensire qualcosa di decente.
I segreti di Val Verde restano a Val Verde.
Per continuare la tradizione al gusto escremento dovrebbero assegnarti anche l’ultimo Saw
Vorrei dire che un po’ George lo capisco. Ho provato a guardare Hypnotic e ne sono uscito devastato. Insomma, guardare a lungo ‘ste robe è come essere sottoposto al metodo Ludovico. Qualcosa in te cambia per forza.
Tu cerca solo di resistere George.
Che poi nella pellicola originale il flashback su Timmy Baterman era fatto da dio, ricordo che era parecchio disturbante.
La seconda cosa più spaventosa della pellicola dopo i flashback/incubi con la sorella della moglie.
(Terza se includiamo il doppiaggio del bambino)
La cosa più brutta di tutta questa faccenda è la foto di Pam Grier: mamma mia come s’è ridotta….
C’ha 74 anni, boss.
Siete (siamo) coetanei, quindi.
XD!!!
Nanny, mo fagli recensire anche The Conference!
BUAHAHAHAHAHA
Stupido autocorrect ha generato uno splendido mostro LOL
La wikia-lizzazione dei media per colpa di un pubblico di mentecatti. Mi spiego meglio. Sicuramente gli executive Hollywoodiani saranno grigi burocrati interessati solo a intascare assegni sfruttando IP consolidate, ma se lo fanno è perché consci che il pubblico questo vuole: non una storia o dei personaggi con un arco narrativo, ma trivia di IMDb, easter eggs, la stracazzo di lore. “Il finale di Oppenheimer spiegato bene”, “La classifica degli jedi più forti di sempre”, “197 cose che non hai notato nel trailer del remake di Schindler’s List diretto da Taika Wiatiti”.