Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Partiamo da un dato semplice eppure fondamentale: da noi, il film di cui vi parliamo oggi esce come Danko, ma in originale si intitola Red Heat. Siamo di fronte a uno di quei casi di onestà intellettuale spiazzante stile I magnifici sette nello spazio o Yado: alla fine, si dicono i signori Titolisti Italiani TM, pure se ci sono due sbirri questo è un film di Arnold Schwarzenegger, alla gente interessa vedere lui, mica il fratello più irritante di John Belushi. E, se prendiamo il poster originale, ci rendiamo conto che alla fine avevamo ragione noi (po-po-po-po-po-po-poooo):
Perché, sì: sulla carta questo è un buddy cop, il secondo nella carriera dell’uomo che di fatto ha inventato i buddy cop così come li intendiamo oggi, ma in realtà anche nel poster Arnie è un po’ più grosso, sta un po’ più in avanti rispetto a Jim Belushi. Danko è il SUO film, anzi è il film di Walter Hill e Arnold Schwarzenegger.
Sono loro la coppia più bella del mondo: Danko nasce, infatti, dall’idea di Hill di lavorare con la più grande action star degli anni ’80, un desiderio che Schwarzenegger ricambia. Hill being Hill, però, si rende conto più degli altri che Schwarzenegger non è credibile in un poliziesco moderno ambientato in America per colpa di quel suo fastidioso accento austriaco. Di più: non è proprio credibile come essere umano. Non ricordo dove l’abbia detto, ma sono certo che sia stato Jackie Lang a dirlo: non è che Arnold Schwarzenegger si sia adattato al cinema, è il cinema a essersi adattato ad Arnold Schwarzenegger. Non è Schwarzenegger ad adattarsi al cinema di Walter Hill, è il cinema di Walter Hill ad adattarsi a Schwarzenegger.
Danko è, come molti dei precedenti film di Walter Hill, un western. È anche un film che cerca di mantenere una certa asciuttezza, pur all’interno di un genere ormai molto codificato e parlato, in cui si sa che uno dei due sbirri deve essere un distributore automatico di battute. Ciò che lo differenzia da altri film di Hill è invece una certa magniloquenza, una cicciosità reaganiana fondamentale per costruire un mondo che accolga in maniera plausibile la fisicità esagerata e superumana di Schwarzenegger. Danko è dunque un film dalla doppia anima: lo stile dritto e sicuro di Walter Hill si fonde con la grandeur degli action Carolco anni ’80. Danko è un film fottutamente CAROLCO in ogni singolo fotogramma, riesce a essere allo stesso tempo il monumento definitivo a un certo modo di fare cinema, quello degli anni ’80 gonfi di steroidi, e la sua pietra tombale, un film di rottura per come mette in scena, all’apice del governo Reagan, “an unapologetic Soviet hero, someone who will not defect at the end of the movie”, come lo definisce Hill stesso (anche se ci ricordiamo tutti chi aveva davvero messo fine alla Guerra Fredda tre anni prima, vero?).
Come riesce Hill a distillare questo mix? È presto detto. Da un lato sceglie un tema semplice e universale, pur se molto reaganiano: il traffico di droga. Dall’altro non ambienta il film nella realtà. Sia chiaro, non stiamo parlando di strani mondi alternativi in cui gli orchi fanno i gangster, ma di quella realtà “movie movie”, per metterla alla Tarantino, quel mondo hard boiled esageratissimo in cui tutti hanno la battuta pronta dopo aver fatto saltare il culo a qualcuno, in cui le donne sono dei semplici accessori e i cattivi se ne vanno in giro con gli occhiali da sole anche di notte. L’universo di Danko è di fatto il prototipo del mondo di Last Action Hero, la realtà aumentata degli action anni ’80. È un film che finisce con un inseguimento tra due autobus, per dio! Hill ne è perfettamente consapevole, tanto che spiega: “I thought it was very appropriate for Arnold. He doesn’t fit well in cars”. Se si guarda il film da questo punto di vista è più facile “perdonargli” alcune scelte invecchiate male, come le brutalità della polizia, o l’Art Ritzik di Jim Belushi che fa il cascamorto con le tipe e pianta le prove per ricattare gli informatori, perché questo avviene in un universo hard boiled in cui ha perfettamente senso.
Dicevamo che il buddy cop è un genere molto parlato, cosa che sembra un po’ andare in contrasto con il Walter Hill anni ’70, uno che amava far parlare l’azione e asciugare all’osso i dialoghi. In un certo senso, però, anche se Hill accetta di aderire al canone del filone, si prende la sua piccola rivincita, e quella rivincita ha un nome e cognome: Ivan Danko. Nel 1988, Arnold Schwarzenegger era già famoso per le one-liner iconiche di Commando e Predator, e si stava muovendo per conquistare anche il pubblico delle commedie (lo stesso anno sarebbe uscito I gemelli, per dire). Hill però decide di sbarazzarsi quasi completamente di questo elemento forte del suo protagonista, riservandogli soltanto un paio di situazioni in cui la commedia scaturisce dal suo essere pesce fuor d’acqua che non capisce le abitudini e non ha un’idea chiarissima dei modi di dire americani (“I’m not shitting on you!”). Per il resto, Hill fa tornare Arnie al pre-Commando, allo sguardo magnetico e alla presenza imponente di un Conan calato nella giungla urbana del 20° Secolo. E lascia la linea comica totalmente a James Belushi, che si fa in quattro per tappare qualunque buco con un overacting da competizione. Diciamocela tutta, a me il Belushino non è mai stato troppo simpatico e qui non fa niente per convincermi del contrario. L’alchimia con Schwarzenegger, per altro, non è alle stelle, forse anche perché era la prima volta che Schwarzenegger veniva usato in un duo e non ci era abituato, o forse perché il suo personaggio silenzioso era davvero troppo estremo in una dinamica in cui ci deve essere un botta e risposta tra i protagonisti. Dovendosi caricare sulle spalle tutto ciò che non era pura azione, Belushi ne esce un filo troppo invadente per stare simpatico. Però, secondo me, la cosa era anche abbastanza voluta.
Perché Hill non mette semplicemente in scena un fugace high concept, lo sbirro sovietico costretto a volare in USA per inseguire uno spacciatore di coca che gli ha ucciso il collega (Ed O’Ross, ci torneremo). Hill vuole mettere in mostra le differenze sostanziali tra i due blocchi, stilizzandoli con un uso accorto di geometrie, movimenti di macchina e musica. L’eccezionale incipit, girato tra Mosca (sulla Piazza Rossa, primo film americano a ottenere il permesso), Budapest e l’Austria, si poggia sulla Cantata per il XX anniversario della Rivoluzione d’ottobre di Sergej Prokof’ev per mettere in scena un luogo in cui tutto è ideologia, un mondo grigio, squadrato e marziale in superficie, che mostra la sua decadenza solo nel sottopancia della società, come il bar in cui Danko affronta per la prima volta Viktor Rostavili. L’America, d’altra parte, è puntellata da un fretless bass che slappa e da un sassofono che sassofoneggia, è immersa nei rumori del traffico e nel caos delle strade di Chicago. È un posto apertamente decadente, senza regole, un West urbano in cui si muovono figure corrotte e immorali.
Non ci fa insomma una bella figura l’America, con tutto il suo portato di machismo e la sua tracotanza yankee. Come faceva giustamente notare Darth Von Trier nel suo pezzo su I guerrieri della palude silenziosa, Hill riesce a raccontare con rispetto questa cultura, mettendola allo stesso tempo alla berlina. Per questo dico che Art Ritzik, con tutta la sua insopportabile parlantina e la sua rudezza, non può essere casuale: è progettato lucidamente per essere il prodotto di una cultura che ha abbracciato la sua decadenza e ne ha fatto un vanto. Non ci fa una bella figura nemmeno il capitano interpretato dal grande Peter Boyle, un nevrotico ben felice di delegare le grane ad altri salvo poi pentirsene. In tutto questo, Ivan Drago Danko si erge quasi come un faro di purezza: è sì figlio di una cultura altrettanto problematica, che non esita a torturare per ottenere informazioni, ma è anche un uomo tutto d’un pezzo, che si prende le sue responsabilità, non si fa corrompere e non si nasconde dietro a chili di bullshit.
Da un lato c’è sofferenza, pietre roventi in mano, neve e fatica, dall’altro il caldo abbraccio del capitalismo. E non è così scontato dove cada l’ammirazione di Hill. Certo, poi il ritratto dell’America è vitale, è un luogo caotico ma libero, e il sogno americano è un desiderio segreto persino tra gli sbirri sovietici. Guardando Danko mi è venuta FAME, fame di hamburger e patatine, di hot dog agli angoli di strada, di farmi i cazzi miei perché posso. Ma è come se Hill volesse dire che per un sogno come questo c’è un prezzo da pagare.
Comunque, Danko cadrà anche un po’ nella formuletta, ma Hill rimedia girando ogni singola scena con uno stile e una concentrazione senza pari, e riempiendo ogni anfratto con caratterizzazioni centrate e attori fuoriclasse: abbiamo già citato Peter Boyle, ma ci sono anche Lawrence Fishburne nei panni del primo della classe stronzetto che fa tutto secondo il manuale, Gina Gershon nel ruolo della donna token che finisce puntualmente ammazzata, fazze incredibili come Brion James (l’informatore di Art), Sven-Ole Thorsen, Mike Hagerty e poi ovviamente lui, Ed O’Ross, caratterista d’acciaio che fa uno dei migliori cattivi dei buddy cop di sempre. Il suo Viktor “Rosta” Rostavili è un personaggio complesso, persino ragionevole: hai sempre la percezione che tutto questo potrebbe finire tranquillamente se solo uno dei protagonisti accettasse di farsi corrompere. C’è una scena bellissima, quella del parlais tra lui e Danko, in cui riaffiora il gusto di Hill per l’essenziale: “Hai ucciso il mio amico”, gli fa Danko. “Tu hai ucciso mio fratello!”, ribatte l’altro. Viktor e Danko saranno pure avversari, ma hanno entrambi un loro codice morale, e anche questo, unito a un senso di giustizia che non corrisponde necessariamente alla legge ma è personale, fa di Danko un western. La prima volta che entra in scena, O’Ross pronuncia tutta una lunga battuta in russo talmente bene che per un attimo ho pensato fosse un madrelingua (è di origini cecoslovacche, sono andato a controllare), e con quella sua voce roca ti entra subito in testa. In un mondo perfetto, esiste un buddy movie in cui Ed O’Ross e Kurt Russell fanno due fratelli ai lati opposti della legge, costretti a collaborare contro un nemico comune.
Ci sarebbe ancora tantissimo da dire su questo film, dalla colonna sonora di James Horner, che vorrebbe evocare mamma Russia ma finisce per ricordare Commando, e non c’è niente di male in questo, al fatto che, ma magari sono solo io, dentro Danko c’è persino Il braccio violento della legge – dopotutto si parla di una compravendita di droga; l’omaggio è persino diretto nella scena in cui muore il fratello di Viktor, ammazzato come Marcel Bozzuffi nel film di Friedkin.
Ma mi premeva chiudere tornando all’inizio, e a quella scena nel bar di Mosca dove Danko scopre la coca nella gamba di legno di uno degli scagnozzi di Viktor. Come spiega Schwarzenegger nella sua autobiografia (se ancora non l’avete letta, fatelo subito, ora), quando Hill lo approcciò con l’idea di collaborare, gli presentò solamente quella scena, dato che non aveva ancora la sceneggiatura in mano. Hill, che è sempre stato molto corretto nell’assegnare i crediti ai collaboratori, l’aveva presa da uno script di Harry Kleiner, che gli era stato mandato. Di quella sceneggiatura gli piaceva solamente quella scena, e tutto il resto lo fece riscrivere (ripetutamente, al punto che a collaborare allo script girato fu un piccolo esercito: Troy Kennedy Martin, Steven Meerson, Peter Krikes, John Mankiewicz, Daniel Pyne e lo stesso Kleiner). Si tratta effettivamente di una trovata brillante, un colpo di scena che gioca con le aspettative del pubblico – ci si aspetta violenza in questi film, ma l’immagine di Schwarzenegger che rompe la gamba a uno ruotandola va un filo troppo oltre, finché non ti accorgi che la gamba era finta. Dopo aver ascoltato Hill che descriveva la scena, Arnie lo fermò e disse “Mi avevi convinto a ‘Gli strappa una gamba’”. (Non è vero, gli disse solo “Ci sto”, ma mi piaceva pensarla così.)
Schwarzenegger racconta anche che Hill gli consigliò di vedere Ninotchka per capire meglio come un fedele sovietico avrebbe reagito in Occidente. E io non riesco a togliermi dalla testa questa immagine di Schwarzy che si guarda Greta Garbo col trucco sfatto e in lacrime, per poi indossare la sua migliore faccia di bronzo e aprire il culo a tutti sul set.
Videocassetta quote:
“Capitalismo…”
George Rohmer, i400Calci.com
P.S.: vediamoci un po’ di poster bellissimi di Danko.
Per certi versi, Danko per Hill è stato forse quello che Grosso Guaio a Chinatown è stato per Carpenter. Ovvero contaminare le loro classiche tematiche ed il loro stile con qualcosa di più “commerciale” e “comedy”, più anni 80 per semplificare
Per entrambi il risultato rimane comunque eccezionale, perchè in nessun momento sembrano film snaturati o tirati per la giacca, il loro stile rimane ben riconoscibile, ma gli elementi nuovi comunque aggiungono qualcosa invece di togliere
L’altro Belushi quando ero adolescente era l’elemento che mi faceva ridere, oggi è quello che ogni tanto mi fa storcere la bocca, un po’ come dice George, anche se in quel contesto ha ovviamente senso. Avere come spalle attori della Madonna come Boyle o Fishburne assieme ai feticci di Hill rende il film praticamente senza buchi, si vede che era la fase “commerciale” di Walter, dove si poteva permettere cast che poi non si è più potuto permettere (vedi Johnny Handsome con Rourke, Whitaker, Freeman e compagnia)
Grazie per la recensione, come sempre impeccabile
Ti sei già scordato 48 ore…
In che senso?
É anche, incidentalmente-ma-neanche-tanto, un capisaldo totale delle pellicole Cripto-Ggay. Imbarazzante, in diverse sequenze totalmente ed ormonalmente gratuite.
Diciamolo, oggi che i Tempi son piú maturi, suvvia..
Cripto? Mancano solo le bandiere arcobaleno. Credo abbiano inventato la parola bromance apposta per questo film, peccato la totale intrombabilità del Belushi del discount
Il mio primo Walter Hill consapevole di Walter Hill. Non ricordo neanche se avessi gia’ visto altri suoi film prima di questo, forse 48 ore (mio padre adorava Eddie Murphy) o i Guerrieri della notte (in questo caso sicuramente di nascosto dai miei, visto la fama da film che ti attaccava il morbo della delinquenza giovanile). Per pubblicizzare il film in una trasmissione tv mostrarono tutta la scena all’ospedale (alla facciazza degli spoiler – bei tempi). Anche cosi’ decontestualizzata, o forse proprio per quello, una botta di tensione esagerata, tanto che al ritorno in studio ricordo la presentatrice realmente un po’ scossa: “Che ansia!”. Dopo quella scena decisi che dovevo assolutamente vedere quel film! Purtroppo non ci riusci’ al cinema, ma nei numerosi passaggi televisivi successivi divento’ uno di quei classici di famiglia da vedere dai nonni con gli zii che facevano battute.
Oggi l’iconicita’ di Danko, inteso piu’ come personaggio che come film e’ svaporata, ma mi ricordo quando era sinonimo di russo tutto d’un pezzo.
Tra le tante influenze ricordo un albo di Nick Raider, piu’ action e meno procedural del solito, che faceva un mix di 80s che piu’ 80s non si puo’: prendeva l’idea di base di “Uccidete la colomba bianca”, nella parte del killer ci metteva un sosia di Schwarzenegger mix tra Danko e Terminator, e nella parte del poliziotto russo mandato in America ad aiutare il protagonista una sosia di Brigitte Nielsen.
Letto!
Belushino non sta simpatico a parecchi, secondo me ha sempre pagato il fatto di essere visto come il fratello meno bravo di un attore cult andato via troppo presto.
Però c’è da dire che in quegli anni ha infilato diversi buoni film e qui come spalla funziona.
Da recuperare “The Principal” in cui interpreta un preside-giustiziere
L’Opus Magnum di Jim Belushi è “La vita secondo Jim”, dove sostanzialmente interpreta, alla perfezione, Homer Simpson.
Leggendario l’episodio in cui viene a trovarlo il suo migliore amico che non vedeva da un pò perchè vive lontano.. Ed è Dan Aykroyd.
@GGJJ Verissimo, non l’ho citata solo perché volevo restare sul calciabile!
Ho un ricordo indelebile di The Principal, per la sensazione di bidone che mi lasciò. Buon film fino al confronto finale, storia canonica ma non banale, con qualche arguta frecciatina al politically correct. Ma nel momento in cui il giovinastro cattivone,dopo aver riempito di legnate per quasi dieci minuti Belushi litiga con il suo compare e lo ammazza a freddo (wtf?), vedere Belushi diventare supersayan restituendo le mazzate come se non fosse stato lui la zampogna fino a tre secondi prima, mi sembrò una pigra poracciata, al limite dell’insulto. Peccato, con un minimo di sforzo in più poteva diventare degno di bacheca, invece di finire meritatamente nei cestoni.
Che meraviglia “La vita secondo Jim”
@Michele Gardini però c’è Louis Gossett Jr. nella parte del bidello!
Infatti il film non era niente male, gli attori secondari sono validi e si impegnano e pure Belushi ce la mette tutta (se non convince totalmente non è poi nemmeno colpa sua, con quella faccia e quel nome il ruolo da badass non gli viene facile), io fino alla fine ero anche preso bene. Bastava poco per portare a casa il risultato, invece bah.
Mi unisco alle lodi: con “La vita secondo Jim” siamo dalle parti del cult generazionale, vera opera principe della carriera del Jim.
Secondo me andrebbe data una rispolverata anche al “poliziotto a 4 zampe” almeno per riscoprire come facevano i “film per famiglie” all’epoca: è praticamente un buddy cop movie, nel senso che è realmente girato e realizzato come se fosse un autentico buddy cop movie, con sparatorie e battute effettivamente degne di un vero bcm, solo che al posto di un poliziotto di colore abbiamo un pastore tedesco.
Diamine! Quindici anni dopo in un film per famiglie non avremmo più visto cani che minacciavano le parti basse di uno scagnozzo, o facevano una sveltina con una barboncina di buona famiglia con la connivenza del protagonista umano. Per dirne un’altra, in “Flipper” vediamo a un certo punto il ragazzino protagonista (Elija Wood) con un sigaro in bocca!
Il migliore nella vita secondo jm era il cota ciccionissimo bob la cognata super gnocca bob
Se si parla di “Poliziotto a 4 zampe” mi aspetto che la redazione dei 400 affronti prima o poi il caso della coincidenza di “Turner e il casinaro”, altro film con coppia poliziotto-cane uscito praticamente in contemporanea (con Tom Hanks). Spionaggio tra majors?
Devo dire che tra i due preferisco quello con Belushi
Il film ha una discreta importanza anche dal punto di vista socio-politico, ma per ragioni opposte a quelle di Rocky IV.
Grazie anche alla Perestrojka si respira aria di disgelo, tra le due superpotenze (spoiler: non durera’ in eterno, come ci si aspettava. E abbiamo finito con l’abituarci troppo bene).
E Schwarzie, che da sempre e’ attentissimo alle tendenze del pubblico al punto che spesso le anticipa, capisce al volo e si adegua.
Sly ci mettera’ molto piu’ tempo, purtroppo.
Un SACCO di tempo in piu’.
Infatti vedere Stallone e Hill in Jimmy Bobo e paragonarlo Danko mette tristezza. Però a Stallone non si può dire di non saper anticipare le tendenze, anzi a volte le anticipa troppo vedi Dredd. Semmai gli si può rimproverare, al contrario della Quercia Austriaca, di aver lavorato per lo più con registi ignoti e ignobili e sul perchè andrebbe scritto un articolo…
Beh perché Sly è artisticamente invadente e fa riscrivere tutto secondo la sua visione, che sia lui il regista/sceneggiatore ufficiale o meno. Arnold invece sceglie la gente giusta e poi si fida e si abbandona nelle loro mani. Fine dell’articolo, più o meno.
Questa considerazione la facevo 30 anni fa ai tempi del leggendario fermati o mamma spara. Oggi 30 anni dopo è possibile fare un bilancio, apprfondire e ragionare sui motivi che vedono la carriera di Stallone fatta più di bassi che di alti, e sto parlando di incassi non del valore dei film, laddove
gli alti sono quasi sempre all’interno dei Rocky e dei Rambo. I due alter ego sono stati la sua gloria e la sua condanna ma se nel 2023 Sly riesce a tirare fuori dal cilindro ancora tulsa king con una gran prova d’attore e un gran seguito c’è dell’altro. Cominciando da qui il paragone, non mi è neanche venuto in mente di perdere 1 minuto con Fubar per dire.
Perchè per Arnold è tutto molto semplice, sappiamo che la sua ambizione, la sua intelligenza, il suo essere abile calcolatore e imprenditore (di se stesso) lo ha portato subito a capire che non sarebbe mai potuto essere un attore ma “solo” un corpo cinematografico. Per questo ha sposato una Shiver (pensando al fututo) e si è fatto macchina.
Il problema è che poi la politica lo ha “terminato” cinematograficamente. Smessi i panni del Governatore si è fatto uomo, invecchiato male, con i muscoli inflacciditi, pieno di acciacchi
e, incredibile a dirsi, con il livello di carisma che lo ha sempre contraddistino, azzerato, è diventato anche triste vederlo sullo schermo piccolo o grande che sia.
Fine del ragionamento, più o meno. Ma si può ancora approfondire.
In realtà sono due giganti con caratteristiche molto diverse, ed è impossibile dire chi sia migliore in assoluto. Sarebbe come volere dire chi è migliore fra Leonardo e Michelangelo. Arnold è stato enorme nella sua vita, o meglio nelle sue 4 vite, campione iconico di bodybuilding, star del cinema action anni 80 e 90, politico di grande livello e ora anche scrittore di libri motivazionali (il suo libro Be Useful è un successo). Sly è un artista completo, scrittore, pittore, sceneggiatore, regista, attore, se guardiamo solo l’ambito artistico puro è superiore a Arnold, sa sicuramente recitare meglio ma la competizione con Arnold si ferma al cinema. Per il resto Sly è un ammiratore di Arnold come persona e come bodybuilder, ha detto più volte che per lui è stato un riferimento irraggiungibile da questo punto di vista.
Ma qui infatti nessuno li mette in competizione, sarebbe folle. Si guarda solo alle rispettive carriere cinematografiche.
Allora se guardiamo solo alle carriere cinematografiche:
1) Sylvester Stallone
2) Arnold Schwarzenegger
3) Bruce Willis
4) Jason Statham
5) The Rock
6) Vin Diesel
…
Invertirei Diesel e Rock
I titoli dei film di Vin ce li ricordiamo
Quelli del samoano no
Film con decine di punti a suo favore per essere a pieno titolo uno degli stracult della nostra vita, ma che soprattutto annovera il più cazzuto e affascinante fra tutti i villains degli anni ’80, Viktor “Rosta” Rostavili, nome da cattivo migliore di sempre, interpretazione di un sontuoso Ed O’ Ross anche.Sfido chiunque dai 35 anni in su a dire di non aver considerato Viktor come nome da dare al proprio figlio o perlomeno al proprio cane…
sulla battuta “capitalismo” non approfondisco tanto è mitologica, dico solo che nelle prime visioni preadolescenziali di Danko il film porno che sparava dalla TV, per lo sdegno di Arnie, mi attizzava sinceramente…un gettone per il pornazzo in hotel…il capitalismo che piaceva
Beh qualcuno lo ha fatto, qualcuno ha chiamato Viktor il proprio figlio vero Carlito Brigante detto Charlie…..io e te vogliamo assolutissimamente credere che sia stato fatto in onore del grande Rosta e speriamo che ne prenda anche le fattezze crescendo.
Io il gettone lo lancio su Jim Belushi quando durante l’ appostamento iniziale pre retata nell’appartamento delle “teste lustre” filosofeggia sulle boobs fake o natural….
Il gettone su quella scena è da vero cultore e conoscitore di cinema quale tu sei..per quanto riguarda il nome da dare al figlio sono indeciso su quale sia più epico fra Viktor e Nathan Falco..con una certa preferenza per il primo, lo ammetto. ( Con un clamoroso inserimento di Marion come terzo che gode fra i due litiganti)
“Danko nasce, infatti, dall’idea di Hill di lavorare con la più grande action star degli anni ’80”
La più grande sempre appena dopo Stallone.
In effetti negli anni 80 le più grandi star action erano 2 e ancora adesso non si può dire chi sia stato il migliore anche se io preferivo Sly…
Film che rimane in mente per alcune scene micidiali. Trovo strano che nella recensione e nei commenti nessuno citi la scena che più mi è rimasta impressa, quando Danko va in galera e prova a minacciare il capogang islamico, prima di strappargli i testicoli, e lui risponde che ha fatto voto di castità, poi di cavargli gli occhi e lui si alza gli occhiali e gli fa vedere che è cieco, ma decide comunque di fare incontrare Danko e Viktor perché in fin dei conti li disprezza entrambi. Difficile immaginare qualcosa di più cazzuto.
Anche io ho pensato la stessa cosa, quella scena è mitica e attuale…
Film della Madonna.
film di formazione che andrebbe somministrato quotidianamente ad ogni infante del mondo poco prima di andare a letto.
che si fotta harry potter.
Onestamente un film “medio” nella carriera sia di Hill che di Arnold, godibile ma non bello come altri loro titoli. Perfettamente inserito in quegli anni e pregevole, da rivedere volentieri, ma senza alti guizzi emozionali.
Di Jim Belushi io parlo bene a prescindere, non certo per “Danko” in cui è effettivamente fuori tono, ma per “la vita secondo Jim” dove funziona alla grande e fa ridere non poco. In quella serie è davvero bravissimo.
A riguardo del quale, c’è un aspetto per il quale dovete farvene una ragione: quella serie, per chi è stato bambino dopo gli anni 80, ha reso Jim molto più famoso del fratellone John !
Rispetto, eh! Che “Blues Brothers” è un capolavoro. Ma qui si parla dell’essere conosciuti.
Riguardo al titolo, vorrei ricordare un particolare essenziale: nel mercato internazionale, sono i produttori a monte che hanno il potere decisionale, e spessissimo sono coinvolti in queste decisioni. Questo mi sembra uno di quei casi in cui titolisti italiani hanno delle responsabilità fino ad un certo punto: mi pare abbastanza chiaro che in un po’ tutto il mondo hanno deciso di chiamarlo “Danko”, per i (giusti) motivi chiaramente esposti nel pezzo, e questo mi pare chiaramente una scelta di teste che abitano a Los Angeles.
Non era certo inusuale in quegli anni, ricordo che “Young Sherlock” è dello stesso periodo e chiamarlo “Piramide di paura” non è stato uno schiribizzo dei mitologici titolisti italiani: è la traduzione del titolo che ha in diversi paesi, compresi quelli anglofoni, infatti in UK è stato distribuito come “Young Sherlock and the pyramid of fear”
Comunque è buffo che negli ultimi pezzi si stiano citando spesso i titolisti italiani
Spero che con questa recensione si aggiunga un tassello al libro de I 400 Calci sul cinema muscolare di Arnold Schwarzenegger, la cui pubblicazione in tanti aspettiamo da tempo… ci starebbe, dai Nanni Cobretti, fallo!
Arnold e Carpenter
Nato stanco
Comunque fa piacerissimo leggere dell’onestà di questa persona, il signor Hill, nell’assegnazione dei crediti
Non riesco a smettere di guardare il secondo poster e chiedermi se quegli avambracci siano stati ipertrofizzati al reparto marketing. Cioè, anatomicamente è ovvio che non possa che essere andata così, ma nella inumana irripetibilità di Schwarzy è incluso anche poter instillare un dubbio del genere.