Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Fine della recensione, game set and match, sigla, andate in pace e riproducetevi, meglio se per diletto piuttosto che per aggiustare un rapporto ormai stantio, che ogni tanto vi guardate negli occhi e, invece di sentire un romantico mapeto e contropeto di sottofondo, notate un velo di tristezza nell’abisso che vi osserva e ci avete azzeccato: è costipazione. Ricalibrate la vostra dieta insistendo sulle fibre, integrate la flora batterica e la fauna boterica, ripristinate la libido, restaurate la cunnilungo, ripotate in auge la lambada, stallonate il girotondo, gioite fino in fondo, ma fate in modo che La guerra di Madso sia la vostra pausa pipì nel più che dovuto, nonché diligente, recupero della filmografia di Walter Hill che avete fin qui intrapreso.
Immagini dello skyline di Boston in split screen, assolo generico di chitarra che smetalla in colonna sonora. Ralenti che diventano fermi immagine in bianco e nero dei membri della squadra del giovane e rampante rapinatore Madso Madden, con la sua voce fuori campo a leggere delle didascalie di presentazione che entrano da un orecchio ed escono dall’altro senza lasciare traccia: le cervella sono troppo impegnate a registrare il cazzo che sta succedendo in questo incipit a livello di scelte estetiche e di costruzione narrativa. Jimmy O’Connor, detto il grande, di mestiere fa il boss di un quartiere malfamato di Boston perché con quel nome qui non avrebbe potuto fare tanto altro nella vita, se non invadere l’impero persiano e prendersi la soddisfazione di schiaffeggiare con il pisello i satrapi del posto. Jimmy il grande fa finta di sparire dalla circolazione perché ha i federali troppo alle calcagna, ma lascia dietro di sé un tesoro segreto. Si dice. Si tratta degli undici o dodici milioni di dollari – la faccenda è talmente mitologica che non si ha nemmeno certezza della cifra precisa – che ha prelevato senza bancomat da una banca. Oltre al fantasma di una somma così leggendaria, il grande lascia dietro di sé dell’altra roba, paradossalmente molto più tangibile del denaro contante: con l’assenza di Jimmy, in zona rimane un vuoto di potere che la metà ne basta. Tentano di approfittarne i due Danny, i bracci destri del boss in fuga, che rompono anche un po’ le palle a Gerry, luogotenente e psicopatico torturatore d’ordinanza al soldo della ghenga, dicendogli che adesso comandano loro e andandogli proprio sopra al cazzo di prepotenza, ricevendo in cambio uno sguardo matto che lascia presagire cose.
“La legge della giungla è che le scimmie non fottono gli elefanti” dice Madso Madden a uno dei suoi soci – quello che assomiglia a Butterbean – lasciandolo perplesso tanto quanto gli spettatori. Madso ha ereditato i difetti paterni: ha l’espressione costante di uno che soffre di stitichezza, organizza rapine, tratta male le donne e odia le guardie. La brava ragazza che frequenta gli dà del perdente in piena fazza perché non è disposto a mollare la malavita, e quando lui torna a casa da un furto di televisori andato storto si prende anche un manrovescio dall’ex compagno di liceo diventato sbirro, il quale gli rivela dell’incendio a casa di Jimmy il grande provocato colposamente dal goffo tentativo fallito di rapina messo in piedi da due dei soci del Madso, Frankie e Tommie. Una coppia di babbi mai vista, che dura giusto il tempo di fare quella cagata qui, appiccare involontariamente fuoco a casa di Jimmy alla ricerca del sussurrato tesoro, e viene presto fatta fuori.
Madso vive la vita criminosa seguendo scrupolosamente l’etica dei localz: bisogna seguire le regole, altrimenti diventa tutto una giungla. E nella giungla la scimmie non fottono gli elefanti, mi pare di aver inteso. Quali siano le regole, però, è poco chiaro. Una che ho capito è che se qualcuno sgarra i tuoi soci, devi vendicarli anche se erano dei malevoli traditori scemi di merda, è importantissimo. La regola ha una postilla: se sei a Belfast e ti chiama un cugino di Boston per chiederti aiuto per vendicare dei soci di merda sgarrati, anche se stai vigorosamente facendo l’amore a una bella signorina dai capelli rossi devi interrompere il coito lì per lì e recarti subito, nudo e gocciolante, al più vicino aeroporto internazionale, essere uno di quegli psicopatici che compra il biglietto in loco – mi immagino sempre uno stronzo che si sveglia la mattina e dice “Voglio andare a Istanbul” quindi prende il taxi, paga in contanti senza fattura, va in aeroporto, chiede un biglietto per Istanbul, paga in contanti senza fattura, decolla e la settimana dopo torna con una fascetta in testa –, insistere acciocché ti venga assegnato un posto finestrino, volare a Boston per aiutare la famiglia, tornare in Irlanda per portare a termine il coito interrotto (probabilmente). È fondamentale. È anche insensato, ma è soprattutto fondamentale.
La guerra di Madso, non il titolo del film ma il concetto in sé, scoppia per tutti questi futili motivi e raggiunge il suo apice con una delle sparatorie più cesse, peggio concepite e peggio girate che io ricordi. Migliora solo verso la fine, quando cominciano a cadere corpi a uso ridere e sembra di stare in un western di irlandesi incazzati. Però il problema di La guerra di Madso, non il concetto in sé ma il titolo del film, è proprio quest’aria di svogliatezza irrimediabile. Io la butto lì, e prometto che non si tratta di sciovinismo: non è colpa di Walter Hill – il quale, oltretutto, povero, aveva ancora le gengive ammaccate per le saracche in pieno muso prese a causa di Supernova. Quando esce questa fetecchia, Hill è lontano otto anni da una regia cinematografica (aveva fatto Undisputed nel 2002), ma nel frattempo ha diretto e influenzato serie tv davvero spesse e bellissime (Deadwood e Broken Trail), prova provata che la mano c’è ancora e pure l’entusiasmo, quando Walter ne ha voglia. Solo che come fai ad averne voglia quando ti mettono in mano il progetto di una serie tv ideata da Dana White – QUEL Dana White, il tizio della UFC malcagato persino dalla madre ma apprezzato da Donald Trump – che voleva fare The Shield a Boston romanzando la storia di veri gangster del posto, tipo Whitey Bulger.
Walter fa quello che deve fare, incassa l’assegno che deve incassare, il pilota non diventa mai una vera serie e lui chiede gentilmente di far rimuovere il proprio nome dai titoli di coda di quello che il suo biografo ufficiale, Brian Brems, definisce un film “unfocused and chaotic”. Non solo svogliato e caotico, ma anche messo insieme con un’estetica videoclippara malevola – che non sono proprio sicuro sia tutta farina del sacco di Hill, la storia puzza di pesanti interventi in fase di post-produzione – fatta di macchina digitale da due soldi a spalla, zoom criminali, stacchi di montaggio a tendina, split screen doppi e tripli, inquadrature storte gratuite, scene di merda di baci di merda girate al rallentatore con chitarra classica spagnoleggiante in sottofondo, torride scene di sesso in split screen speculare, ralenti, filtro verde e dissolvenza in nero. Coerentemente con tutta questa atmosfera parrocchiale, in Italia il film te lo accatti o in DVD, o su MGM+ (prova gratuita per due settimane su Prime e poi disdici), dove le opzioni di visione sono: in originale senza sottotitoli o doppiato male con un missaggio sonoro da patrie galere e l’audio in ritardo di mezzo secondo. Epico.
Pausa pipì quote
“Pipì fatta, è il momento di JIMMY BOBO”
Toshiro Gifuni, i400calci.com
Oramai alla deriva Hill non è più in grado di rinnovarsi, magari! Neanche di poter essere una garanzia credibile per qualsiasi progetto cinematografico decente. La mia è onestà ma purtroppo Walter Hill come regista e AUTORE ci ha lasciato alla fine dei 90… fateci caso, ha concluso il decennio di fine millennio con tre western, TRE WESTERN. Neanche Kevin Costner aveva girato tre western in otto anni. Diciamo che Hill oramai era all’apice, ma appunto per questo non è riuscito a creare un “nuovo” action, che non fosse derivativo o già visto. Dopo Supernova e Undisputed e questa cosa qui sopra, ha fatto sta serie Broken trail che immagino verrà recensita. Poi è arrivato Jimmy Bobo( pietà) Nemesi (pietà) e forse il secondo o terzo film peggiore che ha fatto MORTO PER UN DOLLARO. Fine, anche perchè non credo che al di là dell’età possa avere la possibilità di dirigere e produrre qualcosa.
Sparagli, Madso! Sparagli, Cadso!
Hill mi è piaciuto fin dal suo primo film, L’eroe della strada, che in poco più di un’ora e mezza era riuscito a condensare tutta la sua visione; ma immagino valga per lui quello che mi pare disse una volta Bukowski, “facile essere grande a trenta anni, tu prova ad esserlo a 50”.
Il signor Gifuni è caricato a pallettoni, vedo. Rece spettacolare, film sinceramente boh
Non sapevo Walter Hill avesse diretto episodi di Deadwood, tra cui il primo! Quindi in carriera avrà diretto due Wild Bill Hickock diversi, Jeff Bridges e Keith Carradine…
Ma zio caro, perche’ avete saltato Broken Trail, il capolavoro di Hill post-2000?
Una volta sognavo di leggere piu’ Basi possibili da parte vostra, ma a ‘sto punto, dopo aver dimostrato che, si’, Friedkin e’ solo quei tre/quattro titoli li’ e per il resto e’ un onesto mestierante anche un po’ stronzo, dopo aver dimostrato che mezzo coglione “indifendibile” sia Hill, spero non ve la prendiate con nessun altro povero autore basico.
A parte gli scherzi, lo so che non e’ il vostro intento, ma l’effetto generale che producete e’ questo, per me dovreste porvi il problema se volete farne altre…
Sinceramente, Tommaso: facile dirlo sotto la rece della Guerra di Madso o quella di Supernova, ma per il resto non sono sicuro di aver capito cos’hai letto esattamente finora se quello che cogli di Friedkin è che sia un mestierante e che Hill sia addirittura indifendibile… L’unica cosa che concedo è che dare uguale spazio a tutti i titoli fa un effetto diverso rispetto a leggere una biografia che si concentra al 90% sugli anni ’70/’80 e poi questa roba la liquida comprensibilmente in un paio di righe, però il gioco è anche quello, simulare a suo modo l’effetto “diretta”.
Boh, Nanni, a giudicare dai commenti non sono solo io ad avere questa percezione. Che poi possano essere solo i rompipalle come me a commentare, puo’ darsi.
La questione non e’ ovviamente parlare bene di Madso e Supernova, ma da un articolo dei 400 calci, anche su titoli del genere, mi piacerebbe uscirne con una prospettiva diversa rispetto a quello che potrei ricavarne da una recensione annoiata di Mereghetti sul Corriere della Sera.
Per dire, lo avevate fatto perfettamente con la rassegna dedicata a Tony Scott (che tra l’altro essendo scomparsi gli articoli di Recchioni sarebbe bello riprendere e reintegrare da pezzi nuovi), dove l’amore per il regista traspariva anche negli articoli dedicati ai suoi titoli minori. Grazie alla tua recensione di allora ad esempio ho rivalutato parecchio “The Fan”, pur continuando a considerarlo un titolo poco riuscito, e nostante pure tu ne scrivevi come un film sostanzialmente riuscito a meta’.
Qua e là l’ho notato, ma sinceramente quando capita rimango altrettanto perplesso. Non sono nella vostra testa: generalmente i commenti mi sembrano tranquillamente giustificati anche se di opinione contrastante, ma ce n’è anche qualcuno che non riesco per forza a inquadrare. Ad esempio: abbiamo raccontato almeno una dozzina di capolavori o quasi, eppure ho visto spuntare qualcuno che al primo passo inequivocabilmente falso ha esclamato “ah ma allora ne ha azzeccati solo due!”. Noi le sfumature ce le mettiamo sempre e lo sappiamo che qualcuno inevitabilmente le incasella di forza tutte da un estremo o dall’altro. Ognuno ha la sua sensibilità. A volte leggi di un film pasticciato come The Fan e per qualche ragione ti rimangono in mente di più i lati positivi, altre volte leggi I trasgressori e ti rimangono quelli negativi anche se sinceramente non ricordo di averne messi a parte gli incassi e una genesi buffa. Per qualcun altro è facilmente l’opposto. Pure in questo pezzo, come in tutti gli altri, non manchiamo di far notare dove stia la zampata d’autore, ma non si può certo negare che il film sia poco entusiasmante nel momento in cui Hill è il primissimo che manco lo vuole firmare.
Sarebbe bello se Recchioni vi cedesse i suoi pezzi per ripubblicarli qui, alla fine è un pezzo di storia dell’internet italiano – tra l’altro mi sa l’occasione con cui vi ho scoperto.
All’epoca il suo blog era seguitissimo, la gente lo intervistava per parlare solo di quello e del fatto che smuoveva più pubblico lui da solo che i portali dedicati al fumetto (Lospaziobianco, Comicus, ecc.). Mi ricordo che una volta rispose tipo “il blog è parte del mio lavoro tanto quanto i fumetti, anzi sarà quello che durerà di più, sicuramente mi sopravviverà”.