Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Insomma, non è un buon momento per Walter, eh? Lo so, vi vedo, amici fancalcisti. Leggo nei vostri commenti dello sconforto, so che non ci credete più. Perché? Perché il vostro regista del cuore non ne becca più uno da… da quanto? Boh, diciamo dal 1990, da Ancora 48 Ore? Ah, attenzione, abbiamo qualcuno che rilancia. Cosa dici? Secondo te l’ultimo bello è stato I Trasgressori? Persino Wild Bill? Vabbè, discutibile, dai… adesso non stiamo a litigare tra di noi che poi è un attimo che ci sale il sangue alla testa e finisce a mani nella faccia, ciapponate nelle cosce, morti ammazzati male. Diciamo, senza tema di essere smentiti, che è tanto tempo che Walterone nostro si agita, si muove, ci prova! Ma non riesce a fare un film di successo manco per sbaglio. Sarà almeno da 5 o 6 post che la china è quella lì. E quer pasticciaccio brutto de via Supernova, non ha aiutato, eh? Anzi…
“È stato davvero imbarazzante, e per un certo periodo ho seriamente pensato che avrei potuto smettere. Per un anno intero non ho fatto nulla. Mi sentivo fortunato perché riuscivo a sfamare i miei figli. Poi, ho deciso che volevo tornare a lavorare.“
Raga, ve l’ho detto: una brutta situazione. Cioè, adesso, va bene tutto, eh? Ma se uno come Walter Hill ha problemi a mettere insieme il pranzo con la cena, vuol dire che è tutto finito, tutto degradato. Com’è potuto succedere? Si è sopita per sempre la sua vena creativa? Ha perso la grinta iniziale? Oppure è colpa del cinema che sta cambiando? È Hollywood che si sta trasformando in un brutto posto pieno di gente che non sa più cos’è l’amore? Può essere, amici, può essere. Voglio dire, è possibile che sia una somma delle cose appena sopra elencate. Forse, arrivati al cambio di secolo, Walter è effettivamente stanco. E forse bisogna trovare il coraggio di ammettere che il tempo passa per tutti.
Ma è proprio nel momento della massima difficoltà che il guerriero dimostra tutto il suo valore. Cioè, non avete mai visto un film in vita vostra? L’eroe è a un passo dalla sconfitta finale, quand’ecco che, bum!, trova la forza necessaria per risollevarsi e andare a vincere la gara più importante, la gara della vita. Insomma, davvero vi dobbiamo spiegare tutto? Walter Hill si affaccia al 2000 senza nulla da perdere e, con un’arroganza epocale, con uno scatto di reni ormai quasi inatteso, riesce a realizzare una bomba come Undisputed. Sì, io ve lo dico subito, amici: per me Undisputed è una bomba. Non voglio sentire ragioni. Vogliamo mettere la sigla adesso, che vedo che i ragazzi son carichi? Ok, mettiamo la sigla. Skippate 54 secondi di intro A CASO e poi potete alzare il volume a 11.
Anche se non sarete mai dark quanto Wesley Snipes.
Walter Hill, facile da immaginare, è un fan della boxe. Da quello che posso intuire io, leggendo una sua vecchia intervista rilasciata all’epoca dell’uscita del film, Hill non è che segua davvero lo sport; non gli puoi chiedere corsi e ricorsi storici, non lo sentirai mai fare delle statistiche alla Rino Tommasi. È fan della boxe così come Herzog è fan del Wrestling: gli piace il dramma che c’è dietro, i personaggi, le loro storie di rivalsa, di caduta e di rinascita, gli piace eroismo. L’epica, porca puttana, gli piace l’epica!
“Nella boxe ci sono tante cose brutte (Boh, ma che cazzo dici, Walter? Cosa brutte, cosa? La violenza, il doping, i soldi? Cosaaaaa? n.d.r.), ma quello è solo un lato della medaglia. L’altro lato è che la boxe ha un potere, una bellezza, una drammaticità e un fascino che la rendono uno sport davvero avvincente.“
Capito? Non siete d’accordo con me? Cioè, secondo me, se glielo chiedevi nel 2001, Walter Hill non sapeva manco dirti il nome del campione del mondo di boxe, ma lo stesso avrebbe giurato e spergiurato di essere un grande fan del, come si chiama? ah, sì, del pugilismo. Ma guarda, mi ci metto anche io dentro, eh? Cioè, pur essendo cresciuto – anagraficamente, emotivamente, calcisticamente – con Rocky, non ho mai sentito la necessità di interessarmi davvero alla boxe del mondo reale. Mi bastava e avanzava quella iperdrammatizzata del grande schermo. Io, come Walter, quello volevo.
Leggenda vuole che un giorno Walter Hill si trovi a pranzo con l’amico David Giler. Hill, Giler e Gordon Carroll sono i tre dietro la Brandywine Productions, quella di Alien e di tutto quello che è venuto dopo, quando le cose andavano alla grande. Un tempo avevano il mondo ai loro piedi, i ragazzi. Guardali qui, adesso: due signori in età prepensionistica che si ritrovano al ristorantino del quartiere a parlare dei tempi andati. Chiacchiera di qui, chiacchiera di là, i due finisco per parlare della carriera di Mike Tyson e del fatto che, nel 1992, all’apice del successo, il Campione fosse finito ar gabbio per stupro. E a quanto pare Giler se ne esce con un’osservazione, qualcosa come: “Oh, Walter, ma pazzesco se ci pensi che a nessuno, dico proprio a nessuno, sia venuto in mente di raccontare la storia di un campione del mondo di boxe nell’ambiente più peso di tutti: una prigione di massima sicurezza! Cioè, non ti sembra un’idea semplice ma fichiss… Walter? Walteeeeeer???”. Niente, Walter non c’e già più, David Giler. Ti ha lasciato lì – per altro senza pagare il conto (ma queste sono le solite malelingue della sinistra) – e se n’è andato a casa a scrivere un primo trattamento. È arrivato il momento di tornare a lavorare.
Lo spunto di Giler è effettivamente interessante e si presta particolarmente bene alla poetica di Hill. Undisputed, nella sua immediatezza, è una storia evidentemente nelle sue corde. Perché racconta la storia di una divinità, “un gladiatore”, come si definisce George “Iceman” Chambers a inizio film, che dal Paradiso finisce iettato in un Inferno dove solo la sua forza bruta potrà salvarlo. Un campione senza gloria. Contemporaneamente però Undisputed racconta anche la storia di un altro gladiatore: un uomo condannato dalla sua forza bruta a essere il campione degli ultimi, del mondo di quelli sbagliati. Un campione senza gloria. Che, se non ho fatto male i calcoli, fanno due campioni senza gloria.
Oh, non so voi, ma io ricordavo che il protagonista di Undisputed fosse il buono, Wesley Snipes. Invece, una volta finito di riguardarmi il film per prepararmi a questo speciale, mi sono ritrovato a pensare che forse il vero protagonista di Undisputed è sempre stato il cattivo, Ving Rhames. Certo, è Wesley Snipes quello Undisputed (“Hey, that’s the title of the movie!“, direbbe qui quello di Pitch Meeting), ma obiettivamente fa poco o nulla. Anzi, non si capisce bene che tipo di personaggio sia, il suo Monroe Hutchen. Sarà che al solito Wesley c’aveva altro per la testa, ma qui si limita a tratteggiare una specie di guerriero/saggio della vita, tipo David Carradine in Kung Fu, che se ne sta nella sua cella a visualizzare i colpi e a dire frasi sagge, mentre passa il tempo (infinto) che ha a disposizione costruendo pagode giapponesi con degli stuzzicadenti. Che va bene tutto ma di cosa cazzo stiamo parlando.
Ora, davvero, non mi sono messo a cercare aneddoti su Wesley Snipes sul set di Undisputed, non ce n’è bisogno. Lo vedi che non ce ne ha mezza. Però, allo stesso tempo, è ancora misteriosamente dotato di quel carisma naturale per cui lo vedi e pensi, “Aaaaah, ed eccolo qui il protagonista del film!”. Ci sono due momenti precisi che secondo me spiegano perfettamente questa ambivalenza. Il primo è quando si mette a correre per la prima volta, quando inizia l’allenamento che lo porterà sul ring di fronte al suo nemico giurato. Dovrebbe essere un momentone, l’inizio di un topoi irrinunciabile nel film di boxe, l’esaltante training montage. E invece Wes parte con la stessa grinta che avrei io se davvero, come prometto e non mantengo ogni anno, facessi jogging il mattino del 1 gennaio, dopo aver fatto serata con Ettore della palestra e i suoi amici balordi di Prealpi. Uno scazzo che non ti dico, Il Wes.
Il secondo momento però è quello del genio, della cartola innata, del guizzo. Wesley si incammina verso la cella di Peter Falk nella posizione dell’umarell, mani dietro la schiena like mia nonna in cariola. Passo lento e leggero, Monroe Hutchen, uno di cui non sappiamo nulla di nulla perché non c’è stato molto tempo (leggi “voglia”) di scrivere UNO STRACCIO DI SCENEGGIATURA, si trasforma e diventa quello che vi ho accennato prima: una specie di lottatore/santone che non solo è fortissimo, ma probabilmente sta in fissa con la filosofia orientale, ti tira delle pezze sul fatto che “devi essere acqua, fratello”, quelle robe lì. Non lo so, tiro a indovinare perché, davvero, in sceneggiatura non c’è traccia di un minimo di costruzione del personaggio. È Wesley che, solo con un gesto, riesce a farti capire un mondo intero.
Dall’altra parte invece c’è un personaggio davvero a tutto tondo: George “The Iceman” Chambers. Senza tanti giri, Iceman è letteralmente Mike Tyson: il campione del mondo dei pesi massimi che finisce in prigione per stupro. Ma! E qui sta il motivo di interesse nei confronti del personaggio, Hill e Giler non ci sveleranno mai se è colpevole oppure no. Probabile sia una loro dimenticanza, ma riescono davvero nell’intento di non pendere mai da una parte o dall’altra. Cioè, Wesley Snipes lo sappiamo che è colpevole – ce lo dice lui e ce lo dice anche un flashback molto ma molto brutto – ma davvero, io non so cosa pensare di Iceman, ragazzi. Cioè, quando a inizio film dice che è un gladiatore, secondo me non intendeva citare SOLO la definizione che Dwight dà di Marv in Sin City – Una Donna per cui Uccidere:
“Marv ha avuto la sfortuna nera di nascere nel secolo sbagliato. Lui sarebbe stato a casa su un antico campo di battaglia, a calare l’ascia sulla faccia di qualcuno. O in un anfiteatro romano, a battersi con la spada contro altri gladiatori come lui..“
Cioè, sì, Iceman è così, ma quello che intendeva lui, per me, è che un Gladiatore per essere tale deve avere un codice. Magari non è il nostro, sicuramente non è quello della società in cui vive, ma ha un codice. E quel codice non prevede lo stupro. Iceman non è uno che si tira indietro davanti alle sue colpe e se ti dice, guardandoti negli occhi, per ben due volte, dopo che ha ammesso le peggio cose, che lui non è un punk-ass rapist, allora vuol dire che non lo è. E ad un certo punto del film sei convinto che sia così. Poi però, nella sequenza successiva, si comporta da uomo di niente quale evidentemente sotto sotto è. Picchia uno più debole di lui perché è un bullo ubriaco di potere che si crede il Re del Mondo, “l’uomo più importante del pianeta” e non si rende conto invece della barzelletta è diventato. Iceman è uno che provoca, che non riesce a farsi volere bene da nessuno, sa solo incutere timore… Uno così è chiaro che l’ha stuprata, quella povera ragazza.
Ving Rhames in questo film è perfetto: non un cedimento, non un passo falso. È uno stronzo fortissimo. Anche per lui, due momenti manifesto. Quando parla con la sua avvocatessa: ancora una volta si professa innocente, dice che lui quella ragazza non l’ha stuprata. E un secondo dopo, appena messo sotto pressione, appena sente la necessità di doverle far capire chi comanda, fa delle allusioni pesantissime alla sue legale, una roba che fossi stata in lei avrei chiamato di corsa due celerini per fargli spaccare i denti a suon di manganellate. E lo fa senza lasciar trasparire un briciolo di emozione, ma emanando PERICOLO da ogni poro. Terrorizzante.
L’altra sequenza clou è quella in cui, anche lui, discute con Peter Falk. Allora, vi spiego una cosa perché ormai è la seconda volta che citiamo il suo personaggio e ancora non ho detto nulla della storia del film: Peter Falk interpreta Mendy Ripstein, un gangster della vecchia, vecchissima scuola che ha fatto fortuna con la boxe. Lascia stare che poi è finito in carcere per delle brutte storie di truffe legate proprio al mondo delle 16 corde! Ripstein è uno di quelli che ha reso la boxe quello che è oggi: uno storico, un filologo, un appassionato vero e proprio. Per lui, come per Hill, la boxe è “un atto di bellezza”, filosofia in movimento. Ed è proprio lui che riesce – minacciando, intrallazzando e spadroneggiando – a organizzare l’incontro dei secoli passati presenti e futuri: il campione del mondo di boxe undisputed di fuori, contro il campione del mondo di boxe undisputed di dentro. George Iceman Chamber da una parte, Monroe Hutchen dall’altra. Il primo è (l’ultimo) arrivato nella prigione di Sweetwater per stupro, il secondo è lì da dieci anni, e lì passerà il resto della sua vita senza possibilità di parola. Peccato, perché dieci anni fa Monroe era il pugile più promettente di tutti. Si è rifatto però combattendo in prigione. Sì, perché NON CELLO DIIKONO ma in prigione c’è un vero e proprio circuito parallelo/segreto di boxe. Lottatori di tutte le prigioni degli Stati Uniti che combattono uno contro l’altro ATTENZIONE: Questo concetto nel film è espresso attraverso il metodo del “Lo dimo”, illustrato nella quarta stagione di Boris: siccome non ci sono i soldi necessari per girare delle scene che spieghino tutto questo sottomondo, viene più o meno detto dagli attori. E questo basta e avanza…
Ok, stavamo dicendo della seconda scena clou per quanto riguarda la costruzione del personaggio di Iceman. Il nostro sta andando a parlare con Peter Falk che lo deve convincere a entrare nel ring – nella gabbia! – contro Monroe. In realtà non si parlano direttamente: essendo uno una specie di mammasantissima e l’altro il Campione del Mondo di Boxe, stanno facendo parlare i loro schiavetti. Questione di street cred. Peter Falk c’ha uno sempre al suo fianco che si chiama Jesus, Iceman butta avanti Wes Studi, il butterato a cui voglio più bene di tutti, dopo Robert Davi. Ma a un certo punto Peter Falk sbrocca e comincia a volare alto: parla di vecchi regolamenti, di incontri senza guantoni, a nocche dure come mattoni, l’onore del guerriero! E Iceman, quella specie di menhir ambulante che fino ad ora non ha mai davvero parlato con nessuno, per la prima volta si anima, reagisce. E parla direttamente con Falk, con quello che sembra essere il suo opposto, Ripstein apollineo, Iceman dionisiaco. Anche se sembra impossibile, i due parlano la stessa lingua, si capiscono. È un lampo, un’intuizione, poi Iceman torna a essere quello che dev’essere. Guarda Falk negli occhi e gli dice: “Vediamo di darci un taglio a queste stronzate. O esco da qui o niente incontro. Come pensa di farmi tornare libero?”.
Con una storia del genere e due protagonisti così, il film è fondamentalmente fatto, no? E meno male, perché oltre a Wesley Snipes e Ving Rhames – e a quello che loro regalano quasi senza sforzo (o volontà) ai loro personaggi – c’è poco o altro. Certo, c’è un cast pazzesco fatto di grandi facce da Cinema. I già citati Peter Falk e Wes Studi, ma anche il sempre viscido e macrocefalo, ma sulfureo, Fisher Stevens nella parte del secondo di Wesley e Michael Rooker, a dire il vero un po’ sprecato, come capo delle guardie. Però, certo, va detta una cosa: un cast del genere, nel 2024, è da pelle d’oca, o almeno, lo è per gran parte di noi. Nel 2002 – altra epoca, altro mondo – erano tutti lì più o meno all’ultima spiaggia, no? Gente con la benzina finita, altri con problemi di dipendenze o beghe legali, figuranti all’ultima occasione, attori abituati a essere dimenticati facilmente.
Sì, perché davvero Undisputed si porta appresso un’aria da fine impero rara. Come detto, è scritto piuttosto male. E con “piuttosto”, intendo male male male. È tutto un filo oltre lo stereotipo del genere. Cioè, per tornare a Rooker: come vi ho detto, il nostro fa poco o nulla, ma non importa! Perché Rooker è un perfetto direttore delle guardie di una prigione. È come vedere Danny Aiello che fa il pizzaiolo: anche se non sai nulla del suo personaggio, va bene lo stesso perché lo hai visto talmente tante volte fare quella roba lì che è come se lo conoscessi da una vita. Ora, a memoria non so se Rooker abbia interpretato questo ruolo prima di Undisputed ma non importa, il senso rimane invariato. Interpreta col pilota automatico una funzione narrativa in un film di genere. E così fanno tutti gli altri, penso più per loro cultura generale che per indicazioni di sceneggiatura. Il direttore stronzo e viziato, il capo della guardie, l’aiutante sfigato, il saggio della prigione… Li conosciamo tutti, no?
E che dire della messa in scena? Calma piatta totale. Sono distanti i temi in cui Hill dettava o si inventava un’estetica, i fasti delle luci al neon di Strade di Fuoco, della New Orleans spoglia e buia di Johnny Il Bello, dei blu e rossi di Wild Bill o di Ancora Vivo. Il film è stato girato in un’ala del carcere di High Desert State Prison di Indian Springs in Nevada, ma se mi avessero detto che era il solito set di Sofia, quello dei suoi amatissimi seguiti, non avrei battuto ciglio. Walter Hill qui è obiettivamente quasi invisibile. Non si capisce se per mancanza di voglia o perché è invecchiato male, ma ci si concede solo qualche effetto rubato al Tony Scott più impizzato (roba che nel 2002 qualcuno chiamava “linguaggio da videoclip”) e due o tre flashback virati in bianco e nero che gridano vendetta. Il resto è tutto grasso che cola.
Insomma, a dirla tutta Undisputed è un mezzo disastro, eh? Eppure gli si vuole bene davvero. Perché racconta una storia simile a quella del suo creatore, un altro Campione senza gloria. Uno che aveva il mondo ai suoi piedi e che nel 2002 si trova invece, inspiegabilmente, ai margini della periferia di Hollywood. Una vecchia leggenda che si aggira spaesata sul ring, ma che è ancora in grado di essere pericolosa. Undisputed è un film per pochi. E quei pochi sono tutti dei figli di puttana. Quando il signor Master P, autore di alcuni brani della colonna sonora, canta l’inno nazionale prima dell’incontro finale e cambia il testo in: “Every inmate wanna be free, every hustler wanna be me“, io mi scaldo perché questo è davvero cinema di nicchia. Magia creata dal nulla e destinata a finire nel nulla. E Hill lo sa:
“Sono molto contento del film. Certo, non è un capolavoro ma mi sembra di essere riuscito a fare un buon film. Cazzo, l’abbiamo girato in 39 giorni, abbiamo speso 20 milioni di dollari che è pochissimo per gli standard odierni di Hollywood, e racconta una bella storia. Lo considero l’equivalente cinematografico di un buon racconto breve… C’è azione, ci sono quelli che fanno brutto, per cui penso attirerà principalmente un pubblico giovane e maschile. Ma c’è anche una parte nostalgica legata alla boxe che potrebbe piacere a un pubblico più maturo. Ho letto qualche recensione e mi sembra di capire che non piace molto al pubblico femminile ma che ci devo fare? Incrociamo le dita“
Ma, ormai, dopo tutto quello che è successo, che cazzo gliene frega a Walter? Il film esce in sala, esordisce al numero 8 della classifica, si porta a casa quasi 5 milioni il primo weekend e poi scompare dai radar di tutti. Ma col tempo, grazie a quel glorioso mercato che un tempo si chiamava Home Video, diventa un piccolo classico. Ma non solo: come noi amici del cinema dei giusti sappiamo, la materia grezza che è alla base di questo piccolo culto, diventerà terreno fertile per una serie di seguiti straight to video che ci cambieranno la vita. Undisputed II: Last Man Standing, Undisputed III: Redemption, Boyka: Undisputed. Praticamente un sottogenere intero, grazie al quale abbiamo potuto vedere su piccolo schermo alcuni dei calci volanti più belli del cinema tutto. Un filone di film che nascono dall’intuizione di mostrare con un certo compiacimento dei mafiosi russi che scommettono bevendo grappa di patate liscia in prigioni dimenticate da cristo.
Grazie, Walter. È a te che dobbiamo cose belle e inattese come Undisputed.
Lascio, commosso, la parola all’opinionista Mandy Ripstein.
DVD-quote:
“La materia di cui sono fatti i sogni.
E i calci volanti di Scott Adkins.”
Casanova Wong Kar-Wai, i400calci.com
Ma certo che Undisputed è una bomba. C’è bisogno di dirlo?
I fermo immagine dei carcerati con anagrafica, fedina penale ed occupazione ricordano Oz della Hbo, vero punto di inizio della ormai passata golden age delle serie tv e per certi versi punto di arrivo ad oggi insuperato per dramma, brutalità, dinamiche carcerarie, al netto di qualche plot ridicolo e di due stagioni di troppo.
Walter Hill qualche puntata della serie doveva averla vista, considerando i flashback in bianco e nero con le origin stories dei personaggi.
Ogni puntata di Oz un pugno nello stomaco e, a questo proposito, indimenticabile il torneo di boxe carcerario della seconda stagione.
Undisputed scivola via, i detenuti dell’Oswald State Penitentiary graffiano la memoria.
Buona la “recensione” di Oz.
Concordo su tutto.
Sarà che lo diceva nel primo Sin City? Perché mi suona familiare ma il secondo l’ho a malapena visto.
Ah, non il film. Chiaro.
Si era nel primo sin city
Insomma, la scrittura latita, la recitazione è fatta col pilota automatico, la fotografia boh, la regia è assente. E la cosa più figa del film sono… i seguiti con Scott Adkins?
Non vorrei unirmi al coro dei vari “Hill è bollito da trent’anni”, ma ragazzi, qui davvero non ne ha più azzeccata una, e non è che coi prossimi vada tanto meglio.
Detto che Undisputed non l’ho mai visto, anche a me questo post ha lasciato un po’ di straniamento: è tutto tecnicamente scarso ma alla fine il film ci piace. Ok.
In pratica la versione speculare di quello su Dune 2, in cui ogni singolo comparto è eccellente ma Rohmer è rimasto poco convinto del risultato complessivo.
Alla fine ci sta, l’arte non è matematica come insegnava John Keating.
“tante cose brutte”
Forse aveva in mente quelli ridotti come Ali. O quelli che sul ring ci sono rimasti direttamente secchi. L’epica della boxe, descritta grandiosamente nell’immenso Million Dollar Baby, può far dimenticare quanti ne vengono macinati, e sono la maggioranza, finendo con zero gloria e con problemi fisici e psichici molto seri. Da sportivo praticante disprezzo gli e-sports, ma nel caso della boxe, vedrei con favore una versione “Real steel”, con bots impersonati da remoto.
Acciaio, il racconto di Matheson che ha ispirato il film, è una roba MERAVIGLIOSA
Un po’ come quasi tutto quello che ha scritto (Al di là dei sogni…….. :-(
Grazie per il suggerimento, lo leggerò molto volentieri, Io sono leggenda è uno dei pochi racconti di genere che riesce ad innovare senza snaturare.
Il fascino magnetico della boxe.
Rimanda a qualcosa di ancestrale e primordiale, al punto che cattura gente che non ha mai seguito un solo incontro, o che non ha mai messo piede in una palestra di pugilato.
Piu’ che lo sport in se’, e proprio il pugilato inteso come etica e filosofia di vita.
Parliamo di combattenti. Che rimangono tali anche quando sul ring non ci vanno piu’, e che affrontano ogni cosa con il piglio di chi si sta battendo in un match.
E’ sempre bello vedere un grande, che davi ormai per compianto da un pezzo, avere un moto d’orgoglio e regalare un clamoroso ed ultimo colpo di coda.
Tralasciando la saga che ne e’ scaturita, e trattandolo come film ad unicum, Undisputed e’ una bomba.
Concordo in pieno.
E vedendolo, se ne comprende in pieno la ragione.
A Hill e’ scattato davvero qualcosa, stavolta.
Gli si e’ riacceso il sacro fuoco.
Attori letteralmente in stato di grazia: Rooker, Studi, persino Snipes. Anche se ormai il morbo dello skazzo congenito lo aveva gia’ colpito in pieno.
Rhames fa paura. Nel senso che Chambers e’ un vero e proprio animale.
Uno che sembra sul punto di ridurti a carne trita non appena interpreta storta una tua mezza parola
Leggevo che Rhames si stava preparando da tempo per un film su Tyson, tu guarda le coincidenze.
Beh, di sicuro gli e’ tornato utile.
Falk e’ pazzesco. La versione del tenente Colombo che i telefilm non ci hanno mai voluto dare.
Nelle parole di Hill traspare una grande soddisfazione, davvero.
La serena consapevolezza di aver fatto il film proprio come lo voleva, nei pregi e nei difetti.
Ah, dimenticavo…
Rooker faceva lo sceriffo Pangborn ne “La meta’ oscura” di Romero.
E quindi, seguendo il tuo discorso, come capo delle guardie ci sta a pennello.
Anzi, ti viene proprio in mente quel rullo li’.
joe cassano😂sul beat di spit di show&ag😌
Forse ho letto affrettatamente, ma mi pare che sulle effettive scene di combattimento non ci sia manco una frase.
Meritano?
Film discreto, Hill si ripiglia un pò ma non basta, oramai sembra anzi è avviato alla china discendente, gli anni 80 lo hanno lanciato, i 90 consacrato nonostante gli alti e bassi. Purtroppo oggettivamente come regista Hill non è riuscito a cacciare una regia buona che sia una nel nuovo 21 secolo. Rimasto fermo ai 90, con un estetica figlia di quel periodo e attori che vabbè fanno quello che possono. Però se le sceneggiature fanno pena (Jimmy Bobo e Nemesis) non è che obbiettivamente noi pubblico possiamo fare qualcosa. Oramai Walter c’ha 84 anni! Capito bene 84… e insomma credo che tra poco riposerà in pace e c’è lo ricorderemo meglio di quello che era! Peccato perchè poteva fare moolto di più.
Ma “senza possibilità di parola” sarebbe la traduzione di “parole”, libertà condizionata in inglese?