Serve un motivo per fare una retrospettiva su William Friedkin? No. Ma noi ce l’abbiamo: il motivo è che non avevamo ancora coperto praticamente niente di suo. E quindi ora copriamo tutto. Benvenuti all’atto conclusivo del nostro imprescindibile speciale: Le basi – William Friedkin.
Se credi in Dio, devi credere anche nel diavolo. Parlo del Dio cristiano, ovviamente, altre religioni potrebbero essere più malleabili. Ma col cristianesimo il pacchetto è quello, un bel “due per uno”, diciamo. Non posso sapere per certo, al cento percento, in cosa creda William Friedkin, ma mi sembra evidente che la questione gli interessi, da L’esorcista in giù. E con la questione intendo il diavolo.
Anche Killer Joe – il film della definitiva ri-consacrazione di Friedkin, quello salutato quasi unanimemente come un successo secondo vari gradi che vanno dal “capolavoro assoluto” all’“atteso ritorno alla forma”, quello che dà finalmente ragione a tutti coloro che non avevano mai dubitato un solo istante del maestro, quello che innesca rivalutazioni e riscoperte (ne hanno già scritto meravigliosamente il gran capo Cobretti e Cicciolina) – è un film sul diavolo. Il diavolo, ovviamente, è l’eponimo killer Joe. Lo è per senso e drammaturgia, ma soprattutto – siccome Friedkin, ci abbiamo scritto un intero Le Basi per ribadirlo, è uno determinato a mostrare molto più che a dire – lo è nella sostanza delle immagini, nelle inquadrature che lo incorniciano, nella costruzione delle sequenze che lo seguono, nel modo in cui appare, quando appare, Matthew McConaughey, cioè l’attore che lo interpreta.
McConaughey, è bene ricordarlo perché la memoria corta è un malanno drammaticamente più diffuso di quello che ci piacerebbe pensare, a questo punto della sua carriera, cioè nel 2011, non è ancora il McConaughey a cui pensiamo oggi quando qualcuno dice “McConaughey”. Non è il Rust Cole di True Detective che filosofeggia tracannando birre con gli occhi strabuzzati, né l’Oscar winner che sale sui palcoscenici con un ghigno soddisfatto biascicando in texano «Alrightalrightalright», né il matto che fa le comparsate da matto battendosi il petto davanti a un DiCaprio (stupe)fatto in Wolf of Wall Street. No, nel 2011 Matthew è ancora per tutti il McConaughey di commedie romantiche perlopiù inguardabili, il manzo dai riccioli d’oro a cui nessuno darebbe due lire come “attore drammatico”. La trasformazione, tanto radicale e impressionante da stamparsi a caratteri cubitali nell’immaginario popolare quasi cancellando tutto il curriculum precedente, avviene proprio con Killer Joe, quando McConaughey è entrato nel personaggio e praticamente non ne è più uscito. E McConaughey interpreta il diavolo con una compostezza soave, un’eleganza suadente, in modo tale che la sua distanza rispetto a tutto quel che lo circonda, la sua essenza soprannaturale sia chiara e indiscutibile, messa a confronto con lo squallore goffo, corrotto e inconcludente di tutto il resto.
Grazie, allora, Bill Friedkin. E in effetti c’è qualcosa di diabolico, oltre che una lungimiranza fuori dal comune e una capacità di individuare il vero talento dove altri vedono solo dei pettorali scolpiti, nel prendere un bisteccone da rom com e decidere di fargli fare il diavolo (e d’altra parte Friedkin, soprattutto in relazione a questo film, dichiara, con un understatement un po’ insolito per lui, che se trovi gli attori giusti per la sceneggiatura giusta il film è praticamente già bello che fatto). Non un diavolo qualunque, tra l’altro, un diavolo come Joe Cooper. Uno che di mestiere fa lo sbirro e nel tempo libero uccide la gente a pagamento (ricordandoci, ancora e ancora, che la legge e il crimine sono in fondo lo stesso braccio violento). Uno che quando ci stringi un patto prima ti deride in latino e poi s’insinua malefico e suadente nella tua esistenza, prendendosi tutto, un pezzo dopo l’altro, e alla fine ti abbandona con la faccia spappolata in una pozzanghera di sangue. Uno che, d’accordo, è il Male assoluto, ma è un Male con un Codice, una sua moralità perversa, e una sua intelligenza, a differenza dell’umanità che lo circonda, che della moralità non sa che farsene, dal Male si fa corrompere fino a marcire ed è tendenzialmente scema come la merda.
Ecco, non per fare l’avvocato del diavolo come fossi un giovane e imberbe Keanu Reeves, ma non è che l’umanità in cui si muove Joe Cooper sia particolarmente restia a farsi contagiare dal Male. Anzi. L’universo white trash tratteggiato con iperrealismo elettrico e stordente da Friedkin è popolato esclusivamente da esseri meschini, avidi, gretti, egoriferiti e soprattutto irrimediabilmente, tragicamente, meravigliosamente stupidi.
La trama la sapete, non solo perché avete visto il film, ma perché è quella classica e infallibile dei noir classici e infallibili. Un tizio assume un killer prezzolato per ammazzare qualcuno così da incassare i soldi dell’assicurazione. Spoiler: va tutto malissimo, soprattutto per il tizio. In questo caso il tizio è Emile Hirsch, uno per cui provo contemporaneamente dell’affetto e il desiderio recondito di dargli due ceffoni da quella volta che è andato a crepare da solo in Alaska solo per scoprire che “la felicità è buona solo quando è condivisa”. Grazie al cazzo, Emile. Ma sto divagando. Qui Emile Hirsch interpreta Chris, un giovane non molto sveglio e spesso patetico che s’arrabatta spacciando e litigando con la madre Adele, che non si vede quasi mai anche se è la ragione di tutto, come spesso capita che siano le madri. Gli indizi ci dicono comunque che è una stronza totale (scopriremo che ha cercato di soffocare la figlia – forse) e che ruba a Chris la droga che dovrebbe spacciare, mettendolo nei cazzi amarissimi con il gangster locale che gliela fornisce. Chris allora pensa bene di andare da suo padre, Ansel, un Thomas Haden Church capace di camminare in stato di grazia sulla linea sottile che unisce infinita stoltezza e totale passività. Ansel ha mollato Adele da tempo, e ora sta con Sharla, una Gina Gershon rediviva e più brava dall’ultima volta che l’avevamo vista, che comunque era troppo tempo fa. Sharla è la femme fatale della situazione, e cammina sulla linea non troppo sottile che unisce il paese di Dunning a quello di Kruger, una popolosa provincia in cui gli abitanti sono convinti di essere scaltrissimi proprio perché sono troppo scemi per accorgersi di essere scemi.
Chris propone a Ansel e Sharla di far uccidere Adele la quale, ha scoperto, ha acceso un’assicurazione sulla propria vita il cui premio andrà alla sorellina Dottie. La sorellina Dottie è interpretata da una Juno Temple luminosa e ventunenne, e non so dirvi se sia stupida pure lei oppure sia solo troppo pura e innocente, nessuno lo sa e nessuno può saperlo, cammina anche lei su una linea sottile, in punta di piedi, spesso nudi, irresistibile. Incassato il premio dell’assicurazione, se lo divideranno tra loro, Chris potrà saldare i debiti e non essere ammazzato, e vivranno tutti felici e contenti nel cuore polveroso del profondo Texas, iuessei. Chris ha pure già pronto il nome del killer da chiamare, questo tale Joe Cooper, mestiere ufficiale poliziotto. C’è un piccolo problema, però: Joe Cooper non lavora a credito, e l’intera famiglia di cervelloni non ha un centesimo da offrirgli. Ma Joe Cooper è il diavolo, e, proprio come il diavolo, sa essere, quando serve, comprensivo: in attesa del compenso si prenderà Dottie, come “caparra sessuale”.
[Una parentesi sull’età di Dottie: si parla spesso di pedofilia, riferendosi a Killer Joe, perché c’è una scena in cui Dottie dice di avere 12 anni, anche se è abbastanza evidente che ne ha perlomeno qualcuno in più. In un’intervista che ho letto, Friedkin sostiene che Dottie abbia in effetti l’età di Juno Temple all’epoca delle riprese, cioè 21 anni. È indubbio però che il personaggio sia estremamente infantile, e infantilizzato continuamente da tutti gli altri, la sua indiscutibile essenza bambina e lolitesca è amplificata proprio dalla sua innocenza, anziché da un qualche tipo di malizia. Quel tipo d’innocenza che può portare a fare e dire cose terribili, proprio a causa della totale inconsapevolezza di sé e del mondo. Alle vibrazioni pedofile di Joe nei suoi confronti, tra l’altro, si dovrebbero aggiungere anche quelle incestuose, perché da un certo punto in poi quel diavolo di Joe si installa all’interno della famiglia medesima, diventandone una sorta di padre padrone. E naturalmente anche l’attaccamento di Chris nei confronti di Dottie sembra qualcosa di più dell’amore fraterno. Insomma, in definitiva, un bel quadrettino].
Questa storia non può andare a finire bene in nessun multiverso, lo sappiamo dal minuto uno. Lo sa anche Friedkin, e questo gli dà modo di fare quello che sa fare meglio: costruire una tensione sempre più insostenibile, anche a dispetto del grottesco, a volte perfino del comico che gronda dall’ambientazione e dalla storia di questi poveri imbecilli destinati al massacro. Come il precedente Bug, anche Killer Joe è tratto da una pièce teatrale del premio Pulitzer Tracy Letts, e le molte scene di dialogo lo dimostrano (questo non impedisce a Friedkin di piazzare a un certo punto, con navigata nonchalance, un inseguimento magistrale dei suoi). Ma è ancora una volta un testo teatrale con cui Friedkin si trova enormemente a suo agio, perché – l’ha dichiarato – condivide con esso la visione del mondo, piuttosto cinica, crudelmente vera. Ed è quello, alla fine, il lavoro del regista: far vivere un mondo nello spazio di un film.
E così Killer Joe è un film sul diavolo che, grazie alla più universale delle fiamme del peccato, cioè l’avidità, prende possesso della più disfunzionale delle sacre famiglie, con una Madonna femme fatale egocentrica, san Giuseppe babbeo totale, un povero Chris brutalmente lapidato e una Gesù bambina messa incinta dal demonio. Si conclude coerentemente su un’ultima cena ultraviolenta e insanguinata, ed è un film che sul cibo costruisce tutti i momenti cruciali, e quelli di tensione massima. Il cibo che è insieme appagamento e disgusto, il cibo che assolve alla primaria e indispensabile funzione di sostentamento, ma è cibo spazzatura, che avvelena mentre nutre, che umilia e stupra (la coscia di pollo), che non uccide del tutto ma solo perché ci pensa prima una pallottola (il cibo in scatola). Un’ultima (s)cena memorabile, in cui è il diavolo in persona a guidare la preghiera e a chiedere di rendere grazie, in cui l’angoscia sale e sale a livelli insostenibili, sfidandoci a ridere dell’assurdo per poi strozzarci la risata in gola, fino al nero di un finale sospeso, senza neanche la consolazione di una catarsi.
E la questione del diavolo, ancora una volta, è al centro della visione del mondo che interessa a Friedkin e che condivide con Letts: quella della linea sottile che divide il Bene dal Male, che forse non esiste, o forse più che una linea è un baratro in cui scivoliamo tutti, diavoli e no.
Dvd quote suggerita:
«In effetti la mamma mi aveva detto che il cibo in scatola può essere pericoloso»
Xena Rowlands, i400calci.com
Lo vidi al cinema ma non mi piaque. Francamente mi ricordo solo il topless di juno temple
Era un nudo integrale, fossi in te starei più concentrato.
Che dire, applausi a scena aperta per questo mega pezzo! La mia giornata non potrà essere migliore di così.
Articolo che esalta un film veramente riuscito, in cui tutti sono in stato di grazia. Una materia narrativa che sarebbe propria dei fratelli Coen, ma che anche quando è ridicola ti fa sentire sporco e inquieto.
McConaughey è enorme, ma tutti i comprimari sono da oscar: quando THC dice “I’m never aware” mi sono ribaltato sì dalle risate ma anche dal rispetto per cotanta maestria nella scrittura e nella interpretazione.
Ho trovato la scena della “seduzione” (come viene a volte descritta, penso in nome del LOL) al tempo stesso disturbante e conturbante, mentre invece quella dello “stupro” eccessivamente lunga e gratuita, forse l’unico momento in cui ti viene da dire “anche meno, Bill”. E personalmente credo sia un peccato che quella scena sia così iconica, perché distoglie da un resto del film perfetto.
Una parentesi sulla “pedofilia”: la scena in cui Juno Temple dice di “avere 12 anni” è chiaramente una fantasia – gioco di ruolo che sta portando avanti con Joe: lei dice di sentirsi come quando per una sola volta nella vita è stata “fidanzata” con il ritardato della scuola, evento che lei vive come l’unico momento di amore e felicità nella sua vita stralunata e sfigata. Che lei possa essere effettivamente anche ritardata, cioè avere un’età mentale minore di quella effettiva – vuoi per via dei geni di famiglia, vuoi per via del fatto che la madre l’ha soffocata da piccola – è anche probabile, e rende ancora più disturbante il tutto. Ma che lei sia almeno tardo-adolescente è abbastanza evidente.
Un gran film, concordo sul fatto che sia una di quelle congiunzioni astrali nelle quali ogni elemento è al massimo, regia, sceneggiatura, interpretazioni…
Non so se il discorso sia “il male è un baratro nel quale scivoliamo tutti”, quando forse quello secondo il quale in quel baratro scivolano in tanti, molti dei quali per pura stupidità piuttosto che per vera malvagità. Ricordo una volta che sentii un poliziotto di New York raccontare che in tanti anni di carriera di criminali veramente cattivi ne aveva conosciuti pochissimi. La stragrande maggioranza erano semplicemente troppo stupidi, mediocri o pigri per riuscire a vivere in un altro modo.
Perché per la malvagità ci vuole coraggio mentre la mediocrità è alla portata di tutti. Non che difenda la malvagità. Ci vuole comunque molto più coraggio per essere buoni.
Pensa che in un documentario di Michael Moore mostrano un aspirante poliziotto scartato per il q.i. troppo elevato…Non so se sia prassi laggiù, ma a guardare certe scene il dubbio viene.
Stasera me lo riguardo, non lo rivedo dal 2011. Troppo tempo
Santo cielo che pezzo, applausi per Xena, per il maestro e per la coscia di pollo. Ora scusatemi ma mi è salita voglia di KFC.
Bel pezzo, ma resto della mia. L’ ho già detto e odio ripetermi, l’ ho già detto e odio ripetermi: ma sei credibile come Diavolo quando interagisci con degli scemi? Son tutti così scemi che Joe più che un Diavolo mi sembra un circonventore d’ incapaci. Uno che mena gente che sta cagando, in pratica. Troppo facile. Voto personale: 6,5 sulla stima per Bill.
Beh, ma il diavolo è esattamente quello, che fa, inganna gli idioti. Se uno è furbo, un patto col diavolo non lo fa.
il buon Matthew si è riscattato alla grande in effetti..però io sono affezionato ad un film improbabile dello stesso anno.. The Lyncoln Lawyer..uno di quei film brutti che però nelle notti d’estate compare sempre e boh finisce che lo guardi con quel misto di disprezzo e ammirazione per il coraggio di averlo pensato e girato…però già lì aveva iniziato a fare il matto serio
Secondo me TLL è un gran bel film. Anche disturbante il giusto a scopo antirazzismo.
L’ho scartato a priori per anni perché lo confondevo con “Coogan – Killing them softly” con Brad Pitt (una volta in sala mi bastó…).
Questo di Friedkin lo vidi solo anni dopo (diciamo 2016 più o meno… O forse anche ‘17) quando cioè McConaughey era già diventato un attore serio, chiedendomi come cazzo avessi fatto a bucarlo per così tanto tempo.
Filmone malsano, che come BUG ti fa friggere sulla poltrona e ti scaraventa addosso tonnellate di disagio. Una lenta e inesorabile discesa nell’inferno. Cast strepitoso e magnifica ultima regia di un cavallo di razza.
Bellissimo film, bellissimo pezzo, ma occhio che forse manca un accento nell’ultima riga e poi tutti guardan quello e cagano il cazzo. :D
D’altra parte, il diavolo è nei dettagli.
ziiing! corretto, grazie. me ne assumo la responsabilità perché avevo detto a xena che lo controllavo prima che andasse online e invece come correttore di bozze sono un fallito
Guarda, anch’io ero una clamorosa schiappa.
Ho mandato in stampa refusi che dopo anni, talvolta, giro ancora col passamontagna per la vergogna. E su carta lo ziiiiing, ahimè, non c’era. Provavo a cancellare con le lacrime, invano.
Ancora complimenti per il killer pezzo.
Ciao!
Il primo film di Friedkin che ho visto, ormai una decina di anni fa. Ricordo bene tutto il gran parlare che si fece di questo attore che si era reinventato in questa maniera. Ma io rimasi colpito molto di più dalla forma, dai tempi e dai toni, dalla atmosfere.
Le scene dopo l’assassinio della madre, quando si addensa tutta la tensione raccolta, iniziano con una tempesta il cui gioco di luci era mozzafiato.
Come film mi rimase molto impresso.
E se la qualità dei commenti è indice della qualità di un film, qui si ripete il caso del “Braccio Violento”: vedo fioccare riflessioni interessanti qui sotto
Il plauso va anche all’autrice dell’ottimo pezzo, e non solo perchè il parallelismo fra Joe e il Diavolo era una cosa che non avevo colto.
Su McCoso c’era un precedente, che mi faceva sperare.
Van Zan, ne IL REGNO DEL FUOCO.
Una scorreggetta di film. Mediocre e pretestuoso, dove ti promettono i draghi ma poi non c’hanno i soldi. Ma McCoso, nel ruolo del VERO BASTARDO, dimostra di cavarsela a meraviglia.
L’indice che un film mi e’ piaciuto un sacco? Il farmi appassionare a un gruppo di attori di cui, in condizioni normali, non me fregherebbe nulla.
E qui, ad eccezione della sempre bravissima quanto sottovalutata Gershon (che quando c’e’ una donna che viene brutalizzata o picchiata se la becca sempre lei), si tratta dell’accozzaglia piu’ insignificante di sempre.
Se non mi stanno addirittura apertamente sulle scatole, come Hirsch.
Giusto per agganciarsi a INTO THE WILD, se nel ventesimo secolo vai a fare una fine simile (da coglione) te la vai proprio a cercare, scusa.
Parlando del diavolo, qui ci ho visto un’atmosfera molto simile ai film dei Coen.
Ma prima di urlare FRIEDKIN HA COPIATO!!, tocca pensare che i due forse gli dovrebbero almeno un caffe’. Un po’ come Mann. Quindi…il cerchio si chiude.
Ha ripreso quel che aveva dato.
Joe fa PAURA. Pur non arrivando ai livelli di Chighur, che era di fatto la personificazione deambulante della morte stessa su due gambe.
Ignorantissimo quanto micidiale, esattamente come chi perseguita.
La dimostrazione che quando un branco di idioti si mettono in testa di fare il colpo grosso e il passo piu’ lungo della gamba, le conseguenze non possono essere che nefaste.
Specie quando irrompono i criminali veri.
E allora sono dolori. In tutti i sensi.
In certe scene si prova autentico fastidio e dolore fisico. E alla fine si puo’ solo pregare che il colpo abbia fatto centro…anche se non si salva davvero nessuno, li’ dentro.
Filmone.
chi parla male del regno di fuoco more
yes
Rivisto dopo anni, ad una prima visione non mi ero reso conto che Hirsch fosse cosí dannatamente cane. Mi meraviglio che nessuno abbia mai fatto un mash-up con The room quando a inizio film ripete la cantilena “I didnt hit her!”. Regia e scenografie buone, cast azzeccato, ma l’intreccio boh. Stessa sensazione della prima visione, questo Killer Joe non sarà mai un mio cult.
McConaughey di una bravura imbarazzante, ma nel finale il film scade nel puro compiacimento provocatorio. Troppo marciume esibito, ai limiti del tollerabile – so bene che per molti è il miglior complimento che esista, ma per me diventa puro shock movie e si sfilaccia
Che fucilata in piena faccia! Che filmone! Che cazzo di attori! Però però dissento in due cose: 1) Joe Cooper non è il diavolo (se non stiracchiata analogia dovuta al contratto – ma da quando in qua il diavolo chiede il pagamento anticipato?), è un personaggio malvagio. A mio avviso le due cose non sono sovrapponibili, ci si perdono troppe sfumature. 2) “E naturalmente anche l’attaccamento di Chris nei confronti di Dottie sembra qualcosa di più dell’amore fraterno” l’amore per Chris verso la sorella è l’ultimo brandello di bene rimasto in quell’invdivuo, l’ultima cosa pura che gli è rimasta. Chris è devastato e drogato, non ha MAI una pulsione sessuale per tutto il film.
Rece favolosa, grazie Xena. Condivido tutto, ai tempi pensai anche io a un personaggio davvero diabolico, film disturbante e soffocante. Che zampata finale per il vecchio Bill. Tra l’altro con un testo teatrale, come ad inizio carriera, tutto si tiene.
Grazie ragazzi per questo ennesimo giro di giostra con un altro grande “le Basi”. Cinque alto per tutti
Io però mi aspettavo almeno qualche riga sulle due puntate di CSI girate dal nostro
scherzo, finale perfetto a mio parere
Il buon Matthew aveva già provato a fare il pazzo redneck, con risultati discutibili, in un vecchio remake di non aprite quella porta… diciamo che al netto di tutte le commediole un po’ se la sentiva dentro e alla fine gli è tornata fuori
Vorrei solo ringraziarvi per lo speciale: me lo sono goduto tutto, ho imparato cose nuove sullo zio Bill, ho rivisitato film che credevo di conoscere e mi avete fatto venire voglia di recuperare tutto quello che mi manca. Aspetto il prossimo speciale: che mi dite di un certo Gualtiero Collina? Vi intriga?
Dio che odio per quel film con Hirsch.
Io e mie amici da quel momento coniammo l’espressione “morire di tonto” (una sorta di Darwin Awards pre-litteram).