Odio le carrellate che passano attraverso porte o finestre chiuse.
Che cosa dovrebbero dirmi?
Mi distraggono immediatamente.
Vedo la porta o la finestra chiusa che si avvicina e inizio a pensare: staccherà o ci passerà attraverso? Sarà fluido abbastanza? Vedrò la composizione del vetro o i filamenti del legno della porta? È meglio se li vedo o se non li vedo, tipo se semplicemente a un certo punto si sfoca tutto e poi siamo magicamente dall’altra parte, come se avesse attraversato una superficie d’acqua? Cosa mi spezza maggiormente l’illusione del momento: dover vedere la composizione chimica degli oggetti a cui la cinepresa passa attraverso, o vederli attraversare come se fossero inconsistenti?
Ma certo che c’è anche chi dà un senso a queste barriere fisiche e/o le attraversa con eleganza, ma è l’eccezione di chi tiene il cervello acceso.
Smile, ovviamente, lo fa a caso.
A un certo punto ha questa bella inquadratura a strapiombo di un’ambulanza che porta via una vittima; poi la cinepresa si raddrizza lentamente, ed entra nell’ufficio in cui sta la nostra protagonista, attraverso la finestra chiusa. Vorrei dirvi che va inteso come il punto di vista della maledizione della sfiga che passa appunto dalla vittima alla protagonista, ma non è così, parte troppo statica e distante all’inizio e finisce ugualmente a distanza. Macché, vuole solo essere una transizione cool.
Non capisco se esiste il culto della carrellata impossibile per cui si deve passare attraverso oggetti vari puramente per dimostrare che col digitale tutto è possibile senza freni alla fantasia, a scapito di tutto il resto, o se lo devo interpretare come il segno che qualcuno sta puntando agli ostacoli volontariamente per approfittarne e mettere un cerotto, attaccare meglio lo stacco digitale là dove altrimenti non si sarebbe riuscito a fare il vero movimento fluido.
In ogni caso, la trovo la cosa più goffa dell’Universo.
Non siamo tutti Scorsese, De Palma o Romain Gavras: smettiamola di sottovalutare il montaggio.
Il montaggio è proprio quella cosa che separa il cinema da tutto il resto.
Sigla (preparate gli accendini):
Smile puzzava di cazzatissima lontano un miglio ma è, in questo momento, anche in Italia, una delle sorprese al botteghino dell’anno.
È uscito probabilmente nel periodo giusto: fine settembre, dopo i blockbuster estivi e prima dell’invasione di horror tipica di ottobre.
Il risultato? Sono tre settimane che fa quasi gli stessi incassi.
Negli USA, un primo weekend da $22 milioni, un secondo weekend da 18 e un terzo da 12. In Italia, un primo weekend da €350.000, il secondo da €320.000 e il terzo da €230.000.
Un calo così lieve non è normale, eh? La normalità è che, anche quando ti chiami Avengers: Endgame, se il secondo weekend fai anche il 40% in meno di incassi hai fatto un capolavoro.
Smile ha di sicuro azzeccato un concetto – o meglio, un immaginario – intrigante: una cosa semplice e banale come un sorriso malvagio, un’immagine che non ha bisogno di contesti particolari per intrigare.
Poi ha azzeccato la campagna marketing: stampare il faccione gigante di Caitlin Stasey in giro per il mondo; mandare comparse in giro a fare brutto per gli stadi del baseball. Niente di sconvolgente, ma una robina fatta bene, da qualcuno che comprende il concetto di “virale”.
E c’è poco da fare: una campagna marketing azzeccata ti compra un buon primo weekend, ma quando l’andazzo al botteghino è quello significa che il film piace e che il passaparola viaggia a livelli sopra la media.
E qui è dove le mie difese hanno ceduto e mi sono incuriosito.
Partiamo dal concetto: Smile è l’ennesimo tentativo di portare al cinema i cosiddetti “creepypasta”.
Si tratta di un fenomeno tipico del web: un qualcosa di inquietante a livello quasi subliminale, una disturbante deformazione della realtà che – aspettate dai, prima che mi trasformi in uno di quei vecchi che scrivono gli articoli sul Corriere per spiegare ad altri vecchi le mode dei giovani di oggi: lo ammetto, non frequento moltissimo. Una volta seguivo creepypasta.com e mi leggevo quei brevi raccontini che puntavano a traumatizzarti l’inconscio, ma la stramaggior parte non erano un gran ché. Di solito avevano a che fare con persone che tutto d’un tratto si comportavano in modo inspiegabile, o situazioni quotidiane – tendenzialmente insospettabili/rassicuranti – che diventavano improvvisamente angoscianti. Spesso si tratta di semplici immagini, magari con una brevissima backstory in stile leggenda metropolitana. Nei casi più riusciti è la leggenda dello Slender Man, da cui però hanno tratto un film inguardabile che non abbiamo nemmeno coperto. È comunque abbastanza probabile che “creepypasta” non definisca niente di preciso, e venga usato per qualsiasi fenomeno a tema horror che diventa virale sul web (il termine stesso deriva da “copypasta”, un altro modo appunto per dire “virale”).
Nello specifico, Smile segue l’evoluzione di immaginario partita da Smiley (2012) e passata più esplicitamente attraverso Truth or Dare (2018): entrambi titoli di cui la gente si è già dimenticata.
Smile è più furbo.
La parola chiave è “furbo”.
E la prima furbizia è stata progettarlo usando Scriptmaster 2000 v1.0b.
Il film inizia come deve iniziare.
Un ospedale psichiatrico.
Un paziente, Carl, che ripete a cantilena “moriremo tutti” e fa immediatamente cappottare dal ridere.
La protagonista, la dottoressa Rose (Sosie Bacon), gli parla.
La diagnosi è: Carl è un candidato fortissimo al Premio Bravo ai prossimi Sylvester, per l’intensità in un ruolo inutile.
Carl viene quindi rinchiuso in una stanza, in attesa delle premiazioni.
Rose viene quindi chiamata a calmare un altro paziente, Laura (Caitlin Stasey), che è imparanoiatissima, ha le allucinazioni e ha paura di morire, ma bisogna crederle quando dice di non essere matta perché dice “non sono matta, sto facendo un dottorato”.
Bevete uno shottino ogni volta che qualcuno dice “Non mi stai ascoltando” (a meno che non dobbiate guidare).
Laura fa quindi quella cosa che si vede nel trailer, ovvero si blocca nel sorrisone immortalato dal poster e poi si apre la gola. Caitlin Stasey è bravissima, e il film abbastanza sveglio da sapere che è meglio mettere in cassaforte questo breve ruolo piuttosto che quello di Rose.
Il resto sta a voi: potreste trovare Smile assolutamente blando e scemo, o stranamente, perversamente intrigante.
Perché una cosa furba che fa Smile è tenere la sua mitologia al minimo indispensabile.
La sua unica regola viene spiegata subito: Laura ha le allucinazioni, si suicida davanti a Rose, ora Rose ha le allucinazioni e deve scoprire cosa diavolo sta succedendo, PER L’AMOR DEL CIELO COSA STA SUCCEDENDO, NON MI STATE ASCOLTANDO, NON SONO MATTA, SONO LA PROTAGONISTA DEL FILM!!!
E con la consapevolezza di voler mantenere il fascino della premessa senza rovinarlo con troppe spiegazioni o background inutile, il film diventa una gara a mantenere lo spettatore sveglio con tutti i trucchi più meccanici del mestiere uniti al minor rischio di personalità possibile.
Da subito, Smile si presenta come un ingranaggio a orologeria di emozioni regolarmente distribuite: personaggi monodimensionali dalle reazioni gigantesche, jump scares in larga parte finti ma col volume alla stronzaggine massima, funzioni di sceneggiatura con le gambe tipo il poliziotto convenientemente in confidenza che ha accesso a tutto, dialoghi meticolosamente generici per non distrarre dall’obiettivo principale.
È uno script talmente meccanico che ho pensato fossero gli stessi sceneggiatori dei film di Dwayne Johnson.
Rose diventa matta da legare in tempo zero per essere sicuri di avere tutte le scene madri che servono: questo dà un piccolo problema di escalation mentre comunque continua imperterrita a indagare, ma il film va avanti a sketch regolari in cui vengono aggiunti piccoli prevedibili dettagli di plot una goccia alla volta quel minimo che serve per tenerti curioso (pescando dalla sempre valida formuletta di The Ring), e nel dubbio PEM! Quando va male il marito di lei rientra in casa aprendo la porta DI COLPO E FORTISSIMOOOUOOOUOOO, e quando va bene ecco un’allucinazione brutta che appare dal nulla tanto per tirare un colpo di cannone ogni 12 minuti e assicurarsi che stiamo tutti sul chi va là.
Smile è l’apoteosi dell’orrore algoritmico.
Mi ricorda quei pezzi techno/house che giravano negli anni ’90: erano scemi, superficiali e ripetitivi, ma erano fatti da gente che aveva un istinto per riconoscere cosa ti si sarebbe appiccicato in testa. Il ritmo giusto, il sound giusto. Per cui a nessuno importava il contorno. A nessuno importava se, che ne so, ti mettevi a recitare poesie (e qualcuno lo faceva!): erano pezzi che ti ipnotizzavano e volevano stimolarti a ballare praticamente per riflesso condizionato.
Smile punta alla stessa cosa, con lo stesso istinto (lo ammetto, un paio di immagini non sono mica male) e la stessa perizia tecnica.
Per cui per certi versi funziona, eh?
Ero in una sala piena di teenager e si stavano cagando addosso. Si stavano cagando addosso e si distraevano e mormoravano rumorosamente di continuo, si lasciavano scappare risate nervose, occasionalmente volava anche un “Oh shiiit!”. Non reggevano i silenzi. Si son divertiti. Sono usciti dalla sala e hanno preso a giocare a fermarsi di colpo sul marciapiede e paralizzarsi nel sorriso del film.
Ho pensato che alla loro età probabilmente sulle ali dell’entusiasmo e della compagnia mi sarei divertito anch’io, e che poi sarebbe diventato il classico film che avrei riguardato 20 anni dopo e pensato “uhm, me lo ricordavo meglio”.
Smile non ha niente da raccontare, ma anche a valutarlo come opera di puro intrattenimento l’esordiente Parker Finn dimostra la stessa passione che può avere l’artista di strada che, dopo averti psicanalizzato, ti sfila i soldi col gioco delle tre carte. È quasi più una roba per scienziati che per filmmakers. Non serve particolare talento per fare un film del genere, a meno che non pensiate che il dottore che vi colpisce col martellino sul ginocchio e vi fa scalciare fuori controllo sia uno stupefacente mago. A confronto, Conjuring pare Shining.
L’unica cosa che fa scappar da ridere è che a un certo punto Smile si sente comunque in dovere di accennare una metafora, una roba sul trauma e/o le malattie mentali, ma è così superficiale e priva di senso che non penso conti veramente – è come quei pezzi techno/house che tra un beat e l’altro provano a metterci una poesia.
Credo in ogni caso che ne faranno almeno altri quattro.
Reddit-quote:
“Moriremo tutti.”
Nanni Cobretti, i400Calci.com
P.S.: ho provato ingenuamente a rintracciare su Youtube Laura Hasn’t Slept, il corto-prequel di Smile girato da Parker Finn un paio d’anni fa, con protagonista il personaggio di Caitlin Stasey. Non l’ho trovato, ma mi si è scoperchiato un mondo di corti creepypasta da passarci una serata intera. Volete portarvi avanti coi prossimi trend? Buttateci un occhio.
Non sono d’accordo sulla superficialità del film, il confronto coi film citati è completamente fuori contesto. Si parla di trauma, si parla del famoso smiling depression, del sorriso falso che spesso viene mostrato come maschera per coprire il dramma interno. C’è molto di più in questo film, mi dispiace che non sia stato notato. L’unico film a cui secondo me ci si è ispirato profondamente è IT FOLLOWS, che a paragone degli altri citati è chiaramente su un altro livello. Questa volta non siete andati a fondo, fermandovi troppo sullo spessore dei materiali a discapito dello spessore del film.
Mi sembra chiaro che non siamo d’accordo. La metafora non ha senso: a qualsiasi tipo di trauma il film stia accennando, la soluzione non è attaccarlo a qualcun altro. Il film non ne parla veramente: la suggerisce, ma è tutto dominato e seppellito da giganteschi strati di formuletta meccanica e personaggi che agiscono unicamente in base ad essa. Capisco chi riesce a intravederla lo stesso – ne accenno nell’ultimo paragrafo – ma è tutto estremamente superficiale. It Follows è su un altro pianeta su tutti i livelli.
Se ha la profondità del pezzo dove si ripeteva MikaHakkinen tra una cassa e l’altra gli darò una chance (quando uscirà da qualche parte..il solo pensiero di andare al cinema per sta roba è inconcepibile)
Ok, ammetto questo: non so come sia successo, ma ho perso una grandissima occasione per citare Hide the Pain Harold.
Alla fine ero andato a vederlo prima della vostra recensione e bene o male condivido il parere di Nanni. Ammetto che qualche jump scare che non mi aspettavo mi ha fatto saltare sulla sedia (e anche tirare un bestemmione in una occasione, meno male che in sala eravamo solo io e 3 amici miei).
Mi pare un compitino abbastanza fatto bene, tutto sommato sono uscito col sorriso (ah ah ah), però credo che tra 2 settimane non mi ricorderò praticamente niente.
Forse la descrizione migliore è proprio che è un film “furbo”
Il film l’ho visto e condivido in parte la rece, per quanto già visto il film tiene botta, è comunque sopra la media. Ora vado un attimo off topic, non so come sia la situazione a Londra ma l’ho visto in una sala zeppa di idioti, gente che va al cinema perché quella sera non c’era matrimonio a prima vista. Ma con la gente che parla di altro come fosse a casa sua come vi regolate? Perché io sarei per le sprangate.
Ma sei sicuro? Perché a me i mormorii continui sono sembrati chiaro segno di nervosismo. Sono stato ad altre proiezioni piene di maleducati e c’era differenza. Questi stavano solo chiaramente cercando di smorzare la tensione ridendo e farfugliando, e poi in quei due momenti più riusciti si zittivano e puntualmente si cagavano addosso all’arrivo del jump scare.
L’ultima volta che ho messo piede in un cinema è stato nel 2004 all’uscita di Walking Tall – A Testa Alta con The Rock. Eravamo in 4 in tutta la sala: un mio amico ed io, due rom/sinti o quel che erano, e i loro cazzo di cellulari. Un momento epocale in cui l’arte ha imitato la realtà e (soprattutto) viceversa. Da allora solo dvd e streaming e alla larga dalle patrie galere.
Condivido le sprangate, a me è successo con l ultimo Spiderman. Me la sono cercata dato il target? Non ci sto. C è modo e modo di vedere un film. Anch io due parole le scambio ogni tanto, ma questa è gente che NON AMA IL CINEMA. Ci va x “fare qlc quella sera”, guarda una decina di film all anno e il resto cazzeggia sui Tik Tok vari.
Fine sfigo Boomer.
X ovviare se posso anziche il multisala, vado nel piccolo cinema elegante di cittá, che però nn copre tutto il palinsesto, e i Filmoni devo rischiare di guardarli con ragazzetti scemi in sala.
Due volte li ho zittiti, ma la prox mi sa che sclero e gli lancio qlcosa addosso!
W il Cinema raga :)
Meanwhile in Uganda…
https://www.i400calci.com/2015/04/quel-gran-pezzo-delluganda-who-killed-captain-alex-e-lavventura-della-ramon-film-productions/
Si sta estinguendo il tabù del silenzio al cinema ed è un brutto sintomo. Comunque, El marichi de Porto, “fine sfigo boomer” e’ fantastica. Perchè il boomer non si sfoga, si sfiga.
Personalmente è un film che mi ha “sorpreso”. Nel senso che mi aspettavo una schifezza immonda visto che il trailer mi ricordava il sopracitato “Obbligo o verità” (schifo di film). Mi sono trovato di fronte ad un horror commerciale ma che a me ha intrattenuto e anche spaventato in certi frangenti. Uso dei jumpscare nella media (limortacciachihainvetatoijumpscares) ma non se ne abusa troppo. Film promosso anche senza essere un capolavoro.
l’ultimo film visto al cinema con jump scares che mi aveva fatto cagare addosso è stato The Grudge (inspiegabile forse ma è andata così)…avevo sui 19 20 ma ho mantenuto la mia dignità in sala…non so.. i teens di oggi sono abituati e anche forzati a guardare roba da soli a casa però non so quanta roba spaventevole si sparino…magari non sono proprio più abituati al jump scare.
Mia moglie , che crede ch’ io sia un gran cinefilo, mi ha chiesto un parere su questo film. Io, in pigiama pipa in radica e mocassini, le ho detto: “si evince il concetto di risata contagiosa”. Lei ha squirtato coriandoli e mi ha chiesto di spiegarle anche Old People ( film da assegnare per punizione assieme a Bingo Hell). “Parte tutto dal concetto di paura della vecchiaia”. Dalla topina le è uscito un carro di carnevale col testone di Alfonso Signorini. “Sei intelligentissimo, amore”, mi ha detto. “Sì, baby, ma ora freezati che stiamo disturbando la sala”, le ho risposto. “Non accetto ordini da uno in pigiama. Sono come Wolverine, stronzo”. Le ho sorriso. È un film impegnatissimo, tocca perfino il concetto di sorriso del depresso, cosa originalissima mai vista al cinema. Ci potrebbero fare un Joker, per dire, ma non so se funzionerebbe tra il grande pubblico.
La tua techno./house con la poesia si chiama Trance e non è poesia melodia.
Per chi ha vissuto pienamente gli anni della rave culture sa di cosa parlo.
Per quanto riguarda il film immaginavo fosse scrauso e probabilmente è così.
Spero in speak no evil questa o la prossima settimana.
Nanni, mi cadi sulle carrellate che attraversano porte e finestre. Sono chiaramente delle the metaphoras sulla forza dirompente del cinema che non conosce ostacoli e che va oltre per raccontarti qualcosa che può dirti solo lui. È il cinema più puro in senso diegetico e anche un po’ undigetico.
Ma per stavolta passi. Solo perché sei tu. ❤️
Eheh bella questa mela segno!
@StevenSpoiler: stai descrivendo ovviamente il migliore dei casi. Il più delle volte è solo “c’ho un compiuter e lo devo usare”.
film che si lascia guardare… forse siamo più sul thriller psico horror che sull’horror puro…un po’ fra It Follows e La Casa delle bambole, entrambi superiori….scarsino nei personaggi non protagonisti….il marito A Train è scarsino forte…
Praticamente é un remake di “Rapine a mano a mano” di Herbert Ballerina, ma con i suicidi al posto delle rapine.
a me è piaciuto
:)