Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
Allora, bisogna fare una PREMESSA grande come Long Beach – la città da cui proviene il Walterone nostro – prima di poter iniziare questo pezzo. Non fosse per il fatto che abbiamo deciso di coprire tutti ma proprio tutti i suoi film, quello di cui vi parliamo oggi non troverebbe in nessun modo spazio da queste parti. Non è né una commedia con momenti action, né un action con momenti comici. Quella di cui vi parliamo oggi è una commedia. Punto. Non ci sono combattimenti, inseguimenti, esplosioni; l’unico momento calciabile è una rissa di appena 30 secondi cronometrati in un bar all’inizio, roba di zero conto. Per il resto da come mi ha detto il boss stiamo parlando della più GIGANTESCA ECCEZIONE MERITEVOLE in quasi 15 anni di gloriosa esistenza sul pianeta Terra di questo sito.
Detto ciò, veniamo a noi. Siccome l’incredibile Strade di fuoco floppa male, a Hill viene proposto da Lawrence Gordon di girare una nuova versione di Brewster’s Millions, un romanzo di George Barr McCutcheon del 1902 da noi poco conosciuto ma che nel 1982, quando Gordon ne acquistò i diritti, aveva già avuto sette adattamenti per il grande schermo, uno dei quali fatto in India. Il progetto era nel limbo da un po’, inizialmente doveva girarlo Peter Bogdanovich ma quando finalmente Frank Price della Universal diede il via libera, Bogdanovich non fu più preso in considerazione e al suo posto scelsero Hill. Che anche se non aveva mai diretto una commedia aveva nel curriculum il successo di 48 ore, che tutti consideravano una delle più grandi commedie di sempre per strane ragioni che iniziano tutte con Eddie e finiscono con Murphy.

It’s comedy time!
Questa volta però Hill deve fare la commedia vera, e non c’è verso di agire come aveva sempre fatto finora, ovvero prendere il film, qualunque esso sia, e piegarlo alle regole del western, perché non c’è niente nel soggetto di Brewster’s Millions che lasci aperto uno spiraglio per poterci infilare ciò che Hill sa fare meglio. Anche perché questa è la seconda volta dopo I cavalieri dalle lunghe ombre in cui Hill non prende mano alla sceneggiatura, solo che I cavalieri era a tutti gli effetti un western quindi poco male, qui siamo da tutt’altra parte.
Qui Hill deve girare un film scritto da Timothy Harris e Herschel Weingrod, quelli di Una poltrona per due.
Quelli diventati famosi per lo script di Una poltrona per due.
Quelli che avreste chiamato pure voi dopo aver visto Una poltrona per due, visto che Brewster’s Millions racconta nuovamente la storia di un afroamericano povero che si ritrova dal nulla a diventare immensamente ricco.
Inoltre in 48 ore Eddie Murphy, ok che in America era già noto per il Saturday Night Live, ma era al suo primo film in carriera, quindi lontanissimo dal Murphy di fama mondiale che conosciamo; ed era comunque in coppia con quel duro di Nick Nolte, quindi, come dire, era “la linea comica di 48 ore”, parafrasando Ferretti.
Qui invece Hill deve lavorare non con una ma con ben due “linee comiche” che non sono affatto linee, sono proprio l’ossatura del film e al tempo non erano due sconosciuti: da una parte abbiamo Richard Pryor, già un king della stand-up comedy prestato più volte al cinema, con buoni risultati peraltro; e dall’altra John Candy, comico effervescente di The Second City fresco del successo di Splash al fianco di Tom Hanks.

A me quello a sinistra me fa morì quando dice “bucio de culo!”
Insomma, Brewster’s Millions sembra l’abito cucito su misura da far trovare nel guardaroba di John Landis o di Ivan Reitman, invece Gordon e Price vogliono Hill e nonostante questa sarà la sua unica incursione nel genere comedy, al punto da considerarla egli stesso «un’aberrazione in carriera», il risultato è la conferma definitiva che Walter Hill, per usare le parole del nostro George Rohmer quando si riferisce a Friedkin che trovo molto eleganti, è «un cazzo di fottuto genio maledetto che saprebbe dirigere qualsiasi cosa».
SIGLA!
Richard Pryor è quindi Montgomery Brewster detto “Monty”, gioca a baseball nelle leghe minori insieme al suo migliore amico Spike, ovvero il buon John Candy, a condizioni talmente improponibili che il campo da gioco è attraversato da un binario ferroviario che costringe i giocatori a interrompere la partita ogni qual volta che passa il treno.
Si parte così, con una gag che sembra uscita dagli anni migliori del Saturday Night Live e in pochi minuti Hill ci introduce i protagonisti e setta il ritmo dell’intera storia; il contrasto tra la musica, così energica, così “da campioni”, e la situazione scalcinata che vediamo, è perfetto.

Si parte subito a bomba
Monty e Spike hanno talmente le pezze al culo che non riescono nemmeno a pagarsi la cauzione dopo essere stati arrestati per una rissa in un locale (se avete letto con attenzione saprete che di questa rissa ve ne ho già parlato a inizio pezzo), ma sorprendentemente uno sconosciuto si offre di pagare a patto che i due lo seguano a New York.
Qui Monty scopre di essere l’unico parente in vita di un defunto milionario che dall’aldilà gli propone una sfida attraverso un filmato registrato prima di morire. La sfida: Monty dovrà spendere 30 milioni di dollari in 30 giorni per ereditarne 300, cioè tutto il patrimonio. Attenzione però: alla fine dei 30 giorni non dovrà possedere nulla, deve scialacquare tutto e dovrà essere tutto rendicontato ma al tempo stesso non è ammesso possedere alcun bene materiale. E infine: non dovrà dire a nessuno della sfida o perderà in automatico.
In alternativa Monty può prendere un milione di dollari e il resto del patrimonio del defunto verrà gestito da uno studio legale.
Indovinate cosa sceglie?

It’s Monty Time!
E qui è doveroso fare una piccola digressione: la sfida proposta fa riderissimo per quanto è assurda e va bene, è ciò che rende da sempre questa storia una figata, ma ciò che rende questo momento esilarante è la performance di Hume Cronyn, attore drammatico di razza che ha lavorato con Hitchcock, con Mankiewicz, con Kazan, e che qui si cimenta in uno dei suoi rarissimi ruoli comici, quello del vecchio scorbutico che ti sfotte ridendoti in faccia, ed è assolutamente clamoroso.
Quando dice a Monty «we’re going to have some fun» e inizia a ridere da solo finché non inizia a strozzarsi che scena è? Ma in realtà qui è tutto ad essere perfetto: le reazioni di Pryor, come viene presentata la sfida, l’aneddoto di gioventù che il vecchio racconta e l’assurdità con cui lo lega alle motivazioni della sua sfida, e la gag che sebbene il nastro sia pre-registrato in qualche modo il vecchio risponde a Monty, come se avesse già previsto cosa egli avrebbe detto.
Questa è la trama di Brewster’s Millions, da noi distribuito col titolo Chi più spende… più guadagna! e devo ammettere che non è stata una cattiva pensata chiamare il film in questo modo: il romanzo, e quindi anche le varie versioni cinematografiche, è roba relativamente poco conosciuta in Italia, quindi capisco che nel 1985 servisse un titolo che stuzzicasse la curiosità degli spettatori italiani. Voglio dire, servirebbe oggi, figuriamoci allora. E alla fine Chi più spende… più guadagna! è un titolo ok, dai, poteva andare molto peggio.

«”30 milioni in 30 giorni e sei in pole position”, così dovevi chiamarlo il film, giargiana!»
È un gran peccato che questo film, così perfetto sulla carta, abbia poi avuto un risultato abbastanza modesto al box office: costato 15 milioni ne ha incassati solo 45, laddove 48 ore ne era costati 12 e ne aveva incassati 78, e nella testa dei produttori 48 ore doveva essere l’aperitivo di Brewster’s Millions. La critica d’oltreoceano lo accoglie tiepidamente ed è abbastanza unanime nel considerarlo, date le forze coinvolte, un’occasione sprecata.
E purtroppo mi duole ammettere che c’è del vero in quelle stroncature.
Parte a cannone Brewster’s Millions, eh. Hill, nonostante dirà più volte di averlo girato pensando unicamente al suo conto in banca, sembra essere perfettamente a suo agio nell’iniettare un ritmo indiavolato all’avventura di Monty dal momento in cui accetta la sfida. Però sarei insincero se non dicessi che a un certo punto il film perde mordente, non si inventa trovate così tanto divertenti per far sperperare i soldi a Monty e non sfrutta appieno le potenzialità di un’idea folle come “mi candido a sindaco di New York solo per imbastire una campagna elettorale costosissima ma fallimentare”. C’è come uno scollamento tra quello che fa Monty e l’impatto che dovrebbe avere sulle persone a lui vicine e l’opinione pubblica, vediamo poco di tutto ciò ed è un peccato perché lì era terreno fertile per momenti comici e volendo anche di commento alla società.

Io comunque lo avrei votato immediatamente
C’è poi tra Monty e la sua contabile una sorta di liaison che è ridicola, sembra inserita all’ultimo perché la commedia anni Ottanta non può non avere un accenno di storia d’amore al suo interno e alla fine il protagonista, da bravo maschio, deve sì vincere i soldi ma anche la bella di turno.
Infine va detto che Brewster’s Millions ha un finale che sgonfia pesantemente le aspettative, un finale tirato via, svogliatissimo, che chiude su Monty e la contabile che escono vittoriosi dall’ufficio legale senza mostrarci che tipo di milionario sarà Monty, cosa farà ora con quei 300 milioni. Certo, lo possiamo intuire: la prima mossa che ha fatto all’inizio della sfida è stata di assumere le guardie di una banca come sicurezza personale dando loro più di dieci volte il misero stipendio che prendevano. Ed è solo uno dei tanti nobili gesti che Monty fa durante il film, non si scorda mai le sue umili origini quindi si spera resterà così anche dopo. Appunto, si spera. Perché il film non ce lo dice mica.
Quindi se proprio vogliamo trovare dei problemi in Brewster’s Millions non vanno per niente cercati in Hill che non aveva mai girato una commedia, ma piuttosto in sceneggiatura. Nel fatto che Harris e Weingrod non sono riusciti fino in fondo a ripetere la formula magica di Una poltrona per due. Hill fa il suo, non sarebbe più tornato da quelle parti e porta comunque a casa in modo più che dignitoso un film che, imperfezioni a parte, fa morire dal ridere e andrebbe riscoperto.
DVD-quote:
«Ammirate Walter Hill che gira pensando al suo conto in banca e dà lezioni di gran mestiere a tutti»
Terrence Maverick, i400calci.com

«Cosa? La rece non è ancora finita? Grandioso!»
PS: sapete chi è un altro che in Brewster’s Millions fa il suo? John Candy. Si vede relativamente poco per poterlo considerare pienamente un coprotagonista tanto da giustificare la sua presenza in locandina, ma quel poco che fa lo fa strabene.
PPS: di Richard Pryor invece che vogliamo dire? Il film è praticamente lui e quando lo vedi in scena non puoi fare a meno di pensare a che carriera ancora più enorme avrebbe potuto avere se non avesse avuto tutti quei problemi di tossicodipendenza. Per dire, avete presente Mezzogiorno e mezzo di fuoco? Certo che ce l’avete presente. Pryor co-scrisse la sceneggiatura e doveva essere lui lo sceriffo Bart, ma la produzione non si fidava proprio per via della sua passione smodata per la cocaina e alla fine Mel Brooks dovette rimpiazzarlo con Cleavon Little.
Hill dirà che «Pryor non credeva di essere divertente senza prendere droghe, e credeva che se avesse preso droghe sarebbe morto». Questo per darvi un’idea di come cazzo stava messo.
Ma era un comico incredibile Pryor, un genio. Noi conosciamo più i suoi eredi, i vari Chris Rock, Dave Chappelle, Trevor Noah, lo stesso Eddie Murphy, ma lui è stato il maestro di tutti loro, recuperate i suoi special di stand-up comedy, era troppo avanti.
E nel caso leggetevi Che cazzo ci faccio io qui?, la sua autobiografia in Italia tradotta e pubblicata da quei bravi ragazzi di Sagoma Editore, scoprirete una vita in cui commedia e tragedia hanno fatto a cazzotti come poche altre volte.

«Ma smettila Terrence! Sei il solito esagerato!»
Sacrosanto l’elogio di Richard Pryor, ma pure John Candy era un grandissimo, andato via troppo presto
Confesso. Questo è un film che mi è sempre piaciuto TANTISSIMO, un mio vero guilty pleasure.
Siamo in due
Così come “Nessuno ci può fermare”
Visto da ragazzino all’uscita e mi era piaciuto molto.
Dopo una seconda visione diversi anni più tardi continuo ad apprezzarlo (soprattutto per Pryor) ma è innegabile che la sceneggiatura non ha la forza di Una poltrona per due e a un certo punto si trascina abbastanza.
Un po’ un peccato perché non sfrutta appieno le possibilità assurde della situazione del protagonista.
Bella recensione.
Il film non l’ho visto e non lo vedrò mai, come anche quello della poltrona.
1) Visto in TV da bambino, me lo ricordo abbastanza divertente.
2) Palesemente una fotocopia sbiadita di quel capolavoro di Una Poltrona per Due (visto l’anno scorso in piazza a Bologna introdotto da Landis in persona, grazie Cineteca).
3) È possibile che l’avvocato bastardo fosse il padre saggio di Settimo Cielo? (Sì, Stephen Weaver Collins, ho controllato ora).
Chi più spende più guadagna l’ho visto più volte in gioventù, non credo di avere più il candore per gustarmelo realmente. E quando vedo Pryor mi viene in mente la scena di “Io, me e Irene” coi figli di Carrey che si spaccano a sentire le sue volgarità in TV mentre il padre guarda atterrito
Richard P. non mi ha mai fatto troppo ridere ed infatti il mio film preferito è un film drammatico, Blue Collar, ma è stato il faro per alcuni dei miei comici e stand-up preferiti, neri o bianchi poco importa, e tanto basta. Ed i suoi film in coppia con Wilder strappano tante risate
Bellissima quella scena di Io, me & Irene.
Quando poi crescono stanno guardando Bring the Pain di Chris Rock:
https://youtu.be/HfjRHnakF78?si=B57EVyqVnvaqepR5
Al film preferito, mi aspettavo di leggere “Strade Perdute”
deludente il reboot, in cui Monty risolve tutto la mattina del giorno 1 comprando un garage di 15mq sui Navigli
Il film ce l’ho lì a sedimentare nella memoria esterna in attesa di essere visto da tipo, boh 3 anni almeno.
Se non sbaglio ogni tot lo passano su Iris vicino al periodo natalizio.
lo riguardo sempre con piacere, Pryor al cinema è sempre una garanzia! Vero, il terzo atto (“Nessuno dei suddetti!”) rallenta un po’ come gag, ma il film si fa molto guardare.
Da bambino avevo la videocassetta e l’ho visto tipo 1000 volte.
Ancora adesso l’hanno ripassato in TV e mi sono fatto qualche risata.
In particolare adoro tre scene:
– l’albergo pieno di pazzi che vogliono farsi finanziare da Monty, tipo quello che vuole mettere il motore negli iceberg per portarli ai contadini assetati nel deserto
– il tizio che zucca l’auto di Monty e appena scopre chi è finge di essere dolorante per l’incidente anche se fino a un secondo prima stava benissimo
– John Candy e il tizio occhialuto genio della finanza che annunciano trionfanti di aver fatto guadagnare a Monty 10 milioni di dollari e lui che risponde: “Ma porca pu**ana! Sono al punto di partenza con i vostri investimenti!” Qui merito molto della voce italiana di Monty.
Ultima cosa: colonna sonora di Ry Cooder secondo me fantastica!