The Vast of Night è quel genere di film che vedrete descritto in giro come “gioiello nascosto”, “piccola perla” o “nuovo classico”.
In parte è vero e il film è davvero un gioiello nascosto e una piccola perla (ho più dubbi sul “nuovo classico”); in parte è la dimostrazione che un certo modo di parlare di cinema è assolutamente corretto ma non tiene conto di quello che effettivamente piace alla stragrande maggioranza della gente che guarda film. Cinefilissimo e raffinato, citazionista senza plagiare, completamente improponibile a chiunque non abbia alle spalle centinaia e migliaia di ore di visione di film grandi e piccoli (più altro a cui arrivo dopo), The Vast of Night è un film invendibile e bellissimo, che ti acchiappa fingendosi un omaggio a robe tipo Ai confini della realtà o magari X-Files e subito scarta a destra e diventa un’opera meta- che parla del modo in cui ci diciamo le cose e del rapporto tra realtà e racconto della stessa, un lungo pippone su modi tempi e spazi della narrazione mascherato da mistero sci-fi nel quale come da tradizione delle opere altamente intellettuali la parte sci-fi è la meno interessante e quella sviluppata peggio.
«Che cosa cazzo stai dicendo Stanlio? Perché ci parli di questa roba? Siamo forse sul sito sbagliato?!» vi starete chiedendo, frementi d’indignazione di fronte a un paragrafo che descrive un film che sembra agli antipodi di quanto solitamente trattiamo qui sopra. Che vi devo dire, è vero, The Vast of Night è più vicino a Robert Altman che a John Carpenter, ma ciò non significa che Carpenter sia assente – è un po’ lo stesso discorso che si poteva fare per Romero e Pontypool; e soprattutto il signor Andrew Patterson, Debuttante, ha quella che André Bazin avrebbe definito “une gran pache”, una gran pacca, anche quando sta facendo tutto tranne che la fantascienza nel suo film teoricamente di fantascienza; e ha una gran passione per cosine piccole e molto fisiche tipo infilare cavi in un centralino, e l’incredibile capacità di riempire di tensione e significato queste cosine. Capite ora perché dico che è un film invendibile e destinato a rimanere di nicchia, qualsiasi cosa questo voglia dire, ma anche perché ci sono ottimi motivi per amarlo anche qui sopra.
È per questo che partiamo con una bella SIGLA!
The Vast of Night parte invece con una breve sequenza che fa da cornice alla storia e che è la più grande bugia del film, e poi con tre pezzi di bravura.
La breve sequenza serve a inquadrare il film come se fosse un episodio di una serie TV assolutamente non ispirata al lavoro di Rod Serling, e se è vero che da lì in avanti il contenuto ricalca fedelmente un ipotetico episodio perduto di Ai confini della realtà è anche vero che il contenitore assume la stessa importanza al punto da diventare a sua volta contenuto per cui The Vast of Night si reggerebbe in piedi lo stesso anche senza doversi appoggiare a qualcosa con cui ha molti meno punti in comune di quello che vorrebbe farci credere. O forse è solo una forma di captatio benevolentiae verso noi vecchie scorregge cresciute a Urania, in tal caso bravo, caro il mio STRONZO, alla fine ha funzionato.
I tre pezzi di bravura sono invece:
• un walk and talk utile a presentarci i due protagonisti e a farli muovere nello spazio illustrando così l’interesse di Patterson per le distanze reali e percepite, o reali e metaforiche (già evidente a partire dal titolo del film), e il suo totale controllo di tempi, ritmi, movimenti, interpretazioni. Un altro elemento molto importante di questi primi dieci minuti da sballo sono gli ACCENTI.
• un altrettanto straordinario monologo di Sierra McCormick con tanto di camera sostanzialmente fissa su di lei a seguirla mentre parla con gente, spippola cavi, sta zitta e aspetta, cerca di capire cosa cazzo stia succedendo. Il pezzo di bravura qui è di McCormick più che di Patterson, che quantomeno dimostra di sapere quando starsene in disparte e lasciare spazio ai personaggi.
• un piano sequenza raimiano tra le vie della piccola cittadina di Cayuga, New Mexico, il primo momento del film dove l’elemento umano sparisce e Patterson ci immerge nel vast of night che dà il titolo all’opera. È la sequenza più “di genere” dell’intero film e la dimostrazione che The Vast of Night non è un vero film “di genere” ma un film che analizza una singola cosa da diverse angolazioni e sceglie ogni volta il linguaggio più adatto all’angolo che sta esplorando.
La “cosa” in questione è un misteriosissimo segnale radio che, come scopriranno i nostri eroi grazie a una serie di telefonate di ascoltatori vagamente complottisti, compare sempre in concomitanza con altrettanto misteriosissime attività condotte dal governo degli Stati Uniti e nelle quali viene impiegato esclusivamente personale appartenente a minoranze ergo sacrificabile e privo di voce (siamo negli anni Cinquanta). Da dove viene questo segnale? Che cosa rappresenta? C’entrano forse gli alieni? È vero che il figlio della vecchia Mabel è stato rapito dagli omini verdi? A Patterson le risposte interessano molto relativamente, che è un modo gentile per dire che gliene frega poco o nulla come dimostra il finale un po’ buttato lì. Gli interessa di più seguire i nostri eroi Everett e Fay nella loro frenetica opera di ricostruzione di una verità fatta di frammenti e indizi, e il modo in cui li inseguono tra le strade deserte e scarsamente illuminate di Cayuga, vere protagoniste bla bla.
Il grande inganno di The Vast of Night è costruire una tensione che non ha alcuna intenzione di risolvere con metodi tradizionali, rivelazioni, grandi confronti, nulla di tutto quello che normalmente ci si aspetta da un film che parla, per farla breve, di primo contatto – non è un caso che rallenti pericolosamente durante l’immancabile Momento Spiegoni con la Vecchia Mabel, ultima concessione all’omaggio serling-iano prima di un finale così criptico e aperto (non tanto nel testo quanto nel sottotesto – quello che succede è anzi piuttosto esplicito, forse troppo) da essere di fatto abbandonato all’interpretazione di chi guarda.
Il grande merito di The Vast of Night invece è che l’inganno è talmente efficace che ci si accorge di aver guardato tutt’altro solo quando arrivano i titoli di coda, il che in altre parole significa che è un film che riesce a trasmettere tensione angoscia e anche un po’ di paura pur non avendo alcun diritto di farlo. In questo senso è quasi miracoloso per come riesce a entrare sottopelle anche all’appassionato medio di fantascienza (fonte: me stesso) pur essendo tutto tranne che un film di fantascienza.
Andrew Patterson, brutto bastardo, bravo, questa volta me l’hai proprio fatta. Ti aspetto al varco con il tuo secondo film, “a revenge thriller set in the honeybee industry”.
Drive-in quote suggerita:
«… “in the honeybee industry”???»
(Stanlio Kubrick, incuriosito redattore dei 400calci.com)
PS: bella barba Andy, bravo.
Sta su amazon, l’ho visto, e devo dire che boh… non m’ha detto molto. Si fa guardare ma gioiello proprio no…
A me è piaciuto, la prima parte ha un ritmo incredibile, che segue quello della parlantina mitraglia del dj.
È vero che il genere te lo fa più che altro annusare che toccare, anche se non ero arrivato a classificarlo un inganno come lo Stanlio nella rece.
Però è una lettura che mi fa pensare che il segnale del film inganna noi per farci arrivare fino ai titoli di coda un po’ come il segnale radio inganna i protagonisti per farli arrivare fino al luogo dell’abduction.
Tanto mi ha inizialmente galvanizzato questo The vast of night, con la sua fotografia strafiga, i suoi piani sequenza altezza cane, l’atmosfera davvero affascinante e una protagonista carinissima, quanto poi mi ha fracassato i coglioni e fatto bestemmiare per aver buttato tutto alle ortiche in un infinito esercizio di stile.
Sembra un film che ha delle cose da dire, infatti si chiacchiera molto, ma alla fine che cazzo hai detto? boh, non ho capito, anche perchè mi sarò addormentato 50 volte (certo colpa anche dell’età).
Invidio Stanlio che l’ha apprezzato perchè volevo tanto piacesse anche a me.
In attesa di vedere il film, complimenti per la sigla!
Sono in gran parte d’accordo con la rece, ma a me ha entusiasmato e non ho nessun problema a consideralo come un film di fantascienza. E anche della migliore. Lo classificherei come un Bradbury processato DeLillo. Comunque mi e’ dsembrato qualcosa di fresco e diverso nel genere.
Segni che con me ha funzionato: la notte in cui l’ho visto e poi sono sceso in giardino per far entrare la gatta mi sono premurato di accendere la luce tra i cespugli, invece di fare tutto virilmente al buio come faccio di solito.
a me ha deluso quando arriva al dunque, non tanto per la sostanza quanto per la resa, con la chiusura lasciata off screen.
Per una volta, ma non l’unica, concordo con il signor Kubrick.
Bellissimi i tre momenti citati. Comunque il prossimo progetto sembra ancora più interessante di questo!
Bello e triste. Grazie per la dritta
È assurdo che recensiate solo titoli che si possono vedere su Netflix, Amazon e affini! Voglio che recensiate film introvabili qui in Europa come Tomie!
Nel piattume generale di questo 2020 ben vengano film così. Fantascienza lenta e avvolgente come una cioccolata sotto la coperta.
MA ADESSO DATEMI TENET PERDIO!!!
Come creare tensione pur essendo un film di niente, che parla di niente, sul niente. Bei piani, bella scrittura. A me non fa impazzire, ma la regia di questo film è roba seria. La prima parte è fortissima, dopo si annoda un po’. Però bella prova.
Film inutile che piaciucchia inspiegabilmente lo stesso. In quanto a supponenza registica (leggi: cagamento del cazzo) siamo dalle parti de “Il sacrificio del cervo sacro”, tuttora supremo esempio di come l’Homo Superior (regista) si senta in diritto di fracassare i maroni ai miserabili sapiens (spettatori) con tecniche d’avanguardia, tempi dilatati, dialoghi superflui. Arridatece SUBITO Walter Hill.
Era partito benissimo poi non saprei perché ho dormito. Ho i miei anni. Esiste la categoria Figa di Legno Barbuta?
“Pronto ® Legno Vivo aiuta a ravvivare le superfici in legno, riportandole allo splendore originale. La sua formula cremosa senza risciacquo pulisce, lucida e protegge lasciando un profumo di fresco e pulito, e ripristinando la lucentezza naturale”.
Ah, la lucentezza naturale del piano sequenza! Provo a riguardarmelo mentre stiro, anche se preferirei fare le treccine al caro Andy
Ci volevano un 20 minuti di sci-fi vero alla fine e sarebbe stato un gran film…prepara benissimo la torta con tutti gli ingredienti giusti, ma se la sono scordata sul davanzale…comunque si, regista da tenere d’occhio magari alla prossima con budget vero.
A me è piaciuto molto. Trovo che certi leziosismi registici non aiutino una sceneggiatura invece molto ben fatta. Una storia “classica” che però mi ha incollato allo schermo anche grazie al discorso “meta-” che fa. Il finale a me è piaciuto, invece, non capisco da dove nascano i vostri dubbi. È forse inatteso nello stile – un misto di dolcezza e inquietudine – ma l’ho trovato un bel coronamento a tutto il percorso.
gli occhiali sono di quelle dimensioni per la profilassi?
tutto bellino e niente fuori posto …innegabile… però la noia…
Uno schizzetto di diarrea pallosissimo
Zioporco che schifezza.
A me è piaciuto. E poi, gran colonna sonora.