La vendetta è una delle cose più cinematograficamente dritte che ci siano.
Certo, la puoi rappresentare pure come machiavellica, paziente e articolata, aderendo all’antico proverbio klingon secondo cui vada sempre servita fredda. Ma è comunque, in realtà, dritta, perché è l’azione più veloce e istintiva e viscerale e lineare che ci sia: è una reazione. Sono spesso infallibili, i buoni film di vendetta, proprio perché andando all’essenziale sono semplici ma efficaci: occhio per occhio, dente per dente. Me li immagino appunto come una linea retta, con il/la protagonista che va dal punto A (la terribile azione subita, ciò che motiva la vendetta) al punto B (la reazione, cioè il sangue, preferibilmente vero, ma talvolta anche metaforico). Dritti come un proiettile che trafigge ciò che trova sulla propria strada. E tu spettatore non sei praticamente più solo spettatore: sei accanto e dentro e insieme al protagonista, perché la catarsi che un revenge movie offre la offre prima di tutto a te, prima ancora che al personaggio. E ovviamente, come in una formula matematica, o fisica, o chimica (scusate, nelle materie scientifiche ero una schiappa totale), peggiore è l’azione subita, maggiormente appagante e catartico sarà su di noi l’effetto della reazione, perché tutta quella violenza quel qualcuno se la sarà meritata.
I revenge movie sono anche una delle più cinematografiche tra le fantasie. (Qui è dove si capisce che stiamo parlando di cinema e che il cinema è diverso dalla realtà, quindi, no, cari signori del MOIGE, non è colpa dei film violenti se la società fa schifo, i giovani si drogano e succedono le sparatorie scolastiche).
C’è questa intervista a Quentin Tarantino durante il press tour di Django Unchained in cui rievoca il finale di Radici, sapete quella miniserie tv degli anni 70 che 140 milioni di americani si guardarono scoprendo dalla tv quest’incredibile dettaglio della propria storia chiamato “schiavismo”. Alla fine, dice Tarantino, tu hai visto per diversi episodi gli schiavisti bianchi fare il peggio che l’umanità abbia mai concepito ai protagonisti neri. Aspetti, e in qualche modo ti pregusti, la vendetta di questi ultimi. Ma la vendetta – spoiler – alla fine non arriva, perché il protagonista “fa la cosa giusta”, non “si abbassa al livello” del suo persecutore, insomma va high dopo aver subito un sacco di low. Non è soddisfacente, dice Quentin. Non c’è pericolo che questo succeda nei miei film, aggiunge soddisfatto, e infatti il finale infuocato di Django Unchained è tra le esperienze più catartiche ever. Per me, che quando l’ho visto la prima volta ero giovane e facilmente impressionabile, lo showdown tra la Sposa e gli 88 folli alla fine di Kill Bill: Vol. 1 resta ancora oggi una delle visioni più piacevoli e rilassanti di sempre, sapete quando arrivate alla fine della giornata pieni fino all’orlo e vi dite “ho proprio bisogno di vedere qualcosa che mi farà stare bene”, ecco, la Sposa che mutila e squarta gli 88 folli per me funziona sempre, è infallibile, molto meglio dello Xanax.
Ecco, Promising Young Woman non è un revenge movie che fa stare bene.
È indiscutibilmente un rape & revenge, ed è una verità tanto ovvia che riuscirebbe ad arrivarci perfino Regione Lombardia: la premessa della trama è uno stupro e l’oggetto della trama è una vendetta. I rape & revenge si prestano di base molto bene a quella semplice parabola catartica di cui sopra, e ambiguamente possono dare luogo a fantasie sia reazionarie sia progressiste. Il discorso “i rape & revenge sono di destra o di sinistra? Sono pura exploitation misogina o trionfante empowerment femminista?” è lungo e complesso e argomento di millemila saggi e testi universitari scritti da gente ben più brava e competente di me, ma il riassunto posso farvelo io, perché – spoiler – è lo stesso di tutte le questioni complesse della vita: dipende. Resta che, nell’uno e nell’altro caso, l’azione subita (dalla protagonista o da una donna vicina al/alla protagonista) è un crimine talmente orrendo da far scattare una delle reazioni più viscerali possibili, e quindi offrire la possibilità di una catarsi consistente.
Ma Promising Young Woman non è un rape & revenge che fa stare bene, ed è proprio qui il punto.
NOTA BENE: è impossibile parlare di questo film senza discutere del finale, ed è anche uno di quei film di cui meno cose sai quando inizi a vederlo, più te lo godi. Vi consiglierei a prescindere di vederlo prima di leggere qualsiasi cosa, ma se proprio volete andare avanti nella recensione, fatelo: segnalerò visibilmente il momento in cui comincerò a parlare del finale.
Promising Young Woman è il primo film di Emerald Fennell, un’attrice britannica che avete visto soprattutto nei panni di Camilla Shand poi Parker Bowles in The Crown (non fate i superiori, dai, anche voi guardate The Crown esattamente come tutti gli altri), ma che è stata anche la showrunner della seconda stagione di Killing Eve (un’altra serie che, proprio come Promising Young Woman, lavora dentro al genere per sovvertirlo quasi sistematicamente). La giovane donna promettente del titolo è Cassandra Thomas detta Cassie, interpretata da Carey Mulligan, un’attrice molto più brava di quanto un decennio almeno di ruoli lagnosi ci abbia fatto sospettare (guardate per esempio Collateral, no, non quel capolavoro di Mann, ma quella miniserie britannica di per sé abbastanza media ma in cui Mulligan fa la sbirra tosta in contro typecasting). Cassie ha trent’anni, vive ancora con i genitori (che non vedono l’ora di sbatterla fuori di casa), studiava medicina ma ha abbandonato prima della laurea nonostante fosse molto brava, ora lavora in una caffetteria tutta neon e colori pastello e non ha alcun interesse per il presente né prospettiva per il futuro. Il suo unico “hobby” è uscire la sera, da sola, andare in un locale, fingersi sbronza, aspettare che qualche ragazzo fingendo di aiutarla tenti di approfittarsi di lei, e poi… beh, il suo quaderno pieno di stanghette sbarrate e di elenchi di nomi maschili parla chiaro.
O no?
Mi spiace, dovrei già cominciare con gli spoiler, ma mi sembra maleducato nei confronti di chi non ha visto il film, quindi vorrei prima dire almeno questo: Promising Young Woman non è come sembra. Vale per Cassie, naturalmente, come per il film, come per la sua campagna di marketing. Tutti e tre – Cassie, il film, la campagna di marketing – hanno un’apparenza caramellosa e iper pop, colori pastello iper saturi e fotografia contrastata, un’estetica arcobaleno spiccatamente hipster-millennial… non so se avete presente quel periodo, qualche anno fa, quando per qualche ragione impazzavano ovunque i fenicotteri rosa e il gelato glitterato al gusto “sirena” (sono sicura di averlo visto almeno in cento video di BuzzFeed)? Ecco, quell’estetica lì, un po’ fucsia un po’ turchese, un po’ confetto un po’ chewing gum. Solo che è, appunto, un’apparenza, che serve a convincerti, anche in modo subdolo, che stai guardando una cosa che più o meno conosci – una giovane donna un po’ quirky e un po’ infantile, il solito film indie stiloso da Sundance, un titolo che ambisce già a diventare cult inserendosi in piena tendenza post #MeToo – e metterti a tuo agio, sia nel negativo (“ah, sì, ho capito, è il solito filmettino furbetto col messaggio”) sia nel positivo (“ah, wow, finalmente è arrivata l’eroina femminista di cui avevamo bisogno!”). Nessuna di queste cose è vera, e il film si muove tra scarti di registro a volte anche molto bruschi, sterzando da un genere a un altro, dalla black comedy al thriller psicologico, dal dramma intimista alla satira sociale (a un certo punto diventa per un po’ una rom com fatta e finita – qualcosa che mi rendo conto per i lettori di questo sito equivale all’horror più trucido – ma tranquilli, non dura molto). È un rischio enorme che si prende – quello di sembrare banale, o sfilacciato –, e infatti ogni tanto inciampa (non vi dirò certo che questo è un film perfetto, ma della perfezione anche chissene), però tutto sommato, soprattutto considerata la quantità di toni diversi uno sull’altro, fa un lavoro sorprendente, e nel frattempo ti costringe a riaggiustare continuamente la tua posizione di fronte al film.
Tiene tutto insieme – compreso te, spettatore, davanti allo schermo – grazie a una discreta manipolazione della tensione. Vedendolo ho subito pensato fosse un film hitchockiano, e lo so che “hitchockiano” è un aggettivo che o non si usa mai per deferenza o si usa troppo a cazzo, ma in questo caso penso che ci stia (e non solo perché Fennell, ho scoperto leggendo interviste, è una grande fan di Sir Alfred, tanto che nel film fa pure un cameo): c’è una tensione costruita, più che nell’azione, nella gestione degli spazi (che sono quasi sempre dialoghi, in interni), delle inquadrature più o meno subdolamente sghembe, della giustapposizione dei piani, del décor simbolico, della gestione dei colori (è un attimo per il riflesso turchese hipster trasformarsi in verde Vertigo), delle ellissi, della score tutta archi, senza contare l’elemento psicologico della faccenda, l’orrore che viene spremuto dalle paure personali più profonde (di Cassie, certo, ma anche delle sue vittime). Più che un “film scomodo” – straordinaria e abusatissima etichetta da cinema d’essai per la quale introdurrei volentieri una moratoria – è un film che vuole farti stare scomodo, per tutta la sua durata, nonostante finga sfacciatamente di fare il contrario. È anche, per questo, un film che può fare molto incazzare, è c’è un sacco di gente cui è successo: ho smesso di contare le reazioni stizzite che ho letto, da una parte e dall’altra dell’”ideologica” barricata. Magari farà incazzare anche voi, e vi dico: ci sta. Credo fosse anche quello lo scopo. Intendiamoci, non sto dicendo che Emerald Fennell sia il prossimo grande genio della cinematografia globale, sarebbe in ogni caso troppo presto, e Promising Young Woman i suoi difetti ce li ha. Però dico: complimenti sorella.
E ora, DA QUI FINO ALLA FINE SI PARLA DEL FINALE E IN GENERALE DI TUTTE QUELLE COSE CHE è MEGLIO NON SAPERE PRIMA DI AVER VISTO IL FILM.
Promising Young Woman è un rape & revenge in cui non c’è il rape e non c’è neanche la revenge. Lo stupro non c’è non solo perché non lo vediamo mai – il massimo che succede è sentirlo, a un certo punto –, ma anche perché nessuno la dice mai, la parola “stupro”. Come diverse altre cose che succedono in questo film, è una di quelle che per un po’ non ci fai caso, e quando la capisci ti sembra immediatamente ovvia. Il fatto che nessuno voglia mai parlare di stupro è esattamente il punto, o meglio uno dei punti del film, visto che la sua non è un’accusa genericamente “contro gli uomini”, quanto contro una cultura radicatissima, diffusa, condivisa, intessuta nella nostra trama sociale, che coinvolge gli uomini e le donne, e vari livelli di potere, e che sguazza e prospera proprio nelle zone grigie, nei territori percepiti come ambigui e quindi non direttamente “criminali”, e ci riesce anche rifiutandosi di chiamare quei territori con il loro nome. Non è la prima volta che un rape & revenge femminista omette la rappresentazione della violenza sulla vittima come riflessione e critica al voyeurismo e all’exploitation connaturati al filone, ma in questo caso la scelta ha un ulteriore livello di significato.
Ma, soprattutto, in Promising Young Woman non c’è davvero il revenge. Vi ricordate quella cosa di Tarantino che ho detto all’inizio? Senza la violenza, non c’è catarsi. E tutte le vendette di Cassie, lo scopriamo poco a poco, non sono canonicamente violente, se consideriamo la violenza fisica, grafica, esibita tipica di un revenge movie. Cos’è che dice sempre Quentin, facendo svenire i sopra citati signori del MOIGE? “Violence is fun!” (ovviamente non intende nella vita vera, ma i signori del MOIGE non ce la fanno, sono un po’ come Regione Lombardia). Nei revenge movie in genere la violenza è di quel tipo lì, il tipo “divertente”. Sono delle fantasie di vendetta, hanno una funzione escapista ed empowering e, come dicevamo, catartica. Le vendette di Cassie sono tutte psicologiche, alcune anche molto dure, ma non sono mai fisiche e quindi inevitabilmente a noi spettatori suonano inevitabilmente, inconsciamente, un pochino deludenti. La catarsi ci viene negata, anche perché per capirle dobbiamo fare lo sforzo di immaginarci nei panni della vittima, e non è un posto comodo dove stare. Non è “divertente”.
E poi c’è il finale, l’aspetto più coraggioso e volutamente polarizzante, la scelta che improvvisamente rende evidente tutto ciò che fino a quel momento era rimasto implicito e che non tornava. Nell’unico momento in cui passa effettivamente alla violenza fisica, Cassie muore. In una scena lunghissima, dilatata, un’inquadratura che resta fissa, a una certa distanza (come se noi fossimo effettivamente lì nella stanza, a guardare, impotenti), per tutto il tempo che serve a processare l’incredulità di quello che stiamo vedendo, mentre la voce di Cassie geme, sempre più flebile, richiamando la versione grottesca e ripugnante di un atto sessuale, e ricordandoci anche tutte le volte in cui precedentemente l’abbiamo vista fingere di essere ubriaca e biascicare “what are you doing?”. È qui che Promising Young Woman diventa un film disperato, cattivo, e quindi davvero (aiuto!) politico: non c’è nessun empowerment, non può esserci catarsi, Cassie non era un’inarrestabile eroina vendicatrice, ma una donna spezzata, senza più niente, intrappolata a vita in una serie di traumi, e alla fine del film nessuno ha chiamato le cose col proprio nome, forse qualcuno ha imparato una lezione, chissà, ma il sistema resta sempre lo stesso, il sistema in cui l’unico momento in cui ci si occupa (almeno in parte, almeno qualche volta, almeno all’apparenza) della violenza sui corpi delle donne è quando questi corpi diventano cadavere. Potete essere d’accordo o meno, può farvi incazzare, ridere o piangere, ma se arrivati a questo punto vi sembra ancora un “film furbetto in scia #MeToo”, boh, non so come altro convincervi, né che suggerimenti dare a Emerald Fennell.
Il finale finale, da quello che ho capito, in origine non doveva esserci, ma invariabilmente uno screener di prova dopo l’altro, durante la post produzione, ribadiva che il pubblico non avrebbe accettato che Cassie fosse semplicemente morta perché il mondo è una merda e la colpa è anche un po’ nostra che non facciamo poi molto per cambiarlo. Allora Fennell ci ha aggiunto l’ennesimo twist, la rivalsa post mortem che consacra definitivamente Cassie al ruolo-santino di angelo vendicatore preconizzato per tutto il film. Non so, per quanto mi riguarda quest’aggiunta non cambia molto. Sarà che l’avvocato interpretato da Alfred Molina ha precedentemente spiegato come va di solito la giustizia in questi casi, sarà che i fatti ci hanno dimostrato più volte che un arresto non implica per forza una condanna, sarà che alla fine i colpevoli sono comunque vivi e Nina e Cassie sono comunque morte, ma secondo me è un finale ancora più beffardo e amaro.
Ve l’avevo detto che la vendetta era una cosa dritta. Dritta in faccia, in questo caso.
Quote da mettere sul posterino per la diffusione on demand, che qua prima che riaprono le sale facciamo in tempo a cambiare un altro decennio:
“Il revenge movie che NON ti fa stare bene”, Xena Rowlands, www.i400calci.com
Gran rece per un gran film. Disagio a secchiate, ed è giusto così.
Quanto aspettavo questa recensione con il parere cinematograficamente più importante!
Bomba di film
Per me, una gran delusione: troppo manicheo per essere poi un non-revenge movie e un po’ vigliacco nel finale-finale (che non mi ha minimamente lasciato l’impressione che i colpevoli potessero sfangarla). Ad ampi tratti, ho avuto l’impressione di stare guardando la messa su schermo di una Harley Quinn “verosimile” e la produzione di Margot Robbie credo abbia pesato in questo senso, forse troppo.
mentre leggevo non riuscivo a non pensare ad Hard Candy, piccola perla del 2005 con Elliot Page, ai tempi Ellen.
Consigliatissimo.
Intanto non vedo l’ora di vedere questo, figlio piccolo permettendo.
Io l’ho consigliato come visione alla mia fidanzata subito dopo la fine del film
Ho letto che Emerald Fennel per costruire la protagonista si e’ ispirata a Britney Spears e a tutta la sua vicenda.
Gia’ mi aveva comprata cosi, dopo questa recensione sono tutta sua <3
(Si io vedo The Crown e non riesco a smettere di pensare che questo sia l'esordio cinematografico di Camilla Parker Bowls)
(E ora a causa di Widows non riesco a smettere di pensare che la nuova Lady Diana della quinta stagione sia una prostituta polacca che lavora a Chicago, o una gallerista scema a causa di Tenet)
Beh c’è pure Toxic in versione solo archi distorti…
Bomba. Non calcistica, ma bomba.
p.s. E il #metoo non c’entra un cazzo (c’entra solo se ce lo fai entrare col martello, e su internet è pieno di idioti che pensano che internet sia un martello).
p.p.s. chi non ha visto il film può anche leggere l’intera recensione; anche sapere –NOSPOILER- un determinato dettaglio non rovina “the big picture” che ci sta dietro.
p.p.p.s: lo possono vedere anche gli uomini (in generale)
p.p.p.p.s: lo possono vedere anche gli uomini che frignano che l’empowerment femminile dell’ultimo lustro li sta rendendo dipendenti dal viagra e dallo xanax.
Per me, una gran delusione: troppo manicheo per essere poi un non-revenge movie e un po’ vigliacco nel finale-finale (che non mi ha minimamente lasciato l’impressione che i colpevoli potessero sfangarla). Ad ampi tratti, ho avuto l’impressione di stare guardando la messa su schermo di una Harley Quinn “verosimile” e la produzione di Margot Robbie credo abbia pesato in questo senso, forse troppo.
Perché, avevi bisogno che la sfangassero?
Harley Quinn è tutt’altro, sei tu a farti influenzare dalla produzione di Margot Robbie.
Le cercavo ma non ci riuscivo mentre Xu, tu sì che sai trovare le parole 😚
soccia come scrivi bene!
Insomma, ne vogliamo parlare di tutte le scene assurde involontariamente ridicole, tipo la preside che va in crisi perché la figlia sta in una stanza con dei maschi? Poi sta cosa che la sceneggiatura sia scritta da un uomo, ma saranno più brave le donne a (far)parlare delle cose che le riguardano in maniera così intima o no? boh. Filmetto da 6 non di più.
Eh? La sceneggiatura è scritta dalla regista stessa.
c’è della scemenza nel tuo commento
La preside va in crisi perché sua figlia è in una stanza piena di maschi pieni di alcolici.
È terrorizzata perché sa bene come vanno queste cose, anche se fino a un secondo prima difendeva il contrario.
Cosa c’è di così complicato ?
E’ un film che si regge sulla maestosa prova della Mulligan, che meritava forse l’Oscar. A me lei era piaciuta molto anche in “Shame”. Non va dimenticato nemmeno che c’è Bo Burnham, quello di “Inside”. E il twist più bello in realtà è quello tra i due. Il finale mi è piaciuto, anche se è un calmante per il pubblico. E’ un film tra il 7 e il 7,5.
Film molto interessante e rilevante per il tema, ma per me soprattutto molto deludente. Tutte le cose belle scritte nella recensione sono vere, ma quel che sovrasta tutto in ogni istante è un messaggio scritto col pennarello grosso: LA RAPE CULTURE È BRUTTA. Cosa sacrosanta, ma se per dirla devi usare personaggi fantoccio che portano avanti il tuo discorso come burattini forse era meglio scrivere un articolo di giornale, perché il (buon) cinema è altro. Non mancano i maccosa (vogliamo parlare della scena con l’avvocato perdonato??) e il finale-finale sarà pure stato attaccato con lo scotch all’ultimo ma lì sta, lo ha prodotto la stessa regista ed è impossibile da ignorare. Ed è davvero pessimo.
Le cercavo ma non ci riuscivo mentre Xu, tu sì che sai trovare le parole 😚
Un bellissimo film, non condivido nessuna delle critiche lette nei commenti a parte quelle sul finale-finale. Piuttosto sarei curioso di conoscere le critiche solo accennate da Xena, ma ‘sto pezzo è talmente bello che mi accontenteró.
Non userò molte parole.
Un “filmetto” che dai trailer ha ingannato tutti.
Volete sapere cos’è la disperazione (psicologica) vera senza che vi sia soluzione o una vendetta che pacifichi una delle vittime?
Un esempio è in questo film.
uno dei migliori film che non ho visto al cinema (ringrazio sky, anche se al cinema non so quanto avrebbe reso di più) negli ultimi n anni..non un capolavoro ma avercene
È su Netflix, alla fine l’ho visto, molti criticano il finale finale ma a me è servito per non mettere la testa nel forno. Anche io volevo che Cassie girasse pagina, si mettesse col ragazzo Hallmark e tornasse nei ranghi. Invece l’angelo vendicatore fallisce, i ricchi incensurati perseguitati da una pazza se la caveranno – vorrei vivere sul pianeta di quelli che vedono dietro l’angolo la giusta punizione. È solo una versione più articolata della ramanzina a Jerry. Il succo del film è l’inefficacia dell’azione individuale, capisco che abbia dato fastidio a un sacco di gente, ma dire che è un brutto film proprio no.