Walter Hill ha segnato indelebilmente l’immaginario del genere action con uno stile inconfondibile: non ha bisogno di introduzioni ma di celebrazioni. In occasione del suo ultimo film, per la rubrica Le Basi, a voi il nostro speciale più ambizioso a lui dedicato.
C’è un che di malinconicamente affascinante in Johnny il Bello. Una sorta di attrazione per il fallimento, per l’insuccesso. Vuoi dire “vocazione al martirio”? Eh, dillo. Magari è un po’ esagerato, ma se vuoi dirlo, dillo. A riguardarlo oggi e mettendolo in una prospettiva storica sembra una piccola e strafottente alzata di spalle di fronte a un genere che evidentemente stava cambiando. E che forse, ingrato, cominciava a voltare le spalle a uno di quelli che aveva contribuito a crearlo. Aspetta, che mi è appena venuta in mente la canzone giusta per dire sigla. “Sigla!”
“Mama Told Me I Was Born A Lion“. Jens Lekman è un cantautore svedese bravissimo, molto simpatico, e pieno di riferimenti culturali giusti. La canzone che avete appena ascoltato è dedicata a Rocky Dennis che, non so se ve lo ricordate, è il personaggio interpretato da Eric Stolz nel film Mask, di Bogdanovich. Cioè, sì, lo so che quella di Rocky Dennis è una storia vera, ma noi, come Jens, quando citiamo un film o una roba pop anni Ottanta ci sentiamo al caldo, come quando fuori fa freddo ma tu sei tutto pacioso, buttato sul divano coi tuoi calzetti preferiti e una copertina tirata su fino al mento a rivederti un vecchio film di Walter Hill. Ma cosa c’entra Mask con Johnny il Bello? Facile. Rocky e Johnny “sono degli esseri umani, non degli animali!“, per citare pure quell’altro John con la fazza malandrina. Anche se da fuori sembrano dei mostri, con le loro facce da animali, dentro sono delle belle persone. Prendi Johnny, per esempio: a vederlo camminare nell’incipit del film, da solo, distrutto, sfranto dalla vita, con quella faccia lì, mette paura. Eppure… eppure un cazzo, visto che effettivamente Johnny è un ladro. Cioè, Johnny è tecnicamente un basista, uno di quelli con la visione: mette insieme le squadre, ha le idee, organizza i colpi migliori. Magari non è uno stinco di santo, anzi, ma se c’è uno di cui ci si può fidare nell’ambiente, quello è proprio Johnny il Bello.
Di lui si fida moltissimo il suo unico e migliore amico, Mike, che non se la sta passando bene. Anzi, è pieno di debiti fino al collo, di quelli brutti, di quelli che se non paghi mi sa che ti bruciano il locale e tu finisci in una palude appena fuori New Orleans con delle scarpe di cemento. E allora Johnny, visto che glielo ha chiesto Mike, mette su un colpo. Oltre a lui, un ciccione corridore e a Mike, ci sono Rafe (un tossico con la faccia – bellissima – di Lance Henriksen) e Sunny (l’ottima Ellen Barkin, qui scatenata e perfida fino al midollo). Solo che i due sono due figli di puttana e, sul più bello, uccidono Mike, il ciccione che corre, si portano via i soldi e incastrano Johnny, che viene portato al fresco. E qui Johnny viene raggiunto da un sornionissimo Morgan Freeman, un detective elegante quanto mellifluo, che gli chiede di fare i nomi di quelle due bestie, “Johnny, ti hanno pure ucciso l’unico amico che avevi, cosa li copri a fare? Eh, ma si sa come siete voi mostri: cattivi e nel torto fino all’ultimo”.
Johnny non parla. Anche perché quando parla non si capisce un cazzo, visto che ha un palato incasinato come la faccia. Ma non avrebbe comunque detto nulla a nessuno. Perché esiste un codice e Johnny è uno di quelli che il codice lo rispetta. Rafe e Sunny invece sono due merde e decidono dunque di pagare qualcuno per fargli la festa in carcere. Una bella coltellata a tradimento e l’ultimo testimone di quel dannato colpo ci saluterà da lassù. Un piano perfetto, no? Uhm, mi sa che qui i piani perfetti non esistono. E infatti, contro ogni pronostico, Johnny sopravvive. E in ospedale incontra un dottore visionario, un giovanissimo e mega cute Forest Whitaker, che lo convince a sottoporsi a una clamorosa trasformazione. Con tutti dei computers pazzeschi che adesso non vi sto a dire ma che penso siano forse gli stessi di Face-Off, Forest Whitaker riesce nel suo pazzo pazzo intento. Johnny il Bello non è più il mostro che era un tempo. Ora – e con “ora” intendo dire a 30 minuti dall’inizio del film – è diventato Mickey Rourke, l’attore più figo del mondo back in 1989.
A questo punto Johnny è pronto per una nuova vita. Rafe e Sunny sono convinti che sia morto in carcere, ha cambiato faccia e ha conosciuto non solo il dottor Whitaker che lo ha trasformato, ma pure una suora buona che crede in lui. Ora che non hai più la faccia da mostro, Johnny, hai davanti a te una nuova vita: ti abbiamo creato una nuova identità, ti abbiamo trovato un lavoro come manovale al porto, dove lavora pure una brava ragazza con la faccia di Elizabeth McGovern. Puoi ripartire da zero, prendere in mano il tuo destino. Sei pronto per cambiare dentro come sei cambiato fuori, Johnny? Le violenze subite, l’abbandono di tuo padre, la mamma drogata, il riformatorio, la malavita… tutto alle spalle. Sta solo a te decidere. Ma Johnny ha già deciso da che parte stare. Dalla parte di quelli che hanno un codice, e se mi hai ucciso il migliore amico e hai tentato di fare fuori anche me… beh, Rafe e Sunny, mi sa che avete i giorni contati.
Direi che per quanto riguarda la trama del film ci possiamo fermare qui, gli elementi sono tutti sul tavolo, e magari non l’avete mai visto… Certo, se siete qui, a leggere uno speciale su Walter Hill su La Rivista di Cinema da Combattimento, è strano che voi non abbiate mai visto Johnny il Bello, ma può capitare. Anche perché non è stato di certo un successo all’epoca della sua uscita. Anzi. Ve l’ho detto: è un film votato al martirio. La sceneggiatura, firmata da Ken Friedman, è ispirata al racconto The Three Worlds of Johnny Handsome, scritto nel 1972 da John Godey. E il 1972 non è di certo il 1989… Un altro mondo, un altro modo di raccontare le storie, altri eroi, altri anti eroi. Tant’è che la 20 Century Fox, dopo che si era affrettata a comprare i diritti del racconto per una trasposizione cinematografica proprio nel ’72, aveva poi bloccato il tutto. Qualche anno dopo, nel 1982, un allora giovane e inesperto Charles Roven lo aveva proposto proprio a Hill, ma Walter non aveva abboccato. Quando nel 1989 uscirà il suo film, Walter dirà al New York Times una cosa interessante:
“Pensavo fosse una bella storia ma c’era questa cosa della chirurgia plastica che non mi convinceva. È una di quelle scorciatoie melodrammatiche da film degli anni ’40, come il gemello identico scomparso o l’amnesia. All’epoca nessuno studio voleva realizzarlo ed ero sicuro che nessun attore sarebbe stato disposto a interpretarlo“.
Poi ti spiego come mai è interessante, eh? Con calma. Nel frattempo vediamo una sequenza di un altro film del 1989, Batman di Tim Burton. Anche in questo caso un personaggio che si trasforma dopo un intervento di chirurgia plastica, il Joker di Nicholson. Il tutto girato però con quello stile che non convinceva Hill: il citazionismo melodrammaticone degli anni ’40. Certo, qui ci stava da dio, ma erano proprio due film distanti, opposti.
Comunque, 1982, Walter Hill non ci sta. Altri cinque anni di pausa. 1987, Il progetto passa a uno solido come Harold Becker, con Richard Gere come protagonista. Sembra tutto pronto ma a un certo punto, sbum!, colpo di scena: esce Richard Gere e arriva addirittura Al Pacino. A questo punto, colpo di scena 2, sbadabum!, esce Becker e torna Walter Hill. Arriva trafelato Staffelli col Tapiro d’Oro in mano: “Eh no no no, sior Hill, ma come? Prima il melodramma degli anni ’40 e l’amnesia e il gemello e quelle robe lì, poi arriva Al Pacino e lei mi torna a casa con la coda tra le gambe? Ma sior Hill, ma cosa mi combina maiiii?”. Madonna, quante sberle che non hanno dato a Staffelli… Vabbè, sentiamo la riposta di Walter (non a Striscia, ma al Philadelphia Inquirer nel 2015).
“Prima di tutto ho realizzato come la Hollywood di quegli anni, come quella degli anni ’40, si basasse ancora su quel tipo di melodramma. Però io pensavo di aver trovato il modo giusto di raccontarla, in modo che non diventasse involontariamente ridicola. Ma soprattutto, ho trovato l’attore giusto, uno in grado di capire le insidie, i rischi di un personaggio del genere. Il problema è che i film ci hanno portati ad aspettarci un realismo psicologico. Ma questo è un dramma di un’altra categoria. È un film che parla di scelte morali. Sapevo di essere su un campo da gioco molto scivoloso. Se lasci entrare un po’ di protagonismo, il film crolla. Devi fidarti del dramma d’insieme piuttosto che di quello di una singola scena. Un ragionamento che la maggior parte degli attori faticano a comprendere. In un film del genere vogliono sapere quando ci sarà la loro grande scena, quella dove piangono e urlano. Mickey invece l’aveva capito“.
Quanto era caldo Mickey Rourke nel 1989? Era caldo come una sauna, il Mickey. Cito giusto un triplete come L’Anno del Dragone (1985), 9 Settimane e Mezzo (1986) e Angel Heart – Ascensore per l’Inferno (1987), per farvi capire il livello. Io ero piccolo all’epoca, avevo 10 anni, ma ricordo che Rourke era gigantesco. E aveva già quell’aria da artista maledetto, pericoloso, pazzo che poi effettivamente si è rivelato essere. Ma non era solo un attore famoso e bello che poteva permettersi il lusso di una vita tutta figa, alcool e drogaine varie. Era davvero un artista, un attore che metteva tutto se stesso nei ruoli che decideva di interpretare. Non dev’essere stato una facile sul set in quel periodo. Cioè, nel 1989, stesso anno di uscita di Johnny Il Bello, è uscito anche Francesco della Cavani, un film in cui il nostro interpreta San Francesco d’Assisi con la messa in piega. Una roba che se rileggo la frase che ho appena scritto sembra uno sketch da SNL, o tipo Shia LaBoeuf che ha fatto Padre Pio con Abel Ferrara nel 2022 (cosa che secondo me non tutti sanno che è true story).
Un misto di incoscienza, sopravvalutazione e, va detto, talento puro. Perché Mickey in quel periodo se la sentiva calda alla Marlon Brando. Me lo vedo che arriva sul set tudofado dalla sera prima e poi, con indosso una pesante maschera di plastica che lo rende un novello Gobbo di Notre Dame, applicata dopo un’estenuante sessione di make up di sei ore, con tutta la troupe in ritardo e incazzata nera, parte finalmente il primo ciak e lui se ne viene fuori con una parlata totalmente incomprensibile. Walter Hill urla: “Stop! Ma che cazzo fai, Mickey? Perché parli così?”, e lui, accendendosi l’ennesima sigaretta, “Non capite? Johnny non riesce a verbalizzare le sue emozioni. È in parte colpa dell’abbandono da parte del padre, ma è principalmente colpa del bullismo subito dai suoi compagni di scuola. Queste violenze subito nel corso degli anni si sono incancrenite e hanno trovato una loro manifestazione fisica nel palato, che si è spiaccicato… Fidatevi di me, io Johnny lo conosco”. Cioè, non sto dicendo sia andata così, ma secondo me non mi sbaglio di tanto.
Insomma, Rourke è effettivamente la scelta perfetta per un film del genere. Ed è la scelta perfetta perché lui e Hill hanno un po’ lo stesso approccio alla materia. Rourke sceglie di fare un passo indietro, di dare vita a un personaggio che in mano ad altri sarebbe stato un possibile trionfo di egocentrismo e decide di mettere il silenziatore. In più, il suo Johnny, a differenza di altri personaggi del genere (i già citati Rocky Dennis e Elephant Man, ma pensiamo a tipo tutto Burton o a Johnny Freak di Dylan Dog, per rimanere sempre in tema di Johnny) non è un tenerone incompreso di cui la gente ha paura perché non riesce a vedere il bello che si nasconde dietro a quella faccia da Klingon. No, Johnny il Bello è un cattivo. Ok, un cattivo in un mondo di soli cattivi, certo… ma pur sempre un cattivo. C’è un dialogo con Whitaker in cui Johnny si apre, e racconta di quando, da piccolo, ad Halloween, c’era Carlisle, un bambino stronzo che lo prendeva in giro davanti a tutti. “Ahahaha, guardate! A Johnny la maschera non serve, a Johnny la maschera non serve!”. E lui gli ha spaccato il culo. Non è andato a casa a fare un mixtape per spiegare come si sentiva dentro alla ragazza carina della scuola. No, no, lo ha rovinato di mazzate. Carlisle era lì sul selciato a sanguinare.
Hill dal canto suo, immagina un film che potrebbe tranquillamente essere un action heist da manuale, con tradimenti e colpi di scena, come un vecchio noir anni ’40. Torniamo quindi alla sua intuizione originaria, ma da una prospettiva differente. C’è molto più interesse verso il lato drammatico della questione, piuttosto che quello che il pubblico del momento si aspettava.
“Non credo che questo sia un vero e proprio film. Cioè, lo è una volta che si capisce dove ci si trova, una volta che si è disposti a stare in una specie di “laggiù”. E quelli che non hanno interesse a stare laggiù, mi sa che sono la maggioranza. Per cui dal punto di vista del mercato, non proprio l’atteggiamento migliore per fare un film. Ma, hey, alcuni film vengono realizzati per altri motivi…“.
In quel “laggiù” di cui parla Hill c’è spazio anche per la storia d’amore tra Rourke e la McGovern. La cosa interessante del loro rapporto è ancora una volta una sorta di ribaltamento della classica storia del mostro dal cuore d’oro. Prendiamo ancora una volta il già citato Burton. Il pubblico è lì che aspetta il momento in cui Wynona capisce che Edward Mani di Forbice è bello dentro. L’aveva intuito quando quel merda di Anthony Michael Hall l’aveva costretto a entrare a casa di quelli, ne ha la certezza quando lo vede fare le statuine di ghiaccio. A quel piunto lei non vede più il mostro, vede l’anima bella e si innamora. Qui la cosa è molto più complessa e rischiosa. Con ordine: grazie al cazzo che la McGovern si innamora di questo povero portuale spuntato dal nulla, è Mickey Rourke. E quindi cosa dovrebbe aspettarsi il pubblico adesso? Perché dovremmo stare sulle spine? Perché, al contrario che negli altri film del genere, qui c’è l’ansia che la McGovern scopra che Johnny è un mostro. Non “era un mostro”, eh? Quello è scontato che verrà fuori e se lei è intelligente come sembra dirà una roba come: “vabbè, dai, adesso però sei Mickey Rourke, ci posso passare sopra”. L’ansia è dettata dal fatto che prima o poi anche lei scoprirà che Morgan Freeman c’ha ragione: è dentro che Johnny il bello è un mostro. E dire che lui fa di tutto per nasconderlo. E dire che lei non è proprio un’innocentella, visto che la prima volta che apre bocca parla di truffe e ricatti. Ma queste son robe che vengono fuori. “Nothing but a cheap crook, Johnny”.
Insomma, io la capisco un po’ la frustrazione di chi all’epoca andò al cinema a vedere Johnny il Bello e si trovò di fronte a un melò tutto in sordina, triste, senza un finale comodamente consolatorio. Cioè, Walter Hill era comunque quello di 48 Ore e arrivava da un film come Danko, che ok che non è stato un successo al botteghino, ma sicuramente non aveva questo respiro così pessimista, quasi disperato. Certo, c’è quella scheggia di action all’inizio, con la rapina tutta fatta con grandangoli pazzi, con tanto di bellissime maschere da carnevale come in Le Deuxième Souffle di Melville, ma per il resto si rimane quantomeno spiazzati.
A Hill sembra interessare altro rispetto al solito: si concentra sui personaggi – inquadrati insistentemente dietro a grate, veneziane o sbarre, come dimostrano alcune delle foto che trovate qui – e sulla rappresentazione di New Orleans, città diversa rispetto a quella che si trovava nel libro di Godey, ambientato nel mondo dei bravi ragazzi del New Jersey. Ma non è la New Orleans del Mardi Gras con le tipe con le tette di fuori a cui tirare le collanine che si può trovare in altri film, quanto quella sporca, lurida, stradaiola e violenta. Sì, c’è una scena ambientata nel bar di Rafe e Sunny con le strip girl e il whisky, ma mi sembra che si sia più interessati a far vedere lo squallore del porto, lo spoglio appartamento di Johnny o quella inaspettata tenerezza che si crea tra Rourke e la McGovern mentre passeggiano tristanzuoli al luna park.
Un’ultima osservazione su Rourke. Fa specie vederlo con quel make up nella prima parte del film. Perché col senno di poi, con quello che ha fatto (volontariamente) al suo fisico e al suo viso, è come se avesse in parte voluto anticipare quello che gli sarebbe successo. Johnny il Bello, prima di diventare davvero bello, prima di sottoporsi alle cure del dottor Whitaker, non può non ricordare non tanto l’altro “mostro” che ha interpretato con una bella mascherona in fazza, cioè il suo Marv in Sin City, quanto il suo Randy “The Ram” Robinson di The Wrestler. Gonfio, distrutto, segnato dalle cicatrici… un mostro. Una piccola premonizione del suo futuro, un pizzino inviato a tutti quelli che lo volevano far rientrare a forza nella categoria dei belli bellissimi. Mickey Rourke è sempre stato un attore sfuggente a qualsiasi tentativo di categorizzazione ed è il vero cuore pulsante di un film che solo il talento e l’intelligenza di un grande regista come Walter Hill è stato in grado di leggere.
DVD-quote:
“Film che vengono realizzati per altri motivi”
Casanova Wong Kar-Wai, i400calci.com
Vabbè film della madonna, Rourke immenso ma soprattutto Lance Henriksen da mitologia….a quando uno speciale su di lui? Il suo Franck Black dimenticato nell’ oblio….
Frank non è nell’oblio, fratello: è qui con me in questo istante preciso.
Come sempre.
Ottima recensione, soprattutto quando si parla di Rourke, ai bei tempi.
C’è poco da aggiungere, se non che a fronte di quanto accaduto più tardi (compreso un “ukraine strong” di troppo sul suo profilo telegram), pochi ricordano il fottutissimo genio dei primordi, novello Icaro carbonizzatosi come da tradizione per aver volato troppo vicino al sole.
Personalmente, sono legatissimo a Mickey (e a Henriksen): ciononostante ho visto Johny il Bello una volta sola: troppo cupo, nichilista al cubo.
Al confronto, in my not so humble opinion, (l’ottimo) Serbian Film è quasi una favoletta.
P.S.
Qualcun altro avrebbe ucciso Lance e la Barkin a mani nude, nei mesi successivi la visione?
P.P.S.
Uso ancor oggi la “sentenza” emessa da Johnny, in merito al suo persecutore Carlisle, resa magistralmente nel doppiaggio col laconico: “Gli ho fatto uscire la merda dagli occhi”.
Quando in Italia i copioni dei film si traducevano meravigliosamente ❤️❤️ , ma è vero che all’epoca gli adattatori godevano di maggiore libertà
A parte questo: profilo telegram? Mickey Rourke?! Che mi dici chemmi! Ha un canale telegram! E come lo trovo?
Ho sbagliato (sono un boomer): era instagram.
Film potentissimo come non se ne fanno più.
Anche per la biografia degli attori, oltre a Rourke lo stesso Henriksen ha avuto una vita parecchio movimentata
Rourke è gigantesco, è anche stato l’unico a saper mettere in scena Bukowski (in Barfly, che vi consiglio di recuperare se non l’avete ancora visto)
Si’, in quello (la faccia) e’ stato drammaticamente profetico, nel mostrare Rourke diventare la macabra parodia di se’ stesso.
Per il resto gran film.
“Solo una cosa, […] posso non chiamarti John il Bello?”
Chi sa, sa
Film bellissimo e straziante, per quel periodo un martirio commerciale voluto, ma imho ancora più meritevole.
Rourke pazzesco, a volte mi chiedo cos sarebbe potuto diventare con scelte diverse, ma probabilmente è come dite voi: non sarebbe stato così grande per un breve periodo senza l’autodistruzione in canna.
Curiosamente ho appena letto un articolo sui freak “beatificati” nei media che cita un grandissimo e cupissimo fumetto che ho molto amato: Skin di Milligan e McCarthy.
Un dito medio gigante verso lo stereotipo del freak bello dentro, oppresso dalla società cattiva e che ci renderà tutti più buoni quando capiremo quanta sensibilità d’animo ha.
…tirami su le bretelle, puttana!
Ok, vado OT leggermente e mi ricollego a quanto detto su Tim Burton.
Non capisco (e non lo dico per fare polemica) come sia nato l’equivoco per cui Burton = regista di film in cui il freak è quello buono.
I suoi film più di successo (siano essi riusciti o meno, siano essi piaciuti o meno) sono zeppi di freaks bastardelli:
– Joker e Jack Palance in Batman, Pinguino in Batman Returns
– Christopher Walker in Batman Returns e Sleepy Hollow
– La regina rossa in Alice
– Beetlejuice nel film omonimo
– I marziani ed i Red Neck (tra cui un giovane Jack Black) in Mars Attacks
– Il BauBau e lo scienziato pazzo in NBC (si, la regia è di Selick ma Burton ha lavorato ai personaggi)
– S.L Jackson in Miss Peregrine
Più semplicemente nel cinema di Burton (piaccia o meno, sia riuscito o meno), sono tutti freaks, chi più chi meno. Al punto che i personaggi più “normali” (tipo gli umani di Beetlejuice) vanno in giro pettinati e vestiti come Margioglio.
Oh! Ma infatti! Finalmente qualcuno che lo dice!
Proprio per questo motivo, ho sempre trovato “mars attacks” estremamente buonista
Colgo per dire che uno speciale su Tim Burton da parte vostra non sarebbe una cattiva idea
Anche a parlare male della maggior parte dei suoi film, credo che ne verrebbe fuori una pregevole rassegna, con il vostro inimitabile stile
“Buonista” Mars Attacks? Scusa ma sinceramente non ne capisco il motivo… Il film prende equamente di mira repubblicani (Glen Close o il Generale che vorrebbero uccidere gli alieni e basta) che i democratici (Jack Nicholson o Pierce Brosnan). Basti pensare alla scena in cui gli alieni massacrano tutti ma il traduttore dello scienziato continua a tradurre i loro versi in “Tranquilli, veniamo in pace”.
È buonista perché lascia un mondo in cui a salvarsi sono solo i “buoni”: potrebbe anche essere uno di quei “Christian movies” che si fanno nell’entroterra statunitense
Il film non opera nessuna divisione di stampo politico, che infatti non capisco da cosa l’hai fatta saltare fuori, ma la opera in senso morale e ontologico
Tutti i personaggi che mostrano un qualche tipo di meschinità muoiono malamente, a salvarsi senza nessun merito pratico sono solo personaggi candidi o vessati, come la figlia del presidente o il rampollo più giovane dei contadinotti patriottici e relativa nonnina: è una logica da Pollyana
Per quanto mi riguarda Walter Hill finisce con Johnny Handsome. Tutto ciò che è venuto dopo, tutto ciò che tratterete nelle prossime settimane, è roba che sembra scritta e diretta da un altro, è che è stata distrutta sia dalla critica che dal botteghino, a mio avviso con merito
Faccio davvero fatica a capire come registi enormi come lui o Carpenter, che per almeno 15 anni non hanno sbagliato un singolo film ed hanno scritto la storia del cinema (e per una volta non è un’iperbole), di punto in bianco hanno perso ispirazione, tocco, magia, fino a diventare quasi la parodia di loro stessi. Ridley Scott al confronto è invecchiato come un vino pregiato
Bella recensione, come sempre. Film che magari rispetto ad altri di W.H. paga un minimo di ripetitività, di prevedibilità, e che forse ha il suo punto di forza non tanto in Rourke (comunque bravissimo e drammaticamente autobiografico), ma nel contorno, a partire dalla Barkin, per arrivare ai due “cioccolatini” (passatemi la battuta presa da 48h), che non per niente negli anni successivi vinceranno entrambi il loro Premio Oscar
PS: non c’entra una mazza, ma qualche sera fa mi sono rivisto Internal Affairs, di M.Figgs. Secondo me ci starebbe bene nella rubrica “ricercati ufficialmente morti”; quando ricapita un Richard Gere così cattivo e stranamente credibile in un ruolo così sgradevole
Ma no dai.
“Ancora 48 ore” è un buon film e “Trespass” funziona alla grandissima.
In quanto ad Affari Sporchi, il Dennis Peck di Richard Gere ha un posto di riguardo nella storia del cinema. Mi chiedo se tu abbia visto la versione epurata o quella completa.
In quanto alla personalissima scelta di usare la parola cioccolatini, non posso che commentare con una sonora risata (amara e fondente).
Anche last man standing del 1996 è un gran bell’action
Jonny il bello grande film . Micky rourke grande personaggio ma infinitamente meno bad boy di quello che vuole dare a vedere. E meno male se no non ci arrivava a 72 anni. Consiglio a tutti la lettura del libro Hollywood Hollywood. Bukoski prende bonariamente in giro rourke e i suoi amici biker che bevevano the freddo. Detto questo lunga vita a mike. Uno davvero bad boy ??? Il compianto james gandolfini. Lui si alcol pancetta cocaina e fotomodelle. Bob
“Buonista” Mars Attacks? Scusa ma sinceramente non ne capisco il motivo… Il film prende equamente di mira repubblicani (Glen Close o il Generale che vorrebbero uccidere gli alieni e basta) che i democratici (Jack Nicholson o Pierce Brosnan). Basti pensare alla scena in cui gli alieni massacrano tutti ma il traduttore dello scienziato continua a tradurre i loro versi in “Tranquilli, veniamo in pace”.
(Ancora commento in ritardo)
Bellissimo pezzo per un film che già avevo sulla lista e ora mi avete invogliato a vedere quanto prima
Tutte le riflessioni su quanto questo freak possa essere bello o brutto “dentro” sono interessantissime quanto la stessa tematica, d’altronde è un concetto intrigante che meriterebbe di essere esplorato più spesso. Il vero punto forte del tutto, esprime una reale umanità!
Intanto, arrivati a questo punto di queste basi, non posso fare a meno di notare una cosa: di successi commerciali, questo beniamino di cinefili ne ha avuti davvero pochi
Ormai la cosa che leggo più spesso in queste recensioni è “gli incassi furono tiepidi” quando non proprio bassi
Sembra che l’unico film di forte penetrazione culturale che ha fatto sia “i guerrieri della notte”, il resto è per completisti appassionati (come Edgar Wright e “Driver”)
Insomma, il resto si vede solo per la reputazione che ha, sarebbe interessante redigere una lista dei suoi film migliori che non siano i “guerrieri” e vedere quanti realmente ci appassionano. Sembro maligno, ma in realtà non dubito che questo “Johnny il bello” possa essere ospite fisso di tutte le sue liste di film migliori
Parlando di questo: quali sono i migliori film con Mickey Rourke? Anche questo è un bell’argomento interessante da affrontare
Per ragioni anagrafiche, io l’ho conosciuto ai tempi del suo “ritorno”: avevo 15 anni quando uscì “Sin City” al cinema e negli anni successivi sembrava tornato non solo sulla cresta dell’onda ma anche culturalmente rilevante
Fra The wrestler, Iron Man 2 e il primo Mercenari pareva essere diventato ormai, come Stallone, una sorta di icona, portatore di emozioni e simbolo delle seconde possibilità
Sembrava stare diventando ormai una sorta di colonna portante dell’immaginario, stabile e duratura, spinto su una rosea strada di successi
A ripensarci, fa senso pensare a quanti pochi anni sia durato quel momento e come sia rapidamente ripiombato nell’oblio. Pochi anni fa mi son detto “ma che fine ha fatto Rourke? Non era tornato per restare?”
“Ma, hey, alcuni film vengono realizzati per altri motivi…“
O spiegaglielo ora alle case di produzione….