Volevo dire due cose prima di iniziare a dire altre cose. La prima è che cercherò di parlare di A Classic Horror Story senza tirare in ballo le lettere di Stanis agli apostoli. Perché le recitiamo sempre tutti con il giusto religioso fervore e ormai l’antifona l’abbiamo capita e soprattutto, che è sempre stato un po’ il succo del discorso, stiamo cominciando a farci il callo a questi film di genere italiani che sembrano così poco italiani; tanto che l’unica reazione fisiologica serena mi sembra quella di smettere di stupirsi, normalizzare i film di genere italiani belli da vedere e fatti con creanza, e passare oltre. Anche se. Alcune cose espresse dal portentoso Quantum nella sua rece di The Nest (Il Nido), horror d’esordio di uno (Roberto De Feo) dei due co-registi (l’altro è Paolo Strippoli) di questo film qui, sono ancora valide. Non tanto nella critica principale – qui, di sostanza per farne un film un po’ più memorabile rispetto a The Nest ce n’è – quanto in quella più antropologica: gli italiani del cinema, molto genericamente parlando, non ce la fanno mica a divertirsi e basta con il genere; devono sempre infilarci dentro stocazzo, come direbbe un’altra evangelista abbastanza importante. L’altra cosa che volevo dire è che quasi sicuramente ci saranno alcuni lievi spoiler qua sotto. In pratica c’è che il film è costruito su un colpo di scena che da un momento all’altro lo trasforma da questo a quello, ribaltando i paradigmi narrativi. Io, che della trama di A Classic Horror Story sapevo poco o nulla prima di iniziare, non l’ho trovato così telefonato, ed è stato uno degli elementi che ha parzialmente contribuito al mio sollazzo con riserve. Ecco, magari andate avanti dopo aver visto il film. O anche no. Fate come volete, non sono mica la vostra mamma e non abbiamo mica un rapporto malsano che vi dico quando leggere e quando no e vi allatto anche se avete 32 anni e poi si scopre che siamo fratelli figli dei cugini serial killer di campagna. Sappiate però che il prossimo paragrafo inizierà con una corretta rispostaccia a Fabrizio. Sigla!

10 punti a Tassorosso per chi trova la Winx nascosta.
Io all’horror ci voglio il bene e lo ammiro, anche se non è né la mia tazza di tè, né il mio genere d’elezione – “Perché l’hai scritta tu la rece allora?” “Fatti i cazzi tuoi Fabrizio”. Eppure, A Classic Horror Story comincia e tre, due, uno, ecco il primo brivido: cinque adulti consenzienti e apparentemente in pieno possesso delle loro facoltà psicofisiche decidono, senza che nessuno li costringa, di fare car pooling. Mi cospargo il capo di polvere di Greta Thunberg, ma piuttosto che respirare il sudore di scroto di uno sconosciuto per tot ore – lo so che è anche il modello di business di Trenitalia, ma lì almeno ci sono i soffitti più alti – preferisco tentarmi la Salerno-Reggio Calabria a piedi, in pellegrinaggio verso il monastero della ‘nduja. Il team di quello che poteva essere un incredibile Scooby Doo torna a casa: mistero in Calabria è composto da: Elisa, bocconiana in viaggio verso un aborto caldeggiato da genitori arrivisti e ricattatori, interpretata da una Matilda Lutz che ormai più che un’attrice è un’apparizione (e torneremo sull’argomento); Riccardo, un medico scortese e perennemente incazzato, interpretato dall’ispettore Fazio del Commissario Montalbano che ci sta ed è anche una scelta coerente con l’esplicita velleità (sponsored by Netflix®) di sovvertire il linguaggio e le pratiche del cinema di genere italiano (ma anche un po’ del cinema italiano in generale); Fabrizio, l’indigeno calabrese che fa da Caronte con il suo vecchio camper, un nerd bersaglio per bulli con i capelli unti e la faccia che dice “fiatella ostica”, studente di cinema aspirante regista e social influencer; e infine la bionda Sofia, scappata di casa che sprizza positività ed entusiasmo, accompagnata dal fidanzato Mark, un roscio di Bristol residente negli States, che se ci pensate è un connubio di rara cafonaggine.

“Non si poteva fare pipì/Perché non c’era il vaccino lì”
Il roscio cafone si sbronza di birra calabra e insiste per guidare, sfrociandosi contro un solido albero calabro per evitare una carcassa di caprone calabro che intasava la carreggiata, anch’essa calabra. I nostri cinque svengono e si risvegliano la mattina dopo in un film horror: il camper è stato misteriosamente trasportato in un prato all’inglese nella radura di un bosco, in mezzo alla quale si staglia una stupenda casa di legno in via dei Raimi numero zero. All’interno, e nel bosco che circonda la radura, il quintetto fa amicizia con la leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i tre cavalieri dell’onore castigliani che illo tempore avrebbero fondato rispettivamente mafia, camorra, e ‘ndrangheta. Nella versione di A Classic Horror Story sono tre divinità che promettono ricchezze e prosperità in cambio di qualche sacrifizio umano, al ritmo di una filastrocca che fa:
“Il primo occhi non ha ma anche al buio ti troverà
Il secondo non ha udito ma di certo ti avrà sentito
Il terzo non ha bocca per parlare ma se lo vedi non fiatare
Un cavallo alato gli sta accanto e della morte lui è il canto”
Insomma: per fare contenti Osso, Mastrosso e Carcagnosso bisogna sacrificargli della gente cavando loro occhi, orecchie e/o lingua. I prossimi sul menù sono i cinque non troppo super amici, che salvano una ragazzina sopravvissuta all’amputazione della lingua, tentano di scappare, cominciano a perdere pezzi e infine mi causano il secondo brivido vero del film, quando trovano una birra rimasta sul prato sotto il sole di Calabria per tutto il fottuto giorno e decidono comunque di bersela senza che nessuno si ammazzi sul posto solo per potersi rivoltare all’istante nella tomba. Ho avuto un mancamento, e persino lo scroto sudato di prima si è raggrinzito creando un paradosso spaziotemporale. A un certo punto, poi, rimangono in due ed è qui che succede il cambio di paradigma, il colpo di scena o lo squarcio del velo, chiamiamolo come vogliamo; e dalla versione neo-borbonica di un horror inquietante di Ari Aster (feat. Zampaglione che collabora alla sceneggiatura) si passa a un horror metatestuale che butta dentro un po’ di tutto, dalla cornice ‘ndranghetosa realistica (nel senso di plausibile) e al tempo stesso grottesca, passando per le critiche sia al sistema cinematografico italiano sia alla pornografia del dolore (e alla spettacolarizzazione della morte), arrivando fino all’assunzione di Matilda Lutz come Maria del cinema di genere italiano. Tanto che la sua Elisa pare davvero una Madonna allegorica: incinta di un signor Santo virgola Spirito di cui non si sa niente, di una bellezza virginea, empatica come solo la mamma di Gesù può essere, e in lotta armata contro le torme di pagani che attentano alla salute sua e dell’educazione cristiano-cattolica.

“La Madonna della radura”, sangue su tela.
Vedi che è come si diceva più su? Tendenzialmente noi italiani alle prese con il cinema di genere spesso ci ingobbiamo e diventiamo tutti intensi e autoriali e anche appena appena meno, grazie. Poi, nel caso specifico di A Classic Horror Story, c’è da dire che l’ingobbimento è accompagnato da questo giochino cervellotico del cambio di cornice che ha il suo senso ed è pure divertente. Anche perché dentro al giochino c’è un altro contro-giochino buffo: se nella prima parte (quella dell’horror archetipico) i personaggi hanno reazioni emotive credibili e realistiche, nella seconda (quando torniamo alla “realtà” e ci vengono mostrate le figure da cui generavano le ombre che fino a quel momento abbiamo inseguito) i personaggi hanno invece reazioni tarantiniane (con tanto di occhiolino alla roulotte di Kill Bill 2) che inabissano ancora di più il cortocircuito meta. Ma il tutto è abbastanza aggraziato – o meglio: non troppo goffo – da non far perdere il gusto per l’horror e per le atmosfere egregiamente architettate da una messa in scena ai limiti del lussuoso. Poi molte delle facce sono azzeccate, il film non esagera (troppo) con il didascalismo, e anche le frecciatine morali che chiudono il film sono sì fastidiose, ma non rovinano quanto di buono fatto fino a quel momento. A Classic Horror Story è proprio quel film lì, fatto più con il cervello e la furbizia (e gli appunti degli executive di Netflix) che con il cuore e la pancia. Non c’è niente di male, eh. Solo che non mi toglie nessuno ‘sta convinzione che il cinema horror, quello memorabile, sia meno calcolatore di questo film tirato su dagli ingegneri De Feo e Strippolo. A cui manca un po’ di quel fomento irrazionale che ti incastra una storia sotto la pelle, fermandosi al livello di un film di paura in cui manca la paura – e no: per quanto mi riguarda, stavolta la giustificazione che “la realtà fa più spavento dei film” non è abbastanza. Detto questo, un complimento a tutti per l’ottimo lavoro. Soprattutto alla Calabria.
Dal vangelo secondo la Madonna quote:
«Matilda Lutz 6 mitica»
Toshiro Gifuni, i400calci.com
“ gli italiani del cinema, molto genericamente parlando, non ce la fanno mica a divertirsi e basta con il genere; devono sempre infilarci dentro stocazzo,”
Ecco, il commento perfetto.
‘nuff said.
L’horror in Italia lo faceva bene un certo Dario Argento.
Si, in effetti Argento UN buon horror lo ha anche fatto…
ah, finalmente un film di un certo calabro!
:D
Ti amo
ben giocata
A me sto film ha fatto troppo incazzare. Tralasciando la recitazione sorprendentemente dilettantistica fatta perlopiù di incomprensibili sussurri, il citazionismo estremo che mi ha causato déjà vu perpetui, le considerazioni banali su mafia e società, tutto sommato ai titoli di coda mi sentivo di salvarlo, tenendo conto del lato tecnico notevole e dell’evidente entusiasmo nel fare un film all’americana. Insomma, il classico “per essere italiano non è male”, ma con la scena post credit (spoiler?) il film dimostra di credersi sto cazzo, proprio in quanto italiano!
Mi spiace ma allora, classic horror story, ti meriti gli insulti che già ti eri paraculamente fatto da solo.
Eccheccazo si!
Finalmente qualcuno che la pensa come di sto film di mmmmerda.
Boh…qualcosa che si salvava c’era (la Lutz e la fine della marmocchia), ma per me questo film è stata una delusione assoluta. Intanto, non fa paura per niente (nonostante ambientazione e riferimenti fossero più che promettenti in tal senso), ma questo può essere soggettivo. Toshiro non ha fatto riferimento al più grosso elefante nella stanza che è
SPOILER
“Cabin in the Wood” , di cui è un remake moscio con uno spruzzo di ‘ndrangheta posticcia dentro. Gli autoctoni sembrano contadini incestuosi dell’Arkansas usciti da qualche libro di King e non bifolchi calabri (che potevano essere molto più terrificanti). E, poi, c’è sta cazzo di patina da netflix che rende tutto troppo leccato.
Era decisamente meglio “The Nest”.
Allora, da buon calabrese, il “bifolco calabro” è un bel stereotipo del cazzo. figlio di una narrazione di una calabria fatta di pecorari ignoranti e retrogadi, di una camorra fatta da “Immortali col cuore” e di una mafia da “capi dei capi contro il sistema” Non c’è nulla di più entroterra calabrese di quella tavolata, e piu minaccioso (e pauroso…) e “ ‘ndranghetista” (tra virgolette enormi ) di quella scena. Hai secondo me smerdato una delle scene migliori.
Detto ció, come al solito, non siamo mai oggettivi : fosse stata una produzione non italiana ( francese, americana, spagnolaaustralianatedescaneozelandesedanese……) GENIO! TWIST! BOMBETTA!
È un bel film, fatto bene, ma con quella puzza di autoriale spiegata nella recensione.
“Ad avercene”
Secondo me invece è vero il contrario, cioè che se fosse stato un film americano nessuno ci avrebbe speso più di due parole derubricandolo a “carino”, in quanto non c’è una trovata originale una, ma siccome è italiano allora sembra che sia una “ventata d’aria fresca” per praticamente tutta la critica.
La cosa più fastidiosa è il credersi un film che vuole sovvertire il genere, ma invece infila un clichè dopo l’altro, twist compresi, in malo modo.
Più ci penso è più mi fa incazzare.
La penso esattamente come te!
@Videosbronz, anche io la penso come te.
Detto questo, il gioco alla “Cabin in the Wood”, che anche io ho colto, funzionava dieci anni fa (ne è passato di tempo, eh?), ma poi la citazione fine a se stessa e il film metacinematografico hanno stancato. Nel senso che Pynchon lo leggo volentieri, ma se poi anche gli Harmony si mettono a fare roba postmoderna, potrei diventare leggermente nostalgico dei bei tempi. Che poi, sei italiano, vuoi fare l’hipster che imita male Whedon, almeno fa’ un “Cabin in the Wood” che citi “La maschera del demonio”, “Antropophagus”, “Cannibal ferox”. Invece hai paura che il pubblico non colga, e ti ritiri nella zona di comfort degli horror che tutti hanno visto negli ultimi due anni. E ancora: il bello di quel film di Goddard era il twist finale inaspettato; qui cambi le carte in tavola, ma citando Midsommar, Unfriended 2… Insomma passi da una cosa già vista all’altra, senza mettere nulla di nuovo.
A meno che non si consideri nuovo lo stereotipo dello studente calabrese fuori sede al Dams che si trasforma nello stereotipo del calabrese che parla in dialetto in uno spettacolo di Pingitore. E dire che questa volta i mezzi c’erano pure…
La penso esattamente come te!
Sono tutto sommato d’accordo con la recensione, penso che i meriti del film provengano principalmente dalle direttive (e soldi) di Netflix, ma rimangono delle pecche che si notano nelle produzioni italiane tipo la recitazione teatrale, e la ricerca di un significato “oltre”….
L’unico appunto che mi viene da fare all’articolo ė che mi piacerebbe smettere di leggere riferimenti a BORIS…
Comunque ottima recensione, grazie
il finale è figlio di certi commenti internet degli ultimi 25 anni..su cui anche Ruffini ha parlato.
L’italiano attacca l’italiano,anche nel metal (blind guardian migliori dei rhapsody)
nel cinema (film anni 70 brutti,tarantino film anni 70 belli)nell’imprenditoria(demanio spiagge intoccabile,dubai isole nell’acqua geniali)
etc etc..
un film davvero ben fatto,con un ottima fotografia,un film di mario bava con un mario bava lasciato libero dai problemi alimentari e che si prende il tempo di curare meglio certi aspetti.
Per me il film è indifendibile. Riconosco che è girato molto bene, che ha delle belle luci e un ottimo design (le maschere e tutta la pacca folk mi son piaciute un sacco). Ma il citazionismo meta è irritante, i personaggi insignificanti (soprattutto Matilde, ma chi è e perché dovrebbe interessarci il suo destino?) e la storia procede a colpi di F4 privi di senso.
Ma fino al terzo atto lo salvi perché vedi il bel mestiere. Poi il terzo atto ti sputa in faccia il twist con la sua bella striscia di moralismo da quattro soldi che io ho trovato IN DE CEN TE, e un finale che segue il messaggio moralista con la scena più banale e sciocca che si poteva mettere in quella situazione lì (sorvolando sul gesto finale: perché lei faccia quella cosa e perché dovrebbe importarci è un mistero).
Se già questo bastava a farmi incazzare, arriva la scena post credits che ciao proprio, prende lo spettatore e gli dà del coglione in diretta. Lo fa diretta a me, che ho speso un’ora e mezza a guardarti e ascoltare la tua lezioncina. Allora no, il film non è solo indifendibile: un film con questa morale e questo modo di affrontarla per me va boicottato.
ok lo salto, peccato perchè dalle foto della rece (la seconda che fa molto tobe hopper e la terza che fa molto ari aster) mi stava venendo la voglia…
D’accordo con Bradlice che ringrazio per aver postato il commento che non ci avevo cazzi di scrivere. Nessuna speranza per il cinema italiano (almeno fino a quando non lo faro’ io).
D’accordo con Bradlice che ringrazio per aver postato il commento che non ci avevo cazzi di scrivere. Nessuna speranza per il cinema italiano (almeno fino a quando non lo faro’ io).
“L’unico appunto che mi viene da fare all’articolo ė che mi piacerebbe smettere di leggere riferimenti a BORIS…”
E’ una critica che condivido, niente dice “finto arguto” come citare costantemente Boris.
Ogni volta che qualcuno scrive “Matilde Lutz” io DEVO rivedere Revenge.
Mi state facendo amare questo film sempre di più.
Criticare la scena post credit, comportandosi cone la scena post credit. Spettacolo.
Uuhh, la audace scena post credits! Che con grande coraggio mette le mani avanti e dice “se questo film non vi è piaciuto è colpa vostra”! Questo sì che significa osare! Questa sì che è una profonda riflessione sul linguaggio.
Altro che Boris! Qua non siamo per niente paraculi e vigliacchi!
Brutto guardarsi allo soecchio..😏
@Marcello, ti consiglio di abbandonare l’atteggiamento da tifoso, che depotenzia la tua opinione.
Il film non è la scena post credit, ma quello che c’è prima, ovvero una storia appena sufficiente, che mi poteva anche andare bene se il regista non avesse fatto lo sbruffone con la coda di paglia con un colpo di coda.
Ecco, forse ho trovato la definizione giusta per sto film: sbruffone ma con la coda di paglia.
No ma che tifoso, cerco solo di cazzeggiare, parliamo di film, alleggeriamoci :)
Come dice Ale più sotto, sin dal titolo mette le mani avanti, è una dichiarazione di intenti, puó non piacerti il citazioniosmo , meta o non meta (o touchdown), ma non ci si puó lamentare se il film ti da quello che dichiara.
Intrattiene, ben fatto visivamente, la recitazione è teatrale ma è un “difetto” del cinema italiano, anche se la ragazzetta che esplode all improvviso e cazzìa il fratello, è per me epica che mi ha ricordato la nonna matrona di È stato il figlio di Ciprì.
Difetti? ai voglia! Dovevano spingere di più con morti ammazzati e “gore” invece di parlare a sfinimento. il twist? mi ha deluso! avrei voluto si continuasse col mistico sacrificale, ma la scena della tavolata, ripeto, mi ha così colpito che me l’ha fatto accettare.
E ci sarà altro per molti, ma dire che è un filmaccio mi sembra scorretto.
Effettivamente come scena post credit di “Classic Horror Story 2” ci potrebbero mettere i commenti a questa recensione.
Una precisazione dovuta, l ambientazione calabra e un fake, il film è stato girato in terra natia dei cineasti, la mia Apulia felix oramai prezzemolina…
Premetto che non l’ho ancora visto (e onestamente non so se lo recupererò), ma dal frame che avete pubblicato si nota come il font dei titoli di testa sia identico spiccicato a “Quella casa nel bosco”.
Uno dei film(italiani o meno) peggiori di sempre
Sarà che nella foresta dov’è ambientato il film ci vado spesso e volentieri, ma lo promuovo sicuramente, The nest non mi era piaciuto per niente, questo mantiene sicuramente una cura tecnica di livello na aggiunge anche un po’ di sostanza, la virata meta e’ un tocca sana altrimenti sarebbe stato un disastro.
P.s.
A proposito di maschere, RIP joey jordison, mai visto un batterista dal vivo fare quello che faceva lui.
mah…sui film più o meno horror italici o quasi degli ultimi n anni che dire..sono così pochi e spesso in ogni caso malcagati che si può anche chiudere un occhio, a volte due…Da “Al di là del fiume” , ancora forse inarrivabile, ne è passata di acqua sotto i ponti…Non male quello del ragazzino fatto fuori nel bosco , nn mi viene il titolo ..di qualche anno fa… di recente visti quello con Scamarcio, il citato The Nest .. carini a loro modo ma manca sempre il guizzo…ma peggio dell’abominevole cagata che ha tirato fuori Avati di recente credo non ci sia niente. Netflix o Amazon prime possono incentivare la distribuzione o produzione di roba nostrana, ma resta sempre il fatto che si è persa proprio la capacità di capire oltre che di fare un certo tipo di cinema..magari ritornerà..
Bisogna crederci e supportare, però, ce l’hanno fatta spagnoli, francesi e anche gli scandinavi (questi ultimi più nel crime), com’è possibile che noi non si riesca a far sistema?
Magari superando una buona volta la formula cinema di genere = americanata/tarantinata, cinema d’autore = pause e sguardi basiti (che poi bello e tutto quanto, prendono i premi alla carriera ma hanno anche rotto un po’ i coglioni)?
(che poi nei film europei, dall’horror al crime, dalla fantascienza al thriller gli attori ci “credono”, non ti fanno pesare che starebbero volentieri a teatro a recitare Shakespeare, Pirandello o De Filippo…).
Solo da noi cultura=artisti del passato (che tra l’altro oggi come ieri, celebriamo spesso quelle figure che vengono apprezzate prima all’estero che nell’italico suolo…sempre provinciali).
Ho apprezzato il film ma per De Feo è un mezzo passo indietro rispetto a The Nest perchè almeno lì il twist finale era coerente con la costruzione della storia e la tensione rimane tangibile fino alla fine. Qui purtroppo si sgonfia proprio la tensione e il si arriva prima ad un tipico finale tirato con i capelli poi alla moralina sul tema del rapporto utente-spettatore con la violenza che è venuta proprio male male (mentre poteva risultare interessante, dato che è un argomento che non si esaurisce praticamente mai dai tempi dei gladiatori nelle arene).
Mi sono poi chiesto il ruolo di Straffi: dopo i successi dei primi anni 2000 che gli hanno fatto guadagnare credito anche in America con un’idea semplice ma efficace (merito all’ufficio marketing di Rainbow), poi le idee sono finite e ha inanellato flop uno dietro l’altro (dalla serie live action su netflix delle Winx a questo esordio nell’horror non proprio di buon auspicio…).
Forse il problema è proprio nella scarsità di figure all’altezza nel settore: produttore+maestranze+regista+sceneggiatori+cast, quelli buoni sono pochi in Italia e data la scarsa produzione filmica al netto di commedie, drammi familiari, documentari di denuncia, commissari e commissarie, magistrati e preti (queste ultime più come “palestre” che prodotti veri e propri da vedere), che esca fuori una ciofeca è altamente probabile.
Vabbè, ma che ce frega, noi c’abbiamo avuto Fellini, che tutto il mondo ci invidia!!
Con qualche che poi in meno sarebbe pure condivibile, Zavits
È il flusso di coscienza.
Non pretendo di avere la verità in tasca sull’argomento anche perchè ovviamente tanti film me li sono anche persi…però da un lato c’è la classica puzza sotto al naso con cui si affronta un film italico mentre si esaltano boiate d’oltreconfine, dall’altro si cerca di chiudere un occhio sperando che dalle varie opere prime si evolva qualcosa di più..
Certo poi resto basito quando leggo commenti di sberleffo a film come l’ultimo Suspiria, che è un piccolo miracolo, seppur non originale ma si sapeva già…Resto dell’idea che fuori dai film dell genere “commedia romantica, drammatica ecc”, come appunto detto da altri, il giro di attori, produttori ecc sia molto limitato e quasi ogni volta sia un salto nel vuoto, a meno che si riesca a reclutare qualche volto noto.
Netflix e le varie piattaforme, mentre nella produzione di massa fanno abbastanza pena, potrebbero essere invece di aiuto per piccole produzioni che, soprattutto nell’era covid, non avrebbero alcuna chance di essere viste.
Poi siamo nel 2021 e sinceramente le questioni di lotta politica e sociale sono sparite dai radar anche nel mondo musicale, cosa impensabile nell’epoca degli Argento and company, dove l’horror/triller poteva essere anche una via di fuga dalla solita lotta fra fazioni di una certa produzione culturale dominante (vale anche per altri autori fuori dall’horror, e dal cinema, Fellini Battisti e altri infatti ai tempi venivano mal tollerati per la loro arte non schierata…salvo poi rimpiangerli amaramente).
Oggi si può fare senza patemi l’intrattenimento puro, però bisogna saperlo fare e sapere anche quale è il proprio pubblico perchè di under 25 che nel futuro prossimo andranno a finanziare le casse del cinema italiano ne prevedo pochi se non proprio zero.
Se ritieni Il signor diavolo un’abominevole cagata, allora ci sono ottime probabilità che tu di horror capisca poco o niente.
capisco che è stato un flop clamoroso e che solo il fan service più spudorato e la critica prezzolata (oltre alla cricca di chi ci ha lavorato con amici e parenti connessi che inspiegabilmente sbuca spesso fra i commenti a questo ed altri blog, cosa successa anche per film meno noti ma sempre di produzioni guarda caso italianissime) hanno avuto il coraggio di non bollarlo come gran cagata…ma come gran ritorno del “maestro” del’horror italico..Dio mio..
p.s. te cosa facevi portavi i caffè sul set?
Il film l’ho trovato interessante, certamente non originale ma tecnicamente buono. Infila un clichè dopo l’altro e la cosa viene furbescamente dichiarata fin dal titolo… Tralasciando tutta la retorica sul colpo di scena, che tenta di riportare in patria un film d’ispirazione marcatamente oltreoceanica, e le solite critiche a una società affamata di sangue e violenza che resta spettatrice desensibilizzata, mi è piaciuta la critica marcata all’omertà, quel non vedo, non sento, non parlo che è un po’ il leitmotiv di tutta la pellicola.
Film molto brutto, con plot twist del regista che a due terzi della storia fa la giravolta e dice “era fatto brutto apposta, gne gne gne, ci sei cascato”, e poi continua comunque ad essere molto brutto, ma con in più lo spiegone del regista che ti ripete (durante il film stesso) che il film che stai guardando è un bel film perché non è un film horror, e che se ti piacciono i film horror sei una brutta persona.
Credo sia la prima volta che provo gusto nel mettere il pollice verso ad un film su Netflix.
“brutto, brutto, muro.”
Secondo me tutto il film(richiami, occhiolini,allusioni, palesi scopiazzamenti pellicole di genere)trova il suo senso nel battuta “il tuo film è una merda!”.Tutto è fatto per fare dire questo alla fine.
L’ho trovata una geniale paraculata.
Sì va bene, carino ma troppo meta e concettuale e menoso, mi ha fregato, non so cosa scrivere senza sembrare parte dell’ultima scena
Matilda meravigliosa
Che poi questo sdoganamento intellettuale dell’horror mi ha rotto il cazzo, propongo premio Sodenberg 21 a De Feo e Socio
L’ho visto e per una volta ho trovato la recensione un pò troppo buona. Il film è girato con mestiere, ma è un puro esercizio di stile fine a sè stesso. Funziona l’immersione nella realtà italiana, ma non ci trovo cuore, sentimento, ma molto calcolo. Mi sembra fatto mettendo insieme pezzi (mettendoli insieme bene, ok) provenienti da qualcos’altro.
E poi da un certo punto in avanti diventa TROPPO moralista.
Cagata incommensurabile. Un collage di decine e decine di altri film, incollato con lo sputo e recitato da cani. Fosse uscito in qualunque altro stato, non ne avrebbe parlato nessuno, ma qui da noi è in odore di capolavoro. P.s. è costato TRE milioni, e Hardcore Henry DUE. Così, per dire..
Come cazzo hanno fatto a spendere TRE MILIONI girando un film tutto in uno spiazza della campagna Calabrese? Si spiega solo se hanno pagato il pizzo alla ‘Ndrangheta, quella vera.
non so cosa costi fare un film di solito..spero che la.metà siano andati alla Lutz
mah pensavo peggio dopp aver letto i vari commenti…ispirato tra i vari anche a quel piccolo gioiellino di The Ritual…Matilde si mangia il film memtre gli altri vabbè fanno quel che possono. La parte me5a snuff ci può stare, idem il finale…molto meno la scena post credits…quella proprio buttata lì e un po’ sbrodolata…
Direi che é salvabilissimo. Anche se la recitazione claudica, anche se la metafora per metà sfora, anche se ci sono scene puzzolenti. L’unica cosa che non perdono e questa storia dell’eccessiva furbizia nei minuti finali e post finali che sono troppo tirate. Ma avercene a IOSA film italiani così.
Forse dovevano essere più furbi nel giustificare l’impossibilità di uscire dal bosco. Tipo mettere un po d’acqua nella casa e sottolineare che facesse un caldo boia.
Per il resto promosso e ringrazio per le “tarantinate”.
Nessun camper è stato ferito durante le riprese di questo film-
Ce l’avevo in lista da quando è uscito, l’ho visto oggi con scarsa voglia. E mi ha preso. E’ una via di mezzo tra il delirio di un pazzo e consapevole meta cinema.
Concordo con chi dice che le cose migliori stanno negli aspetti meramente produttivi (le maschere sono belle belle, le scene di tortura idem), mentre si zoppica sicuramente nel reparto sceneggiatura.
Però ecco alla fine per me è un sì, con diverse riserve ma comunque un sì. Se non altro perché con due cancellature sulla sceneggiatura avrebbero potuto tranquillamente girare un normale horror da cestone, incassare i soldi di Netflix e buonanotte, invece hanno provato a fare qualcosina in più, forse pure troppo.
The Nest era meglio, poco ma sicuro. Più quadrato, più coerente, più efficace.
PS a me la scena post finale è piaciuta. Paracula, sicuramente, ma ho riso.
A me è piaciuto. Non è da oscar, ma neanche da buttare e buttarci m3rda addosso!
A classic horror story, lo dice già il titolo vuole essere un richiamo ai classici film americani (per citarne alcuni, le colline hanno gli occhi, american gothic) più qualche riferimento ai nuovi (la casa nel bosco, hostel – il film che stanno girando è richiesto dal cliente “bloodflix” presumo del dark web) e richiami vari a Raimi e compagnia bella. Insomma un bel calderone.
Ma la cosa che mi è piaciuta è la scelta delle parti da sacrificare ai 3 cavalieri: occhi, lingua, orecchie ….vi dice niente? “niente vidi”, “muto sono”, “niente sentii ” ……..e se c’ero dormivo, potrei aggiungere…. da dare in sacrificio ai padri fondatori delle mafie!
Una critica profonda ai contenuti di m3rda (odio la censura!) che vanno di moda nei social. Se non si fosse capito, lo ripete “Fabrizio il regista” alla fine del film! (Sinceramente potevano risparmiarsela, ma leggendo i commenti qui sotto forse hanno fatto bene)
Una critica fortissima all’uso smisurato ed egoistico dello smartphone e dei social, che invece di aiutare oggi, ci si ferma a fare video e foto mentre ammazzano di botte un ragazzo o violentano una donna!
Infine una critica dei registri proprio a questo modo di pensare: giudichiamo i film italiani solo come ‘mmonnezza tanto bastano 3 secondi per giudicare e farci decidere.
Dire che è pessimo è un complimento. Sceneggiatura insignificante, attori inqualificabili…non parliamo dei dialoghi. Il cinema dovrebbe essere arte e non scopiazzatura malfatta. Non basta una telecamera e qualche sfigato che finanzia, ci vuole originalità e maestria nel saper raccontare. Forse si pensa che l’horror sia un genere facile, forse puntavano sulla fortuna del principiante non lo so fatto sta che è stato veramente deludente sotto ogni punto di vista. Lo collocherei più su un genere comico-grottesco, con tutto il rispetto per il grottesco.