Due anni fa scrivevo cose su Psychokinesis, il primo film (live action) diretto da Yeon Sang-ho dopo il turbo successo internazionale inaspettatamente ottenuto da Train to Busan. All’epoca mi ero figurato questo regista che aveva passato il periodo della formazione e la prima parte della carriera tutto ingobbito e intento a raccontare la sua disillusione e la sua sfiducia nei confronti del genere umano, che dipingeva come un ricettacolo di brutture senza speranza di redenzione. L’iniquità sociale come forma di dominio consapevole e sadico, la povertà e il disagio che si confondono con la bruttezza morale, la stupidità e l’ignoranza alimentate dalla violenza e viceversa, l’individualismo sfrenato che trasforma in mostri disumani. Chissà cos’è successo a questo signore coreano, mi chiedevo, per convincerlo a spendere una vita da cineasta ossessionato da un tema sempiterno e non proprio consigliato dal medico della mutua gioia, ovvero: ma quanto tanto schifo fanno le persone? Poi, all’improvviso, Yeon fa Psychokinesis, che è una commedia action buffa con dentro della critica sociale all’acqua di rose, ma anche con un sacco di figure positive che denotano una ritrovata fiducia e finanche apprezzamento nei confronti del genere umano. Per spiegarmi questo improvviso e quasi schizofrenico cambio di rotta, avevo ipotizzato la risposta più romantica: la perdita della verginità dopo anni di tentativi a vuoto e il conseguente matrimonio con la sua psicoterapeuta dopo altrettanti anni di analisi infruttuosa. All’epoca mi sembrava una spiegazione valida e semplice. Se sei una persona incazzata per essere stata messa al mondo in mezzo a gente che ti tratta male e/o ti fa schifo, fare teneramente all’amore è un buon modo per cambiare idea sul panorama umano circostante. Quello, oppure scoprire che il tesoro che cercavi da tanto tempo è l’amicizia ed è sempre stato dentro di te. Passati due anni pieni di serenità e, forse, di fiky fiky (non mi dispiace, non me ne pento, ho dato la mia vita a Drudì) Yeon è tornato dietro la macchina da presa per realizzare il sequel di Train to Busan, Peninsula, e all’improvviso è tutto più chiaro: non è stato un pertugio lubrificato a cambiare in meglio la vita del coreano, né è merito di un amore salvifico se la sua visione sul genere umano si è fatta più conciliante, assolutoria e fiduciosa. Semplicemente, il successo di Train to Busan ha trasformato Yeon Sang-ho da regista arrabbiato e senza speranza a regista molto ricco e che saluta dallo yacht urlando ciao gente brutta io mi sono fatto la casa al mare e guarda un po’, all’improvviso non mi fate più così tanto cagare. Sigla va là.
Davvero. Al prossimo stronzo che dice che i soldi non fanno la felicità (eccomi qua, peraltro) fate vedere, tutta di fila, la filmografia di Yeon Sang-ho. Quando era povero e malcagato ha scritto e diretto due cartoni indipendenti e a basso costo, The King of Pigs e The Fake: robe belle, quasi belle belle, che però toglierebbero la gioia di vivere anche a quei tre burloni dei principi di Serendippo. Poi l’idea per Train to Busan, un film buono (è oggettivamente ben fatto) e furbo (sfrutta gli zombie per raccontare storie umane importanti ed emozionYAWN. Scusate. La noia) che, oltrepassata la cornice dei morti viventi, non fa altro che insistere sul concetto hobbesiano, vecchio quasi quanto lo società, del homo homini The Grey, vale a dire: nei confronti degli altri, le persone sono pericolose e spiacevoli come Liam Neeson dopo che ha appena sterminato a mani nude un branco di lupi. Poi è arrivato il successo interplanetario di pubblico e critica, è arrivato il riconoscimento artistico, e sono arrivati anche i soldi che, a quanto pare, si sono portati via tutto il male di vivere con cui Yeon faceva cinema. Questo Peninsula qui pare la conseguenza di un aggiustamento interno del tiro: se Train to Busan era un film programmaticamente sfiduciato e disperante, la cui unica dose di speranza era un finale messo lì per non deprimere troppo il pubblico abituato a cinema più commerciale e consolatorio, il suo sequel si concentra tutto fortissimo e fin da subito e senza possibilità di dubbio sul concetto di sacrificio. Sacrificio per qualcuno di più debole, sacrificio per il bene dei propri cari, sacrificio perché è la cosa giusta e umana da fare, anche se può sembrare vano e fin troppo romantico. Dall’individualismo spinto e cinico della gente sul treno che se ne incula del prossimo, alla parabola di un uomo che (rigorosamente al rallentatore per enfatizzare, sennò non vale) impara l’importanza e la bellezza del sacrificio allo scopo di salvare gli altri e, allegoricamente, se stesso. Ora ditemi come faccio io a non pensare che questo si è venduto la sua unica idea di cinema forte e chiara pur di restare aggrappato al successo di Train to Busan.
La penisola del titolo è certamente quella coreana. La quale, poco dopo i fatti raccontati in Train to Busan, è stata completamente isolata dal resto del mondo per evitare ulteriori spargimenti della misteriosa epidemia zombie. Ah, ci sarebbe pure la Corea del Nord, tornata contro ogni pronostico a essere la migliore delle Coree dal momento che il suo talento pregresso per la segregazione l’ha tenuta al sicuro dai contagi. Ma è giusto un accenno superfluo a inizio film: in Peninsula non c’è spazio per la cronaca e per il mondo al di là della finzione, per il Covid o per la geopolitica. Altro indizio che racconta di come Yeon abbia definitivamente mollato gli ormeggi per andare a pasturare nelle bonacce del cinema insipido e piacione. Quattro anni dopo la chiusura del paese, molti dei sopravvissuti coreani esuli sono stati parcheggiati a Hong Kong, dove vengono trattati alla stregua di untori malvoluti. Fra questi anche l’ex militare Jung-Seok, che ai tempi della fuga dalla Corea ha tentato, invano, di portare in salvo anche la famiglia della sorella. Si è salvato solo (e malvolentieri) il cognato Chul-min, qui nel ruolo del pretesto narrativo che servirà a far capire le cose importanti al protagonista. I due profughi vengono cooptati dalla mala cantonese per uno scamuffo con i controfiocchi: c’è da andare in giornata a Seoul, scampagnare in mezzo agli zombie, recuperare un camion pieno di venti milioni di dollari americani, tornare a Hong Kong e vivere da nababbi per sempre. Ottima trovata per un film! Grazie, John Carpenter. Jung-Seok e Chul-min, più altri due rappresentanti dell’organizzazione sindacale “Carne da macello”, scoprono abbastanza in fretta che i resti ancora fumanti di Seoul sono gestiti manu militari dall’unità 631, gruppo di maschietti che non vedevano l’ora di ritrovarsi in una realtà post-apocalittica per poter sfogare il loro sadismo e per sentirsi giustificati a smettere di lavarsi i denti. Non sono gli unici sopravvissuti a pascolare nella capitale, però. C’è anche una famigliola composta da figlia adolescente con i capelli corti quindi ganza, figlia bambina che dice le cose sagaci ma non è così antipatica come si potrebbe pensare, nonno tutto matto che pensa ancora di essere un militare in servizio e mamma coraggio che tiene in piedi la baracca. Mamma coraggio che, guarda caso, a inizio film ha incrociato la fuga di Jung-Seok, supplicandolo di aiutarla e venendo rimbalzata brutalmente. Ma il nostro, si sa, è qui per prendere a fucilate i non-morti e crescere spiritualmente per diventare un uomo migliore. Scatta l’alleanza tra il protagonista e la famiglia del Mulino Zombie. Seguono amenità varie e inseguimenti folli a bordo di macchine bardate per il demolition derby. Ottima trovata per un film! Grazie, George Miller.
Allora. Al fin della fiera Peninsula non è per niente una roba fatta con i piedi o con insipienza, sia chiaro. Ha la forma di un film, è scritto e realizzato con il minimo sindacale di alfabetismo cinematografico, ha una sua compattezza strutturale che te lo fa seguire fino in fondo, e ha alcuni momenti divertenti e ben coreografati. L’idea di Yeon è quella di creare una saga legata più al world building che all’elemento umano protagonista (e intercambiabile) dei singoli capitoli – coerentemente con quanto già fatto, quattro anni fa, nel prequel animato di Train to Busan, Seoul Station, uscito appena a un mese di distanza dal primo film. Ed è un’idea onesta da cinema di serie B. Non entusiasmante, né memorabile. Ma sicuramente onesta. Solo che boh. Anche no. Nel senso che se tu, Yeon, decidi di fare una cosa così sottile e impalpabile, oltretutto derivativa e strettamente legata allo stereotipo più deleterio del cinema spettacolare americano – il finale di Peninsula, per dio, con quei ralenti e quella pornografia emotiva, andrebbe processato per direttissima dal tribunale dei diritti del cinema – ecco, se proprio scegli quella strada facile lì perché il carburante dello yacht non si paga da solo, beh: un po’ stronzo, specialmente nel contesto del tuo percorso come regista, lo sei. Soprattutto dal momento che decidi di mettere in pratica quella scelta onesta con il minimo dello sforzo. Più sopra si accennava ai grandi inseguimenti in macchina presi in prestito da Mad Max: Fury Road. Che non c’è niente di male eh, va sempre bene omaggiare il film più grosso della storia recente del cinema. Solo che, in Peninsula, i suddetti inseguimenti sono realizzati (diciamo all’80%) con una CGI posticcia che ricorda vagamente le cutscene di consolle vecchie di un paio di generazioni. Io, personalmente, l’ho vissuto come l’aspetto più eclatante di una grossa presa per il culo da parte di un regista che, oltre a scegliere consapevolmente di smettere di dire cose interessanti, non ha neppure trovato la voglia di dire quelle cose poco interessanti in maniera coinvolgente o divertente. Sono pronto a ricredermi solo di fronte a un quarto capitolo stile Aguirre, furore di Dio, in cui mandano Dennis Rodman in Corea del Nord per vedere se i membri della famiglia Kim sono diventati o meno zombie.
Dvd quote:
«Peninsula che vai, film insulso che trovi»
Toshiro Gifuni, i400calci.com
In realtà, a leggere fiky fiky, la prima cosa che ho pensato è che fosse una citazione a Anthony Hopkins in Transformers: L’Ultimo Cavaliere
Dove si firma per “Dennis Rodman come Klaus Kinski”?
Diciamoci la verità: fra Bong Joon-ho e i BTS tutto quello che si legge e si scrive oggi sulla Corea sembra oro colato, ma è una bolla dovuta al fatto che tutto il resto del mondo fa nefandezze ancor peggiori. Raddrizzategli le orbite a questi e magicamente vi renderete conto che pure Train tu Busan era un filmetto inutile sugli zombie come se ne vedono tanti. Anzi, troppi.
Ammazza che stronzata che hai scritto.
non che lavori per la cineacorea incorporated ma…si mi pare proprio una vaccata
Ah, no, scusa. Volevo dire che Train to Busan meritava l’Oscar, il Pulitzer e il premio Auto dell’anno. Svista mia.
Ma non è che devi amare Train To Busan per forza ma se conosci un minimo il cinema Coreano degli ultimi vent’anni fa da se che hai scritto una stronzata.
Train to Busan è un film onesto. Non sarà un capolavoro ma se ti hanno rotto il cazzo gli zombies vederselo è da masochisti, chè lo sai che ci stanno glizzombi, che lo guardi a fare? Poi c’è il cinema coreano, che NON è Train to Busan, è un saccone di roba. Che evidentemente non conosci. Prenditela con gli zombi dai, non coi coreani! :)
direi che il livello della discussione è zero quindi puoi dire tutte le vaccate che vuoi
Ci riprovo: all’inizio fu Old Boy, e fu una bomba atomica. Poi 15 anni a braccia tese a cercare di riempire il vuoto pneumatico lasciato dalle (non) idee del cinema USA. In 15 anni qualcosa di buono dalla Corea è arrivato, ma siamo anche giunti a Parasite, l’osannato capolavoro che se lo guardi tutto senza cavarti gli occhi con una matita sei sotto GHB.
Train tu Busan non è un film brutto, è fatto con mestiere e si vede. Ma è anche tremendamente banale e noiosetto. C’è qualcosa in questo film che già non si era detto (e meglio) in 28 giorni dopo o in un qualsiasi Walking death? Credete che a qualcuno verrà in mente di farne un remake whitewashing dal momento che sarebbe identico a migliaia di altri film già visti? Poi oh, se vi è piaciuto tanto meglio, siete più fortunati di me.
P.S. Caso Ste, se la discussione ti tedia non sentirti in obbligo, i sono altri post che ti attendono…
beh almeno qua hai argomentato un minimo … comunque credo che alla fine il tuo ragionamento giri intorno al fatto che i film che hai visto non ti sono piaciuti e magari tanti altri non li hai visti (manco io magari per carità…su Parasite inguardabile vabbè..io train tu Busan non l’ho visto e se è un film de zombi faccio anche a meno)..ma farne un postulato applicabile alla cinematografia ventennale di un intera nazione mi lascia perplesso diciamo…
Certo che non ho visto tutto quello che è stato fatto in Corea, e vorrei ben vedere, il punto è che non mi pare proprio di essere io quello coi paraocchi. La fascinazione sulla fiducia per tutto ciò che avviva da la io la vedo e la sento di continuo: rileggiti il titolo di questo articolo, quasi il concetto di “coreano” e “brutto” messi insieme fossero ormai avulsi da ogni logica accettabile. Un pò più di spirito critico, ecceccazzo!
Ste, l’hai detto tu: è un cinema ventennale, stanno crescendo, ma ne devono mangiare ancora di ciambelle.
ma per carità posso anche essere d’accordo sul fatto che molta roba sia sopravvalutata a volte…ma mi sembra che non ci si tiri mai neanche indietro quando si deve prendere per il culo un certo tipo di film ..non vedo tutta questa intoccabilità (il film coreano ha spesso sostituito il film francese o da Sundance nel genere roba che piace alla critica e ci straccia le palle a noi poveri mortali). Poi sui gusti non si discute ..al massimo si constata…(Parasite inguardabile è un giudizio buffo…limitarsi a Old Boy come.miglior film e poi vuoto altrettanto)
Non sbagli di molto, visto che Army of the dead è “ispirato” a questo (forse il contrario, ma il primo che esce ha ragione)
Il vero sequel di Train to Busan è #Alive
Non ho visto il film in questione quindi non giudico, mi permetto però di riallacciarmi al discorso dell’utente Easter Leeno Banphy
Ritengo che il cinema coreano, e quello asiatico più in generale, stia vivendo di una rendita guadagnata grazie a delle pellicole oggettivamente meravigliose (Ferro 3, Memories of a Murder, Sympathy for Mr. Vengeance, etc), e quindi conserva una reputazione che a mio avviso non trova riscontro nell’effettiva qualità attuale
Semplificando, dopo che per decenni ce ne siamo sbattuti le palle del cinema asiatico, facendoci passare sotto il naso autori come Kitano, da qualche anno si sta verificando l’esatto opposto, per cui un cinema un tempo sottovalutato, è oggi sopravvalutato e “trendy”
E’ opinione strettamente personale, ma alcuni dei registi coreani che oggi vengono idolatrati anche quando fanno i filmini della cresima col cellulare, hanno prodotto molti meno capolavori di quanto gli venga riconosciuto
La buonanima di Kim Ki Duk dopo Ferro 3 ha fatto quasi solo merda (mi permetto di salvare “Pietà”, anche se lo schema della vendetta stile coreano non era certo originale), ed ancora cerco di riprendere fiato dopo le bestiemmie che ho urlato per Arirang. Bong Joon-ho, boh, a me The Host e Snowpiercer hanno fatto cagare di brutto, e si che Memories of a Murder è uno dei miei film preferiti
Lo stesso Park Chan-wook, Dio lo benedica, tolta la trilogia della vendetta (e non è poco, sia chiaro), ha fatto solo film ampiamente dimenticabili
L’unico che a mio avviso ha mantenuto sempre degli standard altissimi è Lee Chang-dong, quello di “Burning” per intenderci, alcuni film come Burning appunto, ma anche Oasis, Peppermint Candy e Poetry sono il meglio che oggi offra la cinematografia coreana, assieme probabilmente a Hong Sang-soo
Ma mi rendo conto che sono due registi decisamente poco “calciabili”, e quindi non fanno parte di quelli recensiti su questa pagina
non conosco il cinema coreano e non posso dire sull’argomento, ma insomma dire che Kitano si è scoperto oggi o da poco non mi sembra corretto, direi che negli anni 90 era giá ben famoso e acclamato (per dire, nel 2000 una collega mi aveva prestato una biografia su di lui, insomma ignorato proprio non era).
esatto..ma poi qua si parla di film calciabili…non è che tutti i film coreani degli ultimi 20 anni siano calciabili e se deludono sul tema allora è fuffa…la produzione rispetto a quelle classiche americane e europea è per forza minore e in percentuale la quantità di roba buona e calciabile direi che basta e avanza…nessuno pretende un mad max coreano all’anno dai
Stai dicendo che ad esempio che Thirst ,The Handmaiden e Joint security area siano dei filmetti?
O che lee jeong beom con i suoi The man from nowhere e no tears for the dead non sarebbero calciabili ?
O che Na Hong-jin con The Chaser ,The Yellow Sea e Goksung non sia un regista coi controcoglioni?
Volendo ne avrei diversi altri..Te non sai veramente che stai a dì.
-mando vaiselabanananoncelai
Kitano è stato sostanzialmente ignorato fino all’uscita di Brother, ed anche allora era comunque un autore di nicchia. Vero che Sonatine ed Hana-bi avevano ricevuto premi qui da noi, ma non ebbero mai un successo commerciale vagamente paragonabile ad un Park Chan-wook ed il suo Old Boy, visto da un pubblico molto vasto
Ed è quello il punto del mio discorso: non dico Kitano fosse del tutto sconosciuto, ma era comunque di nicchia, mentre se un film come Sonatine uscisse oggi, sarebbe proiettato a reti unificate e se ne parlerebbe come la nuova frontiera del cinema. Più o meno quanto successo a Parasite, film bello, sulla bocca di tutti, ma a mio avviso due gradini sotto la miglior produzione di Kitano
Raimondo Vinello
No, non ho detto che i film da te citati non sono calciabili, o che siano di scarso livello. Ho detto che i miei due autori preferiti, Lee Chang-dong e Hong Sang-soo fanno film che qui sarebbero considerati poco calciabili
E poi ho aggiunto che autori come Kim Ki-Duk o Bong Joon-ho, accanto ad un paio di ottimi film, hanno prodotto molto materiale “dimenticabile”,e che negli ultimi anni il cinema coreano ed asiatico in generale sia passato dall’essere sottovalutato, all’estremo opposto
PS: io non so con quali persone tu sia abituato a trattare, ma ti consiglio di darti una calmata. Quando si interagisce con gente che non conosci, e che non ti ha aggredito, e che si è limitata a scrivere qualcosa con cui magari non sei d’accordo, partire in quarta e poi concludere con “Te non sai veramente che stai a dì” non è proprio il modo migliore di rapportarsi
Raga comunque Kim Ki-Duk in patria era spernacchciato e praticamente sconosciuto, ha avuto la fortuna di essere apprezzato nei festival europei, ma non è proprio il regista tipico del cinema coreano, anzi.
@Takeshi Diocaro
In effetti un po’ aggressivo lo sono stato ,sorry ,ma più che con te era con l’altro tizio che sparava assolutismi conoscendo poco il cinema coreano e ,credo, asiatico in generale.
peninsula non è certo un filmone, ma si può guardare a cervello spento
non mi è ben chiaro perchè praticamente tutti lo abbiano schifato, come se train to busan fosse stato chissà quale capolavoro
Non ho visto “Train to Busan” e forse non lo vedrò mai, ma invece il primo capitolo di questa trilogia, cioè “Seoul Station” lo recuperato e mi arrischio a dire, che probabilmente è il migliore dei tre.
Almeno in “Seoul station” gli zombi tornano a fare quello che dovrebbero fare, cioè il metaforone sull’umanita o meglio sulla razza umana.
In questo Peninsula, ci vedo una raccolta di tutti i film del genere degli ultimi decenni, da Doomsday fino Mad Max, inoltre paradossalmente è già stato copiato o ha ispirato un film che deve ancora uscire, cioè lo statunitense “Army of the dead”; tanto per dire di come ormai il filone zombi è strasaturo e si sta letteralmente cannibalizzando, peggio degli stessi zombi; inoltre siamo passati dalla pandemia zombie che stermina il mondo intero, alla pandemia zombie che stermina una sola nazione o città (una variante sul tema); comunque che dire alla fine è molto più divertente questo che tutta la serie di “Resident evil”, tra l’altro ha quel qualcosa di cinema d’autore, che una volta gli statunitensi cercavano nei film o autori europei, si vede che il centro del mondo si sta spostando in Asia, anche nel sottogenere dei film di zombi.