Satoshi Kon è uno che da queste parti abbiamo menzionato più volte, in primis quando 15 anni fa abbiamo parlato di quel film lì che per molti aspetti somiglia molto a quello di cui vi parliamo oggi, ma è un autore che non abbiamo mai approfondito adeguatamente.
E questo è male, molto male.
Perché pochi come Kon hanno saputo usare l’animazione per creare un ponte tra noi e i nostri più reconditi turbamenti, senza lesinare sulla violenza, sul grottesco, spaziando dal body-horror all’orrore lovecraftiano; sfondando il thriller e gli altri generi di cui ogni volta si appropria per raccontare le sue storie disperate, storie di doppi, dove falso e vero si intrecciano, si confondono e il piano del reale fa a cazzotti con la dimensione onirica.
Il tutto in una manciata di film (quattro in tutto) e una mini-serie televisiva.
Kon era un genio, un maestro. Al pari di Katsuhiro Ōtomo e Mamoru Oshii, che poi erano praticamente i suoi maestri. Oggi vi parliamo di lui e dell’ultimo film che porta la sua firma prima che la morte bastarda se lo portò via il 24 agosto del 2010, a soli 47 anni.
Oggi vi parliamo di Paprika, che grazie a Nexo Studios torna nelle nostre sale oggi, domani e dopodomani (17, 18 e 19 febbraio) per la prima volta in versione restaurata in 4K.
SIGLA!
Ma ci pensate mai a quanto tempo è passato da quando il pubblico generalista nostrano non aveva idea di cosa si facesse in Giappone al di là dei cartoni da pomeriggio su Italia1? Quando è stata la prima volta che avete sentito parlare di Hayao Miyazaki, dello Studio Ghibli, di Akira? Sì, ok, la mia generazione ha avuto la fortuna di avere Zap Zap TV e Mtv Anime Night quindi molti di noi già sapevano quanto in là potevano spingersi, avevamo visto Cowboy Bebop, Neon Genesis Evangelion, Ranma ½, Alexander. Io poi ho il culo di avere un cugino che è appassionato di anime e manga fin da quando era piccolo, da quando nel nostro vocabolario non vi era manco l’ombra della parola “nerd”, il quale non so come si era procurato in VHS i due OAV di Devilman, quelli del 1993, Il capitolo della nascita e quello dell’arpia Sirèn, che finirono immediatamente in cima alla lista delle cose più cruente che vidi da bambino. E tra le mie preferite di sempre, ovviamente.

Fuck…

…yeah!
Però a conti fatti è solo dal 2003 che in Italia tutti iniziarono a guardare l’animazione giapponese con occhio diverso, da quando Miyazaki vinse l’Oscar con La città incantata, è da lì che cambiò tutto. Da quel momento il pubblico e la critica iniziarono seriamente a interessarsi al fatto che questi non facevano solo roba per il piccolo schermo, ma pure grande cinema destinato alla sala e lo facevano almeno dal 1979, per la miseria!
Non è dunque un caso che Paprika, da noi distribuito con il sottotitolo Sognando un sogno, vide per la prima volta la sala appena tre anni dopo la vittoria di Miyazaki agli Oscar, alla 63ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, e fu presentato in anteprima mondiale. I tempi erano maturi, la ruota aveva iniziato a girare e occhi che fino a quel momento magari avevano visto di sfuggita solo tizi coi capelli sparati biondo platino che combattono contro strani mostri, si ritrovarono davanti un mondo molto più vicino al nostro ma pieno di immagini perturbanti e assurde, volti dai tratti molto meno stilizzati del solito ma catapultati in dimensioni astratte, estremamente efficaci nel trasmettere uno smarrimento che è però al tempo stesso pura estasi visiva, un virtuosismo continuo, un evidente tentativo di sperimentazione travestito da grande spettacolo.

«Posso spiegare»
Le prime parole che sentiamo in Paprika sono «Incomincia lo spettacolo!» pronunciate da un clown appena esce da una minuscola automobile ed è la cosa meno assurda che vedremo, poiché pochi secondi dopo il nostro protagonista, il detective Toshimi Konakawa, si ritrova intrappolato in una gabbia del circo dove lavora il clown e viene assalito da una manciata di persone tutte diverse tra loro, uomini, donne, bambini, anziani, ma che inspiegabilmente hanno tutti lo stesso volto: quello del detective. Lo spettacolo di Satoshi Kon è cominciato. Senza avere un momento di stanca che sia uno, da qui in poi per un’ora e mezza il film cambia forma e colori di continuo, passando di genere in genere, avventura, horror, fantascienza, noir, aprendo porte e creando passaggi impossibili da prevedere e da immaginare. Ma senza mai perdere il ritmo o distanziarsi troppo dalla trama, che a ben vedere è tra le più lineari scritte da Kon, un thriller (basato sull’omonimo romanzo di Yasutaka Tsutsui) che ruota attorno ad un’invenzione incredibile: un congegno che permette di entrare nei sogni della gente. Ovviamente qualcuno lo ruba e la situazione prende una piega terribilmente pericolosa e misteriosa, i sogni si fondono tra di loro e con la realtà, niente è ciò che sembra, “Sogno o son desktop?” si chiedono il detective che abbiamo incontrato al circo e la dottoressa Atsuko Chiba, che quando nessuno la vede entra illegalmente nel subconscio dei suoi pazienti con le sembianze di “Paprika”, un avatar da lei creato.

«Fate entrare i clown»
Questo dell’avatar, dell’alter ego, della proiezione di sé in qualcosa di desiderabile/detestabile, è un concetto che ha sempre affascinato Kon, si può dire sia un po’ la sua fissazione: dall’inquietante Perfect Blue passando per Millennium Actress fino all’esplosione nella mini-serie Paranoia Agent, il tema del doppio, del dualismo, dell’immagine artefatta che si scontra con quella reale e dello smarrimento del sé autentico che ne consegue, è qualcosa di più o meno sempre presente e Paprika ne è la sintesi estrema, è la naturale tappa di un percorso che purtroppo non doveva fermarsi qui ma sarebbe dovuto continuare con The Dreaming Machine, progetto rimasto incompiuto con la morte di Kon.
Nel compiere questo viaggio Kon prende a piene mani dai suoi maestri, da Ōtomo e Oshii come detto, quindi da Akira e da Ghost in the Shell, ma c’è indubbiamente anche Matrix in Paprika, con le sue riflessioni cyberpunk sul nostro rapporto con la tecnologia, ci sono scene che riportano alla mente i mostri ripugnanti di John Carpenter e i corpi vischiosi di David Cronenberg, c’è davvero di tutto. Ci sono mani che affondano nei corpi come fossero di gomma e risalendo strappano via facce, omini che si gonfiano fino a scoppiare come enormi palloni, faccioni dentro alberi, tentacoli al posto di gambe, sfondi che si infrangono come vetri. La fantasia di Kon è incontenibile, la qualità delle animazioni eccelsa e le musiche di Susumu Hirasawa (che vi ho ovviamente messo all’inizio del pezzo come sigla) sono pazzesche. E arrivato a questo punto la tecnica di Kon ha pochi eguali. Clamorosi sono ad esempio i punti di raccordo e le transizioni tra una scena e l’altra, ogni volta sembra una sfida a trovare una soluzione più assurda della precedente, ogni volta il passaggio è diverso, nuovo, folle. Fino a creare situazioni in cui non sai cosa stai vedendo ma il film mischia realtà e onirico quindi va bene, sei contento così. Quei bravi ragazzi di Every Frame a Painting ci hanno fatto un video molto figo al riguardo tanti anni fa:
Quando leggo in giro che questo è un film complesso, che merita più di una visione per essere capito sinceramente mi sale lo sconforto, amici, perché la potenza di Paprika e in generale di tutto il cinema di Kon sta proprio nel non essere chiaro al 100% su ogni singolo snodo narrativo e nel dare molta più importanza a ciò che un’immagine, una sequenza, una transizione può suscitare e trasmettere nel suo poetico e – questa volta sì – VISIONARIO caos. Paprika non ti deve spiegare tutto. Non è uno di quei giocattoloni da vedere con il bloc-notes segnandosi ogni cosa per poi rivederlo e controllare se torna tutto. Non è mica come quel film lì di 15 anni fa che in tante cose somiglia molto a Paprika ma tranquilli, non è Paprika. Anche se:
So che questa cosa del presunto plagio/omaggio/citazione di Paprika da parte di Christopher Nolan è una vecchia discussione dell’internet molto sentita da alcuni, però vai a capire. Nolan non ha mai esplicitato sta cosa, non ha mai menzionato Paprika tra le sue ispirazioni ai tempi di Inception, nonostante le somiglianze. E sapete una cosa? Mi frega davvero poco che prima o poi lo faccia. Sono due film talmente diversi che hanno ben poco da dirsi nonostante le premesse simili. Come disse al tempo Steven Boone: «Paprika va in profondità, Inception ne parla soltanto di profondità».
Correte al cinema!

«ECCOCI!»
Nexo Studios Quote:
«Il film che Christopher Nolan non vuole farti vedere»
Terrence Maverick, i400calci.com
sniff sob. non aggiungo altro.
Eppure per me il suo capolavoro è “Perfect Blue”. In un certo senso non ne sono mai uscito.
Per quel che conta anche a me piacque di più Perfect Blue. Paprika è comunque una bella opera tra surrealismo ed espressionismo, volendo fare un paragone con le correnti artistiche storiche. Visivamente bellissimo, mi ha appassionato meno di Perfect Blue, nel complesso
Uh, sui 400 si parla di animazione! Che bello!
Coi miei amici abbiamo organizzato un double-bill domani allo Space: 17.30 Cap America, 21.15 Paprika. Non vedo l’ora. Dai dai dai!
Vado di iperbole ma ne sono molto convinto: il più importante regista del 21esimo secolo, colui che più di tutti ha raccontato il nostro tempo, la scissione tra ciò che siamo e l’immagine di noi che sia virtuale, onirica o dettata dalla società.
Perfect Blue è ancora oggi contemporaneo, Paprika e Millennium Actress sono due capolavori su come la fantasia si lega alla nostra vita reale, Tokyo Godfathers è dopo Die Hard il miglior film di Natale della storia, Paranoia Agent ha anticipato l’uso che oggi facciamo del vittimismo e del pensiero magico come forma di distacco dalle complessità reali che diventa poi psicosi di massa (difficile non trovare paralleli con le realtà alternative delle propagande che portano le destre al potere in tutto il mondo).
E tutto questo facendo film sempre eccellenti, pieni di idee visive e di montaggio, appassionanti e con un ritmo pressoché perfetto.
Kong è un regista che come pochi ha saputo unire la profondità delle sue storie con una capacità di coinvolgere il pubblico. Un fenomeno puro.
Bravo
“Però a conti fatti è solo dal 2003 che in Italia tutti iniziarono a guardare l’animazione giapponese con occhio diverso”
Tristissima verità. Cresciuto a ovetti sbattuti e robottoni che si prendevano a mazzate, avevo comunque fin da giovine percepito che la qualità di scrittura e animazione dei prodotti giunti dall’oriente misterioso variava di molto, con punte di eccellenza (Conan, Gundam). L’epifania definitiva avvenne il 6 gennaio 1987, quando per puro caso (zero promozione) la Rai passò l’incredibile Nausicaa della Valle del Vento, ebbi la definitiva dimostrazione che c’era una nuova musa all’opera, e che dovevo trovarne la fonte. Da lì lunghi anni di frustrazione, mendicando videocassette e quindi cd di pessime registrazioni casalinghe, e finalmente di pellegrinaggi a Milano nella cornucopia dello Yamato shop, da cui arrivarono cd ufficiali di anime mai passati da noi (per ovvi motivi, vedi Baoh, roba decisamente calciabile) e ovviamente gunpla. Il misto di soddisfazione e frustrazione nel vedere finalmente riconosciuto almeno il genio di babbo Miyazaki (prima Berlino, poi l’Oscar) fu presto smorzato dalla constatazione che lo sdoganamento aveva motivazioni banalmente commerciali, babbo Disney ci mise subito il cappello sopra, ma per la stragrande maggioranza dei nostri concittadini, elite culturale in testa, l’animazione rimaneva roba da bambini. Se non altro, oggi è assai più facile procurarsela. Troppe volte, però, con doppiaggi e traduzioni non del tutto fedeli.
Tra i vari indicatori dell’arretratezza culturale del nostro Paese, uno dei più evidenti è il modo in cui certe forme artistiche vengono sprezzantemente snobbate da una consorteria di professionisti costantemente impegnati a esaltare le opere di giovani promesse, soliti stronzi e venerati maestri, ma sempre facenti parte del giro giusto. Per loro, vale il giudizio del professor Palumbo sui notabili di Nocera. Per quel che serve.
Comunque se volete un prodotto calciabilissimo, vi propongo il remake del classico di Tezuka “Dororo”, presente anche Prime video
Recensione veramente bella, ora mi recupero tutto, grazie!
Grazie
Non ne avevo mai sentito parlare e sono andato a vederlo al cinema, spettacolo!
Altro che quel sopravvalutato insopportabile di Nolan