A Capodanno ho fatto l’hummus.
Non era esattamente hummus in realtà, più che altro una crema di ceci perché non avevo la salsa tahin in casa, per cui l’ho sostituita con altra roba che non ricordo. Poi la salsa l’ho trovata e ho convertito l’alimento, avvicinandolo un po’ di più alla sua forma hummica. E mentre lo facevo pensavo a tutte le variazioni sul tema “ceci e altra roba” che ho cucinato in questi ultimi mesi. E così ho realizzato che anche il mio hummus ha un universo cinematografico tutto suo.
Siamo nel 2022 e ormai qualsiasi cosa può avere un universo cinematografico tutto proprio, una sua crossmedialità, una franchise-izzazione. Persino la pandemia che ci accompagna da due anni e briscola è già arrivata alla fase dei crossover. È tornato Matrix. Sta tornando Scream. I Litfiba sono tornati insieme! Mi sento quindi autorizzato a chiedere visibilità per il mio hummusverso, e anche a parlare di The King’s Man, l’ultimo film in ordine cronologico nonché il primo spin-off della saga di Kingsman. Kingsman è un clamoroso esempio di fumettoverso che viene trasposto al cinema e va talmente bene – anche un po’ a sorpresa – da prendere vita e diventare un cineverso ormai sostanzialmente indipendente dall’origine. Già con Il cerchio d’oro Matthew Vaughn, il proprietario ideale del Kingsmanverso, aveva affermato con forza la sua nuova posizione, annunciando che c’era un nuovo sceriffo in città. E siccome quando hai un cineverso ci puoi fare quello che vuoi, Vaughn ha deciso, nell’attesa di girare un terzo capitolo, di cimentarsi nella pratica nota come “spin-off” ma anche come “origin story”.
Ha anche deciso di cimentarsi nel remake di Lawrence d’Arabia, e di addentrarsi nello spinoso territorio del film bellico con un sorprendente piglio tolkieniano (ci torno), e soprattutto di dimostrare che sì, Kingsman è quella saga anche un po’ buffa dove Samuel L. Jackson è un ultracattivo con la zeppola e ci sono ricorrenti gag a sfondo sessuale che coinvolgono una principessa svedese, ma può anche essere altro. Può avere un tono più serioso ed epico, ambizioni più ambiziose e Cose Da Dire, oltre a far divertire il pubblico. Se c’è una cosa che posso dire con certezza di The King’s Man è che è un film nel quale Matthew Vaughn crede con tutto sé stesso, più autoriale dei due precedenti, anche meno aperto al compromesso e alla strizzata d’occhio. Non è un’opera che gioca con i personaggi e le situazioni ma con la Storia, con anche una vaga spruzzata di complottismo che di questi tempi si porta tanto bene.
Non posso dire con certezza che l’esperimento sia pienamente riuscito, ma questo è un altro discorso che riprenderemo dopo la SIGLA!
Scordatevi Eggsy, Poppy, la principessa Tilde e l’agente Tequila: The King’s Man non se ne interessa, neanche con il prevedibile paio di gomitate segretamente ben piazzate. No, The King’s Man si apre con due cose: Ralph Fiennes, che si dimostrerà poi essere l’unico vero protagonista del film, e il colonialismo. Siamo in Sud Africa all’inizio del Novecento, e Orlando, Duca di Oxford, sta mostrando tutta la sua magnanimità andando a visitare un campo di concentramento in veste di rappresentante della Croce Rossa. Orlando, Duca di Oxford, è un tipo così: senza macchia, senza paura e con la ferma convinzione che senza di lui il mondo andrebbe a ramengo nel giro di una settimana.
Un attentato e una tragica morte dopo e siamo di nuovo in Inghilterra, dove Orlando ha fondato una società segreta di agenti segreti che segretamente indagano su tutte le malefatte che vengono pianificate nelle corti d’Europa. Ed è proprio nelle corti che facciamo la conoscenza di [Tom Hollander]x3: la versione migliorata di Tom Holland interpreta contemporaneamente re Giorgio d’Inghilterra, il Kaiser Wilhelm e lo Zar Nicholas, in una sorta di Eddie Murphy goes full Alessandro Barbero che non diventa ridicolo solo in virtù del talento sconfinato dell’interprete. [Tom Hollander]x3 sembrano tre sovrani ma sono in realtà tre pupazzi per un’organizzazione segreta almeno quanto quella fondata da Orlando, che si riunisce in un fienile in cima a una montagna e che manovra tra le ombre i destini dell’intero continente. Le due organizzazioni segrete, ovviamente, si incontreranno e si scontreranno.
The King’s Man non ha, in termini di ritmo e di struttura narrativa, assolutamente nulla dei due film precedenti. È proprio un’altra roba, per esempio manca completamente un personaggio giovane che abbia un rapido arco di crescita che lo porta a diventare adulto, e altrettanto manca la dimensione di scoperta, quella sensazione di stare aprendo finestrelle su una faccenda più ampia, che caratterizzava soprattutto il primo capitolo. È una storia lunga anni, ho già scritto “respiro epico”?, fatta di paesaggi sconfinati e corti lussuose; è un’operazione di fantastoria, nella quale Vaughn si diverte a immaginare spiegazioni alternative a eventi ben noti fin dai tempi di “francescoferdinandoeredealtronodaustriauccisoasarajevodaunostudenteserbo”.
È anche e forse soprattutto una storia di famiglia, di famiglia e guerra: Conrad, il figlio di Orlando, vorrebbe aiutare il padre a sconfiggere il male, ma è vittima del suo istinto di protezione e della classica e arcinota tendenza di certi genitori cinematografici a tenere la prole lontana dal cuore del film pur sapendo benissimo che la tensione narrativa ce li porterà, inevitabilmente, prima o poi. In The King’s Man questo conflitto generazionale ruota tutto intorno alla Prima Guerra Mondiale e alle sue trincee, per motivi che non racconterò ma in modi che mi hanno ricordato un certo famoso scrittore inglese del Novecento già portato al cinema con successo da Peter Jackson e poi, con meno successo, da Peter Jackson. E lo so che probabilmente ci sono riferimenti più facili ed evidenti tipo Hemingway, ma l’approccio alla materia di Vaughn è molto poco realistico e molto poetico, quasi celebrativo, in linea con l’idea che chi ha partecipato a quel conflitto in prima fila sia una figura a metà tra la vittima e l’eroe, indipendentemente dalla parte per cui combatteva. E poi, e qui arrivano i cazzi, c’è una questione estetica.
Probabilmente ve lo siete perso, e io me lo auguro per voi, ma tempo fa è uscito un biopic dedicato proprio a Tolkien una buona fetta del quale è dedicata proprio alle esperienze al fronte dello scrittore durante la Grande Guerra. È una fetta visivamente orrenda che trasforma le trincee in una sorta di Mordor del discount, e usa azzardatissime metafore visive fatte di draghi e fiamme per far passare un messaggio che era già chiaro mezz’ora prima. Quel filmaccio mi è tornato in mente proprio durante le scene di guerra di The King’s Man, che esteticamente hanno gli stessi identici difetti: sono ambientate su set finto-anticati falsi come una moneta da due euro e settantacinque, e hanno quella patina di perfezione che altrove nel film funziona, ma che svilisce queste scene, quelle che dovrebbero essere più sporche e sanguigne e dritte in faccia.
E allargando lo sguardo è questo il macro-problema di tutto The King’s Man. Si regge su idee lodevoli e a tratti sorprendenti, ma non sempre il film che è stato scritto e girato per celebrarle è all’altezza. È discontinuo, e alterna momenti di sincera esaltazione – la maggior parte dei quali prevedono la presenza di Rhys Ifans – ad altri di stanca e mancanza di direzione; a fianco di Ralph Fiennes, per esempio, ci sono Djimon Hounsou e Gemma Arterton, due personaggi buttati lì per far numero e per fungere da deus ex machina quando serve, ma dei quali alla fine della fiera sappiamo pochissimo se non nulla, e quelle poche scene che dovrebbero farceli conoscere finiscono per essere bolle di inutilità e character building sprecato.
Neanche l’azione raggiunge i livelli di quelle due/tre scene che hanno decretato il successo anche memetico di Kingsman e Il cerchio d’oro. Non ci sono scene nella chiesa, per intenderci, e per essere un film di menare ci si mena relativamente poco. C’è una sola sequenza che può reggere il confronto con il passato, e poco sorprendentemente comprende Rhys Ifans; ma a parte questo, se andate a vedere The King’s Man per le mazzate preparatevi a rimanerci male. Preparatevi a un film di voli pindarici, un’opera più classica e meno postmoderna di quelle che l’hanno preceduta, quello che un tempo sarebbe stato definito un “filmone”. Un progetto ambizioso che dovrebbe parlare della nascita dei Kingsmen ma che di fatto relega in secondo piano questo spunto per raccontare tutt’altro; di Storia, ma anche della famiglia, ma quella tradizionale, non quella nel senso Fast&Furious del termine. Un film che se non avesse “King’s Man” nel titolo potrebbe anche non c’entrare un cazzo con Kingsman.
E per carità, se mi veniste a dire che è proprio questo il suo pregio principale non me la sentirei di darvi torto. È un film coraggioso e inaspettato, e già per questo da celebrare, credo. Non da rivedere, però. E proprio perché il coraggio è innegabile, ma non sufficiente. Forse perché comunque inevitabilmente un po’ schiavo del suo stesso franchise, The King’s Man non riesce davvero a compiere il salto definitivo e a diventare altro. Per ogni monologo shakesperiano di Ralph Fiennes c’è un’inevitabile battutina. Per ogni sontuosa carrellata su gente in costume c’è un montaggio rapidissimo e sincopato che è una delle signature moves di Vaughn alla quale in questo contesto avrebbe forse potuto rinunciare. Ci prova, ma non ci riesce. Diverte, ma non sempre. Intrattiene, ma in maniera ondivaga. Si menano, ma non si menano granché bene. C’è Rhys Ifans che fa le piroette, OK, e per questo piacerà un sacco. Ma ho l’impressione che Matthew Vaughn vorrebbe tantissimo che fossero altri i motivi del successo di The King’s Man, e che affidarsi a Rasputin per sfangarla sia poco più che una scorciatoia per non dover ammettere di avere puntato troppo in alto fin dall’inizio.
Fonografo quote suggerita:
«Un po’ Icaro, un po’ Forrest Gump»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)
Comeh nasconoh le guerreh, il film…
visto al cinema con moglie.
pagato il biglietto.
a tutti e due il film è piaciuto certo il primo era un altra cosa.
mi ritrovo con la recensione-
SPOILER SPOILER se non hai visto il film fermati qui
spoiler
chi è il direttore del casting? ray charles?? devono che il tipo è adolf hitler non c assomiglia ma nemmeno da lontano
Sarebbe bello che fosse rimasto qualcuno dei mentecatti che hanno commentato Diabolik, a leggere questa recensione e a chiedersi “ma cosa vuol dire Fate largo all’avanguardia” o “si incontrano e si scontrano-mmmh dove l’ho già sentita” e diventassero cosi’ persone migliori.
Concordo che quelli che commentavano Diabolik con la bava alla bocca sono il tipo di pubblico che dovrebbe fare largo all’avanguardia.
Dove sarebbe l’avanguardia in questo film?
Ah, ma con l’hummus sfondi una porta aperta! Quello che mi faccio in casa secondo me come comfort food è meglio della Nutella (change my mind).
Lo dice anche la canzone: https://www.youtube.com/watch?v=eOpCMbNegW0
Basta ricordarsi i 6 ingredienti:
– Ceci bolliti, una lattina (precotti vanno benissimo)
– Tahina, 2 cucchiaioni (ormai la trovi anche alla Pam e alla Coop, fino qualche anno fa dovevi andare al minimarket cinese o alla macelleria halal)
– Cumino (abbondare)
– Olio EVO
– Succo di limone
– Aglio (se crudo non eccedere, poi dipende dalla vita sociale, comuncque il top sarebbe soffriggerlo leggermente con l’olio e il cumino)
Bonus: Volendo, un pizzico di peperoncino.
Basta, sembro Brunetta (chi dimentica è complice: https://www.youtube.com/watch?v=Qnsox6I6J5k ).
del primo ricordo 2 scene e un film simpatico…secondo inguardabile…questo credo anche dai…vediamo Dune per la quinta volta va
trivia: Boney M. in realtà era un tizio tedesco, Frank Farian, che suonava e cantava tutto lui e aveva ingaggiato le tre tizie e il tizio per fingere di essere loro il gruppo.
La cosa è venuta così bene che Farian l’ha rifatta con i Milli Vanilli, faceva tutto lui e i due milli vanilli facevano le marionette in playback. Quando è stata scoperta la cosa, grande scandalo. Hanno dovuto restituire il grammy vinto.
E pure i Village People erano in realtà un cantante e cinque ballerini…
Ah non erano veramente rappresentanti di diverse categorie professionali ?
Davvero non si dice più “un filmone”? Ma da quando, più o meno? E soprattutto come mai?
Cit.: “Siamo nel 2022 e ormai qualsiasi cosa può avere un universo cinematografico tutto proprio, una sua crossmedialità, una franchise-izzazione.”
(vedi alla voce Ghostbusters: Legacy… ahimé!)
Non vorrei sbagliarmi ma credo di aver letto da qualche parte un’intervista a Vaughn in cui sostanzialmente diceva che non gliene fregava niente di fare un nuovo film sui kingsmen ma aveva questa idea che ha dovuto attaccare a un franchise per farselo produrre. Quindi sostanzialmente una storia a cui ha attaccato la mitologia kingsmen solo successivamente. Forse anche per questo il risultato non è il massimo (mi baso sulla recensione ovviamente, il film non l’ho ancora visto).
Se la nuova tendenza di Hollywood è “Questo film non lo volevo fare…” mi sa tanto che stanno indietro come le palle dei cani, sul web i video con titolo “Questo video non lo volevo fare…” andavano in tendenza una decina di anni fa.
Non ho visto il film. Il primo mi era piaciuto perchè era molto divertente e un pò parodiava Bond. Il secondo un passo falso, anche se guardabilissimo. In questo ci sono ingredienti che mi piacciono: la trama è ambientata nel passato, gli allestimenti sembrano sontuosi, la storia alternativa, l’inevitabile (credo) non prendersi troppo sul serio. E poi se è meno stupido del secondo (come sembra dire la rece) meglio. Speriamo.
Non ho visto il film. Però volevo solo aprire il momento “Trivia storico” per dire che in realtà non mi sembra così assurdo che lo stesso attore impersoni Giorgio V, lo Zar Nicola e il Kaiser Guglielmo, anche perché, oltre a essere tutti e 3 cugini, i primi due si assomigliavano moltissimo: https://www.minerva.agency/storia/giorgio-v-del-regno-unito-kaiser-guglielmo-ii-zar-nicola-ii/
Basta, ecco tutto.
Si, Giorgio V e Nicola, cugini, erano praticamente identici. Sembravano gemelli. E questo non ha impedito loro di farsi la guerra, di fare morire i propri sudditi (all’epoca erano sudditi) nella più stupida (e tragica) escalation che la recente storia di Europa ricordi.
Barbero ci ha reso tutti un po’ migliori
Sinceramente sono rimasto negativamente sorpreso, al di là di una messa in scena sicuramente curata nei dettagli e nei costumi Matthew Vaughn costruisce una storia raffazzonata che vuole mostrare la storia CAMBIANDOLA . Il tutto grazie all’apporto di quattro agenti della nuova agenzia King’s Man. Se tanto mi da tanto dopo quasi 45 minuti mi aspettavo che la suddetta agenzia cominciasse a mostrarsi e invece….
seguendo un protagonista che purtroppo Ralph Fiennes non riesce a far legare con lo spettatore finiamo in Russia dove il suddetto DUCA DI OXFORD affronta RASPUTIN…. cercando di ucciderlo con una torta avvelenata e facendosi poi sistemare la gamba malandata dai “poteri taumaturgici” del suddetto. Ora il tutto così spiegato sullo schermo prende una deriva TRASH che definire di serie B è dire poco. Non bastano combattimenti e i balletti di Rhys Ifans, il migliore comunque sullo schermo perchè NON SI PRENDE SUL SERIO. Purtroppo gli altri personaggi sono peggio che macchiette, sono comprimari senza spessore, il maggiordomo nero esperto di combattimenti corpo a corpo, la GOVERNANTE SPIA E ANCHE KILLER, il figlio del Duca è invece un giovane di belle speranze che fa la fine che fà….perfino la violenza è edulcorata, mi sarei aspettato scontri al livello del massacro in chiesa del primo film e invece…. ci becchiamo il cattivone che fa la paternale a Lenin! Sembrava tipo morto uno stalin se ne fà un altro, comunque il film gira male e batte la strada dell’ovvio e anche del trash senza veramente cercare di uscirne fuori in qualche modo, rimane quel senso di autocompiacimento che non spiace dirlo fa sinonimo con snobbismo, spero che per Matthew sia stato SOLO un incidente di percorso perchè altrimenti dovrò cominciare a preoccuparmi.
recuperato l’altro ieri, film guardabilissimo e scene d’azione divertenti, anche questo è parecchi gradini sotto il primo Kingsman ma almeno non mi ha fatto uscire dalla sala con la sensazione di aver sprecato ore e soldi (cosa non rara ultimamente).
-SPOILER-
Supercattivo finale abbastanza deludente, lo tengono nascosto in funzione del “colpo di scena” ma quando si rivela è un “meh”, Rasputin vero antagonista.
Poi ci sarebbe la critica al colonialismo ripetuta fino alla nausea ma vabbè…
“Mi ha fatto male eppure l’ho gradito” questo film, pur allontanandosi decisamente dallo stile post moderno dei primi due (al netto di un paio di virtuosismi con i movimenti di macchina, comunque sterili); probabilmente perché empatizzo con il desiderio di protezione del figlio e perché mi pare è violentemente antimilitarista. Però avrei preferito che si menassero meglio!
mi pare che SIA violentemente antimilitarista, mannaggia a me che non ho riletto !!! ORRORE!
mi pare che SIA violentemente antimilitarista, mannaggia a me che non ho riletto !!! ORRORE!