La A24 è una compagnia di produzione/distribuzione americana che prende il nome dalla Roma-Teramo.
Non è una gag, è una storia vera.
Io, che aspettavo da tempo il post giusto proprio per fare la gag, quando l’ho saputo ci sono rimasto malissimo: mi sono sentito come Secco in quell’episodio dei Simpson in cui Bart esce inavvertitamente di casa in pigiama e lui gli dice “Ma che bel pigiamino Simpson, complimenti! Te l’ha comprato la mammina, vero?” e Bart risponde “Certo, l’ha comprato lei. E chi se no?”.
E va bene A24, lo ammetto: a questo giro hai vinto tu.
Negli ultimi anni, sostanzialmente, la A24 è riuscita a scavare una nicchia di successo che ha fornito una via d’uscita per quegli autori che altrimenti per campare avrebbero dovuto buttarsi sui reboot/sequel/requel, o su spin-off/imitazioni del ConjUniverse, o sul chiedere l’elemosina a Jason Blum.
Non ha esattamente risolto il problema, ma ha proposto una nuova via che, pur con i suoi limiti, è più invitante delle alternative.
È la via dell’horror d’autore – o “elevated horror”, in una definizione immortalata persino dall’ultimo Scream che intende quegli horror che “spaventano ma fanno anche pensare”, da Babadook a Get Out.
La A24 ha portato a casa premi Oscar con roba tipo Room e Moonlight, e persino dei premi Sylvester con Diamanti grezzi, ma ha anche lanciato la carriera di Ari Aster e Robert Eggers. E quando non azzecca direttamente dei talenti all’esordio, si offre comunque per finanziare progetti interessanti a quel tipo di talento che non è ancora scoppiato del tutto e vorrebbe rimandare il più possibile il momento in cui cedere ai franchise mainstream: tantissimi nomi citabili, vi metto ad esempio due casi che abbiamo coperto come il Ben Whitley di Free Fire o l’Alex Garland di Ex-Machina. Ma davvero un sacco di roba, di tutti i tipi. Anche Climax di Noé, per andare su un autore un po’ più navigato ma che comunque non ha mai sfiorato il mainstream manco per sbaglio.
Sono ormai identificati con produzioni tendenzialmente fighette, forse per certi versi il prototipo del film hipster, o comunque quel tipo di produzioni che anche quando affrontano generi come l’horror lo fanno con lo spirito di chi deve portare al cinema quel pubblico da festival che normalmente non li guarderebbe a meno che non si prometta loro qualche significato più profondo. È ovviamente una premessa pericolosa, ma per fortuna non è sempre per forza una posa. Per un A Ghost Story di David Lowery quasi da barzelletta, c’è anche un Green Room di Jeremy Saulnier che fa il suo sporco dovere.
Chi meglio di loro, quindi, poteva recuperare Ti West? Uno che, dopo la brutta esperienza di Cabin Fever 2, pur di ostinarsi a non cedere a dover dirigere un altro franchise mainstream aveva preferito eclissarsi nel nulla?
Che bello che è tornato Ti West: c’è stato un periodo, i primi anni in cui avevamo aperto I 400 Calci, in cui la banda di amici formata da lui, Adam Wingard, Joe Swanberg e i Duplass Brothers sembrava potessero formare una specie di nuova New Hollywood (non apro una parentesi sull’incapacità cronica della stampa di dare un nome significativo ai movimenti che le sembra di identificare).
E invece? L’unico a cavarsela è stato Wingard, che però invece che ribaltare la scena horror è finito a dirigere un kolossal pacchiano come Godzilla vs Kong, accolto perlopiù da pernacchie. Gli altri godono ancora di rispetto, ma di zero successi commerciali.
E Ti era sparito: dopo In A Valley of Violence, improbabile western con Ethan Hawke e John Travolta passato sotto il radar di quasi tutti, si era rifugiato a girare episodi di serie tv come Scream, L’esorcista e (ci torniamo dopo) Wayward Pines.
Era sparito prima di scoppiare veramente, e lo ammetto: mi mancava.
X sembra il classico film che fai quando hai ruminato stimoli e idee per almeno cinque anni, e poi hai avuto modo di metterle in fila e incastrarle tutte di violenza in un film solo.
Oppure: X sembra il classico film che fai quando ti dicono che per vendere un progetto devi adagiarti su un sottogenere noto, stranoto e stra-abusato, ma che a partire da quello puoi fare quel che vuoi, e allora ti diverti ad aggiungere, deviare, confondere, sovvertire, spiazzare, arricchire, decostruire e ricostruire, il tutto senza diventare per forza una di quelle operazioni meta-cervellotiche alla Cabin in the Woods.
X parte innanzitutto con un titolo che in bocca al lupo googlarlo. L’ultima volta che mi sono imbattuto su un titolo che in bocca al lupo googlarlo era U.F.O. con Van Damme padre e figlia (soprattutto figlia), e puntualmente un anno dopo per l’uscita homevideo l’avevano cambiato in Alien Uprising. Non penso che X farà la stessa fine, perché il suo è uno statement, una power move, una voluta dichiarazione di arroganza dritta in copertina, ma alla fine sono gli incassi ad avere l’ultima parola.
Il sottogenere noto su cui si appoggia X, in ogni caso, è il Non aprite quella porta di Tobe Hooper: sono gli anni ’70, i giovani protagonisti stanno viaggiando in furgoncino verso una casetta sperduta nel Texas, Ti cita subito Hooper anticipando fin dalla prima scena che finirà in massacro e se uno non è particolarmente avvezzo al genere la trama è tutta qui. I nostri accettano l’ospitalità di una coppia losca, finisce in massacro. Ti West gioca principalmente tra le righe.
Il primo “colpo di scena” ad esempio è che i nostri protagonisti sono una piccola crew cinematografica che sta andando a girare un film porno: il discorso etico/morale schizza quindi immediatamente in primo piano, sfidando a ragionare su un settore ed empatizzare con una categoria per cui è difficile che lo spettatore medio provi sentimenti neutrali. E il territorio è doppiamente interessante/pericoloso soprattutto oggi, nel panorama culturale odierno, se ci rendiamo conto che (copio-incollo per pigrizia da un mio post di Facebook che parlava di un film diverso) “il discorso sulle relazioni sessuali nel 2020 è “non si parla delle relazioni sessuali”. O meglio: da una parte siamo in quella fase della società in cui è più utile rinfrescare le basi (ricordare che non ci si deve sentire obbligati ad averne una, rinfrescare la definizione di “consenziente”, far presente che l’eterosessualità non è l’unica via), e dall’altra siamo in quella in cui si cerca di vendere film a tutto il mondo e certi mercati hanno esigenze particolarmente delicate“. Quindi mettere il porno al centro di un film del genere non è una cosa che si fa così a caso, alla leggera: fidandosi che Ti West non è il tipo di autore che vuole semplicemente condannarlo creando pura plateale carne da macello, diventa subito intrigante capire dove intenda andare a parare. Voglio dire: c’è Jenna Ortega (ex-scuola Disney già comparsa in tre horror quest’anno, bravissima) nel ruolo della ragazzetta della porta accanto ingenua e virginale, ma hey, non è stata rapita, non è stata portata in gita con l’inganno, sarà pure nuova dell’ambiente ma sa che sta andando a girare un porno come parte attiva della crew e non può essere ingenua e virginale del tutto. Come avatar dello spettatore, non è esattamente immacolato.
Ma a parte questo, strutturalmente parlando, il film procede sui binari noti e stranoti: i nostri affittano il cottage degli ospiti nel ranch di una coppia di anziani che progressivamente fa sempre più brutto, e Ti West si diverte un mondo a creare tensione e (soprattutto) disagio (la causa scatenante è la signora che annusa l’atmosfera e si arrapa) con l’attitudine di chi ha intenzione di calibrare ogni singolo fotogramma per inserire quanti più stimoli possibili.
C’è il porno, insomma; c’è lo scontro fra culture, lo scontro fra età; c’è lo scontro fra mentalità diverse che sa diventare intergenerazionale, specie se si tratta di prospettive maschili contro prospettive femminili; c’è la droga a punteggiare qua e là senza giudicare; ci sono pulsioni sessuali a strafottere.
E Ti West ha la mano caldissima: a tratti sembra sfidare lo spettatore a seguirlo verso discorsi tematici che non è ancora per forza pronto a ripescare, a tratti sembra volerlo repellere fisicamente, a tratti sembra voler farsi perdonare con una sequenza facile tipo Brittany Snow e Kid Cudi che cantano i Fleetwood Mac.
A tratti sembra concedersi anche quei momenti per cui è famoso, ovvero quelle lunghe sequenze in cui semplicemente spia una bella gnocca mentre non fa niente (vedi tre quarti di The House of the Devil e almeno metà di The Innkeepers), e qui ovviamente a un certo punto divaga e insegue Mia Goth mentre si aggira per il ranch vestita solo con una salopette – un outfit che è già cult. A un certo punto, ancora memore dello splendido incipit di The House of the Devil, pensavo che Ti si fosse lanciato in uno dei suoi scaltri depistaggi, e invece era solo una banalissima pistola di Cechov: è spoiler raccontare una scena che solo io pensavo giocasse contro le aspettative e invece non lo faceva? Nel dubbio non ve la racconto, mi sto sforzando come un maledetto di non inserire spoiler di quello che alla fine è il classico film che si gode meglio quando non si sa nulla. I momenti in cui Ti sovverte veramente le aspettative comunque non mancano.
Il punto è questo: il vero modello con cui Ti si confronta in questo film è il nostro caro vecchio amico M. Night Shyamalan, di cui Ti è stato apprendista nel già citato Wayward Pines.
Può venire in mente The Visit per via dei due vecchietti loschi, e il film di riferimento rimane principalmente quello ma per altri motivi: sia Shyamalan che West giocano con un sottogenere stra-consolidato e usano la loro enciclopedica conoscenza delle sue convenzioni narrative/formali per cavalcarle e ribaltarle a piacere, per mantenerne l’effetto principale ma divertirsi a disorientare nell’attesa, e soprattutto per accompagnare un discorso umano di fondo, un metaforone se vogliamo. Là Shyamalan giocava col found footage e iniziava a riflettere sugli orrori dell’età che avanza; qua West fa il suo compitino con lo slasher e riflette sullo scontro tra il puritanesimo e la liberazione sessuale, sulle le conseguenze di entrambi, e… sugli orrori dell’età che avanza, anche se da un altro lato. Entrambi inseriscono a loro modo un film nel film, e lo usano per calcare ulteriormente sul messaggio. Entrambi costruiscono i loro twist lasciandoteli sotto il naso tutto il tempo e lavorando di fine sottrazione strategica.
Chi è meglio dei due?
È una domanda trabocchetto.
Quando si tratta di gente che prova a giocare nello stesso campo di Michael Bay, la mia risposta è facile: Michael è inarrivabile in quello che fa meglio, e semi-inguardabile in quello che fa peggio. Prendete Bad Boys 3, in cui fu rimpiazzato da due onesti mestieranti, e probabilmente troverete un film meno schizoide nel suo complesso, ma anche invariabilmente più standard e dimenticabile là dove invece avrebbe dovuto decollare e lasciare il segno. Non c’è paragone: Bay tutta la vita, il bene supera ampiamente il male.
Di fronte allo stesso trattamento capitato a Shyamalan invece traballo, in quanto non ho mai nascosto di faticare parecchio ad apprezzarlo (ne ho scritto soprattutto su Old). X è come un film di Shyamalan scritto finalmente da un essere umano, che mette in scena personaggi che sembrano effettivamente come minimo vivere su questo pianeta e riescono lo stesso a portare avanti sia la storia che il messaggio di fondo; dall’altro lato Ti West – pur essendo regista talentuoso, elegante e parecchio attento anche al lato formale – non ha i fulminanti colpi di genio di messa in scena del miglior Shyamalan, e si “limita” ad essere superiore alla media. Il tema non gli esce del tutto a fuoco e ogni tanto uff, l’ispirazione gli cala (a meno che non puntasse apposta al premio di milionesimo cliente a usare Don’t Fear the Reaper come presagio di morte). Quindi insomma, per me è un pareggio.
Mettiamola così: X è un film bello denso, a volte intrigante, a volte fresco, a volte forse troppo fighetto e ricercato, a volte forse meno fantasioso di quanto si vorrebbe, a volte da applausi a scena aperta. Ma va bene così: alla A24 conoscono Ti West, lo stimano, l’hanno sottratto a un immeritato prematuro oblio e hanno riposto in lui la giusta quantità di cieca fiducia. Ti li ha ripagati con un progetto ambizioso, solo all’apparenza di riscaldamento. Jenna Ortega spicca, Mia Goth è ammirevole ma più immagine che sostanza, Martin Henderson (lo ricordate in Torque?) è simpatico nel ruolo del Matthew McConaughey del discount. Sono uscito dalla sala, lo ammetto, non esattamente convinto al 100%, ma difficilmente quest’anno vedremo horror altrettanto interessanti.
C’è già un prequel in uscita, una roba che Ti West ha scritto e girato al volo intanto che questo era in pausa di lavorazione: forse gli si è riacceso il fuoco della creatività, forse se la sente troppo calda.
Io sono contento che sia tornato, perché magari non gli converrà sfidare Shyamalan sul suo stesso territorio, ma ha comunque più cose interessanti da raccontare di gran parte dei suoi contemporanei.
DVD-quote:
“Il primo film di Shyamalan scritto da un essere umano”
Nanni Cobretti, i400calci.com
P.S.: non so ancora quando uscirà in Italia, ma arriverà di sicuro. È arrivato The Sadness, figurarsi questo.
P.S. 2: alla proiezione in cui ero io a metà film un altro tizio è stato accompagnato fuori per motivi ignoti, spero non si stesse pasticciando perché sarebbe preoccupante (o meglio, dipende da quale scena)
A me è piaciuto molto! L’ho trovato girato e costruito in maniera molto intelligente, e tutti i grandi discorsoni che fa (libertà e costumi, sesso, vecchiaia e giovinezza, rimpianti e ribellione) sono accennati con sufficiente garbo. Non sono mai profondi al punto da affossare il film col peso del metaforone, ma neanche superficiali da farti sentire cretino.
L’unica cosa che mi è piaciuta poco è la caratterizzazione dei vecchietti. Capisco l’esigenza del make-up (senza fare spoiler) ma li ho trovati troppo sopra le righe, al punto da scadere nel ridicolo durante “quella” scena e farmi uscire dal film quando invece avrebbero dovuto farmi inquietare.
E forse il massacro avrebbe potuto avere un ritmo un po’ più eccitante, ma io mi sono divertito lo stesso.
Per me The Visit era meglio e lo dico con tutto l’amore che ho verso Ti West. Penso di essere uno dei pochissimi uscito un po’ deluso. Mi è sembrato molto più compitino di quanto dovrebbe e i vecchi arrapati mi hanno buttato fuori dal film, oltre il grottesco, troppo vicino al ridicolo. Poi, come si dice anche su va abbastanza dritto e non sono sicuro che “faccia finta di fregarti e invece va di classico”. Per me fa la roba META SPINTA, che non è un difetto, tanto che il sequel, che è un prequel, è stato girato Back to Back andando a coprire altri sottogeneri. Insomma non è che non mi sia piaciuto eh, però non l’ho trovato così fresco e a tratti troppo cringe e ridicolo. The House of The Devil rimane diverse spanne sopra.
Ecco, se c’è una cosa in cui The Visit è nettamente superiore è proprio la caratterizzazione dei due vecchi, sia nel casting che nel trucco e nella recitazione. Lì erano davvero inquietanti, qui sono ridicoli. Tra l’altro leggo che Stephen Ure ha sempre interpretato ruoli in cui è mascherato pesantemente (faceva metà degli orchi del Signore degli Anelli, per dire….) e adesso ripenso al film con un orco al posto del contadino texano….
si, anche a me la motivazione di fondo che hanno per fare brutto ha fatto scendere l’entusiasmo quasi a zero.
straquoto tutto (tranne su House of the Devil che non ho visto)
“Ma che bel pigiamino Simpson, complimenti! Te l’ha comprato la mammina, vero?” e Bart risponde “Certo, l’ha comprato lei. E chi se no?”.
Sempre adorata questa battuta, ma quando la citavo dicevo “Certo l’ha comprato lei, ho solo 8 anni”. Chissà se la ricordavo male o l’ho vista in originale
Mi sa che la ricordavi male perchè Bart nel cartone ha 10 anni (8 ne ha Lisa)
The Sadness è su Midnight factory una delle piattaforme interne di prime video.
Ti west lo promuovo solo per il secondo episodio di V/H/S , questo ,avendo visto moltissimi slasher ,lo catalogo come ” ti preco dio falli morì tutti”.
Su questo anche io ho sempre dei problemi, al di là di X. Se vedo dei giovani truccati da vecchi in modo più o meno palese più hanno screentime più mi scende. Poi lo capisco che lo abbia fatto per una questione di prequel ma insomma, un po’ mi sempre storcere il naso.
Sono abbastanza affezionato a Ti e questo film lo guarderò sicuramente. Ho qualche dubbio sulla sua cifra stilistica.
La prima volta che ho ascoltato Highway Tune dei Greta Van Fleet alla radio mi sono detto, toh, una canzone dei Led Zeppelin che non conoscevo. Niente male. Ma alla quarta canzone in cui scimmiottavano gli anni ‘70 mi sono detto tutto qua? Una semplice rimasticatura del genere? Uhm.
Ti è un maledetto secchione e sono certo si è andato a rivedere tutti i film horror dal decennio 1975 / 1985 assimilando quanto di buono c’era in quel periodo, ma così facendo mi sembrano si sia anche un po’ fossilizzato.
non so, a me l’approccio “oddio i vecchi che impressione” “oddio i vecchi e il sesso che schifo” ha lasciato un po’ perplesso. ok che la maggior parte dei fedelissimi A24 sono zoomer o giovani millennial, quindi si saranno fatti i loro conti.
in generale a tratti ho avuto l’idea di un rob zombie ripulitino.
Questo lo recupero appena posso perchè il Ty non m’ha mai rifilato sole, non mi so dispiaciuti manco un paio di corti che ad altri hanno fatto, anche giustamente, cacare.
Aver letto nella rece il texas chainsaw di hooper m’ha fatto ricordare l’amarezza che ho provato dopo aver visto il sequel (o quello che cazzè) uscito su netflix quest’anno, rivisitato con la “sensibilità” dei giorni d’oggi, con tanto di giovini environmental conscious, final girl che sporco maschio patriarcale manco ti devi azzardare a considerare un oggetto sessuale e faccia di cuio che sotto sotto era lo scarrafone di mamma soia.
Boh io capisco tutto (o almeno ci provo) ma mi chiedo che senso c’ha fare o rifare degli onesti B movie annacquandoli o togliendoli ogni spunto grezzo o cafone (concentrandoli tutti nel personaggio del redneck che in quanto bianco può essere cafone ma cmq non completamente negativo che hai visto mai che pure i caucasaci si offendono e non rinnovano l’abbonamento).
@Nanni: A me più che shyamavalàcomeaccidenticazzarolaiddiosichiama (che davvero libera me domine, non gliene salvo uno) e tutto il tralalà del “beata gioventù vs umarelles a tutta cazzimma”, è parso più un Boogie night vicino alla palude, e lode a West (un nome che mi ispirava più ottuso pregiudizio che altro, dopo The sacrament: vergogna su di me, In the valley of violence è tanta pasticceria) per aver rilanciato la grana e rievocato la corposa atmosfera 70’s senza il solito posticcio editing grindhousaro tutto graffi alterazioni cromatiche macchie e spuntinature fatte con adobe o movavi che ha rotto la fodera del cazzo da quel dì.
gli ho preferito il respiro della prima parte e avrei forse caricato maggiormente lo slashering, meno cattivo delle premesse-promesse anche se a favore gli va riconosciuto un lavoro sul climax che non c’è su nessuno degli slasher 80’s cui fa riferimento. favola il raccordo tra l’avanzata al lago di camillo il coccodrillo verso la goth (una notevole wide shot aerea) e i preparativi della prima take hard. della seconda ho molto apprezzato il non scivolare sulla buccia di banana del citazionismo sgomitato ogni 2×3 e mi è strapiaciuto quell’ “intervento divino” finale con – occhio che parte lo spoiler supersonico – la Goth che ammazza praticamente se stessa. attendo Pearl come il disvelamento del segreto di fatima: mi piace immaginarlo uno sliding door pari a Headless rispetto a Found. come che sia per me pollici alluci e ventunesimo dito decisamente su.
P.S.: non c’entra una beneamatissima, ma il mio sogno bagnato è vedere qui calciato il favoloso stronzissimo scorrettissimo spassosissimo Barbaque – Some like it rare. prego affinché ciò accada entro giugno.
Peccato quell’appendice su “a Ghost story”, l’ennesima, che rende l’idea di quanto stolida possa essere una linea editoriale, altrimenti avrei apprezzato la recensione quanto il film. Per capire il film di Lowry bisogna esserci passati o non essere replicanti.
Concordo
Il film patisce un limite strutturale nel messaggio contraddittorio che viene veicolato.
Il sesso nelle sue varie declinazioni, filmato per ricerca – senza tanti moralismi – di fama e denaro, via di fuga da famiglie opprimenti, mezzo di autodeterminazione contro fidanzati possessivi, efficace grimaldello per scardinare le convenzioni bigotte e razziste di una America rurale che, dagli anni ’70, non e’ poi cosi’ cambiata.
Peccato che le rivendicazioni in parola sembrino valere solo per coloro i quali siano dotati tanto di gioventu’ quanto di corpi perfetti, alla faccia dell’inclusiva’ che tanto ci si affanna a propugnare.
Ecco che le pulsioni sessuali nella terza eta’ sono dipinte in modo tetro e disturbante, complice anche una rappresentazione iperbolica del decadimento fisico, con tanti saluti alla body positivity.
Lo stesso regista se ne rende conto ad un certo punto, visto che si sente costretto ad aggiungere un cadavere martoriato in cantina che, jump scare a parte, pare piazzato ad hoc per fugare dubbi e lavarsi la coscienza.
Forse oggi l’idea della sessualita’ tra anziani spaventa di piu’ di cannibali che indossano maschere di pelle umana.
“…Mia Goth è ammirevole ma più immagine che sostanza…”
SPOILER
Beh, visto la stessa Mia Goth che interpreta sia la ragazza che la vecchietta assatanata, non direi proprio…
Eh, e invece temo di dirlo proprio perché non è convincente soprattutto nell’altro ruolo. Più che il trucco, come diceva qualcun altro qua sopra, per me a buttare giù il film è che a fare la vecchia si nasava che fosse qualcuno di poco esperto (e che fosse proprio lei me ne sono accorto solo sul finale, dopo aver passato tutto il film a chiedermi perché non hanno trovato signore più convincenti).
Ti dirò: io la penso proprio all’opposto.
Il fatto che la vecchietta fosse quasi “fuori posto” nel fare quegli atteggiamenti, come se questo lato fosse stato risvegliato nel vedere, e soprattutto (ri)vedersi in quella ragazza, ha reso il film ancora più inquietante…
non fosse che la vecchia assassina è ridicola ed alla fine sembra capirlo pure il regista lo amerei sto film
Ho visto di recente questa porcheria, che dire, la parte più interessante è quella dove girano con le zizze de fori seguendo lo stile dei film di Pierino, ecco se il film fosse finito con la troupe che, terminate le riprese, se ne tornava a casa a godere (ah ah) dei lauti guadagni derivati dalla proiezione dell’opera, sarebbe stato un 6 pieno. Purtroppo c’è anche la metà marcia del film, quella che dovrebbe fare paura? Ma che, davèro? Dove la noia regna sovrana, non c’è ritmo e i protagonisti tutti sembrano recitare un horror svogliati. Forse, ed è un forse gigantesco, se fosse stato un cortometraggio da 20 minuti con i vecchi a macellare i tizi in stile “Texas Chainsaw Massacre” allora anche in quel caso un 6 glielo avrei dato, più per l’ambientazione che per la non-originalità. Invece c’è sta roba leeenta e stupida che cerca di mettere insieme sesso e morte e non ci riesce manco per il cazzo.
La cosa più simpatica di tutto sto spreco di tempo e sangue finto è quando il coccodrillone nutrito a cadaveri delle vittime dei vecchi, quasi acchiappa la protagonista. Lo metto fuori dallo spoiler perché nessun altro deve sprecare la propria vita per guardare questa zozzeria.
Vorrei che qualcuno inventasse la macchina del tempo per tornare indietro e darmi uno schiaffo bello forte nel momento in cui sto per iniziare la visione. Mi sento derubato di 1h45m di vita.